• Non ci sono risultati.

In seguito all’evoluzione che hanno subito in termini di logiche e procedure, in conseguenza al mutamento dei fenomeni letti sia in chiave spaziale che temporale, le caratteristiche peculiari della pianificazione territoriale strategica si caratterizzano oggi come distintive rispetto alla pianificazione “tradizionale” in termini di approcci e nel contempo come complementari alla stessa, ovvero la pianificazione strategica, orientata alla costruzione di scenari evolutivi, mediante il coinvolgimento dei portatori di istanze e risorse, dà gli input contenutistici e metodologici aggiuntivi, utili agli strumenti “tradizionali” per svolgere attività di regolazione e previsione degli usi pubblici e privati del suolo e dei manufatti ammessi su tutto il territorio interessato.

Riprendendo quando riportato da Fera (2002) e Gibelli (2003), le caratteristiche distintive risiedono:

− nell’ampliamento della dimensione programmatica a scala territoriale, rilanciando la necessaria concertazione tra i diversi livelli di governo;

− nell’inserimento di un quadro strategico a cui spetta la funzione di assicurare coerenza ai singoli progetti, variamente interconnessi, con le previsioni di lungo periodo;

− nella costruzione della collettiva visione del futuro mediante processi di partecipazione, discussione e ascolto;

− nell’introduzione di valutazioni di tipo qualitativo, aderendo ai principi di sviluppo sostenibile;

− nella promozione e nel finanziamento degli interventi mediante partnership pubblico-privato;

− nel coordinamento delle assunzioni di responsabilità dei differenti attori nella realizzazione dei progetti.

La pianificazione strategica, dunque, rappresenta un metodo e uno strumento organizzativo, un momento decisionale a carattere strategico per città e territorio, un sistema partecipativo e di sostenibilità a lungo periodo, un processo di apprendimento orientato alla interazione, alla cooperazione e al partenariato.

La pianificazione strategica come metodo e strumento organizzativo individua nel piano strategico l’intervento che i territori devono adottare per perseguire obiettivi di qualità, competitività e identità territoriale9.

Tali obiettivi sono caratterizzati da una forte intersettorialità, sinergia e coesione in quanto scaturiscono dalle interazioni fra il sistema economico, il sistema sociale ed il sistema ambientale e costruito.

La tesi della pianificazione strategica come momento decisionale a carattere strategico per città e territori implica, invece, un passaggio logico-teorico di rilevante importanza in quanto implica il superamento di un approccio di tradizionale individualismo metodologico secondo il quale esistono solo soggetti attivi individuali. Tale tesi aggiunge ed accompagna la pianificazione strategica ad un processo di informazione e di discussione politica quanto più aperto possibile (seppur ugualmente strutturato e organizzato) attraverso la creazione di commissioni, forum di arene pubbliche, di reti civiche interattive e inchieste e pratiche continuative di polling da cui poter ascoltare le necessità e le opinioni che emergono dalla cittadinanza.

A ciò deve aggiungersi la trasparenza delle negoziazioni fra pubblico e privato e l’evidenziazione dei vantaggi collettivi dei progetti privati, nonché la definizione dei ruoli e delle partecipazioni all’interno di regole definite ex-ante e non soggette a negoziazione10.

Per tal motivo la pianificazione strategica può essere intesa anche come sistema partecipativo e di sostenibilità a lungo periodo, che segna il passaggio da concezioni elitiste ad una concezione trasparente e partecipativa ai processi di piano, nonché come processo di apprendimento orientato alla interazione, alla cooperazione e al partenariato, permettendo alla stessa di assumere le sembianze di un modello in grado di garantire la contemporaneità delle decisioni complementari dei soggetti diversi interessati al piano strategico.

9

Per qualità si intende la qualità delle condizioni di vita e di lavoro e l’accessibilità ai servizi primari e qualità ambientale; per competitività l’efficienza dei territori nel campo dell’offerta dei servizi e delle condizioni di accessibilità e mobilità, nonché la resource efficiency, ovvero l’efficienza in termini di risorse scarse quali suolo ed energia in primis; per identità territoriale le vocazioni produttive, capacità d’uso della conoscenza ed il capitale sociale (la capacità associativa, la condivisione di valori e di codici di comportamento, la fiducia reciproca).

10

Il percorso, specialmente in Italia, dove non esiste una consuetudine orientata sulla trasparenza, potrebbe essere particolarmente lento e tormentato (Donolo, 2001), aggravato dalla minore celerità decisionale nel caso in cui i processi partecipativi della popolazione siano effettivamente messi in

Capitolo 1

Dal ruolo della dimensione territoriale nelle politiche di sviluppo locale alla pianificazione territoriale strategica

25 La pianificazione strategica, dunque, può assumere essa stessa la forma di

governance urbana e/o territoriale, ovvero “… processo attraverso il quale i cittadini

risolvono collettivamente i loro problemi e affrontano le necessità della società, usando il governo come strumento” (OECD, 2001), inducendo a migliorare, attraverso la riforma delle istituzioni e della finanza locale, un cambiamento di sensibilità (attitudes) e di cultura di governo11.

Le suddette caratteristiche della pianificazione strategica, pertanto, ridefiniscono il piano, associando ad esso un carattere negoziato e partecipato, integrativo, flessibile ed operativo.

Il carattere negoziato e partecipato del piano risiede nella capacità di fornire una risposta insieme razionale e percorribile, uscendo dalla paralizzante contrapposizione tra il carattere cognitivo e le rigidità di carattere attuativo della pianificazione regolativa e le irresponsabilità delle pratiche puramente deregolative.

Il carattere integrativo del piano interessa l’apertura dello stesso verso tematiche di interesse trasversali alle azioni fisiche, ovvero economiche, sociali, ambientali e culturali, superando il carattere settoriale della pianificazione “tradizionale” e mettendo a confronto una pluralità di attori.

Il carattere flessibile permette di superare le rigide procedure di pianificazione, aprendo il piano alla possibilità di rivedere quanto definito e di sottoporlo a modifiche e aggiustamenti.

Il carattere operativo, infine, permette al piano di promuovere progetti, piuttosto che vincolare in modo passivo azioni coerenti con le peculiarità dei diversi contesti territoriali.

Il piano strategico, quindi, non è un piano per la città e/o per il territorio, ma è un piano della città e/o del territorio, realizzato attraverso la partecipazione più ampia degli interessi, dei gruppi, dei singoli cittadini e con la pubblica amministrazione che acquisisce un ruolo di facilitatore, coordinatore, valutatore della competitività e parziale realizzatore.

Le caratteristiche complementari della pianificazione strategica rispetto alla pianificazione “tradizionale”, invece, sono riscontrabili mediante un semplice raffronto tra le peculiarità che caratterizzano le stesse.

Mentre la pianificazione tradizionale individua gli indirizzi e definisce gli assetti del territorio, spazializza le azioni, rispetta i periodi di informazione pubblica richiesti dalla normativa, definisce le norme che regolano gli interventi pubblici e privati,

11

Tre sono gli indicatori utili alla verifica di tale forma delle pianificazione strategica: leadership,

regolamenta l’assetto del territorio; la pianificazione strategica integra le funzioni con gli obiettivi, indica azioni senza ubicarle nello spazio, mira al consenso e alla partecipazione, si basa sul compromesso tra soggetti coinvolti, definisce “azioni” strategiche (si veda a tal proposito Petroncelli, 2002).

In seguito a tali assunti, dunque, “la pianificazione strategica, comunemente intesa, risultata essere il processo e il metodo che, travalicando le competenze proprie della pianificazione territoriale, nel tentativo di coordinare diversi elementi della strategia, privilegia l’analisi prospettica e di scenario; riduce la complessità e la specificità locale ad unico disegno strategico; opera in una dimensione apertamente pragmatica, consapevole di agire in un contesto di razionalità limitata, e assume di conseguenza un comportamento dinamico e flessibile nei confronti della definizione degli obiettivi e delle azioni; si affida a processi di apprendimento e di revisione iterativi; promuove la consultazione e la partecipazione allargata degli interessi e della società civile; valuta i progetti sulla base della loro coerenza con la strategia generale e di principi (correnti) di compatibilità urbanistica e di sostenibilità; attribuisce rilevanza strategica alle fasi attuative del piano; affida ai documenti di piano una funzione eminentemente persuasiva, comunicativa e promozionale”12.

In definitiva, la pianificazione territoriale strategica introduce delle innovazioni capaci di venire incontro all’adozione di nuovi sistemi di governo, impostati su forti interazioni con il settore privato e il cosiddetto terzo settore, delineando possibili raccordi tra le Amministrazioni locali e stimolando la partecipazione dei cittadini, ma nel contempo introduce innovazioni capaci di riarticolare i ruoli dei sistemi territoriali, che sono chiamati a rivestire nuove valenze nel contesto internazionale, definendo una struttura programmatica di riferimento in grado di dare ordine e sistematizzazione (piano strategico) ai mezzi disponibili a servizio degli obiettivi della pianificazione (piani strutturali, piani operativi, piani attuativi).

Nonostante questo apparente quadro chiaro ed edificante, i nodi cruciali e i possibili rischi, legati alla effettiva realizzazione dei piani strategici e alla loro interconnessione con gli strumenti tradizionali di pianificazione, restano molti e molto importanti.

Innanzitutto, occorre ricordare che, come molti casi europei dimostrano, affinché la pianificazione strategica possa affermarsi nel suo più ampio senso, sono necessari alcuni requisiti minimi, rappresentati appunto dalla presenza di una leadership carismatica, capace di creare un clima di fiducia e di orgoglio civico e propensa ad instaurare radicate cooperazioni tra i diversi livelli politici, di consulenze esperte, di

Capitolo 1

Dal ruolo della dimensione territoriale nelle politiche di sviluppo locale alla pianificazione territoriale strategica

27 società civili motivate, di attori privati capaci di costruire rapporti forti e di esprimere interessi imprenditoriali non legati alla rendita fondiaria.

In particolare modo, una forte leadership ed una rinnovata autorevolezza da parte degli amministratori locali si deve basare su una legittimazione politica da parte dei cittadini e del sistema di attori; sul riconoscimento esplicito dell’esistenza dei conflitti di interesse; su una forte trasparenza ed accountability nei processi decisionali; sulla tensione a costruire visioni realmente condivise e consensuali; sulla ricerca delle modalità per dare “voce” agli interessi non organizzati e più deboli; sul riconoscimento che i processi di partenariato vanno mantenuti.

Il partenariato, la negoziazione e gli accordi pubblico/privato sono divenuti la regola dei nuovi modelli di governance.

Tale prassi contribuisce così a generare la presenza di mutuo rispetto e fiducia fra i partner; la presenza di una sufficiente capacità di management e di negoziazione da parte della pubblica amministrazione; la tendenza dei partner ad effettuare sempre scelte oculate e trasparenti; la formulazione ex-ante di poche ma chiare regole del gioco; la distribuzione trasparente dei compiti e delle responsabilità fra partner; l’assunzione di responsabilità da parte della leadership pubblica sui progetti di maggior rilievo; il mantenimento in capo alla pubblica amministrazione di un sostanziale potere di valutazione ex-ante dei progetti.

La partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, in particolare modo, costituisce una sfida, un obiettivo ed una condizione di successo dei piani strategici. In tal senso la partecipazione della cittadinanza ai piani strategici comporterebbe l’attivazione di azioni di sviluppo attraverso l’arricchimento della democrazia, la conferma di legittimità al potere decisionale pubblico, il rafforzamento del senso di appartenenza e di fiducia nelle istituzioni, il bilanciamento del potere degli interessi forti (countervailing power), il forte stimolo per la risoluzione di problemi locali (experience experts).

Dalla mancanza di questi requisiti minimi spesso si ingenerano alcuni dei nodi e dei rischi di maggiore peso.

Il primo nodo è quello che interessa l’effettiva partecipazione e negoziazione, a cui in conseguenza sono legati molti rischi come ad esempio quello inerente la strumentalizzazione del piano, attraverso la finzione demagogica che rende difficile la definizione del reale interesse collettivo, di cui l’autorità pubblica dovrebbe essere garante (si veda a tal proposito Moroni, 2003), contribuendo ad ingenerare fenomeni di emarginazione e disuguaglianza, nonché di appiattimento della visione strategica, generando la scomparsa delle diversità (Gastaldi, 2003).

Il secondo nodo, invece, interessa l’orizzonte temporale variabile tra pianificazione e politiche, producendo il rischio della incompatibilità dei tempi e irrealizzabilità di azioni di sviluppo coerenti; infatti, mentre i tempi della pianificazione sono lunghi, in generale si parla di 10-15 anni, quelli della politica sono brevi in quanto coincidenti con i mandati elettivi.

Il terzo nodo, da cui emerge uno dei rischi più cogenti, è quello inerente il rapporto tra pianificazione strategica e pianificazione tradizionale. Nel tentativo di superare tale empasse, come già anticipato e come si vedrà più nel dettaglio di seguito, soprattutto in Italia, sono state emanate molte leggi regionali che hanno creato maggiore confusione, quest’ultima legata, soprattutto, alla semantica utilizzata, la quale associa ai nuovi piani strutturali il termine strategico, perdendo di vista l’odierno ruolo che il piano strategico ha assunto nelle politiche di governo del territorio.

1.5 La pianificazione strategica e la dimensione territoriale negli indirizzi

Outline

Documenti correlati