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Alcuni effetti del protezionismo statunitense

Nel documento Rapporto 2017 (.pdf) (pagine 29-33)

Gli agricoltori e allevatori americani hanno sostenuto Donald Trump nelle recenti elezioni presidenziali, nonostante le promesse elettorali di imporre tas-se sulle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti, di rinegoziare il NAFTA, di ritirare gli USA dall'accordo Trans-Pacific Partnership (TPP) e di ritirare gli Stati Uniti dal WTO nel caso in cui l’organismo stesso interferisca con la deci-sione di imporre sanzioni alle imprese statunitensi che decidano di trasferire la produzione fuori dagli USA. Circa un terzo di ciò che viene prodotto dagli agricoltori e allevatori statunitensi viene esportato, e per molte commodities come soia, grano e cotone, la quota va oltre il 50%. A ciò si aggiunge il

rallen-tamento del tasso di crescita della popolazione. Questi fatti contribuiscono a spiegare perché gli stakeholders del settore agricolo hanno sostenuto con tanto vigore la definizione di accordi di libero scambio. Ma la nuova amministrazio-ne ha cambiato rotta, offrendo il fianco alle critiche da parte di chi è consapevo-le degli effetti positivi di un commercio internazionaconsapevo-le più consistente e fluido.

Un altro accordo che ci interessa più da vicino è poi in fase di stallo: il Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership agreement (TTIP). Secondo il segretario al commercio degli Stati Uniti Wilbur Ross il presidente Trump

“ha interrotto l'accordo TPP, non il TTIP” ed è quindi disposto a riaprire i ne-goziati con l'Unione Europea, dopo averli abbandonati una volta eletto.

Il fallimento della Trans-Pacific Partnership (TPP). Il presidente eletto de-gli Stati Uniti, ha annunciato che de-gli Stati Uniti non ratificheranno il partena-riato transpacifico, il più grande e ambizioso accordo commerciale regionale di sempre. Ritirandosi dall’accordo, i cui negoziati iniziarono durante la presi-denza Bush nel 2008, gli Stati Uniti ne decreteranno il fallimento, perché esso richiede la ratifica da parte di almeno sei paesi che rappresentino l'85% dei prodotti interni lordi dei dodici firmatari. Il fallimento danneggerà ovviamente tutti i paesi coinvolti e soprattutto quelli con flussi commerciali rilevanti. Ad esempio, nel 2015, il Giappone è stato il terzo importatore di prodotti agro-alimentari canadesi. Il Canada (così come gli Stati Uniti) ha attualmente altri accordi regionali con alcuni dei paesi coinvolti nel TPP come Messico, Cile e Perù, ma il TPP sarebbe stato strategico per progredire nell'integrazione asiati-ca assicurando legami economici più stretti con il Giappone. La portata del TPP è ampia, con disposizioni che vanno al di là della semplice armonizzazio-ne e riduzioarmonizzazio-ne delle tariffe all’importazioarmonizzazio-ne, ad esempio sui temi del lavoro e dell'ambiente, contenuti che dovevano servire a rendere il TPP politicamente più appetibile.

I Paesi, soprattutto quelli di grandi dimensioni, sono incentivati a fare ag-giustamenti nella loro politica commerciale per manipolare i prezzi mondiali in risposta a shock del mercato a scapito dei loro partner commerciali. Le pic-cole economie aperte sono particolarmente vulnerabili perché il loro reddito nazionale è più sensibile alle interruzioni degli scambi e la loro capacità di ri-torsione è limitata. Il comportamento opportunistico dei grandi paesi importa-tori può essere in qualche modo previsto dai piccoli paesi che a loro volta ri-ducono le loro esportazioni; il risultato è un minor beneficio complessivo dal commercio. Il ruolo del WTO da un lato e degli accordi regionali come il TTIP dall’altro dovrebbe proprio essere quello di rendere l'ambiente commer-ciale stabile e prevedibile attraverso una serie di regole e meccanismi di riso-luzione delle controversie per prevenire comportamenti opportunistici. Vi sono

1. ECONOMIA MONDIALE E MERCATI AGRO-ALIMENTARI

29 te e protezionismo americano: se il dollaro continuerà ad essere forte le lobby degli agricoltori statunitensi potrebbero mettere pressione alla ricerca di rimedi come azioni di salvaguardia, compensazioni e antidumping. Il WTO consente ai suoi membri di ricorrere a tali azioni per dare una protezione temporanea al-le loro industrie nazionali. Queste azioni possono causare grandi cambiamenti nelle quote dei Paesi esportatori sulle importazioni e nel livello generale del commercio.

La fine del TPP potrebbe essere il preludio ad una serie di accordi bilaterali tra USA e altri Paesi firmatari del TPP, dove il potere negoziale statunitense farebbe sentire tutti i suoi effetti, con ripercussioni negative su altri potenziali partner commerciali. Forse dovremmo dire avrebbe potuto essere, visto che, con una brusca inversione di tendenza, il presidente Trump ha affermato gio-vedì 12 aprile 2018 che gli Stati Uniti stanno cercando di ricongiungersi nuo-vamente al TPP, salvo poi correggere la rotta dicendo che ciò avverrebbe solo a fronte di un ‘sostanziale miglioramento’ dell’accordo rispetto a quello con-cordato dall’amministrazione Obama.

La guerra commerciale USA-Cina. Mentre la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si intensifica, le tariffe imposte dai due Paesi toccano i settori più disparati, dalle automobili al vino.

Un esempio significativo sono le carni suine che sono una delle 128 espor-tazioni statunitensi sulle quali la Cina ha imposto tariffe fino al 25%, con ov-vie ripercussioni sull’economia americana, visto che la Cina, dal 2008 al 2017, è stata il secondo importatore dietro solo al Messico. Neil Dierks, CEO del National Pork Producers Council, ha dichiarato che l'organizzazione è delusa dall’imposizione della tariffa, ma si augura che venga presto tolta. La riduzio-ne dell’export costringerebbe un’improbabile deviazioriduzio-ne verso altri mercati, oppure una drastica riduzione delle produzioni. Nell’immediato l’effetto sa-rebbe una consistente riduzione dei prezzi, con ripercussioni molto negative sui redditi degli allevatori, anche se poi il riaggiustamento dell’offerta potreb-be portare a un riallineamento dei prezzi almeno dei prodotti destinati soprat-tutto al consumo interno, come ham e bacon.

Si stima che gli allevatori di suini arriveranno a perdere almeno 4 dollari per animale come conseguenza delle tariffe. Ma questo non è nulla rispetto al-le perdite che si verificherebbero se, come ipotizzato, la Cina imponesse tariffe sulle importazioni di soia dagli USA, visto che un quarto della soia americana prende la via della Cina.

Per contro, le tariffe sulla soia potrebbero avvantaggiare gli allevatori di suini, per effetto dell’aumento dell’offerta interna e quindi della diminuzione dei prezzi.

Nel documento Rapporto 2017 (.pdf) (pagine 29-33)