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Algoritmi e servizi finanziari: note sul senso della

II. A LGORITMI E NUOVI OPERATORI

8. Algoritmi e servizi finanziari: note sul senso della

La trasformazione importata dagli algoritmi sul funzionamento dei tradizionali servizi e attività di investimento è penetrante e inarrestabile. Fin qui, ci si è interessati all’applicazione dei sistemi algoritmici in relazione all’attività di investimento (trading) e a quella di consulenza (advisory). I due fenomeni rappresentano due esempi di applicazioni diverse del medesimo artefatto tecnologico, l’algoritmo decisore.

L’articolata disciplina normativa è contenuta in fonti legislative europee, di rango primario e secondario e in disposizioni di soft law, che integrano e si sovrappongono alla disciplina posta dal TUF. Dal raffronto della disciplina dei due fenomeni, è interessante notare come

189 N. LINCIANO, La consulenza finanziaria tra errori di comportamento e conflitti di interesse, in AGE, 2012, pp. 135 ss, mette in evidenza come lo strumentario sinora utilizzato per valutare il profilo del cliente sia caratterizzato da una scarsa capacità di indagine.

190 M. GIORGI, op. cit., p. 69. («Non sembra pertanto peregrino immaginare un’integrazione tra servizi di robo-advisor e servizi di pagamento. Dalla tipologia delle spese effettuate da un cliente tramite servizi di pagamento o applicativi di TPP possono infatti derivarsi informazioni di immenso valore per il robo-advisor»).

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possano identificarsi profili di convergenza e divergenza, avendo riguardo sia al dato formale che a quello contenutistico-sostanziale.

Cominciando dai profili di divergenza, un primo divario sta nella diversa collocazione della normativa di riferimento. La negoziazione algoritmica è specificamente disciplinata da fonti europee e nazionali di rango primario – sia MiFID che TUF forniscono una specifica nozione e una seppur limitata disciplina – il cui contenuto è poi raffinato da fonti di rango secondario e da disposizioni di soft law. La consulenza automatizzata, invece, non viene costruita come specifica e autonoma fattispecie dalle fonti primarie: essa è presa in considerazione, in taluni limitati aspetti problematici, solo dalle fonti di secondo e terzo livello, come sotto-categoria della consulenza finanziaria.

In altri termini, solo l’applicazione degli algoritmi all’attività di negoziazione sembra presentare specificità tali da giustificare, nella percezione del legislatore, la costruzione di una apposita fattispecie: dunque, stante la medesima natura dell’artefatto tecnologico, l’algoritmo, il principio di neutralità tecnologica sembra trovare allo stato una stretta applicazione esclusivamente in relazione alla consulenza automatizzata.

Ciò sembra esser giustificato in relazione ai diversi interessi che sono tutelati. Con riferimento al trading algoritmico, come peraltro si evince dalla collocazione della normativa rilevante nella parte III del TUF, è l’integrità e il corretto funzionamento del mercato l’interesse prioritario, essendo la tutela dell’investitore un interesse solo riflesso rispetto al primo. Nella disciplina della consulenza automatizzata, l’attenzione è, invece, interamente rivolta alla tutela dell’investitore e, infatti, la disciplina in materia è contenuta nella parte II del TUF relativa agli “intermediari finanziari”. Ad essere diversa è quindi innanzitutto la funzionalizzazione dell’artefatto tecnologico presa in esame dal legislatore. Nel primo caso, l’algoritmo è strumentale, innanzitutto, allo svolgimento delle negoziazioni e, dunque, presenta un chiaro profilo di attinenza con il luogo in cui tali negoziazioni avvengono. Nel secondo caso, invece, l’algoritmo è interamente piegato a un servizio finanziario connotato dalla natura fiduciaria, un servizio che costituisce il «vero “cuore” del sistema delle regole

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MiFID in materia di servizio di investimento»191. Sul piano dell’informazione, la scelta legislativa pare giustificarsi in forza dell’esistenza, con riferimento al robo-advisory, di un intermediario, che possa comunque farsi carico dell’onere informativo.

Venendo agli elementi di convergenza, deve segnalarsi come l’attuale impalcatura normativa appaia improntata a un generale potenziamento dei requisiti organizzativi in capo alle imprese di investimento che si valgono di tali sistemi algoritmici. Ciò è in linea con quel percorso verso una progressiva «procedimentalizzazione dell’agire», già sperimentato in molteplici aree della disciplina del mercato mobiliare (e.g. conflitto d’interessi) e che si estrinseca nella «predisposizione di corrette procedure, attraverso le quali l’intermediario è tenuto ad (auto) regolare tempi e modi della prestazione dei servizi»192. In queste fattispecie, tuttavia, è dato ravvedere una peculiarità, che si sostanzia nello schema legislativo adottato per rafforzare l’organizzazione: l’imposizione di misure tecniche ‘adeguate’ o ‘idonee’, la cui portata viene demandata alla scelta responsabile e consapevole degli utilizzatori del sistema informatico. Così, ad esempio, il Regolamento delegato (UE) n. 2017/580 impone alle imprese di predisporre metodologie per garantire la resilienza dei sistemi di negoziazione e di effettuare un processo di autovalutazione su base annuale e le recenti linee guida dell’ESMA in materia di consulenza automatizzata attribuiscono importanza centrale ai requisiti organizzativi delle imprese per testare e monitorare gli algoritmi che prestano la raccomandazione.

In questi casi, la precisa determinazione del precetto è, in definitiva demandata alla parte responsabile dell’innovazione tecnologica, così chiamata a farsi carico della selezione e adozione delle soluzioni tecniche idonee a contenere i rischi per la collettività individuati latamente dal legislatore: il privato è, in altri termini,

191 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, cit., p. 189. Non pochi dubbi solleva la scelta di garantire la neutralità tecnologica in relazione a certi comparti regolamentari incisi dalla medesima innovazione tecnologica. A ciò si aggiunga che, come recentemente osservato, «i modelli innovativi di business potrebbero incontrare difficoltà nell’adeguarsi alla normativa vigente, in particolare alle procedure per il rilascio dell’autorizzazione e per la supervisione svolta dalle autorità nazionali, dal momento che sono “conformate” per le tipologie tradizionali di istituzioni finanziarie». M. T. PARACAMPO, FinTech e il mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, op. cit., p. 9.

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chiamato a compiere un giudizio di adeguatezza e/o idoneità della misura in relazione alla sua specifica realtà; e la soluzione tecnica così individuata finisce per concorrere a formare il precetto193.

Una siffatta scelta legislativa morbida presenta luci e ombre: da un lato, essa ha il merito di incrementare la partecipazione del regolato al processo di determinazione della regola; dall’altro, essa rischia di condurre a una inevitabile ‘relativizzazione’ della disciplina e di restringere l’esito positivo della valutazione successiva delle Autorità a quelle sole realtà economiche in grado di sopportare gli ingenti costi di un continuo monitoraggio.

Solo quelle imprese con più risorse economico-finanziarie e tecniche, in altre parole, potrebbero permettersi di mantenere un costante controllo sull’algoritmo; le altre non potrebbero che essere scoraggiate dall’ingresso in un segmento di mercato in cui è labile il confine tra cosa è adeguato e cosa è inadeguato ma ben certa è la sanzione in caso di inadempimento. È allora auspicabile che un ruolo cruciale venga a ricoprire il principio di proporzionalità, al fine di graduare diversamente la valutazione dell’adeguatezza delle misure di prevenzione, in relazione al volume delle negoziazioni, all’entità degli

asset gestiti e, dunque, dei rischi.

Al di là di questo alquanto marginale rilievo, è, tuttavia, a un livello più profondo che può estendersi la critica a un siffatto approccio regolamentare. Sembra, in effetti, che dietro la volontà legislativa di demandare al privato la definizione delle misure tecniche adeguate a scongiurare un danno al mercato e all’investitore, si celi un’implicita rinuncia a intromettersi nell’analisi dei rischi, estremamente complessi, provenienti dall’interno dell’artefatto tecnologico, fissando ab externo precisi limiti, standard e parametri.

Per usare un parallelismo, è come se agli albori dell’industria automobilistica si fosse preteso di regolare il settore demandando ai produttori di autoveicoli non soltanto l’individuazione degli standard tecnici di sicurezza ma anche la definizione delle misure adeguate a regolare il traffico stradale. Ebbene, se veicoli e strade evidentemente possono essere gestiti dai privati, la definizione delle disposizioni cogenti del codice della strada, così come la definizione degli standard minimi di sicurezza del veicolo, non possono che essere ad appannaggio dei pubblici poteri. Sicché, entrando nel merito della

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critica, dietro tale impostazione, in ragione della tutela dell’innovazione e della complessità della tecnica, sembra celarsi l’abdicazione tacita allo svolgimento di una funzione pubblicistica di regolazione in un settore storicamente iper-regolamentato.

Quanto detto spiega anche la derubricazione della trasparenza da pilastro centrale della disciplina degli intermediari finanziari a elemento secondario, quasi marginale, della regolazione in materia. Infatti, se le misure di regolazione sono rimesse interamente al privato – e dunque nessuno, al di là dell’impresa, conosce del funzionamento del sistema algoritmico e dei dati che processa – è legittimo chiedersi quale spazio possa riconoscersi all’informazione.

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SEZIONE 3.DLT E ORGANIZZAZIONI DECENTRALIZZATE

SOMMARIO: 1. La rete come nuovo modello organizzativo. – 2.