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Alimentazione idrica e rapporti di servitù

2.   Campi e problematiche di studio

2.3.   La gestione dell’acqua nel diritto romano

2.3.2.   Alimentazione idrica e rapporti di servitù

Tra i compiti principali del curator aquarum vi era poi quello di vigilare contro gli abusi, le frodi o i danneggiamenti commessi a danno degli acquedotti. Spesso erano gli stessi aquarii, gli addetti alla ripartizione dell’acqua, che conservavano vecchie prese d’acqua per venderle clandestinamente o praticavano ramificazioni abusive dalle tubature pubbliche. Tra le altre irregolarità denunciate da Frontino vi erano poi l’installazione di calici (tubi in bronzo di forma tronco-conica che fungevano da allaccio tra il castello e le tubature) troppo grandi o abusivi, tubi di modulo maggiore a quello regolamentare, mancanza di calici sostituiti da tubi “sciolti”, della misura decisa dall’aquarius. Le condutture erano poi spesso danneggiate da edifici o alberi limitrofi, strade o allacci abusivi. Le ispezioni di condotti, fontane e castella dovevano perciò effettuarsi regolarmente, e al fine di arginare questi comportamenti fraudolenti fu emanato un senatoconsulto che impose uno spazio libero di 15 piedi presso fonti, fornici e muri e di 5 piedi presso i canali sotterranei e gli spechi, in cui era vietato costruire o piantare alberi.

In seguito fu emanata la Lex Quinctia de aquaeductibus (9 a.C.)311, che puniva le azioni a danno degli acquedotti, prevedendo una severa ammenda per chi avesse forato o danneggiato l’acquedotto, compromettendone il flusso d’acqua verso Roma. La legge garantiva inoltre l’osservanza di una zona di rispetto sulle aree attraversate dagli acquedotti, vietando la costruzione o il posizionamento di alberi. A farsi carico di far rispettare la legge erano i curatori delle acque, che potevano anche far rimuovere piante o strutture che ingombravano le aree in questione, oltre a consentire il prelievo da sorgenti o altri punti d’acqua senza dover effettuare nuovi allacci o lo scavo di pozzi312.

In particolare il Digesto314 costituisce una raccolta di documenti relativi al diritto romano dal II sec. a.C. fino al III d.C. Per realizzarlo l’imperatore Giustiniano istruì il suo questore, Triboniano, di effettuare una revisione dell’antico codice di leggi, eliminando le norme superflue o obsolete. Alla redazione del codice lavorarono 16 compilatori, ciascuno dei quali doveva specificare all’inizio di ogni estratto il nome dell’autore e il libro di riferimento.

Il diritto romano pone fin dalle sue origini una distinzione netta tra acque pubbliche, destinate a servire la civitas, e acque private, proprietà dei singoli cittadini.

L’alimentazione idrica può dipendere da un punto d’acqua o una sorgente situata nel terreno altrui, o facente parte di una rete di distribuzione pubblica.

Prima di affrontare nel dettaglio gli aspetti legislativi e le normative vigenti occorre però chiarire il concetto giuridico di servitus, che è alla base del nostro discorso.

Le servitù sono “diritti reali stabiliti a vantaggio di un fondo ed aventi per contenuto una particolare e determinata facoltà di utilizzazione di un altro fondo, non appartenente allo stesso proprietario”315. Il termine esprime quindi l’immagine di un fondo che serve ad un altro fondo, il quale subisce una limitazione della sua libertà per l’utilità di un altro fondo. In altre parole il dominus del fondo dominante aveva diritto a che il fondo servente, senza opposizione da parte del suo dominus, subisse una determinata limitazione a vantaggio del fondo dominante316.

Le figure originarie sono le servitù di passaggio e quella di acquedotto, che sembrano derivare dall’antica concezione secondo cui la porzione di terreno in questione apparteneva al proprietario del fondo cui serviva. Nella realtà si può immaginare questo regime come una sorta di comproprietà, dove la striscia del passaggio o dell’acquedotto apparteneva contemporaneamente al titolare del fondo attraversato e a quello del fondo a cui serviva, in una forma di concorso solidale dell’uno all’altro317. Si tratta di servitù definite di tipo rustico perché originariamente riferite ad un contesto rurale.

Con il passare del tempo nuove figure di diritto si andarono accumulando, soprattutto nelle città, dando luogo alla distinzione fondamentale delle servitù del diritto romano,

314 Dig.

315 Grosso 1969. p. 11.

316 Guarino 1988, p. 624;

317 Grosso 1969. pp. 31-32; cfr. Capogrossi Colognesi 1976, pp. 271-273.

tra iura praediorum rusticorum e iura praediorum urbanorum. La spinta urbanistica e la costruzione di abitazioni su più piani, spesso contigue, poneva per gli edifici confinanti problemi di rapporti di pareti, scoli, luci; queste situazioni portarono la riflessione giuridica a configurare veri e propri diritti sul fondo altrui, cioè il diritto di tenere una configurazione specifica del proprio edificio. Questi diritti di tenere l’edificio in una determinata posizione venivano individuati in tanti iura distinti (come quelli legati alla creazione di scoli, detti stilicidia e flumina), che costituiscono nella pratica vere e proprie invasioni giuridiche della sfera del fondo altrui318.

Va poi precisato che la distinzione tra acquedotto e un corso d’acqua naturale nella legislazione romana non è sempre chiara. Ulpiano distingue il termine flumen, relativo a un fiume di una certa larghezza, da quello di rivus, che è un termine generale per indicare ogni piccolo corso d’acqua, che scorre in un canale di origine naturale o artificiale. Possiamo dunque definire l’acquedotto come un tipo particolare di rivus artificiale, e, come vedremo più avanti, solo l’acqua che veniva attinta alla sorgente (a capite) poteva essere protetta da interdetti o divieti319. Un’iscrizione rinvenuta nei pressi della statio di Labisco evoca una lex rivi che determinava un’ammenda a coloro che inquinavano il rivus320:

Lex rivi Vl [---] / si quis in eo m/ i(n)xserit spurcit(iam) / fecit in temp(lum) / Iouis D(---) denarium unum d(ato) de l(atoris) pars dim(idia) esto / nisi l(ongius) p(assibus) V.

L’iscrizione è stata interpretata come una legge che doveva punire coloro che urinavano o defecavano nel fiume Guiers, considerato sacro, ma è forse più probabile che ci si riferisca qui all’acquedotto o al corso d’acqua che era poi incanalato per alimentare l’insediamento. Il fatto di scaricare le acque di scolo nei corsi d’acqua era infatti una pratica comune, mentre le leggi di tutela erano in genere applicate per proteggere le adduzioni di acqua potabile, la cui contaminazione avrebbe provocato gravi problemi sanitari.

Come accennato sopra, era dunque l’origine dell’acquedotto a determinare il possessore dei diritti sull’acqua stessa. La natura della sorgente stabiliva anche quando

318 Grosso 1969, pp. 50-51; cfr. Bannon 2009, pp. 12-14; Bonfante 1972, pp. 45-47.

319 Dig. 43.20.1.7; cfr. Capogrossi Colognesi 1966, pp. 32-33, 88-96; Taylor 2000, pp. 62-63.

320 CIL XII 2426; ILN Vienne, 625; Bertrandy 2006, p. 33.

un acquedotto fosse pubblico o privato, e nel secondo caso, chi ne fosse il proprietario: i diritti infatti appartenevano, in genere, al proprietario della terra attorno alla fonte321. La proprietà del terreno attorno all’acqua era dunque un elemento importante per determinare i diritti di coloro che potevano approfittarne, oltre che un elemento fondamentale per determinare le servitù dell’acqua. Gli acquedotti romani, così come i canali, le tubature, i castella e le fontane, occupavano uno spazio che per legge doveva restare libero da costruzioni, come già stabilito dalla lex Quinctia322. Anche le evidenze letterarie ed epigrafiche non lasciano dubbio sul fatto che i corridoi ai lati degli acquedotti romani fossero di proprietà pubblica. Una delle ragioni di questo dato di fatto era che la stretta dualità nelle servitù romane non poteva essere mantenuta se un acquedotto fosse stato una struttura pubblica situata in gran parte su un terreno privato.

Questa zona libera era mantenuta lungo l’intero percorso dell’acquedotto, anche quando non vi fossero proprietà private o là dove i canali scorressero sottoterra, in modo da consentire l’accesso al personale e ai veicoli incaricati della manutenzione323.

Un acquedotto privato poteva invece, sotto specifica approvazione, attraversare terreni pubblici come privati. L’iscrizione di Mummius Niger Valerius Vegetus, che attesta la costruzione dell’Aqua Vegetiana per la sua villa di Viterbo, stabilisce una zona di 10 piedi per le strutture e di 6 per le canalizzazioni che doveva restare libera, su terreno privato come pubblico324.

Il modo più semplice per consentire l’accesso alle tubature di adduzione era che queste fossero condotte sotto strade o altri spazi pubblici, il obbligava spesso a effettuare un percorso più lungo325. Le tubature potevano portare il nome del proprietario beneficiario al genitivo, in alcuni casi associato al marchio plumbarius; C.

Brunn ha tuttavia dimostrato che a volte questo poteva riferirsi al magistrato responsabile, (sub cura) illius, o semplicemente al plumbarius, (ex officina) illius326. Più recentemente L. Maganzani327 ha fatto notare come in realtà queste iscrizioni non si riferiscano necessariamente al nome del proprietario (in questo caso un cambiamento di

321 Taylor 2000, p. 64-65.

322 Frontin. Aq. 127, 129; Taylor 2000, p. 57.

323 Taylor 2000, p. 59-60.

324 CIL XI 303°.

325 Taylor 2000, p. 61-62.

326 Bruun 1997, pp. 396-398; Dessales 2013 p. 232.

327 Maganzani 2004, pp. 187-198.

proprietà avrebbe necessitato una sostituzione delle fistulae), ma rispondano alla funzione più eminentemente pratica di rendere identificabili, nella moltitudine di tubature sotterranee, quelle pertinenti all’edificio dei concessionari. In questo modo non era dunque necessario sostituite il nome in caso di trasferimento della proprietà, dato che spiega anche il mancato aggiornamento delle iscrizioni in caso di trasferimento ad un nuovo titolare.

Canalizzazioni e condotti sono soggetti dunque al diritto di utilizzo di un sistema pubblico ma anche al diritto di utilizzo o di sfruttamento dei terreni vicini. Questa contrapposizione corrisponde nel diritto classico ad una opposizione tra servitù, che riguarda i rapporti di diritto privato tra vicini, e lo ius ex castello (D. 43, 20, 1, 38-44), che costituisce una concessione, accordata dall’imperatore, della presa d’acqua da un acquedotto pubblico328.

In particolare è possibile evidenziare tre tipi di rapporto che regolano l’approvvigionamento idrico: la condivisione, il prelievo e il passaggio. I rapporti di condivisione si verificano quando più famiglie utilizzano in comune le stesse installazioni, come una canalizzazione o un pozzo. Questo sistema può dar luogo a limitazioni (ad es. orarie), dell’esercizio della servitù.

Vi erano due tipi di servitù legati alla gestione dell’acqua: il diritto di incanalare l’acqua, o aquae ductus, e il diritto di farla scorrere, o haustus329.

La servitus aquae ductus (D. 8, 3) consente al suo beneficiario di far passare nel terreno del vicino una condotta d’acqua il cui punto di partenza è una sorgente o un corso d’acqua, pubblico o privato330. L’acquedotto doveva essere costituito ex capite, ovvero il proprietario di un fondo in cui ha origine un corso d’acqua privato - sia che esso scaturisca da una fons sia che si tratti di una derivazione da un fiume pubblico – può costituire a favore di un vicino una servitù su tale acqua solo dall’inizio331. La servitù si poteva costituire relativamente a corsi d’acqua viva o di acqua perenne, ma non relativamente a cisterne o a stagni e altri collettori artificiali di acqua. A tutela delle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio della servitù si concedono determinati

328 Saliou 1994, p. 125; Grosso 1969, pp. 310-311.

329 Bannon 2009, p.13.

330 Bonfante 1972, pp. 54-56; Capogrossi Colognesi 1966, pp. 1-4.

331 Capogrossi Colognesi 1966, p.30.

interdetti (o divieti), che hanno come effetto di proteggere l’utilizzo della res publica e l’esercizio stesso della servitus.

Ad esempio il divieto de riuis (D. 43, 21, 1, 2-5) garantisce la possibilità di riparare in caso di bisogno le canalizzazioni e più in generale l’intero sistema di derivazione e dei condotti, in terreno pubblico o privato332. In pratica l’interdetto vietava che si impedisse la manutenzione dei canali a chi di fatto aveva esercitato la derivazione dell’acqua333. Il divieto de fonte (Dig. 43. 22) garantisce invece l’accesso ad un punto d’acqua nel quadro della servitus haustus, ovvero nel caso in cui il punto d’acqua sia un pozzo o si trovi dall’altro lato rispetto alla via pubblica334.

La servitus aquae ductus è menzionata nel Digesto come una servitù di tipo “rustico”335; tuttavia la distinzione tra servitù urbane e rustiche corrisponde più spesso nel diritto classico non ad una opposizione geografica tra città e campagna ma piuttosto tra un fondo non costruito e uno costruito con eventuali dipendenze dirette (come ad esempio un giardino). La distinzione rinvia quindi al tipo di bisogno soddisfatto: la produzione nel caso delle servitù rustiche, e le comodità delle abitazioni in contesto urbano336. A partire dagli inizi del I sec. d. C. si verifica infatti un’evoluzione del concetto di utilitas, inizialmente esclusiva delle funzioni agricole e di irrigazione337. Diventa a questo punto possibile beneficiare di un’adduzione, destinata ad alimentare ad esempio un ninfeo.

Un caso a parte riguarda poi l’alimentazione delle fullonicae. Questo tipo di stabilimento beneficiava infatti di un regime idraulico specifico338. Un’iscrizione di I sec. d.C., lex collegii fullonum o lex collegii aquae sembra precisare proprio il diritto di derivazione legato ad una fullonica339. Un'altra iscrizione, del 244 d.C., la lis fullonum de pensione soluenda, la cui interpretazione resta discussa, da ragione ad un collegio di fulloni che rifiutava di pagare una pensio legata ad una concessione340. Un’iscrizione di

332 Saliou 1994, p. 131; Capogrossi Colognesi, 1976, p. 430, n. 119; Grosso 1969, p. 311.

333 Solazzi 1949, p. 72.

334 Saliou 1994, p. 127, 133; cfr. Solazzi 1949, p. 77; Grosso 1969, p. 311; Bonfante 1972, p. 55.

335 Dig. 8. 3. 1.

336 Saliou 1994, pp. 134-135; Bonfante 1972, p. 47.

337 Guarino 1988, p. 630.

338 Lex Metilia fullonibus; Frontin. De aq. 94.

339 CIL VI, 10298, l. 14-16.

340 CIL VI, 226, l. 6-1; cfr. Tran 2007; Dessales 2011 p. 141; Dessales 2013, p. 235.

Evreux in Gallia, datata all’epoca di Antonino Pio, accorderebbe l’utilizzo di una piscina ai fulloni, sotto l’autorizzazione di un inviato senatoriale e dei decurioni:

P. Suillius P…/opus piscinae…[permissu?] uiri clarissimi…[P]acati / legati Aug(usti) et ex or[dinis de]creto / us{s}sibus fullon[um Medio]an / nensium d. [s. f. c.?]341.

L’alimentazione idrica di altri stabilimenti tessili di Pompei, tramite fistulae provenienti dalla rete di adduzione pubblica, è in generale ben documentata342.

Secondo Ulpiano343 solo i poteri pubblici, e in particolare l’imperatore, poteva accordare la concessione di un’ adduzione d’acqua. Tuttavia, come testimoniato da Frontino, casi di prevaricazioni e abuso erano frequenti, che si trattasse di prelevamenti senza autorizzazione imperiale o superiori alla quantità autorizzata. Ad eccezione di Roma (e Costantinopoli poi), nelle altre città l’organizzazione e l’attribuzione delle concessioni dipendeva dalle collettività locali, così come esisteva una varietà di ordinamenti differenti344. Durante il Basso Impero, però, i rapporti fra pubblico e privato tendono a confondersi e l’organizzazione della distribuzione idrica passa nelle mani del potere imperiale e dei suoi rappresentanti e non più delle collettività locali. Purtroppo le modalità di organizzazione e distribuzione dell’acqua nelle città non capita ciuitatum rimangono estremamente lacunose. Questa povertà di informazioni può essere, secondo C. Saliou, un indizio dell’importanza dei fattori amministrativi, e non giuridici, così come dei fattori locali, per quanto concerne l’organizzazione e distribuzione dell’acqua345. In particolare i settori rurali, luogo d’eccellenza dei rapporti di servitus, sarebbero regolati dal diritto civile, conservando una certa autonomia rispetto al potere imperiale. Diversamente, in città l’approvvigionamento idrico sarebbe regolato essenzialmente da organismi amministrativi urbani, diversificati ma allo stesso tempo più sensibili alle ingerenze imperiali.