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Romanizzazione: il dibattito teorico

2.   Campi e problematiche di studio

2.2.   Romanizzazione “au temps de l’eau abondante”

2.2.1.   Romanizzazione: il dibattito teorico

Il concetto di “romanizzazione”, utilizzato a partire dal XIX secolo per spiegare la sottomissione alle forme di organizzazione volute da Roma, passa ad indicare, nel XX sec., il processo di assimilazione dell’impero al modello imposto dalla capitale.

Sull’utilizzo di questo termine grava il peso delle esperienze coloniali europee, che avevano imposto il loro modello culturale nelle regioni conquistate: il processo di acculturazione portato avanti durante l’impero romano viene perciò letto assimilandolo all’esperienza moderna, che tiene conto unicamente del punto di vista dei conquistatori.

La difficoltà nell’attribuire una definizione esaustiva sta anche nel fatto che nella lingua latina manca un termine per indicare questo processo264, nonostante il dibattito sia già presente nelle fonti classiche. Già negli autori antichi emergono dei punti di vista

263 Reddé et al. 2011, p. 6.

264 Il termine romanitas utilizzato da Tertulliano, seppur si avvicina come definizione, non abbracci però interamente la complessità semantica del termine moderno. Tertull., De Pall. 4,1: “Quid nunc, si est romanitas omnis salus, nec honestis tamen modis ad Graios estis”.

differenti: da una parte una valutazione positiva dell’imperialismo romano, visto come una forza d’azione civilizzatrice, grazie alla quale i barbari si adeguano alle forme di organizzazione volute da Roma e dall’altra un giudizio negativo, che vede piuttosto la sottomissione imposta ai popoli sconfitti265.

Tra i sostenitori dell’imperialismo romano vi è ad esempio Elio Aristide266, mentre più critici sono autori come Tacito267 e Flavio Giuseppe268. Strabone269, parlando dei Turditani, afferma che questi si erano già rivolti verso Roma, scegliendo la dolcezza della vita della città e rinunciano alla guerra e al saccheggio in favore di attività pacifiche come l’agricoltura e il commercio. Anche Virgilio270 e Tacito271 e Cassio Dione272 rivelano l’esistenza di una coscienza politica della romanizzazione, almeno da parte delle élites, che determina un’adesione spontanea ai costumi romani per condividerne i benefici, anche se da parte di Tacito non mancano le critiche all’atteggiamento tenuto dai romani nei confronti delle popolazioni vinte per imporre la pax Romana.

Il termine “romanizzazione”, a lungo utilizzato per indicare un’integrazione programmata, completa ed omogenea dei conquistati alla civilizzazione romana273, è stato presto messo in discussione in quanto propone un punto di vista romano-centrico del processo di acculturazione274. Come infatti ah evidenziato giustamente Mattingly275, si tratta di un concetto che enfatizza la conformità e presenta i cambiamenti culturali come un processo gerarchico e unilaterale, riducendo la questione dell’identità culturale ad una semplice opposizione tra romano e indigeno. Sono stati proposti dunque nuovi modelli interpretativi, per cercare di spiegare questo cambiamento culturale, con un’attenzione particolare nei confronti delle élites. Il modello proposto da Millett276 si fonda sull’idea che sono proprio queste élites ad essere protagoniste attive del

265 Brunt 1990, pp. 267-281.

266 Ael. Arist. XXVI (Ad Romam).

267 Tac., Agric., 30.

268 Ioseph. Flav., Bell. Iud. 2, 345-402.

269 Strabo. Geogr., III 2,15.

270 Verg., Aen., 851-853: “Tu regere imperio populos, Romane, memento / haec tibi erunt artes pacique imponere morem / parcere subiectis et debellare superbos”.

271 Tac., Agric., 21.

272 Dio. Cass., LVI, 18.

273 France 2001, pp. 205-212.

274 Mattingly 1997; Keay, Terrenato 2001.

275 Mattingly 2004, pp. 5-6.

276 Millett 1990a; id. 1990b, pp. 35-41.

cambiamento, scegliendo di parlare il latino o di abbigliarsi e vivere secondo i dettami della cultura materiale romana. Si tratta quindi di un processo di negoziazione da parte élites, che comporta a sua volta delle strategie di emulazione di fronte ai nuovi usi e costumi dei vincitori. Woolf, nella sua opera Becoming Roman277, si concentra sullo studio delle classi dirigenti. Le difficoltà di questo approccio interpretativo risiedono nel fatto che si da per scontato che gli abitanti delle province, riconoscendo la superiorità della civilizzazione romana, vogliano adottarne a tutti i costi gli usi e costumi.

Webster278 per primo ha introdotto il termine creolization, preso in prestito dagli studi di linguistica e facente riferimento all’esperienza coloniale inglese per indicare il linguaggio misto risultato dell’unione di due lingue. Il termine creolization indica dunque il risultato di una negoziazione tra due elementi differenti all’interno di una società non egualitaria, e prevede anche forme di resistenza nei confronti della cultura dominante.

Recentemente alcuni studiosi hanno cercato di restituire importanza anche agli aspetti della cultura indigena che entrano in gioco nei processi di acculturazione. Come fa notare ad esempio Wells279, troppo spesso si sono enfatizzati gli effetti della cultura e delle istituzioni romane ignorando o sottovalutando l’impatto della società indigena sulla cultura romana. Facendo riferimento all’antropologia, egli sottolinea piuttosto la complessità dei flussi multidirezionali nei contatti inter-sociali280.

Questa attenzione agli aspetti conflittuali e alle forze centrifughe281 è stata talvolta portata all’eccesso, supponendo una società in cui i romanizzati sono solo una minoranza in un mondo di oppressi e ribelli.

Gli studi sul concetto di identità etnica hanno costituito anch’essi un apparto al dibattito. Jones282 ha sottolineato come la nozione di etnicità è solo una forma di identità creata dalle società. L’archeologia spesso ha tendenza a cercare l’omogeneità (ad esempio cercando di identificare determinati gruppi etnici attraverso degli indicatori culturali), dimenticando che già nell’antichità l’espressione di identità era un concetto

277 Woolf 1998.

278 Webster 2001, pp. 209-225.

279 Wells 1999; id. 2001.

280 Wells 1999, p. 126-127; id. 2001, p. 210.

281 Bénabou 1976 pp. 367-375; Fentress 2000; Le Roux 2004, pp. 287-313.

282 Jones 1997.

discontinuo e in continuo cambiamento. Ancora una volta si pone l’accento sulla diversità, troppo a lungo oscurata dal modello della “romanizzazione”, che tende a sottolineare l’omogeneità e l’uniformità del cambiamento.

Mattingly si domanda in che misura sia ancora valido il concetto di

“romanizzazione”, divenuto ormai un paradigma ridondante ed un ostacolo all’interpretazione, suggerendo nuovi approcci al problema dell’identità283. Secondo l’autore “Being Roman” non corrisponde ad un processo standardizzato: la risposta dei popoli autoctoni a Roma può variare infatti da una completa integrazione a forme di resistenza, senza privilegiare una all’altra. Ogni gruppo costruisce dunque la propria versione di identità romana o non-romana, accogliendo o resistendo all’impero.

Oggi al termine “romanizzazione” si possono sostituire espressioni che sottolineano approcci diversi, come quello di identità284, discrepant experience285, negoziazione tra élites e strategie di emulazione286, resistenza287, integrazione288, creolization289, power discourse290, cambiamento culturale e acculturazione291, cultural bricolage292. Nonostante ciò l’espressione “romanizzazione” continua ad essere utilizzata, anche in occasioni di convegni recenti293, per identificare un processo culturale che ancora oggi non ha trovato una definizione che sia davvero esaustiva.