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Durante il periodo tormentassimo dell’apartheid in Sudafrica, Ndebele si è cimentato nella poesia, nel componimento di racconti, di un romanzo pubblicato nel 2004, The Cry of

Winnie Mandela, e nell’elaborazione di un sistema di pensiero che ha visto un lungo periodo

di gestazione.20 Njabulo Ndebele è uno dei principali promotori del movimento politico e culturale del “Black Consciousness” sorto negli anni ’60 come movimento di protesta anti- apartheid. Fu proprio la tragica sparatoria, nota come il “massacro di Sharpville”, che nel 1960 diede vita al movimento cui parteciparono numerosi giovani artisti. La poesia, per il suo ermetismo e il suo potenziale lirico, diviene il canale favorito dell’espressione di sentimenti tormentati. Il racconto, piuttosto diffuso all’epoca, cessa quindi di essere il genere privilegiato ; e la poesia assurge a “nascondiglio” e “altoparlante” – come diceva Nadine Gordimer – per denunciare la politica razzista e per dar voce al dolore dell’oppressione dell’apartheid.

Poeta, dunque, prima ancora che romanziere, Njabulo Ndebele mostra, sin dagli anni universitari, una grande sensibilità per le questioni filosofiche del suo paese e una particolare capacità critica che formalizzerà un ventennio dopo nella nota “Riscoperta dell’ordinario”

19 Pierre LOUBIER, op.cit., p. 36.

20 Nel 2007 pubblica un’altra raccolta di racconti che può essere letta come un romanzo a episodi. Njabulo S.

(1991). Apparsa prima in riviste21 e nella raccolta di saggi con il titolo completo di

Rediscovery of the Ordinary: Essays on South African Literature and Culture22, tale teoria mira a far riemergere la cultura sudafricana più che a ricostruirla23. Giunti ormai negli anni ‘80, Ndebele è soprattutto preoccupato di superare la mera costatazione dell’ingiustizia subìta ; e lungi dal rinnegare lo spirito del “Black Consciousness” – spirito di riabilitazione dell’uomo nero che rammenta in parte il movimento della “Négritude” nell’Africa francofona –, Njabulo Ndebele propone una via per raggiungere quel grado di coscienza critica, da esternare nella rivolta politica, perseguibile soltanto con un’arte di qualità24. Ed è ciò che Njabulo Ndebele intende provare con la stesura di Fools and other stories, dopo sollecitazioni del poeta sudafricano Es’kia Mphahlele25 e di Ayi Kwei Armah26 sull’approfondimento dell’aspetto letterario : non è pensabile affrontare i problemi del Sudafrica senza far fronte, in prima istanza, a se stessi e alla propria intimità che egli chiama ‘coscienza’.27

In definitiva, Fools è l’opera in cui egli supera la propria posizione rispetto al Movimento del “Black Consciousness” e in cui mette in dubbio la validità contemporanea dei racconti giornalistici da lui considerati come “scritti spettacolari”, secondo il gusto della rivista Drum, o come cronaca fedele della realtà sudafricana priva di qualità letteraria28.

21 La sua tesi di laurea del 1973 costituisce l’embrione della sua riflessione sulla “Riscoperta dell’ordinario”. Poi,

una forma compiuta della teoria appare, per esempio, nella rivista di studi sudafricani, e in traduzione francese nella rivista Europe. Njabulo S. NDEBELE, « The Rediscovery of the Ordinary : Some New Writings in South Africa », Oxford, vol. 12, n° 2, 1986. La traduzione francese è di Christine DELANNE-ABDELKRIM. Njabulo S. NDEBELE, « La nouvelle littérature sud-africaine ou la redécouverte de l’ordinaire », Europe : revue littéraire

mensuelle. Littératures d’Afrique du Sud, 66ème année, n° 708, avril 1988, pp. 53-71.

22 Njabulo S. Ndebele, Rediscovery of the Ordinary: Essays on South African Literature and Culture,

Johannesburg, COSAW (Congress of South Africa Writers), 1991, Riedito nel 2006 presso University Of Kwazulu Natal Press.

23 Il Sudafrica conta infatti un numero importante di minoranze etniche – come i Xhosa, gli Swazi, gli Tzuana –

che vantano una tradizione lunga e molto salda nel territorio.

24 « Only an art of quality can efficiently contribute to awakening the censured conscience of the oppressed, and

thus free their humanity by instilling in them the desire to fight in order to achieve a creative life. » Njabulo S. NDEBELE, The Rediscovery of the Ordinary : Some New Writings in South Africa, cit..

25 Tra i più illustri rappresentanti del Movimento del “Black Consciousness”, il poeta Es’kia Mphahlele lo aveva

sollecitato ad intraprendere studi dottorali presso l’università di Denver, dove rimane per 3 anni e mezzo e dove scrive la maggior parte dei racconti di Fools and other stories. Vedi Jean-Pierre RICHARD, « À la croisée des genres : Fools de Njabulo S. Ndebele », Notre librairie, n° 111, oct-déc 1992, p. 44.

26 La visita del romanziere ghanese all’Università di Lesotho nel 1977 ha entusiasmato Ndebele al punto di

risvegliare in lui il suo potenziale letterario rimasto latente e inespresso dalla stesura della tesi di laurea, nel 1973. vedi Jean-Pierre RICHARD, Ibid. Senza le sollecitazioni di Mphahlele e Armah è difficile pensare la stesura di Fools and other stories e il conseguente ottenimento nel 1984 del premio Noma. Si ricorda peraltro che oltre al noto Noma, Fools and other stories vince anche i premi sudafricani Sanlam e Mofolo-Plomer.

27 Tale aspetto ha destato qualche fastidio da parte degli schieramenti politici, i quali vedevano nei suoi propositi

un invito all’attivismo senza pertanto riconoscerne una posizione netta. La sua ferma volontà di rimanere equidistante dalle fazioni e dalla strumentalizzazione politica, fa di lui un pensatore indipendente, incline principalmente all’aspetto filosofico del discorso politico che investe l’uomo nella sua affermazione esistenziale.

28 Njabulo Ndebele, « La nouvelle littérature sud-africaine ou la redécouverte de l’ordinaire », Europe, n° 708,

Rispetto agli scritti di politica e alla letteratura spettacolare ormai obsoleta, egli propone un’alternativa consistente nell’approccio analitico dell’interiorità – da non confondere con la soggettività borghese – che non limiti ad illustrare, ma che proponga metodi e soluzioni.29 Di fatto, egli rompe con gli stereotipi del sudafricano vittima passiva della storia ; e questa rottura ha un che di provocatorio, come suggerisce il titolo della raccolta, Fools and other

stories, in cui il “fool” non è poi così agevole da individuare, a meno di non incontrarlo

ovunque. In particolare, nel racconto “Fools”, che intitola la raccolta, non si capisce a prima vista chi sia l’idiota, giacché lo sembrano un po’ tutti. Ogni etichetta diventa superflua e relativa ; e della nozione di follia si rileva l’abuso : ogni riferimento al “tipo” al quale si guarda con pregiudizio è totalmente relativo, così anche le nozioni che usiamo abitualmente, vanno riscoperte, sotto invito di Ndebele.

“Fools”, il racconto più lungo dei cinque30 che compongono la raccolta Fools and

other stories, ambienta nel 1966 l’incontro tra un professore di 55 anni, Zamani, e un giovane

studente di 17 anni. L’incontro tra Zamani e Zani che apre “Fools” nella sala d’attesa della stazione ferroviaria annuncia piccoli segnali di un legame che è destinato a saldarsi nel corso della vicenda e che affonda le radici nella parte più intima della coscienza politica dell’uomo. All’aspetto politico si accompagna quello filosofico, culturale e linguistico ; tutte sfaccettature di una stessa entità problematica con cui la figura del folle ha, in linea di massima, a che fare. Nella prospettiva di Njabulo Ndebele questa figura è resa a sua volta più complessa e inestricabile ; e, sulla scia dei romanzi incontrati finora in questo capitolo, “Fools” concorre a sfumare la messa a fuoco del folle, facendo di tutti i personaggi maschili31 dei folli potenziali. La sua teoria sulla “riscoperta dell’ordinario” rivela nuove prospettive se applicata alla dicotomia normalità-follia che apre un varco alla “scoperta del complesso” o della “complessità del banale”.

Il professor Zamani ricorda molto da vicino alcuni dei protagonisti un po’ goffi e maltrattati dalle mogli o dai colleghi – come Dadou di Sony Labou Tansi, come ‘l’uomo’ di Armah, come Diouldé di Monénembo che vedremo a breve – ossessionati dall’immagine di

29 Njabulo NDEBELE, op. cit., p. 62.

30 “Fools” è preceduto da “The Test”, “The Prophetess”, “Uncle” e “The Music of the Violin”.

31 Sappiamo che Njabulo S. Ndebele affida alle figure femminili il ruolo fondamentale di sollevare il Sudafrica

rispettabilità che devono a tutti i costi soddisfare ; e l’autoconvincimento è d’obbligo « for I know the words ringing in my mind : I’m a respectable man ! I’m a respectable man ! I’m a respectable man ! » (p. 195). La sua preoccupazione era di non fare la figura di quello che, cadendo all’indietro, perde di dignità (p. 183) ; vediamo anche che la paura di risultare ridicolo perdendo l’equilibrio è quasi un’ossessione, fino a diventare burlesca.

Ora la sua dubbia integrità permette di fare un altro parallelismo : come il Dadou soniano, Zamani ha ceduto alla propria attrazione per una giovane allieva, dalla quale, a differenza del protagonista de L’Anté-peuple, ha avuto segretamente un figlio, sotto l’indifferenza della comunità e l’ira funesta di fratelli della giovane. E come alcuni dei protagonisti dei romanzi citati, Zamani è incapace di reagire alla cupezza che regna padrona sul ghetto di Charterston imponendosi come osservatore, fine ma passivo, della sua contemporaneità.

Il racconto in prima persona avvia l’analisi di sé tramite cui ogni singolo uomo rischia di cadere nell’anormalità ; e l’anormalità dell’idiota o del folle si confonde totalmente con le caratteristiche di qualunque persona. L’aggressività, l’impazienza, l’allegria, la sofferenza… tutte caratteristiche che definiscono la nostra personalità, normali o folli che siamo, come appare a primo impatto Zani agli occhi del professore :

« I realised that within the space of about twenty-five minutes I had seen his restlessness, his impatience, his arrogance, his humiliation and agony, his helplessness, his joyfulness, and his amazing recovery through aggression and intimidation. All within the space of about twenty-five minutes! Wasn’t I dealing with a madman? Was it really sanity I had just been witnessing ? » (p. 163)

Il viaggio in treno è occasione di messa a nudo della personalità : il narratore è colpito dall’assenza della classica mantella da viaggio del giovane – « if it’s a long journey, summer or winter, just dress heavily » (p. 157) ; simbolica mantella, ovviamente, giacché il viaggio in treno non si limita a costituire un momento della finzione, indicando invece il percorso che il giovane deve compiere per andare alla “scoperta” della Storia del proprio paese.

La “punta di follia” che si percepisce tra i due viaggiatori, avvicina le due generazioni segnate da una diversa militanza : il giovane Zani vuole andare a mobilitare il suo popolo non Anette HORN, « Childhood lost and regained : Njabulo Ndebele’s Fools and Rediscovery of the Ordinary »,

sotto l’impulso adolescenziale, ma in piena coscienza del rischio fatto di « pure reason, [and] pure irrationality. » (p. 196) Attraverso il giovane, Zamani riscopre se stesso all’epoca della sua militanza.

Ma se c’è una figura curiosa che, pur comparendo di sfuggita, funge da perno per soccorrere Zani nella sua impresa, è quella del macellaio ambulante. Pur non essendo un folle “convenzionale” – ovvero un “palesemente folle” –, Ndabeni assurge a personaggio atipico degno di prendere posto accanto ai folli della nostra indagine in virtù di alcuni elementi ricorrenti. Come uno spettatore, il professor Zamani osserva lo scenario esterno alla scuola guardando dall’interno di un’aula vuota. Avverte l’arrivo di Ndabeni dal richiamo così familiare del macellaio in bicicletta che egli descrive nella sua comparsa abituale (pp. 221- 222). Il suo squallido abbigliamento corrisponde perfettamente a quello che abbiamo visto più volte indossare dai suoi compagni, in particolare quelli del capitolo precedente :

« […] each time that first went into the air I recognised the sleeve of Ndabeni’s inevitable green jersey which he wore every day in every season. And I knew too that under his inevitable grey and white striped pinafore, he would be wearing his dark khaki trousers ; and he would be pedalling with his big, aged boots, whose original colour it was hard to tell. » (p. 222)

La tenuta kaki del sergente Keita di Birago Diop torna accanto a quella di Tanor di Ousmane Sembène, anch’egli con in dosso gli stivaloni da militare consumati dal tempo e dall’usura. I bambini prendono parte alla vita di quartiere ed ogni individuo che costituisce un diversivo alla monotonia del quotidiano è un polo di attrazione. L’attenzione dei bambini è colta dal diverso, il che spiega la loro presenza, numerosa e rumorosa, intorno ai personaggi atipici, goffi e buffi. Allo sguardo scrutatore del professor Zamani, l’immagine di Ndabeni rivela qualcosa di nuovo :

« In a moment Ndabeni came into my view, and many schoolchildren in their black and white school uniforms milled around him. He pedalled slowly through the chanting children who jumped away just a fraction of a second before the front wheel of his bicycle could hit them. Occasionally, Ndabeni would thrust his fist into the air and the children would chant even more wildly. » (p. 222)

Il rapporto simbiotico tra Ndabeni e i bambini sembra oggi segnato dall’incitamento, del pugno alzato del venditore ambulante e delle urla degli scolari. L’importanza di quest’episodio è rilevata dall’ingrandimento dell’immagine che ci permette di notare maggiori dettagli della bicicletta di Ndabeni : egli trasporta Zani il quale erige ritmicamente un cartellone di monito alla riflessione : “DAY OF THE COVENANT : STAY HOME AND THINK”, oppure : “DINGANE’S DAY : STAY HOME AND THINK” (p. 211).

Il “giorno dell’alleanza”, spiega Zani agli allievi del professore, in tempi remoti si chiamava “giorno di Dingane” : il massacro compiuto dai Boeri sulle popolazioni indigene nel secolo precedente, battezza la giornata con il nome del capo-villaggio, il re Dingane. Per occultare la celebrazione di quell’antico massacro che prendeva forma con la caccia al nero, i Boeri simularono un atto di civiltà sostituendo quella dicitura con la “festa dell’alleanza”, in onore al Signore che invocavano promettendogli la costruzione di una chiesa. L’indignazione di Zani che denuncia « the Church of blood and death, a country of fear and oppression » (p. 216) è all’origine del proprio progetto : iniziare dagli studenti per poi passare alle chiese32 (p. 214). Una sorta di evangelizzazione dell’autocoscienza che richiama l’attenzione di quei fanciulli basiti di fronte al cartello teatralmente sventolato da una parte all’altre dell’aula :

«When evil becomes a philosophy or a religion, it becomes rational and spiritual malice : the highest forms of depravity. » (p. 216)

All’intervento del direttore della scuola, il giovane ribelle espone il proprio dovere a rettificare la falsa Storia : « I’m here to talk about the day on which we are cruelly made to celebrate our own defeat. » (pp. 217-218). La presa di coscienza coltivata33 nell’onestà dei propositi e nella ricerca di verità storica trasforma quel « nest of subversion » (p. 218) – a detta del direttore della scuola – nel nido in cui far germogliare la coscienza individuale, quindi collettiva e storica.

Il “risveglio” storico che teorizza Njabulo Ndebele – rivoluzionare le coscienze dei giovani sudafricani – è qui rappresentato come una ridicola marcia di un sudicio venditore

32 La Chiesa del massacro e il Paese dell’oppressione sono le maschere ingannevoli dell’istituzione corrotta da

cui prendere le distanze.

33 È importante l’immagine del giardino che esamineremo nel cap. 3.2.b. – Parte II. Nella narrativa di Njabulo

Ndebele le figure femminili sono rappresentate come i cardini della società sudafricana. Cfr. Anette HORN, op

ambulante di carne e di un giovane studente idealista, che risvegliano cantilene e schiamazzi di bambini ingenui e divertiti. Eppure questo comico connubio la dice lunga sul senso dell’esortazione : Ndabeni deambula nel quartiere per vendere carne, ciò che nutre il corpo e dà piacere al palato ; Zani gira per Charteston, il suo luogo d’origine, con l’unico obiettivo di dare nuova linfa alla vita dello spirito e di irrorare l’interiorità tramite la riflessione. È sensato che il venditore ambulante di carne veicoli il venditore ambulante di idee. Zani, il guerriero della mente coltivata, è sostenuto dal sellino della bicicletta di Ndabeni, colui che si mette al servizio del corpo che tende ad essere eretto.

Il legame ricorrente in questa parte dello studio tra il corpo e lo spirito cui partecipa il personaggio atipico si conferma fondante. Ad assumere il ruolo di supporto delle grandi virtù collettive – la dignità, la libertà, l’integrità, la verità, ecc. – sono sempre gli esuli e gli emarginati. Qui, la lotta di Ndabeni e Zani è sostenuta da un mezzo di locomozione che ha del fragile ; la bicicletta del venditore non ha nulla dell’imponenza del carro armato che ronzava nei ricordi del folle de L’Aventure Ambiguë, e la caduta finale corona il tragicomico fallimento :

« Zani, with his poster flying in the air from his one hand, had seemed as powerless as the day he stood before my class and let his heavy words melt into the heat of classroom. » (pp. 225-226)

Pur tuttavia, per quanto grottesco sembri quel tentativo di manifestazione pubblica, Zani è l’unica persona ad aver osato portare la politica nelle coscienze delle persone.

Ma è in una lettera finita in mano al professore – lettera che la fidanzata di Zani ha indirizzato al suo amato – che appare un altro ritratto di matto di quartiere, chiamato “Forgive me” (p. 253) incarnante l’espiazione. L’autrice della lettera azzarda un parallelismo tra il folle-“Forgive me” e il professore il quale cerca di riscattarsi attraverso il giovane Zani, nel quale si immedesima. L’analogia è rinforzata dalla « walk for forgiveness » dell’uomo impazzito verso il fuoco dell’espiazione, alla luce della quale comprendiamo meglio la conclusiva « long, painful walk » (p. 280) di Zamani linciato per aver osato resistere alla violenza del Boero. Ecco che questo ha finalmente dimostrato di possedere quella determinazione « like going on a pilgramage [that] has to be preceded by spiritual and mental preparation. » (p. 261) Il viaggio passivo a bordo del treno, in apertura del racconto, diventa infine il cammino del pellegrino che per resistere alle insidie necessita di una preparazione

interiore. L’unione ossimorica, di cui parla Dominique Chateau34, tra l’essere e l’erranza è quanto mai salda e feconda nella vicenda di questi militanti. Il metodo analitico dell’introspezione ha dato vita al sacrificio il quale, genera il pellegrinaggio, forma dinamica di nuova conoscenza di sé. Di fatto, il pellegrinaggio non fa che restituire al movimento erratico il suo senso originario di movimento circoscritto in uno schema mentale35, che è appunto un “metodo” (methodos, “strada da percorrere”). L’introspezione da un lato, e il viaggio in treno sfociato in un simbolico pellegrinaggio dall’altro, corrono sullo stesso binario. La prima attiene precisamente al metodo di analisi che propone Ndebele ; il secondo indica la strada per la conoscenza, trovandosi così a coincidere.

Inoltre, il viaggio in treno di Zamani e Zani diretti a Nigel è simmetrico alla metafora del passaggio del treno con cui il professor Zamani spiega il senso della Storia contemporanea ai suoi allievi : la scuola è una lunga attesa davanti al passaggio a livello in cui si osserva il transito del treno. Soltanto quando « the train of years has finally passed, […] it is time to go on with your journey » (p. 220), ovvero nell’avventura della vita. La strada da percorrere in solitudine, fuori dalle mura scolastiche, è quella del capitolo della Storia contemporanea sudafricana che al professor Zamani non è dato insegnare perché nelle loro mani. Non è un caso che siano proprio i fanciulli, centrali nella narrativa di Ndebele, ad essere i destinatari del messaggio. La riflessione sulla Storia è poi immortalata nel nome dell’attivista anti-apartheid : Zamani – ci è ricordato – significa “il passato” e “nel passato”36 ; dunque il giovane riattualizza l’attivismo del professore irrorandolo di nuova linfa : il giovane ribelle rappresenta la speranza di oggi nella misura in cui Zamani fa parte della generazione che non ha saputo reagire all’ “oscena virtù” del vittimismo :

« The sound of victims laughing at victims. Feeding on their victimness, until it becomes an obscene virtue. Is there ever an excuse for ignorance? And when victims spit upon victims, should they not be called fools? Fools of darkness? Should they not be trampled upon? » (p. 278).

Tornare indietro è il sogno utopico del professore : riprendere la storia dall’inizio e