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Close sesame è il terzo volume della trilogia che Nuruddin Farah ha consacrato all’

“anatomia di una dittatura africana”1, quella della Somalia di Siyad Barre (1969-1991), un altro esempio di politico delirante – mandante delle più sanguinose stragi di civili in Africa – con il quale si completa il quadro dei dittatori incontrati nel sottobosco del capitolo precedente. Non è un caso che il folle Khaliif compaia proprio in questo romanzo a chiudere la trilogia, accanto al patriarca tradizionalista Deeriye, protagonista di Close sesame. Vecchio e asmatico, Deeriye è nel declino di una vita condotta nella resistenza somala contro la dominazione italiana che attraversa episodicamente il romanzo, in sprazzi di memoria. Ciò rende conto, per un verso, dell’importanza della memoria come strumento di discernimento della Storia presente e, per altro verso, della riflessione di Farah sul filo conduttore che sottende i romanzi della trilogia a dimostrare che « dictatorial regimes, wherever they were, invested power more in their own varieties of truth, each of which have a fictive truth to

1 L’espressione è felicemente coniata da Peter Omari nel suo studio sulla discussa figura del primo presidente del

Ghana Kwame Nkrouma (Thompson Peter OMARI, Kwame Nkrumah: The Anatomy of an African Dictatorship, London, C. Hurst & Co., 1970). Variations on the theme of an African Dicatoriship è il titolo della prima trilogia di Nuruddin Farah sulla dittatura somala. Il primo volume, Sweet and Sour Milk, è del 1979 e il secondo,

Sardines, è del 1981. Una seconda trilogia Blood in the Sun copre gli anni ’90 – Maps (1886), Gifts (1993), Secrets (1998) – ; e una terza trilogia, che per ora conta Links (2004) e Nods (2007), è in cantiere.

support its validity, then in the plain home-grown truth you and I go in our (fertile ?) imagination. »2

La verità storica e il ruolo della finzione preoccupano costantemente Nuruddin Farah, come anche gli autori che vedremo a breve, primo tra tutti Boubacar Boris Diop. L’immaginazione in Close sesame si pone non tanto come un’alternativa alla versione ufficiale della storia, bensì la integra, rendendo la realtà molto più complessa poiché intrisa di nuove dimensioni (personale, interiore, spirituale, ecc.) che aprono diverse piste conoscitive. È verosimile che il suo lungo esilio3 ventennale abbia intensificato l’interesse per la storia della Somalia e per la situazione politica della sua patria. Eppure questo romanzo presenta un tono diverso rispetto agli altri due della trilogia pur trattando gli stessi temi e gli stessi personaggi : con il punto di vista particolare del vecchio Deeriye si assiste per la prima volta nella letteratura africana in lingua inglese – ce lo ricorda Jacqueline Bardolph4 – al movimento di coscienza di un patriarca musulmano visto dall’interno che si interroga sulla « legitimacy of rebellion against an injust ruler »5.

Sul piano tematico, Close sesame può essere letto alla luce di diverse prospettive che costituirebbero tanti fili conduttori indipendenti : la Storia passata è ricondotta alla Storia presente ; la resistenza coloniale del vecchio padre si riverbera nell’attivismo del figlio Mursal, avvocato specializzato sulla legis talionis ; la realtà si completa dei sogni e delle visioni di Deeriye ; infine c’è una profonda continuità tra l’eroismo e la follia che sfocia nella criptica scena finale in cui Deeriye avanza con calma per la propria strada, con in una tasca un rosario e nell’altra un’arma, per andare ad incontrare il Generale. Proprio in questo epilogo i diversi fili, che a prima vista non sembrano direttamente legati l’uno all’altro, si rivelano nella loro stretta interconnessione in cui è Khaliif a fungere da perno nel suo ruolo di “folle illuminato”, che nella devianza indica paradossalmente la via per comprendere la Storia della Somalia di Deeriye.

2 Nuruddin FARAH,« Why I write? » in Emerging perspectives on Nuruddin Farah, (ed. Derek Wright) Asmara,

Africa World Press, 2002, pp. 9-10.

3 La pubblicazione del secondo romanzo A nacked needle (1976) gli impone un esilio durato 22 anni, che lo

porta prima in Italia (Milano, Trieste, Roma), Germania, Svezia, anche in India e negli Stati Uniti prima di rientrare in Africa (Nigeria, Gambia, Sudan, Uganda, Sudafrica, dove tuttora insegna).

4 Jacqueline BARDOLPH, « Time and History in Nuruddin Farah’s Close Sesame », The Journal of Commonwealth Literature, 24 : 193, 1989, p. 194.

Khaliif appare per la prima volta nei pensieri del patriarca come il « madman who strode out of dawn’s greyness, half his face painted white and the other half dark. »6 Egli occupa l’ultimo ricordo di Deeriye prima di addormentarsi e, significativamente, gli verrà in sogno e occuperà spesso il suo campo visivo. È altrettanto significativa la formula denotativa che designa il volto del folle alle luci dell’alba e, in quanto leitmotiv in Close sesame, aprirà delle piste di analisi simbolica fortemente evocative. Khaliif è osservato mentre vaga per le strade deserte di una cittadina dormiente senza « audience to hear him proclaim himself, no crowd to cheer him on, no sympathetic listener to act as the suggeritore if the well of this man’s mad imagination had dried up. »7 (Ibid.) Khaliif appare dunque in prima istanza come tanti folli che incitano i passanti alla maniera del teatro di strada, in qualità di fantasiosi buffoni o di giocolieri da circo. Eppure, Deeriye ricorda, egli era una persona di prestigio nel governo e padre di famiglia, impazzito dall’oggi al domani per opera di qualche alto funzionario al suo pari che lo avrebbe drogato. Un nobile pazzo, dunque, che non emanava il lezzo tipico dei vagabondi senza dimora ; moderava persino i toni delle sue denunce al punto che molti dubitavano della sua reale pazzia. Intanto però il majnuun – “pazzo” in lingua araba e persiana –

« while waking up and down the streets of Mogadiscio as ugly a sight as anyone had ever seen, spoke a language whose construction was grammatical although not all the time logical ; a language which was not disjoined but whose inferential and referential senses could be questioned ; and therefore a madman. » (p. 16)

Permane intorno a Khaliif un costante sospetto di simulazione. L’unica certezza era l’origine della sua reale o presunta follia : era il governo ad averlo ridotto in quello stato e non era l’unico. Infatti « in Mogadiscio, there were many madmen and madwomen. Some were famous and had even entered the annals of national politics » (p. 17) ; e nella loro molteplicità tipologica rammentano la policromatica Galerie des fous8, sapientemente schizzata da un Waberi alquanto polemico, dove risaltano “fous fougueux”, “fous malicieux”, “fous silencieux”, “folles-montreuses-de-sexe”, “fous nobles” che si confondono con i poeti lunatici e con i “fous diseurs de quelques vérités”, ma anche con i “fous démistificateurs”, “fou-

6 Nuruddin FARAH, Close sesame, Saint Paul, Minnesota, Graywolf Press, 1992 (I ed. Allison & Busby, 1983),

p. 15. I riferimenti di pagina appariranno nel testo.

empêcheur-de-marcher-sens-dessous-sens-dessus” e “fou-clairvoyant”. Difatti il Khaliif clownesco che fa il pagliaccio, improvvisa capriole e accenna a mosse di karaté, esibisce di punto di bianco una veste immacolata « in a priestly tradition » (p. 19) e « his movements suggestive as a sheikh’s, his voice rich, like a prophecy, with its own cadence, his proclamations saintly. » (p. 19) avvicinandosi così inequivocabilmente ai folli profetici e mistici di Tchicaya U Tam’si – a Sékhélé dai poteri sovrannaturali in “Le fou rire”, ma soprattutto al “fou” misterioso delle Méduses che abita il subconscio della collettività – con i quali condivide la manipolazione del sacro. E qui è la mistica sufista a dargli una caratterizzazione propria, avvalorata dalla profonda fede di Deeriye nel credo islamico.

La posizione di Khaliif che liquida il secondo capitolo di questa parte e ne avvia la terza tappa, non è quindi casuale. Se per un verso nel romanzo di Nuruddin Farah emerge un lascito di religiosità che era propria dei folli mistici e religiosi di Monénembo e Tchicaya, per un altro verso Close sesame inaugura un altro tipo di folle : quello che accompagna il percorso del “patriarca” rappresentandone, in qualche misura, il braccio destro – cfr. Les

Petits de la guenon di Boris Diop – e illuminandone simbolicamente il percorso storico

attraverso il peso della tradizione – cfr. L’Histoire du fou di Mongo Beti. Si tratta di un nuovo meccanismo che può costituire una delle molteplici chiavi di lettura, chiave che, in virtù delle numerose confluenze narrative, tenta di districare la matassa del romanzo al rischio però di perdersi in questo romanzo postmoderno il quale, come sostiene giustamente Claudio Gorlier, « si sottrae all’unicità di una funzione decodificante. »9 Appare assai chiaro che il patriarca Deeriye condivide con Khaliif l’intima comprensione del percorso nel suo lato oscuro, comprensione volta a rivelare certi meccanismi della follia, per esempio, quelli che ribadiscono l’analogia tra la follia e la dittatura, linea costante dall’inizio della nostra classificazione destinata a non interrompersi qui. È lo stesso Deeriye a lanciare un ponte cognitivo tra l’una e l’altra quando dice che « the madness of which I talk is in itself a political statement. »10 (p. 252) E, in questa prospettiva, non è senza interesse la narrazione di Khaliif sul dittatore in visita al manicomio (pp. 20-21), la cui assemblea di pazzi definirà lo

8 Abdourahman A. WABERI, La Galerie des fous in Le Pays sans Ombre, Le Serpent à plumes, coll. Motifs,

2000 (1ère éd. 1994), pp. 11-27.

9 Introduzione di Claudio GORLIER, Chiuditi sesamo (traduzione italiana di Maria Ludovica PETTA), Roma,

Edizioni lavoro, 1992, p. XVII.

schema (rovesciato) proposto da Shimmer Chinodya in Chairman of fools e che analizzeremo meglio nella seconda parte della tesi.

È certo che il rapporto “spirituale” tra il saggio Deeriye e Khaliif il pazzo non sussisterebbe senza il pieno avvaloramento del detto arabo che recita « Pinch the wisdom, O people, out of the mouths of madmen » (p. 21) – detto che trova ampie ripercussioni in numerose culture. E i frequenti smarrimenti nel sogno, « snaps ; daydreams […] during which I cross into a world whose logic in unknown to any living soul » (p. 140), dove Deeriye si incontra con l’adorata moglie Nadiifa, e gli incontri nel dormiveglia (pp. 196-197) con ambigue sagome rivelatrici di Khaliif, intensificano quest’intima comprensione dell’indistinto e della follia. Infatti, se è vero che il pio Deeriye è tutto proteso verso la “retta via” indicata nel Corano, è altrettanto ammissibile che egli finisca per lasciarsi guidare dal matto il quale mette all’erta l’intera comunità sulle trappole che la minano e soprattutto sulla sorte del figlio Mursal. Guardando bene le sortite di piazza del “profetico” e “clawnesco” (p. 20) pazzo, notiamo che Nuruddin Farah introduce in modo estremamente sinuoso un topos che avrà risonanze in molti romanzieri dell’ultimo ventennio : “l’interprete briccone”11 che si sollazza di canzonare i potenti e diverte la piazza, si trova spesso a parlare da solo di fronte ad un pubblico che non c’è ; leggiamo difatti che « he was doing the unusual thing, he was talking to himself : he had no crowd adress himself to, no audience. »12 (p. 241) Così lo scrittore somalo batte la pista, sempre più frequentemente percorsa, degli artisti senza interlocutori, che preoccupano un gran numero di autori contemporanei (cfr. Boubacar Boris Diop).

Per Deeriye, Khaliif è inconfondibilmente “quello che sa” rispetto alla scomparsa del figlio militante, ucciso perché scoperto tra i complottatori che attentano alla vita del dittatore. Il dilemma di Deeriye è quindi limpido : vendicare il figlio Mursal o ascoltare le dolci parole di Nadiifa che professa la non-violenza ? Essa gli dice in sogno :

« I am the sharer of your secrets, I am in a manner of speaking the provider of your visions – indeed, I am your visions. Since I am your double (or I am your secret- sharer), let me remind you that you know that I know that you’ve given one thing a thought yourself; yes, let me finish. I know you’ve hidden a revolver somewhere; I know you’ve activated the line of communication between yourself and the Inspector, the

11 È il titolo della traduzione italiana del capolavoro di Amadou Hampaté BÂ, L’étrange destin de Wangrin ou les roueries d’un interprète africain, Paris, Union Générale d’Éditions, 1973. Tradotto in italiano da Leonella

PRATO CARUSO, L’interprete briccone, Roma, Edizioni Lavoro, 1988.

General’s uncle on his mother’s side, whose accepted to take up your request for an audience with the General today and I know, naive that you are, that you will go to meet the General armed with the standard revolver which once belonged to a Jibriil Mohamed- Somali ! You may as well ask me why you’ve had this change of heart, you, Deeriye, who always spoke violently against the use of violence. » (p. 248)

Che le visite oniriche di Nadiifa siano reali o soltanto frutto della sua immaginazione – « I made myself available to her and therefore since she loved me too she invented me ; and I, her. » (p. 252) –, è da Nadiifa che Deeriye sente infine pronunciare le parole « Yes, my love. Avenge your son » (p. 249) ; e si abbandona alla follia senile di chi ha perso i contatti con il mondo reale : « Go into your father’s study and don’t disturb him, do you hear me ?», dice il nonno a Samawade, figlio di Mursal ucciso. « “He is not in his study”, said Samawade. “Have you forgotten ?” » (Ibid.)

Deeriye, che « imagined things and invented histories and made up tales and conjured up interlocutors » (p. 251) aveva scelto di compiere l’« heroic deed » : « he would vindicate justice » (p. 250). D’altro canto le fosche comparsate del folle durante la marcia del patriarca verso il Generale gli chiariscono la via da seguire. Nella nebulosità dell’episodio, confuso e visionario, Deeriye appare accanto a Khaliif in un percorso indistinto che chiude il romanzo – quindi la trilogia – senza tuttavia dare una risposta univoca, suggerendo invece una risposta all’ombra – non alla luce – del pazzo : « a mind so overcrowded with ideas and things, a mind made into the symbol of disorder and indecision by the powers that be, a mind rendered useless because it cannot decipher these symbols, cannot tell apart the good shadows from the bad, cannot distinguish between the virtuous and the wicked » (p. 143)… è forse lì la chiave della follia, di Khaliif senz’altro, ma anche di Mursal ; e a questo punto anche di se stesso.

In genere compete al folle uccidere il presidente, come fecero in tanti tra cui Dadou ne

L’Anté-peuple ; e il vecchio marcia con in tasca l’arma e il rosario fino alla porta del

Generale : « If his attempt failed, people would say he had gone mad, he thought to himself as he readied himself to press the doorbell, and if he succeed he would be made a hero. » (p. 259) Esitante, preme poi il campanello ; ma non ci è dato sapere il seguito, tranne che il corpo di Deeriye è trovato senza vita. È credibile che la soluzione del dilemma sia sancita dalla morte tramite cui Deeriye, l’emblema della fede, fedeltà e tradizione, si eleva a martire. In

Close sesame, la via presenta varie forme biforcute, dove la follia si “alterna” all’eroismo ;

la storia è totalmente “in corso” – “en cours de route”, “ongoing” – e gli avvenimenti che conducono al martirio sono le visioni e le manifestazioni di follia che, intanto, fa il suo corso.

In ultima analisi, con Close sesame Nuruddin Farah sancisce la chiusura della sua prima trilogia attraverso lo slittamento della riflessione sulla dittatura dal campo di battaglia politico verso lo spazio intimo, spazio privato e rifugio personale, come ricorda A.A. Waberi13 ; slittamento che vuole dimostrare il superamento dello spirito di rivoluzione – così abbondante nei personaggi del capitolo precedente – con il « sacrifical logic of martyrdom and the eschatological life of the soul »14, dunque tramite una riflessione sibillina che Deeriye elabora nell’intimità della fede e nel riflesso dell’enigmatico Khaliif. Quello contenuto in Close sesame è un primo esempio di “ripiegamento nell’elaborazione di una coscienze identitaria” che è venuta lentamente a maturare nel corso del cammino condotto dal folle alla ricerca di un sé indistinto (personale ? spirituale ? collettivo ?). L’intimità emerge come spazio di indagine e, convocando lo spazio interiore, interpella la voce viscerale, “dal profondo”, soggettiva o meno che sia. Con l’apertura di uno spazio “altro”, Nuruddin Farah non tradisce la logica poliedrica, che gli è propria, del romanzo dalle molteplici chiavi interpretative, al contrario. Allo stesso modo, Toutina prosegue nello spazio immaginativo il processo di legittimazione dello spazio personale iniziato da Deeriye e avvalorato da Khaliif.