Nel romanzo Véhi-Ciosane54 di Ousmane Sembène, Tanor Ngoné Diob è un ex- soldato dell’esercito francese il quale, dopo aver prestato servizio in Vietnam, in Marocco e in Algeria, è tornato impazzito sul filone dei “tirailleurs” letterari inaugurati da Birago Diop. Stando a Janos Riesz, anche il “tirailleur” folle di Ousmane Sembène, come più tardi quelli di altri autori quali Lamine Diakhaté55, Massa Makan Diabaté56 o Doumbi-Fakoly57, discenderebbe dal capostipite che Birago Diop ha creato con il suo sergente58. Tuttavia, se la follia di Kéita si definiva soltanto in relazione all’operazione “civilizzatrice” intavolata
51 Mouralis si serve delle analisi morfologiche sul racconto tradizionale africano di Denise PAULME in La mère
dévorante per stabilire che il racconto di “Sarzan” rispecchia lo schema “ciclico”. Vedi Bernard MOURALIS,
op.cit., pp. 171-172. 52 Ivi, p. 176.
53 Vedi cap. 1.2. – Parte III.
54 Ousmane SEMBENE, Véhi-Ciosane (seguito da Le Mandat), Paris, Présence Africaine, 1966. 55 Lamine DIAKHATE, Prisonnier du regard, Abidjan, NEA, 1975.
56 Makan DIABATE, Lieutenant de Kouta, Paris, Hatier, 1979. 57 DOUMBI-FAKOLY, Morts pour la France, Paris, Karthala, 1983.
58 V. Janos RIESZ,La “folie” des Tirailleurs sénégalais : faits historiques et thème littéraire de la littérature coloniale à la littérature africaine de langue française in (Janet Patricia LITTLE and Roger LITTLE) Black
dall’amministrazione coloniale, la follia di Tanor si dispiega all’interno della propria società in decomposizione, pur partendo da una coscienza coloniale ritracciata dall’autore in apertura del racconto :
« La débilité de l’HOMME DE CHEZ NOUS – qu’on nomme notre AFRICANITÉ, notre NÉGRITUDE, – et qui, au lieu de favoriser l’assujettissement de la nature pour les sciences, maintient l’oppression, développe la vénalité, le népotisme, la gabegie et ces infirmités par lesquelles on tente de couvrir les bas instincts de l’homme – que l’un de nous le crie avant de mourir – est la grande tare de notre époque. »59 (p. 16)
L’uomo, ci dice Sembène, è due volte oppresso : e dal fardello lasciato dal colonialismo e dal giogo della tradizione deformata in vuota pedanteria. La preoccupazione di Sembène per le sorti della propria realtà ritrovata degradata dopo esser lui stesso rimpatriato come “tirailleur sénégalais”, è all’origine di un atteggiamento che invita a guardare il reduce di guerra con un metro di giudizio diverso da quello adoperato da Birago Diop per il suo folle. Se l’autore di “Sarzan” interviene direttamente nel racconto per castigare il suo personaggio, reo di aver rinnegato i suoi avi, Sembène, da bravo cineasta qual è, punta l’obiettivo sul dramma personale di Tanor calato nell’ambiente di origine irriconoscibile per l’incuria morale.
Precisamente, Véhi-Ciosane narra il perbenismo che aleggia intorno all’incesto tra un padre e una figlia. Khar Madiaga Diob, figlia del capo del villaggio, Guibril Guedj Diob, e della nobile guelwaar Ngoné War Thiandum, è incinta di suo padre. Nel piccolo e miserabile villaggio di Santhiu-Niaye, in un clima di polverosa ipocrisia, la nobile Ngoné War Thiandum – stoica nella sua misurata sofferenza – conduce un’amara ricerca sulla paternità del futuro bambino. Se buona parte dei personaggi si accanisce a difendere l’onore di famiglia in nome della Sutoura – in wolof “discrezione”, codice morale –, d’altro canto c’è chi opera per demolire il finto contegno che cela amoralità. Tra questi, due personaggi spiccano : il griot Déthyè Law – marito della griotte di Ngoné War Thiandum – e l’ex-militare Tanor Ngoné Diob, fratello della giovane vittima Khar.
Accents : writing in French from Africa, Mauritius and the Caribbean, London, Grant & Cutler Ltd, 1997,
p.146.
Il griot trionfa come vero protagonista di questo racconto che lotta contro i falsi moralismi per la conquista del vero onore. Nondimeno, Tanor, personaggio secondario, ricopre un ruolo di grande rilievo la cui importanza è celata dietro la demenza del personaggio.
Come il sergente Kéita, Tanor entra in scena « en militaire – une vieille tenue qui lui avait été léguée par les bons officiers de l’armée coloniale française » (p. 45), nella tipica uniforme del “tirailleur”, vagante per le dune, come fosse il guardiano di una trincea.60 È tipico vederlo marciare lontano dalla gente (p. 64), fatto oggetto di scherno per i suoi girotondi ballerini. La guerra incisa nella mente, egli mima la vita militare, circondato da fiumane di bambini e cani rognosi ; scenario, questo, che non può non rammentarci il soldato di Birago Diop seguìto dalla « marmaille toute nue, […] suivie de chiens roux aux oreilles écourtées et aux côtes saillantes » (“Sarzan”, p. 179). Anche qui, come nei casi visti precedentemente, l’idea della follia come possessione degli spiriti è presente : se il griot ribadisce la reale mansuetudine di Tanor, l’anziana Yaye Khurédia interpreta i suoi gesti teatrali come riprova della presenza degli spiriti – « C’est le jour des ravanes »61, p. 60.
In realtà, ogni movimento di Tanor non andrebbe letto fuori dal metro dell’esperienza di guerra. Il suo passo è sempre una marcia dai ritmi violenti ; le parole in codice militare, pronunciate in un francese maldestro, sono del tutto sproporzionati ai suoi strumenti di guerra : la sabbia è la sua polvere da sparo, i bambini del villaggio sono i soldati che organizza in plotoni per ricevere il comandante bianco (questo realmente atteso a Santhiu- Niaye) :
« – Section on ’ alte, commanda Tanor Ngoné Diob. La marmaille stoppa ; Tanor Ngoné Diob sortit de sa poche des jujubes qu’il distribua aux enfants. Ils se bousculèrent. Le visage en sueur, l’ancien soldat s’allongea sur le sol face au cordonnier62.
– Tu sues ! lui dit Déthyè Law.
– C’est pour le commandant ! Les soldats doivent chanter le jour de l’inspection. Au sourire du jeune homme, Déthyè Law garda sa figure ferme. » (p. 62)
60 « Sur ses cheveux crépus, sales, il portait la casquette des soldats du corps expéditionnaire français, était vêtu
de la tenue de parachutiste, en léopard, les pieds dans des brodequins sans lacets et sans chaussettes ; sur la ceinture un couteau de para pendait. » (p. 59)
61 Per estensione, gli spiriti protettori (è specificato nel testo). 62 Il griot, Déthyè Law.
Come si sarà notato, tra la figura del comandante della legione francese che riecheggia nei ricordi di Tanor e il “toubab-commandant” incaricato di riscuote le tasse a Santhiu-Niaye, la differenza è minima. Il rispetto rivolto al secondo risponde allo stesso meccanismo di assoggettamento del soldato nei confronti del primo, entrambi atteggiamenti figli della forza coloniale esercitata sull’ “HOMME DE CHEZ NOUS” (p. 16) di cui parla Sembène nel prologo.
Con Sembène la follia burlesca (il bevitore, il “madman”) e la follia da possessione (Kéita) visti finora, diventa tormento interiore e meccanica della violenza, uniche concessioni ai militari africani :
« Tanor Ngoné Diob essoufflé s’arrêta en prononçant des insultes. Tout en parlant, il piétinait des plantes, grommelant : “C’est ainsi dans les rizières.” Une fureur bestiale masquait son visage, et pétillait une lueur d’insatisfaction dans son regard » (p. 47)
Tramite la violenza della marcia e i grotteschi mimi di guerra a Santhiu-Niaye, Sembène rende pienamente atto del profondo dramma dei reduci di guerra – che si presume egli stesso conoscesse bene63 –, segnando così un’elaborazione riflettuta del personaggio rispetto al folle di Birago Diop. Con Tanor, Sembène mette aspramente in discussione la presunta normalità della guerra a partire dai commenti in circolazione nel villaggio ; ed anche Janos Riesz cita Henry Bordeaux64 per mostrare fino a che punto la follia dei “tirailleurs” venga in generale concepita come “normale”, nella misura in cui ogni reazione dei soldati è prevista dal sistema militare, per natura folle in ragione della sua capacità di ingenerare la catena infinita della follia :
« […] On pourrait être tenté de parler de “folie” au degré zéro, d’une folie presque “normale” et quotidienne, perçue comme faisant partie de l’ “épopée noire”. Ou bien à l’inverse, l’attitude qui se définit comme “normalité” ne serait-elle pas déjà suffisamment folle pour engendrer des cas de “folies” particulières ? La situation coloniale qui est à l’origine du recrutement des Tirailleurs sénégalais et l’idéologie qui la justifie ne seraient-elles pas, en elles-mêmes, déjà productrices de toutes les folies
63 Oltre ad essere stato lui stesso “tirailleur”, ricordiamo che Ousmane Sembène dedica il romanzo Véhi-Ciosane
a Boca Mbar Sarr Pathe, un suo vecchio amico, anche lui “tirailleur”, morto nella guerra in Indocina nel 1945. Il riferimento di Tanor al suo amico non sembra per nulla casuale.
possibles dont il ne faudrait alors pas s’étonner outre mesure au regard de la situation de départ ? »65
A tale riguardo, torniamo un momento al passo citato del prologo. Sembène lascia intendere che l’oppressione subìta dagli africani continua anche dopo il rientro tra la propria gente. In questo senso potrebbe essere valida l’ipotesi secondo cui la follia dei “tirailleurs” non è da ricondurre soltanto all’esperienza della guerra, ma potrebbe altresì essere dovuta alla situazione degradata che rincontrano nel proprio villaggio natale dove non trovano nulla di sano che dia loro qualche occasione di soddisfazione66. In effetti, accanto alla devastazione fisica e generazionale personificata da Tanor, l’indolenza della gente contribuisce ad alimentare la disintegrazione morale. Ciò mostrerebbe che Ousmane Sembène si è spinto a guardare ben oltre la follia della guerra, ampiamente testimoniata negli scritti di viaggio e nei rapporti coloniali67, prima ancora che dagli scrittori ex-soldati68 ; ma guarda agli effetti della follia coloniale rimarcata nel romanzo con l’assenza totale di linfa vitale causata dell’essenza di giovani fuggiti a Dakar.
Quindi, il dramma della famiglia di Tanor non si gioca soltanto sul piano dello sfruttamento coloniale di soldati africani, ma anche sul piano etico e culturale dacché la verità sull’orribile evento è soffocata dal “privilège de naissance” (p. 100) rimarcato nelle parole disperate della nobile madre :
« J’attendais un homme !... Ce fut moins qu’un homme que j’ai reçu : une loque. J’étais fière lorsqu’il nous quitta, et inquiète aussi. Il me revient fou. Le courage n’est pas d’envahir autrui, mais de faire face à l’indignité chez soi. Maudits soient la guerre et l’esprit de rang. La guerre me prive d’un fils pour laver un déshonneur, et l’esprit de rang me broie. » (p. 38)
64 Henry BORDEAUX, L’Épopée noire : la France en Afrique occidentale, Paris, Denoël et Steele, 1936. 65 Janos RIESZ,op.cit., pp. 142-143.
66 Spiegazione data sulle frequenti “follie” dei soldati rimpatriati da un commentatore indigeno incontrato da
Lucie COUSTURIER, Mes inconnus chez eux, Paris, F. Rieder & Cie, 1925, p. 241. cit. da Janos RIESZ, op. cit., p. 145.
67 Janos RIESZ prende come esempi illustri, a titolo esplicativo, i testi di Michel Leiris e Albert Londres. Il primo
in L’Afrique fantôme (1934) parla di un ex-tirailleur impazzito che ha continuato ad indossare l’uniforme e non ha mai abbandonato le formule rituali della marcia militare ; nel frattempo mendica (p. 89). Un’immagine simile appare in Terre d’ébène di Albert LONDRES del 1929. Janos RIESZ,op. cit., pp., 141-142, nota 6.
68 Anche Léopold Sédar Senghor, Ahmadou Kourouma e Bakary Diallo sono stati diretti testimoni della guerra e
La condanna delle gerarchie morali, derivate da quelle sociali, sono tanto vergognose quanto le guerre occidentali di cui si sottovalutavano le conseguenze. La storia coloniale ha ritoccato le fattezze del villaggio-fantasma disumanizzandolo ; la vera responsabilità dell’incesto e della morte di Ngoné War Thiandum è dunque imputabile alla comunità che si lascia lentamente morire. Ciò è lasciato all’intuito dalle immagini allusive che Sembène dà del Niaye, cui si contrappone il potenziale combattivo e fecondo delle donne.
Sembène, che nella giovinezza nutriva speranza nell’ideale marxista alla Frantz Fanon69, ha continuato a credere nella rivolta delle donne in Africa70, come illustrato in Les
bouts de bois de Dieu (1960). Soltanto le donne, spesso assoggettate, potranno realmente
cambiare le cose. Così nel romanzo breve, la nascita della bambina di Khar, battezzata Véhi- Ciosane da Ngoné War Thiandum, assume tutta la portata della “rinascita” – non già biologica, si badi bene, ma su questo torneremo71 – promossa dalle donne. La fecondità di Khar e la nascita di Véhi-Ciosane (in wolof Wehe, “bianca”, Ciosane, “Genesi”) sono del tutto antitetiche all’aridità del Niaye descritto da Sembène come un luogo spettrale :
« il n’est ni savane, ni delta, ni steppe, ni brousse, ni forêt : une zone très singulière qui borde l’océan Atlantique dans sa sphère occidentale, et qui s’étend de Yoff à Ndar, et au-delà… d’où surgissent des hameaux, des agglomérations aussi éphémères que des gouttes d’eau recueillies sur des cils » (p. 19).
Sembène dedica molte pagine alla descrizione della morte del Niaye, insistendo sull’« immense solitude muette du Niaye ». (p. 21) D’accordo con David Murphy72, quest’opera si struttura sul binomio silenzio-discorso : il silenzio è inscenato dal Niaye, dall’assenza di giovani successori della comunità, dalla figura fantasmatica di Khar – di cui si parla tanto, ma che mai appare se non alla fine del racconto –, dalla griote che non osa riferire la verità alla sua padrona. E’ inscenato anche dal padre di famiglia, Guibril Guedj Diob, che nasconde alla stessa moglie il proprio atto ignobile, e, infine, da Medoune Diob che trama dietro il fratello per ereditare il suo potere. Sarà questo ad istigare Tanor ad uccidere il padre, e vi riuscirà. Nel versante opposto al silenzio sta la voce, il discorso, il rumore, l’urlo ; come esplosione della verità antitetica all’omertà. Tale giustizia è incarnata proprio dal griot,
69 David MURPHY, Sembene : imagining alternatives in film and fiction, James Currey Publisher, 2000, p. 42. 70 Gerald MOORE, Twelve African Writers, London, Melburne, Sidney, Auckland, Hutchinson University Library
for Africa, 1980, p. 79.
Déthyè Law, e da Tanor : il griot combatte i discorsi menzogneri che si celano dietro la manipolazione dell’adda (costumi, tradizioni) e delle Sacre Scritture, al punto di preferire l’abbandono del villaggio ormai svuotato del suo onore. Alla lotta con l’arma della parola corrisponde il gesto fragoroso di Tanor : rumoroso quando parla, quando canta, quando cammina, Tanor ingombra perché punisce i colpevoli. L’uno è custode della parola di verità ; l’altro è il giustiziere dei misfatti. Il primo combatte il silenzio con la parola ; il secondo combatte il silenzio con l’azione.
Sicché non è da escludere che vi sia un’intima corrispondenza tra l’erranza “costretta” del militare – nel senso doppio di “obbligata” in epoca di guerra e “limitata” nello spazio del villaggio al suo rientro – e la partenza punitiva del griot. La corrispondenza è però di segno opposto, a conferma del rovesciamento di schemi di cui la follia di Tanor è emblema : questo costretto a “tourner en rond” nel Niaye moribondo ; mentre il griot con la famiglia « traversèrent l’aire en file indienne, gagnèrent la sortie en direction du couchant sous cette averse mercure » (p. 102) ; e i giovani del villaggio son tutti partiti alla volta di Dakar, stessa sorte che spetta alla giovane Khar e alla sua piccola Blanche-Genèse.
Il tessuto connettivo che lega Tanor al griot e a Khar è il valore morale del Niaye. Per tale ragione ogni scena significativa in cui appare Tanor è preceduta o seguita da una descrizione del luogo, segno implicito – neanche tanto – di aridità del deserto morale. Trittico simbolico, nella misura in cui alla stasi dell’“insensé” corrisponde la ricerca di senso, sintetizzato nel griot come recupero della vera morale e in Khar come rinascita della speranza.