born di Ayi Kwei Armah
Il primo romanzo di Ayi Kewi Armah, The beautiful ones are not yet born1, ha riscosso nel 1968 un grandissimo successo per la vivacità con cui ritraeva la società del Ghana post-indipendente sprofondata nel degrado ove l’unico valore diffuso è la foga del guadagno, da cui la corruzione politica e sociale. Come Gabriel Okara in The Voice e Chinua Achebe da
Things fall apart in poi, Ayi Kwei Armah vede nel proprio paese, all’indomani delle
indipendenze, la desolazione di una società inaridita e la morte spirituale. Com’è tipico degli autori che scrivono intorno agli anni ’70, Armah non rimane indifferente al sentimento di delusione che ha seguìto i primi festeggiamenti euforici nel marzo del ‘57. L’indipendenza del Ghana – divenuta Repubblica del Ghana il 1 luglio 1960 –, in quanto primo paese dell’Africa nera coinvolto nella decolonizzazione, ha inaugurato il fatidico passaggio – immortalato nell’ormai nota formula “des leurres aux lueurs”2 – dall’illusione della libertà e della prosperità indipendentiste alla disillusione di un sistema di fatto ai cui vertici si sovrapponevano nomi e volti e nulla di più.
1 Ayi Kwei ARMAH, The Beautiful ones are not yet born, Boston, Houghton Mifflin Company, 1968. 2 È il titolo di una raccolta di poesie di Birago DIOP, Leurres et lueurs, Paris, Présence africaine, 1960.
Il sistema autodistruttivo della politica e dell’economia del Ghana post-indipendente, che non sembra offrire vie di scampo, concede ad Armah molta materia d’ispirazione per la creazione di categorie di personaggi suddivisi in corruttibili e incorruttibili, o meglio in corrotti e non corrotti. Sul versante opposto alla massa che si conforma di buon grado al nuovo modello, secondo il quale il vantaggio dell’uno arriverà prima o poi all’altro grazie a favoritismi e ricompense illecite, Armah ritrae le “pecore nere” finite nel novero degli emarginati. Egli è abilissimo maestro nell’illustrare un ampio spettro di personaggi che si scostano dalla pomposa borghesia nascente ; e, come è facile da intuire, il ripudio del modello sociale imposto dal nuovo costume, dà vita a figure diversamente deviate le quali, per trovare rifugio, intraprendono percorsi lontani il più possibile dalla norma : i folli di Armah sono dei disadattati ; mai vincenti, essi sfumano il concetto di devianza suggerendo della follia persino la via di salvezza. Come Okara e Achebe, e i colleghi francofoni, Armah non è granché incuriosito dall’« affection mentale elle-même, mais plutôt [par] le message que livre la démence dans le contexte africain. » Infatti, come giustamente riconosciuto e come verificheremo a più riprese, « les auteurs […] préfèrent aux donnés de la médecine les conceptions qui hantent l’imagination populaire. »3
Il protagonista di questa satira intellettuale è un giovane impiegato delle ferrovie, padre di famiglia e marito di Oyo, una donna piuttosto antipatica che ambisce al nuovo status alto-borghese del Ghana di Nkrumah. Di lui non viene dato nessun dettaglio qualificativo, se non lo sguardo scrutatore. Armah mette in scena le sue riflessioni che si accompagnano a gesti ripetitivi – le lunghe passeggiate per sfuggire al soffocamento coniugale, ad esempio – in segno del ritmo flemmatico di una vita noiosa. Eroe amorfo, che non può non riportarci alla memoria la nausea sartriana, questo personaggio privo di prospettive, lasso e insicuro, accusato dalla moglie di non volersi “sporcare le mani” in politica come l’arricchito amico Koomson, ha ispirato molti giudizi dissimili tra gli studiosi di Armah. Keith Booker4 ha passato in rassegna le numerose opinioni critiche : alcuni (Fraser5, Lazarus6) vedono nel protagonista un esempio di integrità morale, quindi un personaggio di grande finezza intuitiva
3 Vedi Eliane SAINT-ANDRE UTUDJIAN, « Le thème de la folie dans la littérature africaine contemporaine (1960-
1975) », Revue Présence Africaine, n° 115, 3ème semestre 1980, pp. 122-123.
4 M. Keith BOOKER, The African Novel in English. An introduction, London, Heinemann, coll. Studies in African
literature, 1998, pp. 104-105.
5 Citato da Booker, Robert FRASER, The Novels of Ayi Kwei Armah : a study in polemical fiction, London
e di rigore comportamentale ; altri (Wright7, Leonard Kibera8, S.A. Gakwandi9) ne rilevano la debolezza e l’incapacità di difendere la propria posizione. Tutte le opinioni hanno parte di giustezza, a nostro avviso ; tuttavia, stando alla descrizione della sua prima comparsa nel bus – crollato in un sonno profondo, la bava alla bocca – sembra che Armah voglia dare di lui i lineamenti dell’anti-eroe frustrato e abitato da un costante senso di fallimento, meritevole però di non aver ceduto, alla resa dei conti.
Inoltre, tenuto conto dell’importanza che Armah conferisce alla scelta dei nomi per i suoi personaggi, colpisce l’appellativo generico di “the man”. Rispetto alla massa dei cittadini ghanesi, “l’uomo” rappresenta un’eccezione : contrariamente all’idea che il nome generico di “uomo” faccia allusione alla figura del cittadino comune incarnato dal protagonista, pensiamo, sulla scia di Fraser10, che il rappresentante dell’uomo comune del Ghana sia invece il ministro Koomson, amico di infanzia del protagonista. L’appellativo politico di Koomson, “l’uomo del partito”, contrasta ulteriormente con il generico “the man”, privo di aggettivo, inteso a determinare la sua genuina umanità.
La complessità dell’ “uomo” sta dunque nella doppia immagine di un uomo dal cuore puro, onesto e integro, ma al contempo sopraffatto – dalla moglie, dalla suocera, dal conducente scurrile di autobus –, abbandonato ad un’indecisione che il lettore tollera a stento. Invero, il suo lassismo rientra nel disegno dell’opera intera strutturata sulla poetica della decomposizione tramite cui Armah espone una fervida critica al regime di Nkrumah in una sorta di “dottrina della corruzione”11. È evidente che il linguaggio grottescamente fisiologico adoperato da Armah e le scene di degrado ripugnante che dipingono ogni pagina del romanzo hanno una funzione simbolica e nient’affatto realistica. La struttura di fondo dell’opera corrisponde, di fatto, all’equazione tra il fetore – che si avverte dal pattume esposto al sole, dal sudore degli impiegati, dai luoghi fatiscenti – e la società in decomposizione : il corpo
6 Citato da Booker, Neil LAZARUS, Resistance in Postcolonial African Fiction, New Haven, Conn.: Yale
University Press, 1990, p. 72.
7 Citato da Booker, Derek WRIGHT, Ayi Kwei Armah’s Africa : the Sources of his Fiction , London, Hans Zell,
1989.
8 Citato da Booker, Leonard KIBERA, « Pessimism and the African Novelist : Ayi Kwei Armah’s The Beautiful Ones Are Not Yet Born » in Critical Perspectives on Ayi Kwei Armah (ed. Dereck Wright), Washington, D.C.,
Three Continents Press, 1992, p. 97.
9 Citato da Booker, S. A. GAKWANDI, « Freedom as Nightmare : Armah’s The Beautiful Ones Are Not Yet Born»
in Critical Perspectives on Ayi Kwei Armah (ed. Dereck Wright), Washington, D.C., Three Continents Press, 1992, p. 111.
10 Robert FRASER, op. cit., p. 17. 11 Vedi Eustace PALMER, op. cit., p. 141.
umano e il corpo sociale, così bene messi in parallelo da Danièle Stewart12, sono in un rapporto di reciproca influenza nella misura in cui il degrado, fisico e morale, dei cittadini corrisponde al degrado sociale del Ghana, immenso corpo in via di disfacimento. È in questa logica che la gente “trasuda” corruzione :
« Everybody seemed to sweat a lot, not from the exertion of their jobs, but from some kind of inner struggle that always going on. » (p. 20)
Così, insistendo sul rapporto osmotico tra la sporcizia degli uomini e quella dell’ambiente, Armah mostra che l’idea di una società pulita è irrealizzabile fuori da soluzioni estreme. Il ricorso alla “pulizia di facciata” e alla “verniciata di superficie” (v. il palazzo coloniale delle ferrovie, pp. 10-11) intende illustrare la metodologia dell’amministrazione Nkrumah consistente nell’occultamento del marcio trasudante dai muri. É di un’efficacia straordinaria l’immagine della balaustra che porta agli uffici ferroviari, descritta fino ai più minuziosi dettagli per farci avvistare il legno sottostante, come un corpo in cancrena, che vuole resistere alla morte trovando tutti i rimedi per rimanere in vita. Riportiamo un frammento della descrizione perché ci si faccia un’idea del gioco di doppi sensi che alimentano la poetica della decomposizione. Entrato nel palazzo delle ferrovie dov’è impiegato, l’ “uomo” fa per dirigersi al piano superiore :
« He moved absently to the left of the staircase and reached for the support of the banister, but immediately after contact his hand recoiled in an instinctive gesture of withdrawal. The touch of the banister on the balls of his fingertips had something uncomfortably organic about it. A weak bulb hung over the whole staircase suspended on some thin, invisible thread. By its light it was barely possible to see the banister, and the sight was like that of a very long piece of diseased skin […] In places the wood (of the banister) seemed to have been painted over, but that must have been long ago indeed. For a long time only polish, different kinds of wood and floor polish, had been used. It would be impossible to calculate how much on how many rags the wood on the stair banister had seen, but there was certainly enough Ronuk and Mansion splashed there to give the place its now indelible reek of putrid turpentine. What had been going on there and was going on now and would go on and on through all the years ahead was a species of war
12 Vedi Danièle STEWART, « L’être et le monde dans les premiers romans d’Ayi Kwei Armah », Présence Africaine, n°85, 1973, p. 193.
carried on in the silence of long ages, a struggle in which only the keen, uncanny eyes and ears of lunatic seers could detect the deceiving, easy breathing of the strugglers.
The wood underneath would win and win till the end of time. » (pp. 11-12)
I numerosi strati di vernice, applicati più e più volte sulla superficie della ringhiera, nascondono la degradazione della materia. La metafora epidermica della ringhiera che cade a pezzi come un “very long piece of diseased skin” allude chiaramente alla politica del Ghana – ma non solo ! – nota per non aver mai spazzato via la struttura coloniale alla quale i ghanesi hanno soltanto cambiato i volti – e la pelle. Il Ghana del secondo Nkrumah, svanito il sogno del paese libero e rigoglioso e del panafricanismo professati dal militante all’inizio della sua carriera, è un organismo composto di morti viventi, altra figura frequente in The Beautiful
ones, che riecheggia, in ciò, alcuni tratti dei Dubliners joiciani.
Di questo lento processo di morte, sembra non accorgersi nessuno se non “the naked man” il quale, mentre legge un libro intitolato He Who Must Die, si definisce come « one of the dead people, the walking dead. A ghost. » E prosegue « I died long time ago. So long ago that not even the old libations of living blood will make me live again. » (p. 61)
La simbologia corporale, così centrale nel sistema di pensiero di Armah, diviene un criterio di lettura dei personaggi che condividono con l’ “uomo” il rifiuto ad incancrenirsi. L’uomo nudo, che l’ “uomo” chiama “Teacher”, ha pochissimo a che vedere con le figure di folli dai connotati ben delineati. Il suo inserimento nel novero dei folli può sembrare un poco spinto ; e lo crederemmo ugualmente se non ritenessimo che, al contrario, esiste un meccanismo di rimandi tra l’ “uomo” e il Maestro attribuibile all’anomalia. La caratteristica principale di quest’uomo ambiguo è il suo isolamento e la scelta di una vita in dichiarata opposizione con la norma vigente.
Ora, il personaggio in questione ha in comune con i suoi predecessori la posizione di non conformità morale fino al rifiuto della conformità sociale. Inoltre, il Maestro condivide con i folli francofoni del capitolo precedente la conoscenza diretta dell’attivismo in epoca coloniale : quelli erano reduci di guerra ; questo è un ex-militante socialista che credeva nel sogno panafricanista incarnato da Nkoumah. A differenza dei folli raffigurati da Birago Diop, Ousmane Sembène e Cheikh Hamidou Kane, vittime ignare del sistema coloniale, il Maestro è però ben cosciente di quanto stava accadendo alla fine degli anni ‘50, di quali fossero i danni del colonialismo e di quanto diffuso fosse il sentimento di libertà che si subodorava
alle porte dell’indipendenza. Dunque egli ci introduce appieno tra i folli militanti che vedremo pullulare nel presente capitolo.
Infine deluso dal sogno infranto, egli sceglie di vivere come un eremita, lontano da quell’organismo imputridito che è il Ghana ; e non è un caso che Armah abbia connotato il Maestro con un’unica caratteristica corporale : la nudità. L’ “uomo” e l’ “uomo nudo”, entrambi emblemi di un’epoca più che personaggi dotati di spessore psicologico13, sono gli unici a non esser dotati di nome proprio ; e gli unici a vivere al margine, in una sorta di “impasse della libertà” : per il Maestro la libertà è, paradossalmente, una forma di segregazione, poiché finisce per escludere l’individuo che si era creduto libero di scegliere.
Così, d’accordo con Booker14, l’ “uomo” e l’uomo nudo non sono soltanto l’uno il prolungamento dell’altro, nella misura in cui la condizione dell’uomo nudo rappresenta ciò che l’ “uomo” potrebbe diventare ; essi sembrano perfino confondersi : dal quinto al settimo capitolo, in cui appaiono in conversazione, i due soggetti si sovrappongono fino a fuorviare il lettore. Che non sia un dispositivo volontario messo in opera dallo scrittore per dirci che l’uomo e l’uomo nudo, nella loro fragile umanità e nella loro dichiarata alienazione, si completano ? Tale opinione appare rinforzata quando verifichiamo che oltre a provare gli stessi sentimenti di disagio e sconforto, le esperienze dell’uno si intrecciano con la vita dell’altro. L’esempio del personaggio di Maanan, l’amica di vecchia data del Maestro militante, è abbastanza esplicativo : l’uomo nudo racconta la storia di lei al protagonista. Questo, alla fine del romanzo, incontra sulla spiaggia una giovane donna che somiglia molto a Manaan – è specificato – nonostante l’ “uomo” non l’avesse mai vista. Tali soluzioni di continuità e di compenetrazione tra i due personaggi sembrano voler completare l’immagine dell’emarginato che si definisce, pezzetto per pezzetto, dalle prime pagine alle ultime, in contrapposizione alla massa. In effetti, avremo modo di verificare altrove15 che le storie riportate dall’uomo nudo di altri personaggi impazziti come Maanan, Billy Home o Kofi Billy, contribuiscono a conoscere nuovi volti di un’unica figura di follia che appare, nel testo, frammentata nelle diverse persone.
La tendenza di Armah di sezionare il funzionamento della società come fosse un corpo umano la dice lunga anche sulla ricerca operata dall’uomo nudo che rimane immobile tutto il
13 Cfr. Eustace PALMER, op. cit., p. 142. 14 Keith BOOKER, op. cit., p. 106. 15 Cap.1.2.b. – Parte II.
tempo e la cui nudità avvalora la metafora corporale. Il culmine del paradosso sarebbe raggiunto qualora sostenessimo che un uomo nudo e immobile sia in grado di vedere molto più lontano di un pellegrino che avanza con il peso del saio. Eppure sembra proprio che si tratti di ciò : quanto più decisa è la stasi dell’uomo nudo, tanto più efficace è l’esplorazione della storia passata ; quindi è operante la metafora anatomica di Armah. Vediamo come.
Il Maestro viene sorpreso disteso sul letto in una disinvolta nudità, assorto nella lettura e nelle malinconiche arie congolesi trasmesse alla radio. L’ “uomo” penetra adagio nella stanza come per non interrompere l’attività del Maestro :
« The man outside stood a long time at the window, holding on to the iron bars and looking quietly at the naked man within. Then he walked the remaining distance to the gate of the house, crossed the little yard, and knocked en the door of the naked man’s room. The door opened silently and he entered. The naked man did not get up. He looked up momentarily from his book, then with ad easy smile he went back to his reading. The man did not disturb him […] The man moved to the opposite side of the room and sat down on the desk against the wall, resting his feet on the chair near it. » (p. 50)
La netta sensazione è di entrare furtivi, con il protagonista, nell’intimità del Maestro. Entriamo in una stanza spoglia, che corrisponde all’universo in piccolo del Maestro, soffocante e deprimente.
Ora, conviene considerare gli spazi ridimensionati. Il suo “ap-partamento”, inteso come luogo appartato (dal basso lat. ad-partiri), dove elegge dimora separato dal mondo, è un emblema della sua “presa di posizione”. Egli sceglie di dichiarare la propria posizione : ferma e marginale, irremovibile e solitaria. Seguendo le due etimologie della parola “partire”, la più antica della quale rimanda all’atto di “dividere in parti, separare” (dal lat. partíre denominativo di pàrs) da cui il significato di “separarsi, allontanarsi” (se-partíri), l’obiettivo non ancora del tutto raggiunto dall’uomo nudo è quello di fare del suo luogo di separazione – il suo umile ap-partamento – lo spazio dove sperimentare ogni singola “partenza” con lo sforzo del ricordo. Badando bene che quando parliamo di partenze per separarsi da un luogo, ci riferiamo ad un distacco da uno spazio che non ha più nulla a che fare con il movimento fisico, ma con l’essenza del corpo palesata nella nudità. In altre parole, con l’uomo nudo di Armah e la sua ricerca nella storia non siamo più impegnati nel “fare il viaggio”, ma siamo trascinati nell’immobilità dell’erranza quale essenza dello spirito – una sorta di “essere viaggio” – che trova riscontro immediato nella caratteristica totalizzante del Maestro, la
nudità, e dunque dell’ “essere-corpo”, che è errante perché pensante. Il corpo del Maestro e il suo pensiero finiscono per essere una cosa sola, da cui l’equivalenza dell’immobilità e dell’erranza proiettata in luoghi lontani della memoria.
Tale elaborazione che poggia sull’evoluzione semantica del termine “appartamento” – luogo di auto-identificazione assoluta –, tenuto conto del sistema di pensiero di Armah sulla corporeità, mira a dimostrare quanto segue : nonostante la stasi fisica del Maestro, il corpo e l’erranza mentale sono ancora profondamente legati in un unico processo avvalorato dalla memoria ri-percorsa – nei due sensi che ne restituisce la lingua francese : percorsa “de nouveau” e “à nouveau”, “di nuovo” e “in modo nuovo” – e dall’elaborazione di riflessioni in virtù di essa. Come in The voice Okara aveva posto al centro dell’opera la ricerca di una via alternativa alla degenerazione sociale incarnata dalla coppia Okolo-Tuere – ricerca di salvezza16 –, così Armah dibatte, nella doppia persona dell’ “uomo” e l’ “uomo nudo”, l’impasse della via di fuga. Se l’ “uomo” cammina molto, fugge dall’oppressione del tetto coniugale, esce per respirare aria pura e attraversa ponti e lagune per raggiungere il Maestro- eremita, al contrario questo ha rifiutato per sempre di rimanere nel “national game” (p. 55). La necrosi del sistema politico e sociale è destinata ad avanzare ; e l’impasse è ancora più insopportabile quando riemerge il ricordo dei propri cari lasciati dietro17.
In definitiva, il Maestro ha scelto di contrastare la corsa allo sfarzo con la fissità, ma l’erranza che ha ricevuto in compenso non ha nulla della libertà anelata. La triste scelta di « just (be) sitting there » (p. 60) e di non mettersi “su strada”, contrasta con quanto viene chiesto all’uomo del nuovo Ghana.
Con la metafora della guida nella moltitudine di strade « long roads, short roads, wide and narrow, steep and level, all sorts of roads » (p. 58), Oyo vuole convincere il marito a mettersi in corsa senza temere le conseguenze, gravi che siano, poiché « accidents would happen, […], but the fear of accidents would never keep men from driving, and Joe Koomson had learned to drive. » (p. 59). In termini decodificati, Oyo vuole che egli si metta alla guida di una manovra vincente nell’immensa rete di corrotti, alla stregua dell’ormai ministro
16 Eustace PALMER, op.cit., p. 157. 17 « ‘And so Teacher runs.
‘And so I run. I know I am nothing and will never be anything without them, and when most wish to stop being