In poche parole, per dare fondamento teorico alla distinzione per noi rilevante tra lo studio del fenomeno-follia e della fenomenologia del folle in letteratura, ci avvaliamo del postulato sviluppato dall’antipsichiatria secondo il quale all’origine della malattia del folle sta la follia della società malsana, da cui la contrapposizione tra schizofrenia della società e la buona salute del folle. A questo postulato teorico, si coniuga l’importanza del contesto sociale nel quale è precisata la posizione del folle, sia nella prospettiva psicodinamica messa in luce da I. Sow, sia nell’ottica socio-familiare della manifestazione della follia studiata da M.-C. e E. Ortigues. Sul piano delle idee, lo scenario intellettuale africano ripercorso da Mouralis, rivela che a partire dagli agli anni ’60, gli scrittori iniziano a rifiutare l’immagine di sé, assimilata dallo sguardo etnologico occidentale (cui si andavano ad associare la psicologia e la psichiatria), che nasceva dall’equazione Africa = follia.
Una sorta di sentimento antipsichiatrico doveva quindi diffondersi negli ambienti africani poiché, in definitiva, il disagio dei singoli individui era provocato essenzialmente dai sistemi politico-sociali in vorticoso delirio. Ed è significativo che uno psichiatra anticolonialista come Frantz Fanon sia giunto praticamente a negare l’esistenza della follia, o meglio ad affermare l’inadeguatezza della psichiatria a risolvere il problema di violenza cui è sottoposto l’uomo decolonizzato, come mostra il passaggio da Peau noire, masques blancs a
Les damnés de la terre. Il suo atteggiamento – rileva a buon diritto Mouralis – suggerisce la
portata filosofica del pensiero di Fanon che invita il soggetto ad esprimersi. Ci pare che gli scrittori, da questo momento in poi, si posizionino contro la psichiatria quale istituzione occidentale, preferendovi due metodi differenti e complementari : l’investigazione psicologica che il soggetto deve fare con se stesso ; e l’indagine sociale attraverso significanti propri e figure simboliche per la società di riferimento.
Ebbene, la nostra prospettiva sorge da tutti questi rilievi, sulla base dei quali il folle, codificato dalla propria collettività e illustrato in quanto tale dal narratore, è un significante
endogeno e non un termine acquisito, benché egli presenti tutti i retaggi delle influenze e delle violenze coloniali. Tenuto poi conto che « on ne peut pas reconnaître la folie, mais on peut reconnaître le fou »60, abbiamo scelto di seguire l’itinerario dei folli affetti da « maladies [qui] n’entrent pas dans le champs de la psychiatrie »61, e che sono in prima istanza veicolate dalla loro erranza.
L’erranza dei folli va considerata nel senso più ampio del termine, per cui il viaggio, la marcia, la fuga, il viaggio iniziatico, la ricerca interiore, la mistica, sarebbero tante forme metonimiche del movimento.62 Inoltre, il percorso erratico non è ancorato a nessun tipo di fissità spaziale o temporale : citando The Politics of Experience63 di Laing come esempio di esperienza trascendentale vissuta coscientemente dal folle, Deleuze valorizza la portata concreta del viaggio nel quale la distinzione tra viaggio interiore e viaggio esteriore svanisce. È bene specificarlo, i pellegrinaggi dei nostri folli sono viaggi a tutti gli effetti, anche quando le loro divagazioni si trasformano nell’esperienza mistica dell’erranza che attraversa i confini dello spazio e del tempo. Crediamo anche noi, come Deleuze e Guattari, che il percorso del folle non vada ridotto all’allucinazione e delirio64. Vedremo certamente esempi di percorsi allucinati, come di delirio verbale, ma vogliamo suggerire di considerare l’erranza del folle come un “viaggio dell’esperienza del viaggio”, ovvero come un percorso nel quale il folle incontra i propri passi e le diverse impasses. La sola malattia eventuale dei folli è dunque l’erranza ; e vedremo alla fine del percorso di questa tesi cosa essa celi.
Diamo un rapido prospetto del corpus prima di illustrate il tragitto del nostro studio. La cronologia dei ventuno testi narrativi (17 romanzi, 4 racconti) in tre fasce storiche – fine della colonizzazione, instaurazione delle indipendenze, epoca contemporanea – non è di per sé rappresentativa di un’evoluzione letteraria della figura del folle. Le affinità tra opere che rientrano in periodizzazioni distinte confermano l’artificio di una distribuzione cronologica ; motivo per cui abbiamo preferito alla successione temporale la coerenza tematica, costituita dal filo rosso del cammino come effetto – diretto o indiretto – del colonialismo nel tessuto immaginario delle opere. Benché la parte francofona sia due volte più rappresentata che
60 “Folie” in Encyclopaedia Universalis, vol . 7, p. 93. 61 Bernard MOURALIS, op.cit., p. 68.
62 Vedi Gianfranco RUBINO e Carlo PAGETTI, Dimore narrate, Roma, Bulzoni, 1988; GianfrancoRUBINO, Jean
BURGOS, Figure dell’erranza, Roma, Bulzoni, 1991; MichelMAFFESOLI, Del nomadismo. Per una sociologia
dell’erranza, Milano, Franco Angeli, II edizione, 2002.
63 David LAING, The Politics of Experience and the Bird of Paradise, Harmondsworth, Penguin, 1967. 64Gilles DELEUZE, Félix GUATTARI, Anti-Œdipe., cit., p. 101.
quella anglofona, questa abbraccia altresì l’intero periodo di studio : come il corpus in lingua francese si apre negli anni ‘50 con “Sarzan” (1947) di Birago Diop e si chiude nel nuovo secolo con il romanzo di Sémou MaMa Diop Thalès-le-fou (2007) – Les Petits de la guenon (2009) di Boubacar Boris Diop è, sì, successivo, ma pubblicato la prima volta in wolof nel 2003 –, così il corpus in lingua inglese si apre nel 1952 con The Palm-wine drinkard di Amos Tutuola e s’interrompe con Chairman of fools di Shimmer Chinodya pubblicato nel 2005. L’innegabile estensione geografica del campionario è però ridimensionata qualora si guardi meglio alla distribuzione della produzione, a riprova della concentrazione letteraria in alcuni poli potenziati sotto il colonialismo, qual è il caso di Dakar. Difatti sono ben 6 gli autori provenienti dal Senegal – Birago Diop, Cheikh Hamidou Kane, Ousmane Sembène, Boubacar Boris Diop, Fatou Diome, Sémou MaMa Diop – alcuni dei quali sono ben noti : è il caso di Cheikh Hamidou Kane che deve la fama all’ormai classico L’Aventure ambiguë (1961) sul conflitto culturale, ed anche di Sembène, il quale illustra in Véhi-Ciosane gli stessi esiti della colonizzazione. Ma è anche il caso di Boubacar Boris Diop, prolifico scrittore di cui analizzeremo Le Temps de Tamango (1981) e soprattutto due testi meno sovversivi ma più problematici, Le Cavalier et son ombre (1997) e Les Petits de la guenon. Degli ultimi due, appartenenti alla nuova generazione, considereremo rispettivamente il pressoché sconosciuto racconto “Ports de folie” (2002) e Thalès-le-fou. Analogamente al caso del Senegal, Amos Tutuola, Gabriel Okara e Chinua Achebe, rappresentano un altro paese attivo nella cultura letteraria, la Nigeria ; ma se dei primi due studiamo dei romanzi noti – The Palm-wine
drinkard e The Voice (1964) –, dell’ultimo non è Things fall apart che prendiamo in esame,
ma il racconto noto a pochi “The Madman” (1972). Tra gli altri autori del campionario, ve ne sono che godono di fama internazionale : è il caso del ganese Ayi Kwei Armah, distintosi nello scenario letterario africano con un’opera “cerniera”, inaugurale delle tanto desiderate indipendenze : The beautiful ones (1968), che andremo a studiare. È anche il caso di Sony Labou Tansi e Tchicaya U Tam’si, rispettivamente del Congo Kinshasa e Congo Brazzaville, oramai studiati alle diverse latitudini dell’Africa e in occidente. Del primo abbiamo selezionato L’Anté-peuple (1983) e del secondo un racconto e due romanzi, “Le fou rire” (1980), Les Méduses (1982) e Ces fruits si doux de l’arbre à pain (1987). Anche la notorietà di Nuruddin Farah e Mongo Beti, dei quali analizzeremo rispettivamente Close sesame (1983) e L’Histoire du fou (1994), oltrepassa i confini della Somalia e del Camerun. Al contrario, la riflessione letteraria sulla rivalsa anti-apartheid di Njabulo S. Ndebele in “Fools” (1985) è centrale in Sudafrica, ma poco conosciuta nel resto del continente ; così come Shimmer
Chinodya, stimato in Zimbabwe dall’intera comunità letteraria, è ancora in attesa di riconoscimento internazionale. Si veda dunque lo scenario composito ma, allo stesso tempo, vincolato a pochi fulcri storico-territoriali che mostrano una doppia stratificazione, quella regionale sottesa a quella panafricana.
In base a tale quadro, su cui fondiamo l’ipotesi del folle come figura di mediazione, affrettiamo la presentazione delle tappe del nostro studio disposto su tre gradi assi, corrispondenti alle tre parti della tesi. Nella prima affronteremo lo studio tipologico dei folli in cammino dando rilievo al piano tematico e descrittivo. Ci appariranno tre distinte modalità di erranza, le quali vanno a qualificare i diversi folli raggruppati in tre capitoli : i folli che abbiamo designato “fuori posto”, ovvero gli svitati, il cui smarrimento è tutto mentale ; i folli in viaggio, laddove il viaggio è mentale, fisico e metafisico, ad illustrare una minuziosa “anatomia del viaggio” ; e i folli visionari la cui erranza è iscritta nell’esperienza immaginaria.
Con la seconda parte entriamo nel vivo dell’analisi dei testi, tramite l’esame del discorso del folle in cui è il dinamismo della parola, del genere narrativo e del linguaggio delle immagini a scandire le tappe. Dei tre capitoli che compongono questa seconda parte, il primo rivelerà le modalità della parola errante del folle (amplificata, divagante e silenziosa). Il passaggio da un capitolo all’altro segna anche il cambiamento di piano dell’analisi ; così, dall’esame dell’enunciazione che caratterizza il primo capitolo, si passa a quello dei procedimenti narrativi in cui si evincerà un ampliamento dei confini formali del romanzo per opera del folle, da cui il titolo del capitolo “la stra-vaganza dell’opera”. La frammentazione della voce narrante e la sovrapposizione equivoca di diversi piani della diegesi, articolano il capitolo. Nel terzo, poi, vedremo che il movimento dinamico riguarderà anche il linguaggio delle immagini, nella misura in cui il grande mosaico immaginario composto dalle opere illustrerà la ricchezza di figure della transizione in una precisa sintassi discorsiva.
Gli esiti di questi tre livelli di analisi saranno poi estrinsecati nella terza ed ultima parte della tesi, in cui tenteremo di mettere in luce le implicazioni storico-sociali del folle come mediatore con tre dimensioni della società (spirituale, istituzionale, letteraria) : il personaggio del folle ci apparirà nel primo capitolo come mediatore rispetto alla sfera spirituale imperniata, in prima istanza, sul pensiero tradizionale e sul credo delle religioni acquisite. Vedremo poi in che misura egli si manifesterà come intermediario rispetto all’autorità, precisamente all’istituzione paterna e politica, nonché ad alcune figure femminili.
In ultima analisi, nel terzo capitolo rileveremo la funzione mediatrice del folle nell’istituzione letteraria, rispetto alla quale renderemo chiaro lo status delle opere sul folle, del discorso africano e infine della figura del romanziere.
PARTE PRIMA
Contemplare il cammino del personaggio del folle, e non unicamente la sua rappresentazione, è di per sé una scelta di prospettiva. Significa anzitutto avvalorare la qualità dinamica della sua figura che è indicativa di un mutamento della percezione spaziale nell’Africa post-indipendente. I capisaldi socioculturali sono infragiliti, il folle vaga al di là dello spazio autarchico ; e, come Michel de Certeau rimarca, sulla perdita di roccaforti ontologiche, il « commencement nouveau – successivo ad ogni perdita e rottura – commande une suite d’errences et de poursuites »1. Benché il contesto sia del tutto dissimile, Michel de Certeau ci suggerisce che la spinta dinamica non è del tutto disinteressata quando a monte vi è la minaccia dei punti di riferimento. Tra gli esempi che studiamo, quelli di erranza pura, vagabondaggio spensierato, sono rari ma non assenti. La leggiadria del passo viene meno quando il contesto storico si fa più minaccioso ; così la “malattia” del folle finisce per essere incorporata al suo cammino, come dire che la malattia del folle è il suo cammino. Prosegue così Michel de Certeau su di un piano per noi fondamentale : « On est malade de l’absence parce qu’on est malade de l’unique »2, confermando in primo luogo la coincidenza dell’erranza e della malattia e, in secondo luogo, la ricerca di un ordine nuovo.
Il dinamismo dei folli si dispiega su tre linee che raggruppiamo nei tre capitoli di questa parte, ad indicare tre tipologie distinte di erranza. Il primo tipo è costituito dai folli “fuori posto”, per i quali lo spostamento è l’essenza del folle. È condizione mentale nell’idiota e nello scemo del villaggio (il bevitore in The Palm-wine drinkard, “The Madman”). Ma il disorientamento del “folle fuori posto” può anche essere una condizione indotta dal contesto coloniale e conseguente allo sradicamento finalizzato alla partecipazione bellica in Europa, da
1 Michel de CERTEAU, La fable mystique, Paris, Gallimard, 1982, pp. 9-10. 2 Ivi, p. 10.
cui l’altro senso dello spostamento fisico, che coincide con il trauma del militare. È il caso dei reduci di guerra (Kéita in “Sarzan”, Tanor in Véhi-Ciosane, il “fou” in L’Aventure ambiguë).
La dimensione del viaggio caratterizza una seconda tipologia di folli in cammino ora protagonisti in un vero e proprio itinerario. Il quadro articolato nel secondo capitolo fa emergere una complessità del viaggio che convoca l’aspetto corporale, da cui l’importanza di un’analisi “anatomica” del viaggio stesso. Il viaggio è a volte refrattario al dinamismo fisico : viaggio da fermo per l’uomo nudo in The Beautiful ones ; piccoli moti abortiti e l’energia potenziale del treno in corsa esprimono l’inerzia sociale in “Fools”. Lo è meno con Nitou Dadou, indolente prima, in fuga poi (L’Anté-peuple). Ma è con Okolo che l’itinerario si concretizza realmente in viaggio iniziatico (The Voice). La fuga in boscaglia del gruppo di emarginati in Les Crapauds-brousse diviene pellegrinaggio con l’empatico “fou”. E il viaggio si tramuta in percorso ascetico nelle opere di Tchicaya U Tam’si – “Le fou rire”, Les Méduses e Ces fruits si doux, a dimostrare una dinamica sempre più incalzante.
All’analisi anatomica, segue l’approfondimento archeologico dello spazio immaginario, cui invitano i folli del terzo capitolo : i folli sono ora visionari e creativi che prediligono il cammino della profondità nell’onirismo. Khaliif in Close sesame rievoca il potenziale simbolico tradizionalmente conferito al folle ; in « Ports de folie » è questione di un viaggio visionario nell’immaginazione di Toutina. La dimensione immaginaria àncora viepiù il folle alla creazione letteraria : dagli artisti folli e folli erranti di Boubacar Boris Diop – N’Dongo in Le Temps de Tamango, Khadidja in Le Cavalier et son ombre, Ali Kaboye in
Les Petits de la guenon – al folle-creatore in Thalès-le-fou, a una sagoma di folle dai mille
volti che rende conto dell’atto letterario in L’Histoire du fou, allo scrittore impazzito in
C
APITOLO PRIMO.Il folle fuori posto
1. La ricerca ossessiva del bevitore-buffone. The Palm-wine drinkard di Amos