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Come era capitato ad Amos Tutuola, Gabriel Okara viene accusato di deformare l’inglese classico a favore di una lingua “africanizzata” la quale, sovvertendo la sintassi e abbondando in neologismi, avrebbe come unico intento di restituire il folklore locale. Ci si rende però subito conto che la lingua adottata da Okara non è affatto l’esito di una manipolazione dell’inglese. È piuttosto il veicolo espressivo di un’essenza africana delicatamente lavorata nell’alternanza di puro inglese e del linguaggio d’ispirazione Ijaw. Sul piano strettamente linguistico, egli stesso indica che il procedimento adoperato corrisponde

51 Xavier GARNIER, La Magie dans le roman africain, Paris, Presses Universitaires de France, 1999, p. 147.

alla traduzione, fedele il più possibile, della lingua vernacolare nella lingua inglese attraverso nuove forme di espressione52, da cui le veementi polemiche presso gli accademici nigeriani.

I lettori anglofoni si trovano disorientati da concetti di cui non comprendono il significato ; ed alcuni intellettuali nigeriani – lo scrittore John Pepper Clark, per esempio, Ijaw come Okara – non hanno saputo apprezzare questo procedimento sfociato in una lingua giudicata poco comprensibile. Eustace Palmer53 ne apprezzerebbe le numerose influenze letterarie e la capacità di creare personaggi coloriti ; Arthur Ravenscroft, la cui introduzione al romanzo appare nel 1969, darebbe di The Voice un’interpretazione soprattutto politica, rispetto alla quale Eustace Palmer vuole mettere in guardia.54 Se le osservazioni di Obi Maduakor sono in parte condivisibili – la leggendaria Africa, fresca e genuina, ricca di simboli di purezza tramite cui Denise Coussy55 presenta il romanzo di Okara non rispecchia a giusto titolo l’anima dell’opera –, i lacunosi tentativi di definire The Voice e i giudizi contrastanti deriverebbero probabilmente dalla inesauribilità delle sue interpretazioni.

Diventa opportuno quindi ricordare una precisazione di Arthur Ravenscroft, nella sua introduzione, per il quale The Voice è anzitutto un romanzo poetico nel senso pieno del termine :

«The voice is very much a poetic novel, not in the sense of the word ‘poetic’

which suggests artificial beauty and remoteness from ordinary life and a vague emotional roseate glow. Rather, it is poetic in structure, intense and sharp in felling, close-knit, highly economical in expression, with something of central importance for the total meaning of the novel going on all the time – almost in every sentence. And the ‘simplicity’ of the story and its meaning is really very deceptive. It’s the kind of simplicity that isn’t simple at all. »56

Queste poche righe rendono bene la complessità dell’opera nel linguaggio allusivo, nella struttura che sottende l’intreccio e nelle interpretazioni che aprono varchi a discipline attigue alla letteratura come la politica e la filosofia. Nondimeno, l’aspetto linguistico in

52 Jean SÉVRY, traduttore della versione francese La Voix (Paris, Hatier, 1985), ci ricorda la natura delle

difficoltà in cui Okara si è imbattuto : essendo il ijaw una lingua tonale, a differenza della lingua accentata dell’inglese, Okara ha scelto di esprimere le sensazioni e l’energia dei sentimenti, per esempio, con la ripetizione, doppia o tripla, delle parole portatrici di particolare significato (pp. 6-7).

53 Cfr. Eustace PALMER, An introduction to the African novel, London, Heinemann, 1972, p. 155. 54 Ibid.

Okara non attirerebbe più di tanto la nostra attenzione se non veicolasse elementi specifici della cultura Iiaw, etnia del delta del fiume Niger, chiamati in causa dal personaggio di Okolo, il protagonista del romanzo.

Okolo, che in lingua Ijaw significa “voce”, è messo al bando dal capo del villaggio Izongo, e dunque dall’intera comunità, perché, come gira voce in città, « Okolo’s eyes were not right, his head was not correct. » (p. 23) Okolo non sarebbe una persona come le altre ; e la sua anormalità deriverebbe dalle troppe letture fatte quand’era studente all’estero e dalle lunghe passeggiate in foresta, crogiolo di pericoli per la sanità mentale. Per queste ragioni « Okolo had no chest, they said. His chest was not strong and he had no shadow. » (p. 23). Come si sarà notato, in queste poche righe che aprono il romanzo, ci troviamo di fronte a termini dal senso simbolico più ampio di quello letterale. Il “busto” non è soltanto una parte del corpo, ma il luogo fisico in cui risiede qualcosa di più grande. Così, l’ “ombra” sembra essere un’entità vivente più che la riproduzione passiva di un organismo. Immediatamente leggiamo :

« Everything in this world that spoiled a man’s name they said of him, all because he dared to search for it. He was in search of it with all his inside and with all his shadow. » 57 (p. 23)

L’ “ombra”, ci spiega Jean Sévry, è il termine con il quale viene designata la parte duale dell’anima che accompagna il corpo nella sua avventura terrestre. È quella parte quindi che dà forma alle azioni desiderate e agli sforzi dell’uomo. Del passo citato colpisce anche l’uso che Okara fa del termine “Inside”. Con questo, Okara indica la parte più profonda dell’uomo in grado di toccare la coscienza umana. È il luogo intimo dove fare i conti con la propria etica che Jean Sévry traduce con “foro interiore”, espressione per noi efficace ma poco apprezzata da chi sostiene che non rende l’opposizione tra la dimensione interiore dell’essere e quella esteriore del fare.58 Con tutta l’anima e con tutto il corpo – diremmo noi semplificando notevolmente queste due nozioni ben più dense – Okolo va alla “Sua” ricerca,

56 Arthur RAVENSCROFT, introduzione a The Voice, Heinemann, African Writers Series, 1970, p. 4-5. D’ora in

poi facciamo riferimento a questa edizione per le citazioni dell’opera segnalate tra parentesi nel testo.

57 Corsivo presente nel testo.

58 Ci riferiamo in particolare a Jacky Martin il quale, riconoscendo al concetto di “Inside” la dimensione

giuridico-religiosa del “tribunale della coscienza” (dal latino forum), vi preferisce il termine “dentro” in opposizione a “fuori”. Vedi Jacky MARTIN, « Le concept de “Décentrement” dans l’écriture et la traduction de

dove il pronome “it”, messo graficamente in evidenza nel testo e mai sostituito con altri termini, interviene da solo a connotare la ricerca di Okolo. Per questa sua ossessione, il protagonista finisce per essere relegato dal tirannico capo del villaggio come un reietto, accusato di tormentare la gente domandando, incessantemente, chi possiede “quella cosa” : “it”.

In effetti, al centro del romanzo risiede la ricerca di questo valore che nobilitava gli Avi e che è andato perduto nella nuova società materialista e spiritualmente svuotata. Okolo, contro corrente, entra nel novero degli emarginati e dei folli in quanto presenza minacciosa per chi, come Izongo, ha interessi a tenere a bada il libero pensiero dei cittadini sotto il suo dominio. Dopo aver minacciato Tuere, la donna allontanata ai margini della città poiché accusata di stregoneria, Izongo pretende l’ammissione di Okolo sulla propria anormalità :

« “Your head is not correct !” Chief Izongo shouted at Okolo. “Me, my head not correct?” Okolo said laughing in disbelief.

“I know that you do not agree as one that palmwine has held does not agree that palmwine has held him ; […] one whose head is not correct never agrees that his head is not correct […] ». (p. 38)

Il potenziale moralizzante di cui Okolo è portatore mette in pericolo l’egemonia di Izongo, il quale decide di allontanarlo per sempre da Amatu. La maniera in cui Okara descrive il richiamo della folla al comizio di Izongo dove annunciare l’allontanamento di Okolo è di forte impatto :

« all the people of Amatu : men, women, children, the lame, the deaf and dumb and the blind. All the people came hurrying to Izongo’s compound. Even the deaf and the dumb looking at lips as a hungry person looks at the mouths of people eating, hurried ; and the blind, staring hard at nothing, guided by stamping feet and voices, groped ; and the lame with dust in their eyes from heels that looked at nothing, crawled to Izongo’s compound.

When the people : men, women, children, the lame, the deaf and dumb and the blind had gathered in his compound, Izongo stood up from his raised seat at the centre and spoke. » (p. 71)

The Voice de Gabriel Okara », Anglophonia, French Journal of English Studies. Langues et littératures. Linguistique, stylistique, traduction, Caliban, Presses Universitaires du Mirail, Toulouse, n° 9, 2001, p. 210.

Questo frammento, che dà conto dello stile di Okara, mostra il valore conferito alla ripetizione e alla focalizzazione di alcuni personaggi critici. Uomini, donne, bambini, storpi, sordo-muti e ciechi, sono tutti chiamati a partecipare al comizio nella tenuta di Izongo. Nel menzionarli più volte, l’autore intende farci notare che gli esclusi sono strategicamente interpellati alla stregua della gente comunemente qualificata di “uomini, donne e bambini”. Inoltre, in questo passo, che rappresenta a nostro avviso uno dei picchi critici del romanzo in cui tra le righe Okara sembra esporsi di più contro la stoltezza del potere, il folle Okolo è considerato ai margini degli emarginati, più fastidioso di coloro le cui deformazioni danno fastidio alla vista. Okolo è descritto come un corpo fetido da eliminare :

« A stinking thing like a rotten corpse be, which had made us all, you and me, breathe freely no more for the many years past. Now we are free people be, free to breathe. » (p. 72)

Ecco che della follia di Okolo abbiamo da Izongo la descrizione più completa e la spiegazione ufficiale. Okolo è folle per aver osato andare alla ricerca di “it” e per invitare gli abitanti all’austerità contraria all’abbondanza materiale di cui Amatu gode :

« […] it is a strong thing be to send away one who is looking for it. Only a mad man looks for it in this turned world. Let him look for it in this wide world if he can find

it. But we don’t want him to stay here asking, “Have you it? Have you it? Have you it?”

Even in our sleep we hear him asking. We know not what it is. We do not want to know. Let us be as we are. We do not want our inside to be stirred like soup in a pot. We do not want to be troubled by one whose inside is filled with water. So, let us be. » (p. 72)

La ricerca della moralità e della purezza in coscienza è qualcosa difficile da individuare ; quindi spaventa. La posizione di Izongo è chiara : non sa cosa “ciò” sia, e non vuole saperlo per non scalfire la tranquillità collettiva – ovvero la propria, assicurata tenendo la gente sotto il giogo dell’insipienza. Il “wide world” in cui Izongo intende far proseguire la ricerca ad Okolo è la città che lo metterà a dura prova.

Abbandonata Amatu, inizia per Okolo un viaggio in piroga verso Sologa, la città infernale, che anagrammata ricondurrebbe a Lagos (Lagos-o), una delle città più grandi

dell’Africa nonché capitale commerciale della Nigeria59. Come giustamente diversi critici evidenziano – Eustace Palmer per primo –, il viaggio in piroga a Sologa richiama molti miti classici. Il che ci consente di affermare che il viaggio di Okolo alla ricerca di “it” sia un viaggio iniziatico a tutti gli effetti, scandito in tre tappe : l’ingresso negli abissi infernali o il calvario, la morte rituale o la prova sacrificale, infine la rinascita.60

Avremo modo di affrontare nel dettaglio l’articolazione del modello iniziatico in uno stadio avanzato del lavoro.61 Per ora accontentiamoci di notare due punti cruciali del personaggio di Okolo : la sua follia, sancita dal capo villaggio, consiste nella ricerca di un’entità intangibile ed invisibile agli occhi della gente dei tempi nuovi ; in secondo luogo, tale ricerca non poteva che prendere forma nel viaggio iniziatico verso Sologa in cui poter interpellare una personalità autorevole in grado di illuminarlo su “quella cosa”. A differenza delle opere viste nel primo capitolo, in cui l’impazzimento dei personaggi coincide con il rientro in patria – fatta eccezione per il bevitore di Tutuola e per il Madman di Achebe, entrambi in continuo movimento perché deviati –, qui la presunta follia si confonde con il viaggio.

Con l’opera di Gabriel Okara inauguriamo una tipologia di folle che non ha più nulla a che vedere con i personaggi anomali con “qualche rotella fuori posto” quali erano il bevitore di vino di palma, lo scemo del villaggio di Achebe, il sergente Kéita di Birago Diop, il reduce di guerra di Sembène o il folle dell’Aventure Ambiguë. Il girovagare di questi ultimi corrisponde, nella maggior parte dei casi, ad un movimento meccanico caratterizzato soprattutto dallo spostamento fisico come segnale di uno spostamento mentale : naturale, nel caso dei primi due, inculcato dalla guerra, nel caso degli ultimi tre. Invece, con Okara e gli autori che tratteremo in questo capitolo, ci troviamo di fronte ad una tipologia di folle che si definisce in funzione del viaggio inteso come attraversamento fisico (più raramente mentale) di uno spazio. In The Voice, il viaggio è vissuto nel presente del suo sviluppo ; mentre nelle opere francofone viste precedentemente, il viaggio (di ritorno) era avvenuto prima della vicenda narrata.

59 V. Viney KIRPAL, « The Structure of the Modern Nigerian Novel and the National Consciousness », MFS

Modern Fiction Studies, Vol. 34, n° 1, Spring 1988, pp. 45-54 ; Chris DUNTON, « Entropy and Energy: Lagos as

City of Words », Research in African Literatures, vol. 39, n° 2, Summer 2008, pp. 68-78.

60 Vedi Joseph CAMPBELL, The Hero with a Thousand Faces, New York, World Publishing Company, 1949. 61 Vedi cap.3.2.a. – Parte II.

Dal punto di vista dell’economia del romanzo, il viaggio rituale di Okolo occupa i capitoli centrali del romanzo62 per dar voce alla sua ricerca e far sì che essa si radichi nella gente inebriata dal materialismo. Colpisce una certa ingenuità del personaggio che spesso si lascia trascinare dagli eventi e che si meraviglia dell’opportunismo dilagante a Sologa. Non è quindi senza fondamenta il rilievo che fa Eustace Palmer63 su Okolo dell’ingenuo picaresco Don Chisciotte. Come l’eroe del Cervantes, Okolo rincorre, incaponito, quell’ideale di integrità ; e, come lui, apprende la bassezza e l’ipocrisia delle persone che incontra durante la sua ostinata rincorsa. Numerosi esempi di questo tipo ce lo confermano. Durante il viaggio in piroga, egli si presta a dare riparo alla promessa sposa, zuppa dell’acqua della tempesta ; e subito viene accusato di seduzione. Ancora, giunto a Sologa, Okolo crede di essere davvero condotto alla scoperta di “it”, di cui “Big One”, una figura ambigua, custodirebbe i segreti, secondo Okolo. Finisce invece in un ambiente buio che richiama una cella di prigione, dove dubitiamo per un istante sulla sanità di Okolo in preda a raptus visionari. Ancora, l’incontro con uno strano poliziotto, disconnesso nelle risposte e schivo negli atteggiamenti, e con l’oste del ristorante – una sorta di locanda di matti – che lo scoraggia a proseguire la sua quest, dimostrano quanta omertà vi sia nella gente comune a Sologa ; in definitiva, Sologa è l’aspettativa delusa agli occhi dell’idealista.

La sua ingenuità per così dire donchisciottiana, si interseca poi con diversi miti, come quello della ricerca del santo Graal in una sorta di “Waste Land” spiritualmente arida64, o ancora con il mito della traversata del fiume e del traghettatore di anime65, senza dimenticare la funzione rituale del capro espiatorio, fondamentale per la comprensione profonda dell’opera e che approfondiremo altrove.66

Intanto è necessario comprendere il viaggio di Okolo e la sua presunta follia come una presa di posizione e una sfida verso la morale comune. I richiami mitici che si accumulano nel viaggio di Okolo ci inducono a pensare che si tratti di un viaggio interiore, in virtù di sistemi di segni che alludono ad una ricerca più simbolica che fisica. La ricerca di una nobile entità, qual è “it”, non può che avvenire nella propria interiorità. L’autore difatti non opera una

62 Di dodici capitoli di lunghezza diversa, otto narrano gli episodi che avvengono durante l’arco temporale del

viaggio di Okolo. Dal terzo al decimo capitolo, ovvero dalla partenza verso Sologa al rientro ad Amatu in piroga, assistiamo ad avvenimenti che si svolgono nella città d’origine in cui si dibatte e si combatte contro l’impresa di Okolo già in procinto di risvegliare le coscienze di alcuni.

63 Eustace PALMER, op. cit., p. 158. 64 Ivi, p. 157.

65 Obi MADUAKOR, « Myth and Mysticism in Gabriel Okara’s The Voice », Commonwealth Essays and studies.

Conversation with Wole Soyinka. The supernatural, vol. 15, n° 2, Spring 1993, p. 59. Cfr. Cap.3.2.a – Parte II.

descrizione fisica del protagonista, di cui appunto non abbiamo elementi. Egli procede piuttosto – Ravenscroft67 lo fa notare – alla descrizione fisica dello spirito di Okolo, di cui l’ “inside”, lo “shadow”, il “chest” sono tanti luoghi fisici quante sono le sedi dei sentimenti e degli elementi che formano l’essere profondo. Così la corporeità delle sensazioni, rendono il viaggio fisico di Okolo, da Amatu a Sologa, un coraggioso ingresso nel labirinto dell’ignoto interiore. Tale è la logica che suggeriamo di adottare per comprendere la dimensione anatomica del viaggio di Okolo nella misura in cui la piroga, che scorre lungo le acque del fiume Niger, rimanda alla sua anima la quale scorre lungo il sangue del proprio corpo, alla ricerca della coscienza rimossa e della memoria degli Avi. Tale parallelismo con il corpo nella poetica di Okara trova tradizionalmente conferma nella muta presenza degli spiriti ancestrali tra di uomini, con i quali stabiliscono un rapporto diretto : la rettitudine della parola da loro insegnata, Okolo vuol far trionfare sulla maniera sinuosa di comportarsi nell’epoca contemporanea ; e la linea serpentina, simboleggiando il luogo corrotto, anticipa la destinazione del viaggio di Okolo.

Tale linea serpentina, più morale che fisica, è già illustrata dalla traversata del fiume Niger che conduce al labirinto urbano nel quale Okolo sostituisce ai canali razionali – anche a Sologa Okolo viene preso per matto – quella forma di intelligenza che Pierre Loubier chiama « conscience souterraine »68. La città di Sologa è a metà strada tra il labirinto urbano e la discesa agli inferi dell’epoca moderna governata dalla corruzione e presieduta da “Big One”, il presunto detentore di verità, secondo l’ingenuo Okolo. Difatti questo si trova presto di fronte ad un bianco che lo attende ; e che capiamo essere uno psichiatra, simbolo del rimedio cui opta Sologa per controllare i dissidenti, attraverso l’internamento :

« ‘My instructions are that you are to be taken to the asylum. You are not wanted here. You have given too much trouble already in Sologa. You are to be confined here in a room until you are taken to the asylum.’ » (pp. 86-87)

Qui Gabriel Okara mette in scena una questione cruciale del colonialismo : l’inserimento della psichiatria occidentale nei diversi contesti africani. Non è un caso che a Sologa, la città moderna socialmente e politicamente corrotta, trionfi la medicina dei bianchi, al servizio, però, del nuovo sistema di potere. In effetti, lo psichiatra bianco appare nient’altro

67 Arthur RAVENSCROFT, op. cit., p. 17. 68 Pierre LOUBIER, op. cit., p. 31.

che un funzionario assoldato da “Big One”, il reale detentore del potere materiale. Il manicomio, come accaduto in Occidente e come denunciato da Foucault nella sua vasta

Histoire de la folie, ha qui la funzione di prigione, di luogo di segregazione dei soggetti

ritenuti pericolosi per impedir loro di circolare liberamente. Ed è intuibile che in un regime totalitario come quello di “Big One” gli uomini liberi di pensare entrino nel novero delle persone pericolose : internare Okolo significa, sì, renderlo inoffensivo, ma al contempo – spiega lo psichiatra – salvarlo dalla morte certa. Il dialogo tra Okolo e lo psichiatra bianco ricorda quello tra Moha e il medico francese in Moha le fou Moha le sage di Tahar Ben