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La stesura de L’Aventure ambiguë procede nel pieno degli anni ’50, mentre Cheikh Hamidou Kane, come buona parte dell’élite africana, era in Europa ; ovvero, procede nella fase in cui – sebbene per poco, ormai – il potere coloniale scarnisce il potenziale africano in virtù delle ultime imprese care agli affari interni, prima che si concretizzino le indipendenze

africane. Il romanzo, pubblicato nel 1961, mette in luce le numerose implicazioni del nuovo concetto di “indipendenza”. Questo grava sulla costituzione di entità politiche, sui nuovi sistemi economici ancora da sperimentare ; grava sull’assetto sociale e, ancor di più, sul sistema etico e culturale di ogni comunità africana. Così, anche sulla società dei Diallobé, descritta dal suo interno, ma la cui riflessione si estende ben oltre i confini del Senegal ; e la portata estesa del conflitto di origine coloniale è sintetizzata magistralmente nel “fou” de

L’Aventure Ambiguë. Il conflitto è interiore prima ancora che politico, ed è iniziato in pieno

clima coloniale, ma si è definito come “dramma istituzionale” con l’indipendenza, come appare chiaramente in questo testo d’esordio e capolavoro di Cheikh Hamidou Kane.

L’Aventure ambiguë è un’indagine raffinata nell’etica dei Diallobé del Senegal, in

bilico tra il vecchio sapere, quello proveniente dall’insegnamento coranico, e il nuovo, quello del pensiero razionale di stampo cartesiano. Il nocciolo della questione è costituito dalla legittimità di accettare l’ “école nouvelle” occidentale, legittimità su cui non esiste un accordo unanime tra le autorità comunitarie. Il rischio nel quale i discendenti dei Diallobé incorreranno, secondo il capo della comunità, è che « apprenant, ils oubliront aussi » (p. 44). Egli, padre del giovane protagonista Samba Diallo, dubita seriamente sulla scelta da fare, mentre il “Maître”, rappresentante della vita spirituale e del sapere islamico, mostra la via tutta rivolta a Dio. Il vero difensore del nuovo sistema è la sorella del capo dei Diallobé, la “Grande Royale”, la persona più rispettata, e la più temuta, nella società. La sua posizione esprime la chiara coscienza di ciò che sta avvenendo come dolorosa ma inevitabile conseguenza di ciò che è stato un secolo prima. La modernità dei propositi di questo personaggio non sta nell’accettazione della scuola occidentale tout court, quanto nella coscienza della sua necessità come effetto diretto della storia presente che esige nuovi strumenti di discernimento, quindi di difesa e di combattimento :

« [I]l faut aller apprendre chez eux l’art de vaincre sans avoir raison. Au surplus, le combat n’a pas cessé encore. L’école étrangère est la forme nouvelle de la guerre que nous font ceux qui sont venus, et il faut y envoyer notre élite, en attendant d’y pousser tout le pays. Il est bon qu’une fois encore l’élite précède. S’il y a un risque, elle est le mieux préparée pour le conjurer. » (p. 47)

Il celebre passo « l’art de vaincre sans avoir raison » illustra precisamente la natura strategica di una scelta occidentalista come arma di difesa ; e la sperimentazione di tale scelta ricade sul primo membro dell’élite giovanile, Samba Diallo, il cui percorso, in seno alla scuola straniera, mostrerà l’impatto morale e interiore proveniente da tale “arte”.

Prima ancora che il conflitto fosse esplorato in un’opera letteraria, Malinowski aveva già individuato, in pieno colonialismo, i rischi dell’applicazione indifferenziata del modello di istruzione coloniale in ambiente africano. Egli aveva riscontrato che l’insegnante europeo in Africa, spesse volte non è cosciente della portata culturale del suo programma pedagogico in netto contrasto con il sistema di apprendimento locale. In questi casi, per nulla rari, l’effetto è deleterio nella misura in cui « nous produisons souvent des Africains instruits qui n’ont leur place ni dans le monde tribal, ni dans la communauté européenne »73. È notevole la costatazione fatta da Malinowski di un processo che non può essere letto sotto il mero profilo del passaggio da una forma all’altra, dal vecchio al nuovo. Egli insiste sulla necessità di rilevare la lenta trasformazione interna alla cultura locale – e interiore all’individuo – nata da un’elaborazione impercettibile della contaminazione74. Quanto osservato da Malinowski agevola la comprensione del passo citato, ma anche dell’opera e di una generazione intera.

Per tornare alla citazione de L’Aventure Ambiguë, il lessico della guerra che si evince nell’arringa della “Grande Royale” inasprisce lo sconvolgimento sociale e morale di cui sono vittime, in misura diversa, Samba Diallo e il folle, intimamente vincolati nello scioglimento della trama. Come il protagonista è oggetto della nuova situazione da sperimentare, il folle è il frutto – non meno sperimentale – della storia coloniale, abbandonato poi dallo stesso sistema che ha generato il trauma. Ci riferiamo, anche in questo caso, al folle reduce di guerra sulla linea del sergente Kéita e di Tanor, tornati “diversi”. Del tutto rinnegati dal sistema coloniale che lo aveva integrato75, e in parte recuperati dalla società d’origine che, tradizionalmente,

73 Bronislaw MALINOWSKI, tradotto dall’inglese da Georgette RINTZLER, Les dynamiques de l’évolution culturelle. Recherche sur les relations raciales en Afrique, Paris, Payot, coll. Bibliothèque scientifique, 1970, p.

26.

74 « Considérons l’Africain instruit comme le produit final du processus. J’aimerais rencontrer l’ethnologue

capable de décomposer les éléments d’un Africain instruit sans détruire en lui la seule chose qui importe – sa personnalité. L’Africain instruit est un type nouveau d’être humain, doué de compétence et de vigueur, présentant des avantages et des handicaps, des problèmes et des perspectives auxquels ni son voisin européen ni son frère “de lit” ne peuvent prétendre. » Bronislaw MALINOWSKI,op. cit., p. 51.

75 Il grande disastro di cui hanno dato testimonianza le esperienze raccolte dei reduci di guerra africani negli oltre

cinquant’anni di guerre occidentali, concerne gli asili per alienati mentali eretti nei luoghi di maggiore afflusso. Tali asili non tenevano conto del rapporto esistente tra l’individuo, strutturato su peculiarità culturali proprie, e le varie sfere – sociale, sovrannaturale, del sacro ecc. –. Ciò ha causato numerose disgrazie ai danni degli infermi, nei confronti dei quali non si sottoponevano terapie adatte alla propria percezione della sofferenza. Vedi M.-C. et

incorpora ogni membro interno, i folli di cui è qui questione vivono una lesione profonda quanto più è traumatico il contatto con la violenta realtà extra-africana alla quale non erano abituati76. In un’intervista che Cheikh Hamidou Kane rilascia nel 1962, viene messa in risalto la modalità di reclutamento dei soldati dell’epoca, i quali, senza mai aver ricevuto istruzione, venivano addestrati in tutta fretta e arruolati nelle capitali africane, prima di essere inviati in Europa, senza alcuna sorta di preparazione77. Il folle de L’Aventure ambiguë, personaggio reale e non fittizio – dice l’autore nella stessa intervista – fa parte di quelli.

Come Kéita e Tanor, il “fou” de L’Aventure ambiguë appare fedele alla sua vecchia uniforme di combattente. A prima vista, la presentazione che ne fa il narratore sembra rientrare, anch’egli, nel prototipo del “tirailleur” :

« L’homme était sanglé dans une vieille redingote, sous laquelle le moindre des gestes qu’il faisait révélait qu’il portait les habits amples des Diallobés. La vieillesse de cette redingote, sa propreté douteuse par-dessus la netteté immaculée des boubous donnaient au personnage un aspect insolite. La physionomie, comme les habits, laissait une impression hétéroclite. Les traits en étaient immobiles hormis les yeux qu’habitait une inquiétude de tous les instants. On eût dit que l’homme savait un secret maléfique au monde et qu’il s’efforçait, par un effort constant, d’en empêcher le jaillissement extérieur. La versatilité du regard ensuite, jamais arrêté, dont les expressions étaient détruites à peine étaient-elles nées, faisait douter que le cerveau de cette homme pût seulement contenir une pensée lucide.

Il parlait peu, et cela, depuis qu’on avait commencé à le surnommer « le fou ». (pp. 97-98)

Come Kéita che portava « sous sa vareuse déteinte, sans boutons et sans galons, un boubou et une culotte »78, il « fou » de L’Aventure ambiguë indossa il cappotto militare sbiadito sopra la larga tunica dei Diallobé. La peculiarità di questi folli di guerra non consiste E. ORTIGUES, Oedipe africain, Paris, L’Harmattan, 1984; Vedi anche Catherine CLEMENT, Tobie NATHAN, Le

Divan et le Grigri, Paris, Odile Jacob, 2005, 1998.

76 Cheikh Hamidou Kane rileva, in un’intervista, la violenza che scaturisce dal contatto con il mondo esterno

imposto in periodo di guerra dalla colonizzazione. Vedi Barthélémy KUTCHY, « Interview de M. Cheikh Hamidou Kane, écrivain sénégalais, par le professeur Barthélémy Kutchy de l’Université d’Abidjan », Etudes

littéraires, vol. 7, n° 3, 1974, p. 482.

77 Vedi Jean GETREY, Comprendre L’Aventure ambiguë de Cheikh Hamidou Kane, coll. Les classiques

africains, Issy les Moulineaux, Editions Saint-Paul, 1982, p. 53.

dell’immagine congelata del vagabondo nella divisa militare, bensì nella strenua determinazione del soldato impazzito di continuare ad indossarla, come per indicare che al rientro della guerra non si è più come prima e che il ricordo di quello scempio deve rimanere visibile a tutti. La luminosità della veste tradizionale in contrasto con il putrido cappotto ha, in effetti, un che di ambiguo, da cui l’impressione del « secret maléfique » che il folle è suscettibile di custodire in cuor suo. In quanto figlio dei Diallobé, egli indossa la tunica come simbolo della sua reintegrazione nella società, ma quel segno distintivo lo lascia un po’ al margine. Difatti, « dans les débuts, on le crut sur parole », ma non appena i suoi modi stravaganti iniziano a disturbare la quiete comune, « assez, vite, on commença de mettre ses propos en doute » (p. 98). Non era tanto il racconto eccentrico della sua esperienza di guerra ad infastidire, quanto la mimica teatrale (p. 99), spaventosa alla stessa maniera di quella di Tanor.

La sua reazione è di totale mutismo quando si scopre deriso perché soprannominato “fou”. Si dubita sulla veridicità dei suoi racconti ; addirittura si inizia a notare che « aucun des autres fils du pays, qui avaient été à la guerre des Blancs, n’eût confirmé l’y avoir vu » nonostante « il prétendait qu’il revenant du pays des Blancs et qu’il s’y était battu contre les Blancs. » (p. 98) Il “fou” è definitivamente messo al bando dalla propria comunità ; e della sua marginalità si prende intimamente carico il “Maître” dei Diallobé, vittima come il folle dell’imposizione coloniale ed entrambi rifugiati nella preghiera.

Dunque, la follia del “fou” nasconde realmente la verità “maléfique” sollevata dal narratore, ma questa è chiara soltanto agli occhi del mistico. Il maestro coranico, la cui figura si decompone lentamente lungo il romanzo per indicare la decadenza della disciplina mistica, condivide con il folle il sentimento di svuotamento interiore : « Toi seul retiens la métamorphose » (p. 100) esclama il folle invocando l’aiuto del maestro contro la minaccia dell’occidentalismo incalzante. Se Kéita era stato punito per aver tentato di conformarvisi e Tanor aveva mostrato i danni irreversibili del colonialismo sull’intero sistema, il “fou” dell’Aventure ambiguë è l’incarnazione della strada dissestata che i Diallobé – Samba Diallo

in primis – sono invitati a non imboccare. E come Tanor si fa giustiziere e uccide il padre, il

“fou” è interprete, giudice e giustiziere della coscienza di Samba Diallo79 ; ma questo aspetto lo analizzeremo meglio nell’ultima parte della tesi.

79 Cfr. Victor O. AIRE, « Mort et devenir : Lecture thanato-sociologique de L’Aventure ambiguë », The french review, vol. LV, n° 6, mai 1982, p. 758.

A tal proposito è interessante sollevare la questione, non nuova, sulla presenza di eventuali altre figure di folli ne L’Aventure ambiguë. Secondo la posizione del critico Thomas Melone80 sarebbero da individuare altri due folli : il maestro Thierno e Samba Diallo. La difesa di questa tesi attiene, per ciò che riguarda il primo, all’estremizzazione delle pratiche ascetiche che spingono l’individuo ad uscire dal seno della ragione ; posizione discutibile, secondo noi, se si ammette che il misticismo non poggia sulle logiche razionali. Per quanto concerne il secondo, la tesi della follia di Samba Diallo – tesi generalmente condivisa nella critica più recente – risiede nell’incapacità del protagonista di conciliare due sistemi di pensiero, da cui la patologia dello spirito. Ora, Cheikh Hamidou Kane, all’occasione di un’intervista del 1974, respinge drasticamente tale ipotesi sostenendo di aver ideato il folle81 come emblema dell’anticonformismo occidentale ; il Maître dei Diallobé è un mistico e Samba Diallo è un contemplativo, dice l’autore nell’intervista. Le dichiarazioni di Cheikh Hamidou Kane hanno spesso deluso le aspettative degli intervistatori e dei critici, il che induce a pensarla come Janos Riesz secondo il quale « la signification de ces personnages littéraires de tirailleurs fous nous semble aller plus loin que ce que les auteurs eux-mêmes peuvent percevoir ou admettre (dans le cadre de l’interview, étroit et, il est vrai, tendant à la simplification) »82. A nostro avviso la diatriba persisterà fintantoché non ci si accorderà sulla definizione attribuita alla follia e quindi sul profilo del folle. Sembra chiaro che Melone parte da una visione eurocentrica della follia secondo cui questa corrisponde al disturbo mentale derivato dalla storia alienante della persona. Il confine tra la follia e la non-follia si dissolve, dunque, diventando un concetto relativo. D’altro canto, si capisce che Cheikh Hamidou Kane ha definito folle il personaggio che esprime, fin nella fisionomia, una sofferenza estrinsecata dal lavorio interiore, lavorio invece chiaro in Samba Diallo83. D’accordo con chi respinge la semplificazione del “fou” come mero difensore dei valori tradizionali e semplice vittima della follia della guerra, pensiamo piuttosto che egli sia l’unico individuo capace di prefigurare, al di là degli stereotipi del folle, le implicazioni profonde dello smarrimento interiore, in un senso esistenziale, come effetto dalla spietatezza indifferente di un sistema meccanico e duraturo denunciato dall’antropologia di Malinowski.

80 Thomas MELONE, « Analyse et pluralité : Cheikh Hamidou Kane et la folie », Diogène, vol. 80, 1972, pp. 8-

49.

81 Barthélémy KUTCHY, « Interview de M. Cheikh Hamidou Kane, écrivain sénégalais, par le professeur

Barthélémy Kutchy de l’Université d’Abidjan », Etudes littéraires, vol. 7, n° 3, 1974, pp. 484-485.

Quanto detto vuole insinuare che, per noi, il folle di questo romanzo non può essere affrontato soltanto nelle vesti del “tirailleur” delirante, ma raffigura la penetrazione nella coscienza dell’uomo che si manifesta pienamente nel personaggio di Samba Diallo. La sua marcia con Samba Diallo nell’IX capitolo verso il “luogo della preghiera” a cui il giovane si oppone, mostra la coincidenza dei due personaggi nella condizione di “esiliati” : l’esilio fisico avvenuto con l’allontanamento dal luogo di origine e l’effetto del contatto con l’Europa ha forgiato l’esilio interiore. La marcia pressante narrata nelle ultime pagine in cui « le fou voulut le tirer […] et courut tout seul » (p. 184) e in cui avanza e indietreggia, si ferma per pregare e « tout en parlant, le fou s’était mis en marche derrière Samba Diallo, fouillant fébrilement dans la profondeur de sa redingote » (p. 187), indica un percorso concitato che è ben più grave del percorso fisico e preannuncia una rivelazione altra, un incontro estatico che a lui, il folle, è vietato.

La percezione del ridimensionamento dello spazio moderno, causa prima dell’esilio interiore, era stata preannunciata dal folle nel racconto al Maître dei Diallobé, l’unico ad aver interpellato il folle perché raccontasse la propria storia. La dolorosa descrizione del contatto con il mondo dei bianchi è cadenzata dal “claquement” delle sagome che hanno perso la loro nudità. Ecco il motivo per cui il folle invoca la resistenza del maestro, senza il quale « tout, ici, sera comme là-bas. Tu sais, là-bas… » (p. 100). Il fragore delle suole che lo ossessionano, su quel pavimento ghiacciato del pontile in occidente (p. 101), non rimanda al modello eroico della guerra attiva, ma alla guerra subìta ; da cui la nostra scelta di mettere l’accento sull’aspetto alienato del reduce di guerra qual è il folle de L’Aventure ambiguë. Il racconto allucinato del folle prosegue sul rumore assordante dei suoni metallici che creano un’atmosfera angosciosa :

« Sur l’asphalte dur, mon oreille exacerbée, mes yeux avides guettèrent, vainement, le tendre surgissement d’un pied nu. Alentour, il n’y avait aucun pied. Sur la carapace dure, rien que le claquement d’un millier de coques dures. L’homme n’avait-il plus de pieds de chair ? Une femme passa, dont la chair rose des mollets se durcissait monstrueusement en deux noires conques terminales, à ras l’asphalte. Depuis que j’avais débarqué, je n’avais pas vu un seul pied. » (p. 103)

Ed è in quella “vallée de pierre”, dominata dai frastuoni automatici in un « fleuve de mécaniques enragées » (p. 103), che si può discernere l’inconsistenza delle masse umane e lo svuotamento del vero cammino, quello che nobilita l’uomo nella sua marcia a piedi nudi. Egli la chiama « étendue parfaitement inhumaine, vide d’hommes » (p. 104) alla quale si contrappone il cammino del folle, che accompagna Samba Diallo nelle ultime pagine del romanzo. Esso prende spessore proprio alla luce dell’ossessione del folle per i piedi nudi assenti nel mondo dei bianchi e sostituiti dal moto assordante della distesa di macchine. Sollecitato dal maestro Thierno, il folle rivela infine il “secret maléfique” (p. 98) che la conoscenza dell’Europa gli ha fatto scoprire :

« – J’ai vu les mécaniques. Ce sont des coquilles. C’est l’étendue enroulée, et qui se meut. Or, tu sais que l’étendue n’a point d’intérieur ; elle n’a donc rien à perdre. Elle ne peut pas se blesser, comme la silhouette, mais seulement se dérouler. Aussi, elle a refoulé la silhouette, peureuse, elle, en se blessant, de perdre l’intérieur qu’elle contient. » (pp. 104-105)

La massa meccanica dei carri armati appare come una nebulosità oscura che si arrotola e, nella sua massa informe, si muove, sottraendo lo spazio ai piedi nudi i quali, sprofondando nel terreno, vanno alla ricerca di Dio ; e alla ricerca di senso.

In questi termini il folle descrive il mondo caotico dell’armamento e la visione infernale del vuoto umano proveniente dalla meccanicità occidentale che rischia di dilagare ben oltre la società dei Diallobé. La conoscenza in Europa del movimento vuoto lo spinge, tra i suoi, ad un’essenziale stasi adottata per gran parte del romanzo. Articoleremo meglio il suo cammino conclusivo al fianco di Samba Diallo84, cammino caricato di un valore più grave e profondo della sola ripetizione annichilente della marcia bellica.85

84 Vedi Cap. 1.2, 1.3. – Parte III.

85 Cfr. Pius Ngandu NKASHAMA, « Les “enfants-soldats” et les guerres coloniales à travers le premier roman

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APITOLO SECONDO

. Anatomia del viaggio : la quête del folle