Fin dalla prima comparsa sulla scena letteraria del romanzo The Palm-wine drinkard1, la critica si è pronunciata con parole spesso entusiaste, altrettanto spesso con irritazione : da alcuni era stato compreso come mera esercitazione scolastica di un autodidatta2 ; altri l’hanno salutato come una novità senza precedenti non soltanto in Nigeria. Quest’opera di esordio è valsa a Tutuola una pubblicazione da Faber & Faber, con grande sorpresa sua e di critici nigeriani a dir poco scandalizzati da quell’uso improprio della lingua inglese3. Anche sul piano della storia narrata, non si smette di interrogarsi sulla natura e sul significato dell’eroe di quest’avventura : è questo da considerarsi l’emanazione di pura stoltezza o, piuttosto, un embrione di coscienza moderna venuto alla luce in pieno clima imperialista? Il bevitore di vino di palma, protagonista delle traversie in boscaglia, è una figura da annoverare tra i
1 Amos TUTUOLA, The Palm-wine drinkard, New York, Grove Press, (I ed, Faber and Faber, 1952), ristampa alla
II edizione (1984) 1993. I riferimenti all’opera compariranno nel testo.
2 Amos Tutuola, nato nel 1920 da una famiglia cristiana Yoruba, lascia la scuola all’età di quindici per diventare
operaio.
3 La lingua usata da Tutuola è un riadattamento dell’inglese alla lingua yoruba (il pidgin). Se il suo inglese è
parso a molti anglofoni una forma elementare della lingua inglese, per altri, invece, era una forma sofisticata di pidgin. Vedi William R. FERRIS Jr, « Folklore and the African Novelist. Achebe and Tutuola », The Journal of
American folklore, vol. 86, n° 339, jan-mar 1973, p. 32. Ciò detto, il dibattito ideologico, qui appena intravisto,
seguaci di Bacco o il suo racconto ha da dirci qualcosa di più del delirio di un alcolista o di un viaggio allucinato ?
L’opera comunemente nota sotto il titolo sintetico del “bevitore di vino di palma” – titolo rimasto invariato nella traduzione italiana4 –, era stata in origine battezzata dal suo autore con un titolo funereo e molto allusivo : The Palm-wine Drinkard and his dead Palm-
wine Tapster in the Dead’s Town. Il protagonista briccone è un assiduo consumatore di quella
bevanda fortemente inebriante in molte regioni subsahariane e centrafricane. In un’epoca in cui la letteratura africana in lingua inglese non ha ancora visibilità internazionale, Tutuola – secondo i circoli accademici della Nigeria – è accusato di presentare in modo pessimo il popolo yoruba, con l’aggravante di non saper parlare correttamente inglese, da cui le violente contestazioni. Per i puristi della lingua di Sua Maestà, l’ubriacone di Tutuola si esprime con un linguaggio elementare al limite della provocazione. Ne riportiamo le prime righe per dare un’idea dell’oggetto di polemica :
« I was a palm-wine drinkard since I was a boy of ten years of age. I had no other work more than to drink palm-wine in my life. […]
My father got eight children and I was the eldest among them, all of the rest were hard workers, but I myself was an expert palm-wine drinkard. I was drinking palm-wide from morning till night and from night till morning. By that time I could not drink ordinary water at all except palm-wine.
But when my father noticed that I could not do any work more than to drink, he engaged an expert palm-wine tapster for me ; he had no other work more than to tap palm-wine every day. » (p. 191)
Oltre alla questione linguistica, la sola venerazione del bevitore per il vino macchia l’immagine sociale del nigeriano agli occhi del pubblico di lettori, la maggior parte dei quali non sono nigeriani. La disperazione del bevitore alla morte accidentale del “tapster”, il conseguente allontanamento degli amici – ammiccamento all’accusa di alcolismo generalizzato in quella società – e la necessità di avviarsi alla ricerca del “tapster” nel mondo dei morti, contribuirebbero a squalificare l’immagine dell’uomo yoruba. Ciò dimostra, in
prima analisi, che l’opera di Tutuola era stata letta sotto la lente della rappresentazione sociale della Nigeria.
Ora, l’iridescenza del viaggio del “drinkard” nella popolosa boscaglia alla ricerca del tiratore di vino di palma, doveva richiamare l’attenzione su altro. La morte di quest’ultimo è da intendere come un invito ad uscire dai legacci della chiusura ; e il bevitore presentato come uno sciocco vagante nel villaggio diventa itinerante fuori della cinta muraria. Diciamo, per inciso, che sebbene a noi bastino le prime righe del romanzo come prova dell’idiozia del bevitore, il suo viaggio rivela un’identità molto più complessa e significativa ai fini della nostra ricerca.
Prima di incamminarsi – sostiene a buon diritto Achille Mbembe – il protagonista « vivait à l’intérieur d’un cercle » dove « il se mouvait circulairement, porté entièrement par une recherche de satisfaction »5. Per Mbembe la pulsione verso l’esterno è motivata da una forma di castrazione. Egli spinge l’interpretazione sostenendo che la pulsione di cui il bevitore è vittima, è pari a quella sessuale nel senso in cui la mancanza del liquore è repressione del liquido seminale entrambi volti ad indicare la « puissance narcissique »6. Pur non seguendo Mbembe fino in fondo nella sua lettura della pulsione sessuale – è anche vero che il suo obiettivo, diverso dal nostro, è “egotista” –, condividiamo l’osservazione della pulsione centrifuga del flâneur il quale ha cambiato il suo vuoto girovagare per il villaggio in una ricerca interessata, in un viaggio a tutti gli effetti. Nella sua lettura sulla penetrazione dell’io narcisistico Mbembe continua così : « La liqueur séminale (le vin de palme) se transforme en un fantasme originaire et pousse le sujet à sortir de chez lui, à sortir de soi et à rentrer dans l’ordre de l’itinérance »7. Secondo questa lettura il viaggio è conoscenza poiché esplorazione fuori dal sé autarchico, quindi scoperta modesta dell’altro nel mondo fantasmagorico dell’ignoto raffigurato dalla « bush of ghosts »8. Tale visione, da noi condivisa, è suscettibile di essere arricchita da altri elementi a nostro avviso di rilievo.
Nell’ “impasse” del rischio di una vita scialba, il buffone inizia ad aguzzare l’ingegno ; e da questo momento, una logica del tutto endogena guiderà la sua vita in un viaggio eccezionale : ricordando le sagge parole degli anziani yoruba secondo cui « the whole
5 Achille MBEMBE, « Politiques de la vie et violence spéculaire dans la fiction d’Amos Tutuola », Cahiers d’Etudes africaines, XLIII (4), 172, 2003, p. 800.
6 Ibid. 7 Ivi, p. 801.
8 Ricordiamo per inciso che il secondo racconto di Tutuola, del 1954, pubblicato da Grove Press congiuntamente
a The Palm-wine drinkard nell’edizione del 1994, celebra il bosco dei fantasmi sin dal titolo : My life in the bush
people who had died in this world, did not go to heaven directly, but they were living in one place somewhere in this world », egli non trova soluzione migliore che « find out […] where [his] palm-wine tapster who had died was. » (p. 193). La concatenazione delle sue deduzioni nate da una logica costatazione – se i morti sostano da qualche parte sulla terra prima di andare in paradiso, posso ancora trovare il mio tiratore in questo mondo –, ci trascina in un universo parallelo in cui è necessario abbandonare ogni preconcetto, dunque ogni pretesa di razionalità, e cambiare i nostri parametri interpretativi.
Il mondo in cui il “drinkard” ci introduce è un universo abitato da mostri, spiriti, uomini informi, creature animalesche parlanti, animali fantastici metamorfosati, ripresi dal mondo mitico di fiabe e leggende yoruba. Così, quella che appare come la boscaglia abitata da esseri misteriosi al di là dei confini del villaggio è, in realtà, un mondo che Tutuola ci invita ad avvicinare con gli strumenti della conoscenza yoruba e dell’intuizione. Il confine è determinato dal passo che segue :
“[…] In those days, there were many wild animals and every place was covered by thick bushes and forests ; again, towns and villages were not near each other as nowadays, and as I was travelling from bushes to bushes and from forests to forests and sleeping inside it for many days and months, I was sleeping on the branches of trees, because spirits etc. were just like partners, and to save my life from them ; and again I could spend two or three months before reaching a town or a village. Whenever I reached a town or a village, I would spend almost four months there, to find out my palm-wine tapster from the inhabitants of that town or village and if he did not reach there, then I would leave there and continue my journey to another town or village.” (p. 193)
Tutuola ci presenta l’assetto territoriale attuale – “nowadays”, dice il bevitore – ove i nuclei abitati sono ravvicinati. Tale mutamento dello spazio è conseguente al consolidamento degli agglomerati urbani che tendono ad allargarsi. In tal modo lo spazio boschivo che si estendeva tra un villaggio e l’altro, è ridotto. Questa considerazione risulterebbe fuori luogo se non leggessimo la distesa selvosa come la dimora delle credenze locali che custodiscono l’immaginario collettivo, i timori e le speranze dei membri delle comunità e gli istinti repressi dell’essere umano.9 La riduzione dello spazio della selva è quindi, a nostro avviso, intimamente legata alla qualità del viaggio intrapreso dal protagonista nel senso in cui la
dimensione sociale ha degli effetti sullo spazio romanzesco nel quale il bevitore deambula ; capiremo come.
Nel passo citato il protagonista descrive in poche righe il metodo di indagine impiegato per raggiungere il suo “tapster” : di villaggio in villaggio, di area in area, chiedere sue notizie e crearsi un percorso ; quindi superare le prove che gli sono sottoposte da quegli esseri che popolano la zona mediana tra gli uomini e gli spiriti. Difatti il passo ci rivela l’importanza che il protagonista conferisce agli esseri incontrati, tutt’altro che immaginari : « spirits etc. were just like partners ».10 Ricordiamo, peraltro, che il bevitore non parte senza aver preso con sé tutti i talismani, i “native juju”.
Quello che ci appariva come un sempliciotto, uno svitato che si dilettava con il vino, ci appare ora più complesso : in parte egli è un uomo cosciente dei propri rischi e delle proprie debolezze, motivo per cui si munisce di amuleti protettivi ; d’altra parte i feticci fanno di lui un essere prodigioso : si tramuta in uccello (p. 194, 222-223), in piroga (p. 221-222), in un ciottolo, in un focolare (p. 224), e così via. L’interrogativo su chi sia davvero questo buffone errante s’impone da sé.
Gli studiosi di Tutuola, tutti unanimi nel riconoscere l’ambiguità del personaggio oltre che dell’opera intera, ne danno definizioni contrastanti. Abbiamo già visto che per Mbembe il bevitore di vino di palma è il soggetto narcisistico, ovvero l’io moderno nella conoscenza autoriflessiva. L’analisi di Ogbonna Anozie è simile : la spinta verso la foresta nascerebbe dalla presa di coscienza di un conflitto che accosterebbe il bevitore itinerante all’eroe cavalleresco di Cervantes11, entrambi ossessionati da un desiderio utopistico irrisolto, da cui la follia. La sua ricerca costituirebbe la tensione al ripristino di un equilibrio interiore in grado di conciliare le antinomie del suo mondo.12 Invece, per Bernth Lindfors, egli è un « unpromising hero »13 : il lato fasullo del suo eroismo deriverebbe, secondo lui, dalla dipendenza materiale all’alcool ; e il suo unico merito consisterebbe nel tentativo di
9 Ciò ha condotto a credere che si trattasse di un viaggio nel subconscio. Vedi Gerald MOORE, Seven African writers, London, Oxford University Press, 1962, pp. 44-46.
10 Nel 1954 un’intervista per il West Africa riporta che Tutuola crederebbe nel suo intimo alle leggende che narra
e trascrive. Vedi Bernth LINDFORTS, « Amos Tutuola: Debts and Assets », Cahiers d’études africaines, 1970, vol. 10, n° 38, p. 318, n. 5.
11 S. Ogbonna ANOZIE, « Amos Tutuola : littérature et folklore ou le problème de la synthèse », Cahiers d’Etudes africaines, 1970, vol. 10, n°38, p. 336.
12 Ivi, p. 342. Secondo questa lettura, il bevitore entra nel novero dei personaggi eroici vittime della frattura
interiore e contesi tra la tradizione e la modernità d’influenza occidentale : Samba Diallo ne L’Aventure Ambiguë di Cheikh Hamidou Kane, Clarence ne Le regard du roi di Camara Laye, Okolo in The voice di Gabriel Okara tra i quali non si può omettere l’eroe di Things fall Apart di Chinua Achebe.
miglioramento raggiungendo un po’ di saggezza per sé e il suo popolo affamato. Ci pare alquanto riduttiva, questa analisi, che si ferma al piano descrittivo ; mentre è già più convincente la tesi di Ogbonna Anozie secondo cui il bevitore sarebbe un « ‘brouillon’ de l’homme »14. L’uomo rappresentato come uno schizzo rende bene la sua apparente essenzialità. Più che un personaggio dotato di spessore psicologico, ci pare che Tutuola abbia creato un personaggio-tipo, una figura ben riconoscibile della mitologia yoruba, ma allo stesso tempo reso unico dal tratto personale dell’autore.
Sono numerosi gli episodi nei quali viene messa alla prova la sua astuzia in cambio di indizi per continuare la sua ricerca : dallo stratagemma per soddisfare il vegliardo (v. pp. 194- 195), alla cattura di “morte” (p. 196), all’inseguimento dell’ “uomo completo” – a seguito del quale il bevitore prenderà moglie (pp. 203-209) –, il nostro personaggio si rivela un ingannatore, capace di vendere la morte e dare a noleggio la paura (p. 247). Per giunta, fa uso della magia, per se stesso e per gli altri, a fin di bene, come quando usa l’uovo magico offertogli dal suo defunto “tapster” – finalmente incontrato! –, per sfamare il villaggio in trovato in carestia al suo rientro dal viaggio.
Buffone e idiota, uomo e mago, astuto briccone e salvatore, tutte connotazioni proprie alla figura del trickster esistente in varie mitologie : amerindiane, della sfera oceanica e dell’Africa occidentale15. Il carattere enigmatico del trickster – dall’inglese “trick”, trucco, inganno – è determinato dalla sintesi delle contraddizioni nella sua doppia natura umana e divina. Il bevitore è folle nel presentarsi come un dio – « I myself was a god and a juju-man », p. 194 – e come il « Father of gods who could do everything in this world ».
Laura Makarius descrive molto chiaramente il profilo del trickster in questi termini, il cui confronto con il buffone di Tutuola mette in luce analogie e divergenze :
« Le héros mythique transforme la nature et parfois, faisant figure de Démiurge, apparait comme le Créateur, mais est en même temps un pitre, un bouffon à ne pas prendre au sérieux. […] Il dispense les médecines qui guérissent et qui sauvent et introduit la mort dans le monde. […] Le farceur malicieux est trompé par le premier
14 S. Ogbonna ANOZIE, op. cit., p. 349.
15 Laura MAKARIUS, « Le mythe du Trickster », Revue de l’histoire des religions, t.175, n°1, 1969, p. 17. Vedi
anche Robert D. PELTON, The trickster in West Africa: a study of mythic irony and sacred delight (Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1989) per il trickster nell’Africa occidentale delle etnie Dogon, Ashanti, Fon oltre che Yoruba.
venu, l’inventeur d’ingénieux stratagèmes est présenté comme un idiot, le maître du pouvoir magique est parfois impuissant à se tirer d’embarras. »16
Più che un « folktale hero » trasformato in « epic hero »17, il bevitore ci sembra verosimilmente un trickster in sua qualità di benefattore e buffone, « un fou parfait, qui brise les tabous sacro-saints »18. E la diligenza con cui giudica i casi in tribunale mostrano il suo grande rispetto per i problemi delle creature – fantasmi e morti – che abitano la selva ; e ciò fa di lui un buffone saggio. A differenza però del trickster mitologico, il buffone di Tutuola non è parricida, incestuoso e cannibale19, a riprova dell’autonomia letteraria di questo personaggio.
Tali costatazioni ci orientano verso quel filone critico, sempre più consolidato, secondo cui Tutuola non è un semplice scrivano del folklore yoruba, bensì uno “storyteller” impegnato, sì, nel recupero della propria tradizione destinata all’oblio sotto le minacce della contemporaneità mondializzata20, ma rielaborandola secondo la sensibilità personale. A questa riscrittura contribuisce il suo debito al predecessore Fagunwa21 e ai temi biblici e omerici22 ormai parte della cultura nigeriana moderna. A tale riguardo, l’ancoraggio al contesto contemporaneo è sottile, ma ben presente, non mancando riferimenti al mondo tecnocratico della modernità africana – l’uso di una nuova valuta, la presenza di prodotti industriali, come l’ombrello e la bomba – né allusioni ai confitti del Biafra. Ciò mostra quanto la materia storico-mitologica sia innervata nella realtà.
Ora, il percorso itinerante del bevitore verso il regno dei morti è la riprova della difficoltà nello stabilire un confine preciso tra il “folle” della mitologia e quello inventato da
16 Laura MAKARIUS,op.cit., p. 18. 17 Bernth LINDFORS,op. cit., p. 312.
18 Paul RADIN in Paul RADIN, Carl Gustav JUNG, Karl KÉRÉNYI, Le fripon divin, éditions Librairie de l'Université
Georg, 1958, p. 111.
19 Ibid. Eshu, il trickster Yoruba, e Legba, il suo corrispettivo dell’etnia Fon in Benin e Togo, sono rappresentati
come anziani i cui tratti distintivi sono da individuare nel cappello di paglia o nella capigliatura a forma fallica, nella pipa, e nel bastone ; tutti tratti assenti nel bevitore di Tutuola. Vedi Robert PELTON,op. cit., p. 129 ; Joan WESCOTT, « The Sculpture and Myths of Eshu-Elegba, the Yoruba Trickster », Africa, n°32, 1962, p. 337.
20 Non di rado, Tutuola dichiara nelle interviste, di aver voluto trascrivere i racconti popolari che i giovani
conoscevano sempre meno.
21 È nota la sua ispirazione all’uomo di lettere nigeriano Fagunwa. Vedi Bernth LINDFORS,« Amos Tutuola and
D.O. Fagunwa », Journal of Commonwealth Literature, IX, 1970, pp. 57-65.
22 Il mito di Giona nell’episodio dell’Affamato che divora il bevitore e sua moglie e il parallelismo tra il viaggio
del protagonista con quello di Ulisse costituiscono gli esempi più evidenti. Cfr. per esempio S. Ogbonna ANOZIE,
Tutuola23, in quanto entrambi vagano tra il mondo degli esseri umani e quello dei non più vivi. Lo spazio in cui si muove il protagonista è marcato da numerosi punti d’ombra, alludendo ad uno complicato, labirintico percorso in cui ogni oggetto incontrato presenta fessure attraverso le quali entrare in un altro mondo. A ragione, Xavier Garnier24 supera lo schema del tragitto lineare, generalmente riconosciuto in Tutuola, preferendovi la traiettoria vettoriale e stereoscopica, in ogni caso a più dimensioni (si pensi alla dimora di Madre Soccorritrice raggiungibile lungo la cavità dell’albero bianco ; oppure ai passaggi verticali del formicaio). La foresta fantastica rimanda quindi ad uno spazio a prima vista instabile, dov’è possibile discernere soltanto il lato indefinito delle cose e l’ibridità delle forme : le creature incontrate sono personaggi ibridi – mezzi uomini-mezzi animali – o esseri in metamorfosi.
Se non è netta la separazione tra il mondo degli umani e il mondo degli spiriti, è invece più nitida la divisione tra un mondo fantastico e l’altro, ognuno dei quali articola il percorso del bevitore immaginabile come il gioco dell’oca : il punto di arrivo coincide con il punto di partenza – il ritorno al villaggio – ; e la regola madre per raggiungere la città dei morti, dove dimora il “tapster”, è mimare la morte25, ingannando così i morti.
Se il termine anglosassone di “trick” rende bene la tipologia del folle-ingannatore, l’equivalente italiano – raggirare e “prendere in giro” – e francese – “jouer des tours” – restituiscono invece la dimensione spaziale dell’arguzia e della birbanteria. Prendere in giro significa ingannare, fuorviare, ovvero condurre fuori dal tracciato ; cosa che figurativamente è messa in scena dal bevitore allorquando raggira il corso centrale e fugge di selva in selva per seminare l’ “enfant terrible” (v. pp. 214-219). Ma più in generale, i verbi “andare indietro” e “seguire” sono piuttosto ricorrenti, a testimoniare il procedimento circolare del viaggio del folle, il quale, per concludersi, deve necessariamente prevedere il ritorno.26
In definitiva, il viaggio contiene in nuce l’errore – il secondo significato di errare –; e il tracciato labirintico presenta molte impasses da cui è difficile uscire integri :
23 Cfr. Bernth LINDFORS,op.cit., p. 323: « Even a critic familiar with the published Yoruba versions would not
be able to draw a firm line between borrowed and invented details in Tutuola’s redaction. Without knowing