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La galleria da noi dipinta di folli (in generale) erranti e, in particolare, visionari, giunge quasi al suo termine e al suo culmine con il recente romanzo Thalès-le-fou, totalmente incentrato sull’irriverenza di un ennesimo scemo del villaggio elevatosi però a creatore di ogni cosa, e depositario di verità nella bidonville di un posto di fantasia chiamato Wakogne in cui si riconosce la periferia di Dakar. Pubblicato nel dicembre 2007, il secondo romanzo del giovane debuttante, Sémou Mama Diop, non ha finora goduto di grande interesse da parte del lettorato e soprattutto della critica che lo ignora quasi del tutto. Le poche informazioni che circolano non attengono infatti alla qualità letteraria del romanzo, qualità che può essere

ritenuta discutibile specie quando compare nell’alveo di opere degli scrittori di spessore da noi selezionati. Il nome dello scrittore senegalese e soprattutto l’opera in questione hanno fatto il giro delle reti di informazione e di alcuni importanti quotidiani locali per essere stati colpiti da una censura mascherata, da parte delle autorità senegalesi, con l’accusa di immoralità. Affronteremo meglio la questione nell’ultimo capitolo di questa tesi.56

Lo stile è effettivamente più che licenzioso, è greve ; e volutamente provocatorio. Nel complesso Thalès-le-fou è un libro irriverente che vuole scuotere più che compiacere. In effetti il protagonista Thalès prende le sembianze del cosiddetto scemo del villaggio proveniente da un luogo lontano e indefinito che osserva le bassezze della società africana in un’impossibile ripresa, riflettendo il topos dell’ingenuo straniero nella letteratura esotica del XIX secolo. Il paese che descrive il protagonista è abitato da politici che si pavoneggiano nella miseria per riempirsi le tasche delle ricchezze pubbliche, da giovani disoccupati vaganti nel “banc jaxlé” dove fantasticare un mondo migliore, e da giovani disperati che tentano clandestinamente la via delle imbarcazioni di fortuna come unica possibile, quella dell’emigrazione in Europa a tutti i costi. Tanti, troppi temi caldi dell’attualità subsahariana che ha fatto di questo tentativo narrativo un’opera scomoda, la cui vicenda giudiziaria ne accrescerà forse la notorietà ; ripetiamo forse, poiché l’iter legale avviato dall’autore – stando a quanto ci riferisce l’autore stesso – è fermo al dicembre 2010 e non sembra che fuori del Senegal la vicenda abbia fatto eco.

Dal canto nostro, tenteremo di mettere in rilievo la posizione di questo testo nel crescendo che costituisce l’evoluzione del folle “fantasioso” in questo percorso. Il protagonista, anche lui, da perfetto folle errante è giunto dieci anni prima della narrazione a Wakogne presentandosi con un « accoutrement bizarre, une tignasse de timbré » e – non si tarda ad ostentarlo – « violant les codes du langage »57. Già dal principio del romanzo egli si schiera con le vittime di questa società colpevole di lassismo ; e veste la loro miseria alla stregua degli altri folli che hanno indossato gli abiti dell’indigenza :

« Je n’ai pas leur âge, ni celui de leur pères d’ailleurs. Mais c’est avec eux que je me suis acoquiné. Puisque je suis le fou du village, je raconte des conneries à longueur de

55 Jean SOB, « Fiction et savoir dans l’œuvre de Boubacar Boris Diop », op. cit., p. 433. 56 Cap.3.1. – Parte III.

57 Sémou MaMa DIOP, Thalès-le-fou, Paris, L’Harmattan, Encres noires, 2007, p. 11. I numeri di pagina

journée, je n’ai pas de famille, ni de toit, mes habits sont déchirés, je ne fais ni le salut chrétien, ni le shalom juif, ni le salam musulman, les vieux du quartier n’aiment pas ma compagnie. Par contre, les jeunes du banc jaxlé l’affectionnent. » (p. 16)

Il « banc de l’étonnement et de la consternation » è una sorta di tribunale dei poveri, dove le questioni vitali vengono discusse all’aperto ; e si deduce che il giudice di questo fittizio « banco degli imputati » è proprio il folle Thalès, perturbatore della gerarchia divina oltre che dell’ordine pubblico, nella misura in cui ammette di essersi « lancé un défi divin » (p. 34) nel fare la cronaca della vita a Wakogne . Egli è quindi un sovvertitore a tutti gli effetti che chiarisce le regole del gioco. Thalès si definisce, dice ciò che non è prima ancora di dire ciò che è : non è cartesiano ma pensa – come dire che la follia non è insensatezza ma solo rovesciamento della logica razionale – ; inoltre non pratica nessuna fede, dunque non riconosce la superiorità divina, da cui la sfida all’ordine sovrannaturale nel tentativo di scrivere in sette giornate sette capitoli sulla deriva della Repubblica del Jolof, frutto dei sette vizi capitali che ruotano attorno al presidente, costruendo così un pezzo di « catéchisme politique » (p. 18).

Una caratteristica del folle Thalès, apoteosi della stravaganza dei folli erranti, è la sua qualità di eletto autoproclamato attraverso la narrazione, caratteristica che costituisce una costante del romanzo di Sémou MaMa Diop. Come uno dei narratori di Boris Diop, in Le

Temps de Tamango, ha rilevato le eccentriche degenerazioni di N’Dongo, anche il narratore di Thalès-le-fou si abbandona a manie di onnipotenza. Quello, come Thalès, ricorda il potere

principe del narratore che nella propria opera è « Maître de son Jeu, qu’il se prend pou une sorte de Bon Dieu mais qu’il n’est ni contraint de créer son monde en six jours ni de se reposer le septième ! » (TT, p. 50) Ma Thalès supera ogni limite : l’onnipotenza della sua impresa è così introiettata da incarnare persino i precetti divini imitando Dio, « il a fait la Création de la Terre et moi je fais de la création littéraire. » (p. 34) Creatore sostituitosi a Dio e caparbio costruttore di opere, “fou furieux” che dice a voce alta ciò che la gente osa appena pensare, Thalès-le-fou è un saggio pensatore : rivendica la filiazione spirituale da Talete di Mileto relativamente al suo primato filosofico. In Grecia Talete è primo filosofo della storia occidentale, nel Jolof Thalès si espone come primo pensatore (fittizio) dell’Africa – vedremo altrove le profonde implicazioni di questa rivendicazione.58 Il parallelismo con Talete è difatti più fecondo di quanto possa apparire a prima vista : lo stesso scrittore ammette di essersi

ispirato al filosofo presocratico per la sua qualità di iniziatore in quanto, tornato dall’Egitto dopo un lungo soggiorno di studi, aveva portato a Mileto – e da lì a tutta la Grecia, poi all’Europa – la conoscenza della geometria59 e dell’astrofisica. Allo stesso modo Thalès-le- fou sbarca dal nulla su questo miserabile quartiere in decadenza per offrire ai disperati di Wakogne la propria conoscenza e il proprio ampio sguardo, raffinato in luoghi imprecisati che si immaginano da qualche parte oltre il Mediterraneo. In prima battuta, si riconosce la fratellanza con il folle-esule de L’Aventure Ambiguë il quale, tornato dall’Europa, riporta tra i Diallobé le perversità dell’uomo occidentale. Noteremo tuttavia che la questione dello sguardo esterno – che per Thalès-le-fou non è affatto distaccato – rivelerà molto di più sotto un’altra prospettiva.60

In breve, Sémou Mama Diop ricapitola nel personaggio protagonista fourre-tout diversi tipi elencati in questa parte : l’errante che ha a lungo vagato prima di approdare al villaggio (v. il bevitore, Ali Kaboye), lo scemo del villaggio senza radici e identità (l’idiota di Achebe, il “fou” dei Crapauds-brousse e quello delle Méduses), l’esule conoscitore dei misteri oltreoceano (il “fou” dell’Aventure ambiguë), il contestatore politico (Okolo in The

Voice, Dadou in L’Anté-peuple, i “fools” di Ndebele, Khaliif in Close Sesame) ed, infine, il

visionario “operaio”, nel senso – etimologico – di colui che “crea dalla visione”, e l’affabulatore (Deeriye, Toutina, N’Dongo, Khadidja, Ali Kaboye). Si può osservare in larga parte che quest’ultimo passaggio, composto di visionari e creatori verbali, suggerisce una certa frustrazione degli scrittori che per dipingere le società malate tengono in vita i vecchi tipi, arricchiti di tratti moderni61. Per questo Thalès-le-fou è degno di menzione e aggiunge il tassello mancante al nostro mosaico di folli erranti : l’opera è lo spazio nel quale costruire errando ; ovvero, la parola che scorre inarrestabile crea il romanzo che è la cronaca fatta dal folle. Dunque l’erranza in quest’ultima tappa dello studio tassonomico non è più moto del

folle, si sarà capito, bensì matrice verbale dell’opera nel mentre della sua costruzione :

58 Vedi Cap. 3.2. – Parte III.

59 Vedi Renato LAURENTI, Introduzione a Talete, Anassimandro, Anassimene, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 60-

61. Tuttavia l’assenza di opere a lui attribuite in campo geometrico pongono diversi studiosi di fronte a dubbi sulle scoperte di Talete.

60 Cap. 3.2. – Parte III.

61 Cfr. Claire DEHON, « Le Roman en Afrique noire francophone (1989-1994) », The French Review, vol. 68,

« Notre promenade, notre longue promenade dans la bouse fangeuse de Wakogne, la commune aux trois quartiers et dans les arcanes du palais de la République démocratique du Jolof, ne fait que commencer. On n’est qu’au premier péché. » (p. 38)

Ovvero nel primo capitolo. In fondo non importa che il suo racconto sia un nugolo di divagazioni, quante sono nel “labirinto di un testo” (tessuto quindi rete di innumerevoli fili incrociati) le deviazioni dalla via che si è scelto di percorrere. Il sospettoso narratore della storia che, appunto, « ne tient pas la route et n’a ni queue ni tête » (p. 40), non esclude che si possa seriamente riflettere sulla Repubblica dal nome evocativo che presenta l’immagine così reale delle migrazioni clandestine dalle coste dell’Africa occidentale. A tale proposito, non è senza significato il riferimento al romanzo di Fatou Diome sullo stesso tema, Le ventre de

l’Atlantique, con il quale non solo sembra porsi in rapporto di continuità – indicandone

eventualmente un’evoluzione di genere –, ma al fianco del quale contribuirebbe a mutare la percezione dell’immagine del “miraggio occidentale” che tanto inchiostro a fatto scorrere cinquant’anni prima. Da Ousmane Socé in Mirages de Paris62 a Bernard Dadié in Un nègre à

Paris63 a Sembène in La Noire de…64, l’immagine sfolgorante di una Francia grandiosa era la proiezione del Paradiso terrestre, o dell’Eldorado dei sogni, esistente solamente in un nuovo profilo dell’immaginario collettivo africano moderno. Molti dei cosiddetti romanzi d’esilio che trattano “il viaggio”, come spesso viene chiamata la traversata del Mediterraneo, tra cui citiamo i romanzi Harraga (2002)65 e Donde mueren los ríos (2003)66 dello scrittore canario Antonio Lozano, non si accontentano di evocazioni, ma sviscerano il dritto e il rovescio, le illusioni e disillusioni, delle storie di migranti, che salpano le coste africane per catapultarsi alle porte dell’Europa nelle isole di Ceuta e Melilla, attraversando il fatidico stretto. Su questa scia Thalès-le-fou non fa passare sotto silenzio le nefandezze che ruotano attorno all’immigrazione clandestina, piaga della società mondiale del XXI secolo.

Sulle orme di quanto ha magistralmente rappresentato Boubacar Boris Diop in Doomi

Golo, il folle errante, come ogni topos letterario, viene di nuovo e continuamente

riattualizzato e posto al servizio della contemporaneità e delle impasses che la tormentano. Si

62 Ousmane SOCE, Mirages de Paris, Paris, Nouvelles Editions Latines, 1964. 63 Bernard DADIE, Un nègre à Paris, Paris, Présence Africaine, 1959.

64 Ousmane SEMBENE, La Noire de…, Paris, Présence Africaine, 1962.

65 Antonio LOZANO, Harraga, Granada, Zoela Ediciones, coll. Negrura n°6, 2002 ; tradotto in francese da

Jacques AUBERGY, Harraga, Marseille, Editions l’Ecailler du Sud, coll. L’Atinoir, 2008.

vedrà ora in quale misura il suo riutilizzo si spinga ai confini della scrittura narrativa, al punto da non riuscire più a individuarne i caratteri tipologici.