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L’alterità come inversione

GLI STRUMENTI DEL VIAGGIATORE

4.4 Il viaggiatore come mediatore dell’alterità

4.4.1 L’alterità come inversione

Erodoto, ovvero il viaggiatore tipo, può rendere facilmente comprensibile al suo pubblico la diversità attraverso una figura retorica molto efficace e immediata: l’inversione.

Questa è una figura ampiamente utilizzata nella letteratura d’utopia. Il mondo utopico è necessariamente inversione del mondo reale nel quale il lettore o l’ascoltatore vive269. Hartog giustamente afferma, utilizzando due termini generici

a e b: «non ci sono più a e b, ma semplicemente a e l’inverso di a»270.

Le Storie di Erodoto ricorrono spesso a questa figura retorica, soprattutto per due zone popolate per eccellenza da uomini altri: l’Egitto e la Scizia271.

269 Foucault definisce ‘utopia’ ciò che veramente non ha luogo, ma esiste anche un altro spazio,

quello dell’‘eterotopia’ e cioè uno spazio che è assolutamente altro. Lo studioso afferma che l’essenza delle eterotopie è data dall’essere: «contestazione di tutti gli altri spazi, e questa contestazione si può esercitare in due modi: o creando un’illusione che denuncia tutto il resto della realtà come un’illusione, oppure creando realmente un altro spazio reale tanto perfetto, meticoloso e ordinato, quanto il nostro è disordinato, mal organizzato e caotico» (Foucault 2011, p. 25). Interessante è inoltre la definizione che l’autore dà di eterotopia nelle pagine precedenti, confrontandosi con l’immagine del teatro: esso diverrebbe infatti la realizzazione di un’eterotopia. Una serie di spazi altri che sembrano trovare traduzione e realizzazione nel reale sarebbero dunque il teatro, il cinema e il giardino (quest’ultimo spazio viene spesso utilizzato nelle raffigurazioni persiane nei tappeti). In generale l’eterotopia ha come regola quella di giustapporre in un luogo reale più spazi che normalmente sarebbero, o dovrebbero essere incompatibili. «Nel teatro, che è un’eterotopia, si susseguono sul rettangolo della scena tutta una serie di luoghi estranei. Il cinema è una grande sala rettangolare, in fondo alla quale, su uno schermo che è uno spazio a due dimensioni, viene proiettato uno spazio che è nuovamente a tre dimensioni. Ecco l’intrico degli spazi che si può creare in qualcosa come una sala di cinema. Ma forse il più antico esempio di eterotopia è il giardino, creazione millenaria che in Oriente aveva certamente un significato magico», (Foucault 2011, pp. 18-19).

270 Hartog 1992, p. 185.

271 Erodoto utilizzerà lo schema dell’inversione anche per il popolo delle Amazzoni. Esse infatti

incarnano il modello contrario all’etica ellenica in quanto sono donne guerriere. Per i Greci il confine tra mondo maschile e mondo femminile era ben distinto e definito da veri e propri limiti sociali e culturali. Per la società delle Amazzoni come modello di inversione nel testo di Erodoto (4.110-117), ma anche in quello di Diodoro Siculo (3.53) vd. Hartog 1992, pp. 188-189. Hartog inoltre afferma che «il testo di Erodoto sulle Amazzoni, da parte sua, presenta una complessità nettamente superiore, giacché se la polarità guerra/nozze vi è operante, il suo gioco, tuttavia, è ben differente: non o guerra o nozze, ma guerra e nozze».

Erodoto ad esempio, nel quarto libro delle Storie (Hdt. 4.22-25), descrive una popolazione particolare, abitante la regione della Scizia. Si tratta di una popolazione, che dicono essere costituita da donne e uomini ‘calvi’ (legovmenoi

ei\nai pavnte" falakroi;) che parlano una lingua particolare.

Fin qui non c’è nulla di particolarmente sorprendente, ma all’inizio del paragrafo Erodoto utilizza un’espressione che compare spesso nelle sue Storie ma che viene resa in vari modi. Egli sottolinea che ci troviamo in un mondo diverso per usi, costumi e lingua da quello greco, usando la contrapposizione di due espressioni che collocano il mondo scita, e il mondo greco – termine di paragone fisso nelle Storie, in quanto il pubblico a cui Erodoto si rivolge è quello greco – in due realtà poste esattamente agli antipodi. Le due formule utilizzate corrispondono nella traduzione a ‘al di qua’ e ‘al di là’272.

L’inversione traduce dunque casi di straordinarietà e di eccezione e quindi molto spesso ciò che appare meraviglioso. Proprio come risultano essere l’Egitto e la Scizia in Erodoto.

L’Egitto è il paese che offre più thaumaston, e questo carattere meraviglioso viene reso dall’autore tramite l’inversione273. L’Egitto esercita fascino, sorpresa e meraviglia. L’unico modo per non farsi sopraffare da ciò che è strano e oscuro è renderlo chiaramente visibile e quindi comprensibile.

Erodoto dunque studia gli usi e i costumi egizi e constata che essi sono contrari (e[mpalin) a quelli degli altri uomini, dove l’espressione ‘altri uomini’, corrisponde a Greci274.

272

Le espressioni utilizzate dall’autore nel testo greco sono rese rispettivamente e[mprosqe (al di qua): Hdt. 4.24 Mevcri mevn nun tw'n falakrw'n touvtwn pollh; perifaneivh th'" cwvrh" ejsti; kai; tw'n e[mprosqe ejqnevwn; e katuvperqe (al di là): Hdt. 4.25 Mevcri me;n dh; touvtwn ginwvsketai, to; de; tw'n falakrw'n katuvperqe oujdei;" ajtrekevw" oi\de fravsai.

273 Come afferma Hartog, l’inversione è uno degli strumenti attraverso cui il narratore rende ciò

che è thaumaston, accessibile e ‘conoscibile’ al suo uditorio, vd. Hartog 1992, p. 201: «l’inversione appare come trascrizione possibile del thoma». Per i viaggi impossibili e le terre ‘agli antipodi’ (ajntivcqwn). vd. Moretti 1991. La studiosa parla anche della teoria delle zone climatiche (Platone, Parmenide e Aristotele).

274 Erodoto anche qui, come nel caso delle Amazzoni, presenta un’inversione nei ruoli della

società tra il genere maschile e quello femminile. Tra le inversioni più degne di nota vi è quella secondo cui le donne vanno al mercato e commerciano, mentre gli uomini stanno a casa a tessere, o quella secondo cui le donne orinerebbero stando in piedi e gli uomini al contrario, accoccolati, vd. Hdt. 2.35-36.

Hdt. 2.35-36 fiErcomai de; peri; Aijguvptou mhkunevwn to;n lovgon, o{ti plei'sta qwmavsia e[cei ∫h] hJ a[llh pa'sa cwvrh˜ kai; e[rga lovgou mevzw parevcetai pro;" pa'san Ãa[llhn¤ cwvrhn: touvtwn ei{neka plevw peri; aujth'" eijrhvsetai. Aijguvptioi a{ma tw'/ oujranw'/ tw'/ kata; sfeva" ejovnti eJteroivw/ kai; tw'/ potamw'/ fuvsin ajlloivhn parecomevnw/ h] oiJ a[lloi potamoiv, ta; polla; pavnta e[mpalin toi'si a[lloisi ajnqrwvpoisi ejsthvsanto h[qeav te kai; novmou".

Vengo ora ad ampliare il mio discorso intorno all’Egitto, poiché molte cose meravigliose esso possiede e offre opere superiori per ogni descrizione, in confronto a ogni altro paese; per questo se ne parlerà più a lungo. Gli Egiziani, oltre al clima particolare e al fiume che presenta una natura differente dagli altri fiumi, in molte cose hanno costumi e leggi contrarie a quelle degli altri uomini.

Altrettanto fa Luciano, in quello che è considerato il suo capolavoro, la

Storia Vera. Già dal titolo, l’opera si presenta come la parodia delle Storie di

Erodoto e di Tucidide.

Analizziamo ora come Luciano rende l’alterità attraverso l’inversione. Nel proemio dell’opera Luciano dichiara il suo intento, parodiando esplicitamente quello erodoteo. Esso contiene importanti dichiarazioni di poetica ma anche la chiave di lettura di tutta l’opera. Analizzando il lessico del solo proemio, vediamo infatti che gli strumenti utilizzati appartengono ai più disparati campi di studio e cultura ellenici: dalla letteratura, alla filosofia, alla retorica, all’etnografia, alla storiografia e alla medicina.

Luciano sa bene, e già lo aveva affermato nel suo trattato Come si deve

scrivere la storia, che solo uno è il fine della storia: narrare le cose come davvero

sono avvenute e divenire modello per coloro che verranno275.

Luc. Hist. conscr. 39-40 Tou' dh; suggrafevw" e[rgon e{n<wJ" ejpravcqh eijpei'n.

[…] øEn gavr, wJ" e[fhn, tou'to i[dion iJstoriva", kai; movnh/ qutevon th'/ ajlhqeiva/,

ei[ ti" iJstorivan gravywn i[oi, tw'n de; a[llwn aJpavntwn ajmelhtevon aujtw'/, kai; o{lw" ph'cu" ei|" kai; mevtron ajkribev", ajpoblevpein mh; eij" tou;" nu'n ajkouvonta" ajll≠ eij" tou;" meta; tau'ta sunesomevnou" toi'" suggravmmasin.

Resta dunque unico il compito dello storico: raccontare i fatti come sono accaduti. […] Questo, infatti, è il solo carattere proprio della storia, e se qualcuno si accinge a scriverla, deve sacrificare alla sola Verità e disinteressarsi di ogni altra cosa:

275 Lo storico deve essere giudice imparziale e non deve preoccuparsi del presente, altrimenti egli

mirerebbe solo al proprio profitto, alla gloria effimera. Lo stesso proclamava Tucidide nel suo proemio, come abbiamo detto più volte, vd. Thuc. 1.22 kth'mav te ej" aijei; ma'llon h] ajgwvnisma ej" to; paracrh'ma ajkouvein xuvgkeitai. Luciano paragona quindi la ricerca da parte delle storico, di fama e di lode nel plauso del pubblico contemporaneo, alla vanità dell’atleta che si imbelletta per risultare più bello per il pubblico. Il desiderio di lode e l’amore di sé diventano patina esteriore superflua. Luc. Hist. conscr. 40 eij de; to; parautivka ti" qerapeuvoi, th'" tw'n kolakeuovntwn merivdo" eijkovtw" a]n nomisqeivh, ou}" pavlai hJ iJstoriva kai; ejx ajrch'" eujqu;" ajpevstrapto, ouj mei'on h] kommwtikh;n hJ gumnastikhv.

insomma la norma e il metro consistono precisamente nel non badare agli ascoltatori di oggi, ma a coloro che si intratterranno con l’opera in futuro.

Ebbene, nonostante le direttive precedenti da lui date nel suo trattato di storia, egli costruisce il prototipo di storia che non andrebbe mai scritta, che proprio per provocazione verrà chiamata Storia Vera. Gli elementi che vengono accostati nel proemio stridono tra loro, catalizzando però l’attenzione del lettore.

Ci soffermeremo dunque, sul proemio della Storia Vera (VH 1.1-4) come forma di inversione, non solo per la collocazione geografica delle varie tappe del viaggio, per gli usi e i costumi dei popoli che Luciano e i suoi compagni incontrano, ma anche per osservare più da vicino come l’autore crea l’inversione di quella che noi chiamiamo verità, creando così un mondo al contrario. Tutto diviene falsità.

Luciano inserendo il paragone dell’attività degli studiosi a quella degli atleti (VH 1.1), i quali necessitano di pause, i primi dallo studio, i secondi dall’esercizio, giustifica in qualche modo l’intenzione buona che lo ha spinto a scrivere l’opera.

Il modo migliore che gli studiosi hanno per riposarsi e per far sì che essi siano più produttivi, è quello di leggere opere che suscitino un certa distensione mentale e dia la possibilità di vedere cose nuove e stimolanti. È interessante che Luciano utilizzi il termine qewriva per sottolineare l’azione satirica nell’esperienza del viaggio.

Luciano dichiara che il pubblico starà per sentire un’opera stimolante non solo per la trama, ma anche, parodiando il proemio di Erodoto e il suo metodo storiografico276, per la varietà e il numero di menzogne che contiene (yeuvsmata

poikivla):

Luc. VH 1.2 ouj ga;r movnon to; xevnon th'" uJpoqevsew" oujde; to; cariven th'" proairevsew" ejpagwgo;n e[stai aujtoi'" oujd≠ o{ti yeuvsmata poikivla piqanw'" te kai; ejnalhvqw" ejxenhnovcamen, ajll≠ o{ti kai; tw'n iJstoroumevnwn e{kaston oujk ajkwmw/dhvtw" h[/niktai prov" tina" tw'n palaiw'n poihtw'n te kai; suggrafevwn kai; filosovfwn polla; teravstia kai; muqwvdh suggegrafovtwn.

Ed effettivamente li alletterà non solo la stranezza dell’argomento o la lepidezza del proposito o il fatto che io ho tirato fuori menzogne di vario tipo coi modi persuasivi di chi non mente, ma il fatto che ciascuna delle cose narrate allude non senza forza comica a qualcuno di quegli antichi poeti, storici e filosofi, che hanno raccontato miracoli e favole in quantità.

276 Per la parodia lucianea del metodo storiografico ed etnografico di Erodoto vd. Saïd 1994, pp.

Hdt. 1.1 ïHrodovtou Qourivou iJstorivh" ajpovdexi" h{de, wJ" mhvte ta; genovmena ejx ajnqrwvpwn tw'/ crovnw/ ejxivthla gevnhtai, mhvte e[rga megavla te kai; qwmastav, ta; me;n ‹Ellhsi, ta; de; barbavroisi ajpodecqevnta, ajkleva gevnhtai, tav te a[lla kai; di≠ h}n aijtivhn ejpolevmhsan ajllhvloisi.

Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso perché le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari rimangano senza gloria, e, inoltre per mostrare per qual motivo vennero a guerra fra loro.

L’autore sfruttando i molteplici significati che il termine erga nel proemio di Erodoto può assumere277, ed essendogli capitate tra le mani numerose opere di poeti, storici e filosofi del passato e del presente, che si sono spacciati come portavoce di verità, si sente autorizzato a lasciare anche lui qualcosa ai posteri. Utilizzerà una formula che dimostra la sua aspra critica contro storici, filosofi e tutti coloro che affermando di ricercare e dire il vero, professano il falso. Luciano pertanto sarà onesto fin dall’inizio dichiarando che quello che lui sta raccontando è assolutamente non vero. Chi ascoltandolo presterà fede a quanto narra, non potrà poi accanirsi contro di lui scoprendo che è tutto falso, è tutto un’enorme menzogna. Il pubblico è stato avvertito.

Luc. VH 1.4 diovper kai; aujto;" uJpo; kenodoxiva" ajpolipei'n ti spoudavsa" toi'" meq≠ hJma'", i{na mh; movno" a[moiro" w\ th'" ejn tw'/ muqologei'n ejleuqeriva", ejpei; mhde;n ajlhqe;" iJstorei'n ei\con<oujde;n ga;r ejpepovnqein ajxiovlogon<ejpi; to; yeu'do" ejtrapovmhn polu; tw'n a[llwn eujgnwmonevsteron: ka]n e}n ga;r dh; tou'to ajlhqeuvsw levgwn o{ti yeuvdomai. ou{tw d≠ a[n moi dokw' kai; th;n para; tw'n a[llwn kathgorivan ejkfugei'n aujto;" oJmologw'n mhde;n ajlhqe;" levgein. gravfw toivnun peri; w|n mhvte ei\don mhvte e[paqon mhvte par≠ a[llwn ejpuqovmhn, e[ti de; mhvte o{lw" o[ntwn mhvte th;n ajrch;n genevsqai dunamevnwn. dio; dei' tou;" ejntugcavnonta" mhdamw'" pisteuvein aujtoi'".

Per questo, studiandomi anch’io, mosso da vanità, di lasciare qualcosa ai posteri e mirando a non restare io solo privo della libertà intrinseca al favoleggiare, non avendo d’altra parte nulla di vero da raccontare – nulla infatti mi era capitato degno di nota –, presi la via della menzogna, ma con molto più giudizio degli altri, giacché in una cosa almeno sarò veritiero, nella dichiarazione che mento. E così, ammettendo io stesso di non dire nulla di vero, penso di sfuggire all’accusa degli altri. Scrivo dunque di cose che non vidi, che non mi accaddero, che non seppi da altri e che, inoltre, non esistono affatto e non possono in nessun modo esistere. Perciò i lettori non devono crederci assolutamente.

277 Luciano sfrutta a suo favore l’ambiguità del termine. Nel Prologo delle Storie Erodoto

stabilisce quali sono i suoi obiettivi, e tra questi figura il ‘far vedere gli e[rga megavla te kai; qaumastav’ dei Greci e dei Barbari. L’espressione erga megala qui, come afferma anche Hartog, può essere intesa come ‘monumenti più notevoli’ o anche ‘grandi gesta’ o più semplicemente delle ‘opere’, vd. Hartog 1992, p. 199.

Egli dunque, come nessun autore avrebbe mai fatto, come nessun manuale avrebbe prescritto, chiede al suo pubblico di non credere ad alcuna parola che uscirà dalla sua bocca.

Il viaggio che Luciano compirà con la sua ciurma nella Storia Vera, nella sua ambientazione spaziale, avrà luogo inizialmente all’interno di uno spazio ‘conosciuto’, posto al di qua delle Colonne d’Ercole278, poi si addentrerà in uno spazio in continuo mutamento, altro, situato all’opposto dell’ecumene conosciuta. Luciano utilizza proprio il termine ajntipevra":

Luc. VH 2.47 Tacevw" ou\n ejpi; nau'n katelqovnte" ajpepleuvsamen. kai; ejpei; hJmevra uJphuvgazen, h[dh th;n h[peiron ajpeblevpomen eijkavzomevn te ei\nai th;n ajntipevra" th'/ uJf≠ hJmw'n oijkoumevnh/ keimevnhn.

Discendemmo, così, velocemente alla nave e salpammo. Quando cominciò ad albeggiare, avvistammo il continente e immaginammo che fosse quello dirimpetto al continente abitato da noi.