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Il mutamento di prospettiva

GLI STRUMENTI DEL VIAGGIATORE

4.2 Il mutamento di prospettiva

In poche parole, il viaggio permette allo sguardo di modificare la propria prospettiva. Il vivere costantemente nel medesimo luogo rilassa i sensi, in qualche modo questi si adattano al torpore quotidiano, all’abitudine, togliendo così all’uomo la volontà di vedere e, molto più spesso, rendendolo addirittura incapace

di distinguere e capire quello che gli si presenta dinnanzi. Gli viene impedito il vaglio critico della realtà.

Luciano pertanto capisce che il viaggio concentra su di sé una grande valenza di significati ed è un’esperienza che permette all’uomo di cambiare. Il viaggio infatti ci libera dai pregiudizi, dalle false credenze e dalla rigidità di pensiero. Rigidità che deriva dalla mancanza di mutamento, dalla consuetudine e dall’abitudine245.

Il cambiamento di prospettiva non è solo un mutamento di approccio alla materia analizzata, è anche e soprattutto un cambiamento nell’osservazione. Lo sguardo cambia. È come se i nostri occhi acquisissero una potenza mai avuta prima, la potenza della critica e dello smascheramento.

Così gli occhi del viaggiatore, che osservano e indagano le diverse realtà in cui egli si sposta, sono l’esempio lampante e che più concretamente esprime il cambio di prospettiva. L’opera lucianea che meglio dà l’idea dell’importanza della vista nel processo conoscitivo e critico della realtà risulta essere l’Icaromenippo. L’opera narra l’incredibile viaggio del filosofo Menippo di Gadara in cielo, verso la dimora degli dei. L’opera stessa è identificata infatti da un duplice titolo, jIkaromevnippou" h] uJpernevfelo".

L’opera mette in scena il dialogo – forma prediletta da Luciano per le opere critiche, come abbiamo detto precedentemente – tra Menippo, il protagonista, e un amico anonimo. Menippo è appena tornato da un viaggio incredibile, tanto che il suo stesso interlocutore è portato a mettere in dubbio continuamente quello che

245 Lo stesso Erodoto affermava, considerando Cambise un folle (ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh")

perché prendeva in giro religioni e costumi, che la consuetudine è regina di tutte le cose, riprendendo un verso di Pindaro. Hdt. 3.38 Eij gavr ti" proqeivh pa'si ajnqrwvpoisi ejklevxasqai keleuvwn novmou" tou;" kallivstou" ejk tw'n pavntwn novmwn, diaskeyavmenoi a]n eJloivato e{kastoi tou;" eJwutw'n: ou{tw nomivzousi pollovn ti kallivstou" tou;" eJwutw'n novmou" e{kastoi ei\nai. […] kai; ojrqw'" moi dokevei Pivndaro" poih'sai, ÃÃnovmon pavntwn basilevaÃÃ fhvsa" ei\nai. Effettivamente quanti di noi si troverebbero in difficoltà a cambiare corsia di marcia viaggiando in macchina? Eppure basta spostarsi in molti paesi anglosassoni per ritrovarsi in questa situazione. Ecco dunque che Erodoto ci presenta delle prove (a[lloisi tekmhrivoisi) molto eloquenti e piuttosto macabre di questa affermazione Erodoto racconta infatti che Dario chiese ai Greci chi di loro avrebbe mangiato i propri padri morti. Nessuno ovviamente avrebbe mai osato fare una cosa così abominevole. Allo stesso modo, chiese agli Indiani, che invece si cibano dei genitori defunti, se mai avrebbero bruciato su di una pira i loro genitori defunti. Anche quelli dissero che nessuno di loro avrebbe compiuto tali empietà. Ecco che ciascuno è convinto che le proprie usanze siano le migliori. Nessuno le metterebbe in dubbio. Solo un pazzo (mainovmenon a[ndra), come dice Erodoto, o uno straniero, come dice Luciano, metterebbe alla berlina la propria identità. Vd. infra 6.4, pp. 263-274, l’incontro tra Solone ed Anacarsi.

dice, spesso anche deridendolo. Ma al protagonista non interessa quello che pensa il suo amico, egli sa di aver sentito e visto cose meravigliose, al di là dei confini della credibilità.

Luc. Icar. 2 MENIPPOS Kai; mh;n ejgwv soi par≠ aujtou' ejkeivnou tou' pavnu Dio;" h{kw thvmeron qaumavsia kai; ajkouvsa" kai; ijdwvn: eij de; ajpistei'", kai; aujto; tou'to uJpereufraivnomai to; pevra pivstew" eujtucei'n.

Menippo: Per l’appunto, io sono arrivato adesso dritto dritto dal cospetto proprio di Zeus, testimone tanto con gli occhi che con gli orecchi di cose meravigliose. Se poi non ci credi, proprio questo mi fa felicissimo, di avere una fortuna che supera ogni credibilità.

Bene, quanti di noi di fronte ad un amico che dice: ‘ho vissuto un’esperienza incredibile, straordinaria, meravigliosa; non ci crederesti mai se te lo raccontassi’, non sentirebbero il desiderio inestinguibile di sapere davvero cosa sia successo? Luciano lo sa bene quali sono i tasti deboli dell’uomo. La curiosità fa l’uomo intelligente, ma può diventare un’arma a doppio taglio portando a effetti deludenti e a volte spiacevoli.

Cosa fa Luciano-Menippo per saziare questa sua profonda curiosità? Decide di guardare tutto da un’altra prospettiva, e cioè di non guardare alle cose che riguardano la terra dalla terra, ma dedicarsi alle cose del cielo dalla terra. Ma quella prospettiva non lo aiuta, anzi più egli indaga più i dubbi e le difficoltà aumentano.

Luc. Icar. 4 katafronhvsa" aujtw'n kai; th;n peri; tau'ta spoudh;n ajscolivan tw'n ajlhqw'" spoudaivwn uJpolabw;n ajnakuvptein te kai; pro;" to; pa'n ajpoblevpein ejpeirwvmhn: kaiv moi ejntau'qa pollhvn tina parei'ce th;n ajporivan prw'ton me;n aujto;" ou|to" oJ uJpo; tw'n sofw'n kalouvmeno" kovsmo":

Sentii disprezzo di queste cose e capii che l’ambizione che ci spinge a inseguirle non significa altro che trascurare le cose veramente importanti. Provai allora a levare gli occhi verso l’alto e a contemplare l’intero universo. Mi mise, a questo punto, in gran imbarazzo prima di tutto quello che i sapienti chiamano cosmo.

E l’indagine, di che strumenti si avvale? Della vista. Lo dimostra il fatto stesso che il verbo in greco utilizzato per indagare, ovvero ejpiskopeuvw, è connesso proprio all’osservazione e all’analisi visiva (skophv)246.

246 Interessante il fatto che l’osservazione, l’indagine (skophv) predilige luoghi posti ad una certa

altezza. Skopiav infatti significa altura – oltre che vedetta – o anche torre di osservazione. L’osservazione è più efficace se effettuata da un punto di vista posto ‘in alto’. E proprio l’avverbio a[nwqen è assai frequente nelle opere di Luciano, ad indicare proprio un punto di osservazione in alto.

Luc. Icar. 4 e[peita de; kata; mevro" ejpiskopw'n polu; ma'llon ajporei'n hjnagkazovmhn:

Poi, osservandolo nelle singole parti, fui stretto da difficoltà ancora più grandi.

Menippo deve cambiare totalmente la sua prospettiva. Cambiare prospettiva non vuol dire cambiare l’argomento della propria indagine, alzando la testa al cielo. Bisogna spostarsi fisicamente in un altro luogo. Menippo vuole indagare le cose del cielo, vuole avere una risposta alle domande cosiddette esistenziali: da dove veniamo, perché, chi e come ha creato il cosmo. E quale è il luogo migliore dove spostarsi per indagare le cose del cielo, se non proprio rivolgendosi agli dei? La prospettiva dall’alto, gli consentirà però anche l’osservazione delle cose sulla terra. Il confronto con gli dei, e poi l’osservazione della terra, gli permetteranno una visione critica della realtà e una nuova conoscenza.

Menippo, non crede a nessuno sulla terra. Niente di quello che gli viene detto gli sembra credibile e l’unico modo per trovare la riposta alla sua aporia è andare in cielo:

Luc. Icar. 10 ≠Ef≠ oi|" a{pasin ajmhcanw'n ejpi; gh'" me;n ajkouvsesqaiv ti peri; touvtwn ajlhqe;" ajpegivnwskon, mivan de; th'" sumpavsh" ajporiva" ajpallagh;n w[/mhn e[sesqai, eij aujto;" pterwqeiv" pw" ajnevlqoimi eij" to;n oujranovn.

Di fronte a tutto questo non sapevo che fare e disperavo di sentire sulla terra qualcosa di vero su ciò che volevo conoscere. Allora pensai che l’unica via per liberarmi da ogni dubbio sarebbe stata quella di mettere in qualche modo le ali e di salire io stesso in cielo.

Sarà la sua forza di volontà, il suo desiderio di conoscenza a permettergli di mettere le ali e volare tra le nuvole.

Luc. Icar. 10 touvtou dev moi parei'ce th;n ejlpivda mavlista me;n hJ ejpiqumiva.

Mi incoraggiava all’impresa soprattutto il desiderio di sapere.

Menippo dunque riesce a librarsi nel cielo e a giungere alle varie tappe del suo viaggio, prima fra tutte la Luna, dalla quale riesce ad avere una spettacolare visione panoramica della terra, dall’alto verso il basso. Menippo rimane senza fiato.

Luc. Icar. 11 proselavsa" ou\n kai; kaqezovmeno" ejp≠ aujth'" dianepauovmhn ej" th;n gh'n a[nwqen ajpoblevpwn kai; w{sper oJ tou' ïOmhvrou Zeu;" ejkei'no" a[rti me;n th;n tw'n iJppopovlwn Qrh/kw'n kaqorwvmeno", a[rti de; th;n Musw'n, met≠ ojlivgon dev, eij dovxeiev moi, th;n ïEllavda, th;n Persivda kai; th;n ≠Indikhvn. ejx w|n aJpavntwn poikivlh" tino;" hJdonh'" ejnepimplavmhn.

Mi avvicinai (alla luna) e mi sedetti lì a riposarmi, guardando dall’alto la terra: giusto come il famoso Zeus di Omero, ora volgevo lo sguardo alla terra dei Traci domatori di cavalli, ora a quella dei Misi, un momento dopo, se mi andava a genio, all’Ellade, alla Persia e all’India. E la visione di tutti questi paesi mi riempiva di un piacere sempre nuovo.

Sappiamo bene quanto la visione dall’alto sia l’esemplificazione in Luciano per definire un punto di vista sostanzialmente diverso da quello che si ha canonicamente. Se si ricerca quante volte compare l’avverbio a[nwqen in Luciano, si rimane stupiti. Ma particolarmente interessante è il fatto che questo avverbio nella maggior parte dei casi si accompagna a verbi che riguardano la vista, o l’impressione che qualcosa suscita nell’osservatore247.

L’amico del protagonista è anch’esso curioso e vuole sapere cosa ha visto Menippo, e la sua richiesta di informazioni conferma l’importanza che assume la vista come strumento primo di conoscenza. Menippo ovviamente è felice di avere qualcuno che lo ascolti, perché, come già è stato detto, il racconto (o il resoconto) che deriva dal viaggio è essenziale al fine di confermare l’esperienza vissuta. È una forma attraverso cui l’individuo conferma la sua esperienza e trova la propria identità. Menippo dunque, non aspetta altro che accompagnare per mano l’amico nel suo racconto e renderlo partecipe dell’osservazione.

Luc. Icar. 11-12 ETAIROS Oujkou'n kai; tau'ta levgoi" a[n, w\ Mevnippe, i{na mhde; kaq≠ e}n ajpoleipwvmeqa th'" ajpodhmiva", ajll≠ ei[ tiv soi kai; oJdou' pavrergon iJstovrhtai, kai; tou'to eijdw'men: wJ" e[gwge oujk ojlivga prosdokw' ajkouvsesqai schvmatov" te pevri gh'" kai; tw'n ejp≠ aujth'" aJpavntwn, oi|av soi a[nwqen ejpiskopou'nti katefaivneto.

MENIPPOS Kai; ojrqw'" ge, w\ eJtai're, eijkavzei": diovper wJ" oi|ovn te ajnaba;" ejpi; th;n selhvnhn tw'/ lovgw/ sunapodhvmei te kai; sunepiskovpei th;n o{lhn tw'n ejpi; gh'" diavqesin. kai; prw'tovn gev moi pavnu mikra;n dovkei tina; th;n gh'n oJra'n,

247

Come nel caso dell’Ambra, in cui Luciano avverte i lettori di non farsi ingannare dalle false apparenze e dalle aspettative. Egli paragona la disillusione in cui incorrono coloro che osservano gli oggetti immersi nell’acqua, credendo siano di grandi dimensioni. Invece, quando li traggono fuori dall’acqua, rimangono delusi perché l’oggetto non è come se lo immaginavano. Electr. 6 oiJ ta; ejn tw'/ u{dati oJrw'nte": oijovmenoi ga;r thlikau'ta ei\nai aujta; oi|a diefaivneto aujtoi'" a[nwqen. Di osservazione dall’alto si parla anche nel De domo in cui, descrivendo il dipinto che raffigura la lotta di Perseo contro Medusa, si sofferma su un particolare: dall’alto della rupe, Andromeda pudica e timorosa osserva la scena della lotta (22 ejpiskopei' ga;r mavchn a[nwqen ejk th'" pevtra"). Anche nell’Icaromenippo il protagonista vola in cielo raggiungendo la luna, dalla quale osserva la terra (11 kaqezovmeno" ejp≠ aujth'" dianepauovmhn ej" th;n gh'n a[nwqen ajpoblevpwn), in particolare si sofferma sulla Grecia, che gli sembra grande quattro dita (18 th'" gou'n ïEllavdo" o{lh" wJ" tovte moi a[nwqen ejfaivneto daktuvlwn ou[sh" to; mevgeqo" tettavrwn), L’amico è curioso e vuole sapere come gli apparissero gli uomini e le loro città dall’alto (19 kai; oiJ a[ndre" aujtoi; phlivkoi diefaivnonto a[nwqenÉ). Menippo paragonerà allora gli abitanti della terra a minuscole formiche, e le loro città, a formicai in costante movimento (Icar. 20).

polu; levgw th'" selhvnh" bracutevran, w{ste ejgw; a[fnw katakuvya" ejpi; polu; hjpovroun pou' ei[h ta; thlikau'ta o[rh kai; hJ tosauvth qavlatta: kai; ei[ ge mh; to;n ïRodivwn kolosso;n ejqeasavmhn kai; to;n ejpi; th'/ Favrw/ puvrgon, eu\ i[sqi, pantelw'" a[n me hJ gh' dievlaqe. nu'n de; tau'ta uJyhla; o[nta kai; uJperanesthkovta kai; oJ ≠Wkeano;" hjrevma pro;" to;n h{lion uJpostivlbwn dieshvmainev moi gh'n ei\nai to; oJrwvmenon.

Amico: Potresti raccontarci anche queste cose, Menippo! Non vogliamo perderci nemmeno un particolare del tuo viaggio: se anche hai osservato qualcosa di poco conto per strada, pure di questo devi farci sapere! Un bel po’ di cose io mi aspetto di sentire sulla forma della terra e su tutto ciò che vi sta sopra, così come apparivano dall’alto al tuo occhio osservatore.

Menippo: È proprio giusto, amico, quel che ti immagini. Perciò, salendo come ti è possibile sulla luna con l’immaginazione, compi questo viaggio insieme a me e con me osserva da cima a fondo come stanno le cose sulla terra. E in primo luogo immaginati di vedere una terra davvero piccola, molto più piccola – ti dico – della luna: a tal punto che, sporgendo subito in giù la testa, per un bel pezzo non riuscivo a trovare dove fossero queste montagne così alte e questo mare così grande. Se poi non avessi visto il colosso di Rodi e la torre di Faro, la terra, stai certo non l’avrei assolutamente riconosciuta. Ora invece queste meraviglie, altissime e sopraelevate su tutto il resto, e in più l’Oceano, che brillava pallido sotto la luce del sole, mi fecero capire che ciò che vedevo era la nostra terra.

La visione diretta, in prima persona, preferibilmente da una specola diversa da quella quotidiana, e l’ascolto del racconto divengono i vettori attraverso cui Luciano mette in atto parte della sua azione satirica. Ma è proprio il confronto delle diverse testimonianze, quella diretta, attraverso la visione in prima persona (o[yi" e aujtoyiva), e quella indiretta, attraverso ciò che ci viene riferito da altri (ajkohv), operato da colui che intraprende l’esperienza del viaggio a permettergli l’operazione critica della realtà.

Luciano costantemente mette in allerta il suo pubblico, accusandolo troppo spesso di credere a tutto quello che gli viene detto. Molto spesso la visione diretta e il contatto con ‘l’altro’ gli permette di scoprire che la verità, che fino a poco prima riteneva l’unica e inalterabile, è solo una sua convinzione. La società, le tradizioni, gli stessi promotori della cultura, ci tramandano non la verità, bensì una delle tante verità esistenti.

Solamente attraverso il cambio di prospettiva (ma anche il confronto dialogico, e che quindi presuppone anche l’ajkohv) e il confronto con il diverso, l’uomo riesce a mettere in gioco i valori in cui crede e ad aprire gli occhi, permettendo a se stesso di vedere una grande molteplicità di mondi, di realtà e di saperi.

Luciano in qualche modo chiede ai suoi lettori di mettere in discussione le proprie aspettative attraverso il confronto con gli altri. Egli sa benissimo che l’uomo è un animale impulsivo, e con i suoi racconti, di sicuro non chiede di fantasticare su cose che non esistono. Egli suggerisce al suo pubblico di ascoltare quanto viene riferito, ma di non lasciarsi passivamente convincere da valori preconfezionati e da racconti il più delle volte inventati da poeti e rapsodi. L’uomo deve aprire gli occhi, osservare criticamente e mettere in dubbio. Questo non significa non credere in niente. Luciano non crede nella verità come unica e universale. La verità non si vede e non si conosce. Ognuno si crea la propria verità, sta all’uomo non divenire succube delle verità imposte dagli altri, o divenire schiavo della propria per essere liberi.