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Luciano e la paideia

UNA VITA TRA VIAGGI E SUCCESS

2.1 Luciano e la paideia

Abbiamo detto che Luciano impara il greco a scuola e si accosta ai precetti dell’educazione ellenica classica, e farà proprio di questi e delle rigide norme del modello classico, uno dei suoi obiettivi satirici. L’educazione, gli autori che rientrano tra i modelli da imitare, la credulità, la religione, la falsità dei costumi, l’immoralità e l’ignoranza di retori e filosofi sono solo alcuni degli obiettivi di critica più diffusi nelle opere di Luciano.

Ritroviamo alcune delle notizie sulla biografia dell’autore nelle sue stesse opere, ma è difficile filtrare i dati che noi possiamo ricavare perché molto spesso autorappresentazione e rappresentazione dell’ ‘altro’ in Luciano si mescolano, creando così una certa difficoltà d’interpretazione.

Uno dei criteri utilizzati per analizzare le circa ottanta opere che costituiscono il corpus lucianeo è quello di osservare dove l’autore nomina se stesso. S’intendono qui non le parti narrative in prima persona (es. io sono, io ricordo, io ho viaggiato) bensì i passi in cui l’autore nomina se stesso nel testo con il proprio nome, ‘Luciano’72.

Una delle opere in cui compare il nome Luciano è Il Sogno ovvero la vita di

Luciano. Si tratta però di un caso particolare: il nome dell’autore compare infatti

regnò per i primi due secoli dell’era cristiana e furono proprio questi gli anni ideali per i viaggiatori: «essi potevano spostarsi dalle rive dell’Eufrate fino ai confini tra l’Inghilterra e la Scozia senza passare una sola frontiera, sempre sotto la giurisdizione di un solo stato», Casson 1978, p. 96. C’erano buone strade, gli stranieri erano tutelati e le lingue per poter comunicare erano due: il latino e il greco. Il mondo dei primi due secoli d.C. era più grande di quanto non fosse mai stato. Il Nord continuava a rimanere sconosciuto e quindi ben si prestava ad essere oggetto di favolose storie e avventure. Questo enorme universo caratterizzato da diversità culturali, religiose, linguistiche, era il mondo di Luciano. Il mondo in cui il giovane Luciano chiedeva a se stesso come diventare ‘qualcuno’, un greco, un cittadino dell’impero.

71 Nel Sogno non nomina il nome del padre, né dello zio, né della madre. Il Siro nella Duplice

Accusa è anonimo. Luciano tenta di rappresentare se stesso e la società in cui vive nei personaggi

che mette in azione nelle sue opere, ma non nomina mai se stesso. Goldhill riporta una citazione di Epicarmo (fr. 250 Kaibel) contenuta nell’Ermotimo di Luciano che calza bene nel nostro caso: «For Lucian, telling the story of the self is a tricky, alluring, implicating rhetorical activity. So: ‘Be sober, and remember not to believe’», Goldhill 2002, p. 81-82.

72 Goldhill 2002, nel suo studio ha esaminato quante volte l’autore nomini se stesso nelle sue

nel sottotitolo dell’opera. E come afferma Goldhill, i sottotitoli, come anche i titoli, risultano essere molto spesso aggiunte editoriali successive, e quindi non corrispondono alla volontà primaria dell’autore73.

Sebbene sembri sia solo il titolo dell’opera a collegare la vicenda narrata alla vita di Luciano, pur contiene informazioni molto utili per ricostruire almeno il pensiero e il rapporto che egli aveva con la paideia.

Luciano dunque, per quanto sia veritiero ciò che egli narra nel Sogno, intraprendendo la strada di Paideia74 e rifiutando il ‘mestiere di famiglia’, deve spostarsi dalla piccola realtà che è Samosata per dedicarsi all’apprendimento dei grandi valori culturali entro cui il cittadino doveva riconoscersi. Nel Sogno infatti si ha la contrapposizione tra l’immobilità di Techne, che promette al futuro discepolo di non doversi mai allontanare dalla sua patria, né dalla sua famiglia, e la dinamicità di Paideia, che di contro afferma che se egli viaggerà, la fama lo seguirà ovunque, anche dopo la morte.

Luc. Somn. 7 kai; ou[pote a[pei ejpi; th;n ajllodaphvn, th;n patrivda kai; tou;" oijkeivou" katalipwvn, oujde; ejpi; lovgoi" ... ejpainevsontaiv se pavnte".

Non te ne andrai mai all’estero, abbandonando la patria e la famiglia; e non per sole parole tutti ti loderanno.

Luc. Somn. 11 ka[n pou ajpodhmh'/", oujd≠ ejpi; th'" ajllodaph'" ajgnw;" oujd≠ ajfanh;" e[sh/: toiau'tav soi periqhvsw ta; gnwrivsmata w{ste tw'n oJrwvntwn e{kasto" to;n plhsivon kinhvsa" deivxei se tw'/ daktuvlw/, ¯Ou|to" ejkei'no"¯ levgwn.

E, se andrai all’estero, neppure in terra straniera sarai sconosciuto ed oscuro: io ti procurerò i segni di riconoscimento tali, che ciascuno di quelli che ti vedranno, urtando il vicino ti mostrerà a dito e dirà: ‘È lui’.

Sicuramente egli si reca in Ionia, poi in Grecia e viaggia per tutto il Mediterraneo. È certo che la cultura faciliti la possibilità di viaggiare, non solo fisicamente, ma anche intellettualmente. Ma, confrontando il Sogno lucianeo con

73 Vd. Goldhill 2002, p. 62. In questo caso poi il sottotiolo diviene elemento distintivo quando

all’interno del corpus delle opere di uno stesso autore ricorrono titoli simili. Questo è il caso di Luciano, tra le cui opere ne compaiono due dal titolo molto simile e che necessitano di un sottotitolo per evitare di essere confuse: [Oneiro" h] ≠Alektruwvn e Peri; tou' ≠Enupnivou h[toi Bivo" Loukianou'.

74 Nella traduzione italiana, Paideia viene tradotta in molteplici modi: da Longo, come ‘retorica’;

da Settembrini era stata tradotta con il termine ‘eloquenza’, che non risulta spiacevole. Consonni invece, traduce con ‘cultura’. Sarebbe probabilmente più corretto utilizzare qui ‘Cultura’, collegando però poi l’allegoria del Sogno a quella della Retorica che invece troviamo della

un’altra opera, la Duplice Accusa, si capisce che a ragione, la maggior parte dei traduttori abbiano reso l’allegoria di Paideia della prolalia, con la personificazione di Retorica.

La retorica è quell’ambito dell’educazione che ha permesso a Luciano di viaggiare e di compiere le sue tournées nel Mediterraneo. Essa diviene infatti protagonista nella sua vita e in quella di tutti i retori dell’età classica, ma anche del II sec. in cui vive l’autore.

La Paideia che compare nella visione notturna di Luciano, viene dunque sostituita da una figura connotata e ben definita sin dal nome. Essa non è più

Paideiva, ma ïRhtorikhv. E sarà proprio l’allegoria della Retorica nella Duplice

Accusa a riassumere le tappe del nostro Siro, in un passo per noi molto importante

che si riporta per intero di seguito.

Qui il problema si pone nell’identificare l’anonimo Siro con Luciano, anche se Goldhill critica l’atteggiamento degli studiosi delle opere lucianee di ricercare costantemente un qualche riscontro autobiografico, identificando molti dei suoi personaggi come rappresentazioni che l’autore ha voluto fare di sé75.

Luc. Bis acc. 27 ≠Egw; gavr, w\ a[ndre" dikastaiv, toutoni; komidh'/ meiravkion o[nta, bavrbaron e[ti th;n fwnh;n kai; mononouci; kavndun ejndedukovta eij" to;n ≠Assuvrion trovpon, peri; th;n ≠Iwnivan euJrou'sa plazovmenon e[ti kai; o{ ti crhvsaito eJautw'/ oujk eijdovta paralabou'sa ejpaivdeusa. kai; ejpeidh; ejdovkei moi eujmaqh;" ei\nai kai; ajtene;" oJra'n eij" ejmev<uJpevpthsse ga;r tovte kai; ejqeravpeuen kai; movnhn ejqauvmazen<ajpolipou'sa tou;" a[llou" oJpovsoi ejmnhvsteuovn me plouvsioi kai; kaloi; kai; lamproi; ta; progonikav, tw'/ ajcarivstw/ touvtw/ ejmauth;n ejnegguvhsa pevnhti kai; ajfanei' kai; nevw/ proi'ka ouj mikra;n ejpenegkamevnh pollou;" kai; qaumasivou" lovgou". ei\ta ajgagou'sa aujto;n eij" tou;" fulevta" tou;" ejmou;" parenevgraya kai; ajsto;n ajpevfhna, w{ste tou;" diamartovnta" th'" ejgguvh" ajpopnivgesqai. dovxan de; aujtw'/ perinostei'n ejpideixomevnw/ tou' gavmou th;n eujpotmivan, oujde; tovte ajpeleivfqhn, ajlla; pantacou' eJpomevnh a[nw kai; kavtw perihgovmhn: kai; kleino;n aujto;n kai; ajoivdimon ejpoivoun katakosmou'sa kai; peristevllousa. kai; ta; me;n ejpi; th'" ïEllavdo" kai; th'" ≠Iwniva" mevtria, eij" de; th;n ≠Italivan ajpodhmh'sai qelhvsanti aujtw'/ to;n ≠Iovnion sundievpleusa kai; ta; teleutai'a

75 Molte sono le aspettative degli studiosi di poter identificare i personaggi rappresentati nelle sue

opere con l’autore stesso, ma si ritiene che sia un atteggiamento frequente da parte dei critici, quando ci si occupa di autori prolifici senza possedere una adeguata testimonianza autobiografica. La ricerca di notizie di Luciano nelle sue opere non è un aspetto da considerarsi negativo. I suoi personaggi sono specchio della realtà in cui vive e parlano un linguaggio che è quello dell’autore. Le parole di biasimo e di critica che i suoi personaggi non mancano di dire, sono quelle dell’autore. Pertanto sia Il Sogno, che la Duplice Accusa, sebbene non possano essere considerate opere autobiografiche, rifletta comunque aspetti della vita stessa dell’autore. Dopotutto Luciano voleva un pubblico vigile, partecipe dell’azione, e che fosse in grado di reagire autonomamente agli stimoli che gli venivano proposti.

mevcri th'" Keltikh'" sunapavrasa eujporei'sqai ejpoivhsa. Kai; mevcri me;n pollou' pavnta moi ejpeivqeto kai; sunh'n ajeiv, mhdemivan nuvkta gignovmeno" ajpovkoito" par≠ hJmw'n.

Io presi con me ed educai costui, quando era ancora veramente un ragazzino, ancora barbaro e vestito, potrei dire, del caffettano alla moda siriaca; lo avevo trovato ancora vagante per la Ionia e ignaro di quel che dovesse fare della propria vita. Quando mi parve che apprendesse con facilità e non distogliesse lo sguardo da me – era timido allora e serviva e ammirava me sola –, lasciati quanti altri mi corteggiavano, ricchi, belli e di illustre casata, diedi la mia parola a questo ingrato, povero, oscuro e giovane, mentre io portai la non piccola dote di molti ammirevoli discorsi. Poi lo condussi e lo registrai fra i membri della mia tribù rendendolo un cittadino, così da far schiattare quelli che non ottennero di fidanzarsi con me. E quando decise di girare il mondo per esibire il suo matrimonio fortunato, neppure allora mi distaccai da lui, ma continuavo a girare su e giù per seguirlo dappertutto; in conclusione, gli diedi lustro e notorietà, eleganza nel tratto e negli abiti. Cosa modesta furono i viaggi in Grecia e nella Ionia; ma quando volle recarsi all’estero, in Italia, attraversai con lui il mare Ionio e con lui, in ultimo, salpai per giungere fino in Gallia e gli procurai l’agiatezza. Per molto tempo mi diede retta in ogni occasione e stette sempre con me, non dormendo lontano da me una sola notte.

Retorica dunque, illustra il rapporto con il giovane Luciano. Come in un rapporto matrimoniale, ella si sente tradita dal marito. Egli per contro non si sente affatto legato in maniera indissolubile alla figura femminile, se non momentaneamente da un unico motivo: la sete di fama76.

Retorica, come un’amante matura, aveva preso sotto le sue ali il giovane Luciano disorientato, lo aveva accudito, gli aveva dato tutto quello che possedeva, nonostante non avesse ricavato nulla dal giovane. Giovane, neppure ricco, neppure di status familiare altolocato. Ebbene, nonostante ciò, il giovane abbandona Retorica, che si sente davvero tradita, come potrebbe accadere in un episodio cinematografico77, in cui una donna in carriera viene abbandonata dal

76

La ‘sete’ di fama ricorre in un altro breve componimento, una prolalia, di Luciano, le Dipsadi, in cui l’autore attraverso una trovata molto ingegnosa imbastisce un racconto quasi etnografico sulle particolarità faunistiche della regione della Libia. Tra i vari animali che abitano questa zona, vi è anche la dipsade, il cui morso causa un morte lenta per disidratazione. La vittima del serpente più porta il bicchiere alla bocca, più desidera bere. Luciano utilizzerà questa immagine così efficace per descrivere la sete di presentarsi al suo pubblico e quindi di ritrovare partecipazione e acclamazione pubblica.

77 Luciano si oppone alla spettacolarizzazione della cultura e dei valori tradizionali e religiosi che

aveva preso piede nell’epoca in cui vive, ma a sua volta utilizza la metafora teatrale e l’efficacia comunicativa propria del teatro per compiere la sua satira. Nella Apologia (33) Luciano mette in scena uno spettacolo in cui diviene l’unico protagonista, alternando le maschere e giocando più ruoli. L’autore infatti utilizza un verbo particolarmente denso di significato. Si tratta del verbo ujpokrivnomai. Questo viene utilizzato sia nei contesti teatrali e del dramma, dove assume il significato di ‘giocare un ruolo’, ‘mettere la maschera di un determinato personaggio’ (e quindi proprio fare l’attore), ma viene utilizzato anche nei contesti giudiziari, nei tribunali, dove il verbo viene comunemente tradotto come ‘sottoporre ad esame’, ‘declamare’. Questo verbo è

giovane amante, inizialmente personaggio anonimo, sconosciuto. Quest’ultimo poi riesce a ribaltare la situazione a suo favore, e quindi a rimanere protagonista indiscusso sulla scena. Ora diviene finalmente visibile.

Retorica quindi, resasi conto di non essere mai stata amata se non per scopi di tornaconto personale (per il desiderio di fama pubblica), viene travolta dalla rabbia. Ma ella sa come usare le parole e si rivolge dunque ad un tribunale, l’unico luogo in cui può avvenire lo scontro verbale tra un sofista e la Retorica in persona.

In questo paragrafo è descritto dunque lo sfogo di una Retorica che con le parole riassume bene la storia del primo incontro con Luciano e del loro rapporto, dando voce così a sentimenti nascosti. Ella si sente ferita per essere stata tratta in inganno da Luciano: egli ha imparato l’arte della parola e ora può benissimo fare a meno di lei e sfruttare quest’arte per scopi più ‘alti’.

Ma anche Luciano era stato messo in trappola dalla Retorica tempo prima: era quella stessa che si celava sotto le spoglie di Paideia78. Nel Sogno infatti colei

che gli era apparsa come personificazione della cultura (Paideia), in realtà era una donna del tutto fuori dagli schemi dell’educazione classica. Essa si avvicinava molto più a quella bella donna imbellettata, le cui parole sono come il miele, seduttrice di molti uomini del suo tempo che appare invece nella Duplice Accusa, ovvero Retorica.

Ciò che si deduce da queste due opere messe insieme (Il Sogno e La Duplice

Accusa) non è solo il ruolo che la retorica occupava nel percorso educativo dei

giovani, ma il ruolo che essa aveva assunto negli anni in cui Luciano vive. L’ambiente culturale in cui Luciano viaggia trabocca di personaggi che grazie agli

significativo perché anche nella Duplice Accusa, in un contesto che è quello della seduta giudiziaria, Luciano inscena un vero e proprio dramma, dove Retorica viene presentata come la donna tradita dal marito. Il verbo ha anche una connotazione negativa per cui tra i vari significati può avere anche quello di ‘ingannare’ o di ‘fingere’. Uno studio vasto ed esaustivo sull’influenza della tragedia in Luciano è quello di Karavas 2005, in particolare per la metafora teatrale e per la terminologia tecnica utilizzata da Luciano vd. Karavas 2005, pp. 205-216. Per l’influenza della maschera della commedia invece vd. Calame 1992 e Frontisi-Ducroux 1992.

78 La Retorica infatti nella Duplice Accusa quando afferma di aver insegnato Luciano tutto quello

che sapeva e di averlo educato, utilizza il verbo paideuvw, che richiama la personificazione che troviamo nel Sogno, Paideia: Luc. Bis acc. 27 peri; th;n ≠Iwnivan euJrou'sa plazovmenon e[ti kai; o{ ti crhvsaito eJautw'/ oujk eijdovta paralabou'sa ejpaivdeusa.

‘insegnamenti’ della retorica erano riusciti ad ammaliare la massa con vuote parole.

Da quello che traspare nell’opera, il Siro rimane deluso dalla sua ‘amata’. Retorica ormai è talmente ‘narcisa’ e alla costante ricerca di apparire e di ricevere le attenzioni altrui, che tende ormai solo a fiumi di belle parole vuote, prive di senso, prive di valore. Retorica non ha più una morale. Luciano l’aveva amata nelle sue forme classiche, per la grande capacità che essa aveva di ammaliare gli uomini. Ora essa non è più portavoce della verità, ma della pluralità delle verità che ognuno proclama. Luciano nell’opera biasima apertamente tutti i filosofi. Essi non fanno altro che litigare perché non sono mai in accordo su niente. Ognuno ha un proprio sema a cui si appella e ribadisce, senza accorgersi che sono tutti uguali. Tutti sono convinti della propria verità, la perseguono fino all’esasperazione e non si accorgono che se si guardassero attorno troverebbero altri come loro che discutono sui principi del mondo, solo attraverso ‘schemi’ diversi79.

All’interno della narrazione compare anche Pan, una divinità ambigua – le figure ambigue costituiscono la categoria di personaggi preferiti da Luciano –, con il quale Ermes e Giustizia si incontrano ad Atene, dove si erano recati per assegnare le cause per sorteggio80.

Giustizia rimane da sola in scena con Pan, e per colmare un vuoto dovuto ad una prima conoscenza (Giustizia infatti precedentemente, spiazzata dalla visione di Pan, aveva chiesto ad Ermes chi fosse ‘quell’individuo che si avvicina e ha le corna, e la zampogna e le gambe pelose’, Bis acc. 9) chiede a Pan come vanno le cose ad Atene, ma soprattutto se gli uomini fossero progrediti nella virtù grazie agli insegnamenti dei filosofi.

79 Lo stesso Menippo, non potendo trovare spiegazione nella realtà terrestre alle aporie sul mondo

(Icar. 4), è costretto a viaggiare verso mondi altri. Il suo è un viaggio impossibile, ma ciò che lo spinge a viaggiare è sì la curiosità, ma anche l’insoddisfazione che deriva dal confronto con i filosofi che lo circondano. Questi infatti dovrebbero possedere la verità, ma in realtà questi non fanno altro che farsi guerra gli uni con gli altri. Ciascuno è convinto della propria verità, del proprio logos, ma nessuno vede oltre al proprio naso. Luc. Icar. 5-10.

80 Come già riferito precedentemente, Luciano presenta nelle sue opere delle scene quasi teatrali.

La Duplice Accusa inizialmente apre sulla dimora degli dei, ma poi vi è un vero e proprio cambio di scena, e l’occhio dello spettatore si sposta ad Atene (Bis acc. 9).

La risposta che dà Pan – che tra l’altro rimane inconclusa nella sua ultima frase, tecnica narrativa molto utilizzata da Luciano81 – è molto interessante e illustra bene cosa intendesse Luciano quando criticava questa pluralità di dogmatismi.

Luc. Bis acc. 11 DIKH Ta; d≠ a[lla, w\ Pavn, ajmeivnou" pro;" ajreth;n ejgevnonto uJpo; tw'n filosovfwnÉ

PAN Tivna" levgei" tou;" filosovfou"É a\r≠ ejkeivnou" tou;" kathfei'", tou;" sunavma pollouv", tou;" to; gevneion oJmoivou" ejmoiv, tou;" lavlou"◊

D. Kai; mavla.

P. Oujk oi\da o{lw" o{ ti kai; levgousin oujde; sunivhmi th;n sofivan aujtw'n […] plh;n ajll≠ ajkouvw ge aujtw'n ajei; kekragovtwn kai; ajrethvn tina kai; ijdeva" kai; fuvsin kai; ajswvmata diexiovntwn, a[gnwsta ejmoi; kai; xevna ojnovmata.

Giustizia: Ma a parte questo, o Pan, hanno progredito nella virtù grazie ai filosofi? Pan: Chi sono i filosofi, come tu li chiami? Forse quei tipi tetri, che fanno gruppo, che hanno la barba come me e parlano sempre?

G.: Sì, quelli.

P.: Io non so proprio che cosa vogliano dire e non comprendo la loro sapienza […] Certo io li sento gridare e dissertare di una certa virtù, di idee, di natura e di essenze incorporee, ma a me questi nomi sono ignoti ed estranei.

Pan non conosce la filosofia, non conosce i suoi rappresentanti, sa solo che c’è un gruppo di uomini barbuti che stanno tutto il giorno a discutere su cose inutili, mai in accordo tra loro. Infatti ciascun filosofo proponeva una propria verità, senza mai trovare un accordo. E sono proprio questi falsi sapienti vestiti da santoni, tutto parole e niente contenuto, uno degli obiettivi satirici di Luciano.

Luc. Bis acc. 11 kai; ta; prw'ta me;n eijrhnikw'" ejnavrcontai tw'n pro;" ajllhvlou" lovgwn, proiouvsh" de; th'" sunousiva" ejpiteivnousi to; fqevgma mevcri pro;" to; o[rqion, w{ste uJperdiateinomevnwn kai; a{ma levgein ejqelovntwn tov te provswpon ejruqria'/ kai; oJ travchlo" oijdei' kai; aiJ flevbe" ejxanivstantai w{sper tw'n aujlhtw'n oJpovtan eij" steno;n to;n aujlo;n ejmpnei'n biavzwntai. diataravxante" gou'n tou;" lovgou" kai; to; ejx ajrch'" ejpiskopouvmenon sugcevante" ajpivasi loidorhsavmenoi ajllhvloi" oiJ polloiv, to;n iJdrw'ta ejk tou' metwvpou ajgkuvlw/ tw'/ daktuvlw/ ajpoxuovmenoi, kai; ou|to" kratei'n e[doxen o}" a]n megalofwnovtero" aujtw'n h\/ kai; qrasuvtero" kai; dialuomevnwn ajpevlqh/ u{stero". plh;n ajll≠ o{ ge lew;" oJ polu;" teqhvpasin aujtouv", kai; mavlista

81 L’interruzione della narrazione o di un discorso in Luciano è una strategia narrativa e parodica