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Il ritorno ad Atene e gli ultimi viagg

UNA VITA TRA VIAGGI E SUCCESS

2.5 Il ritorno ad Atene e gli ultimi viagg

Dopo la permanenza a Roma, la città corrotta che gli permette di vedere con gli occhi della verità il mondo, Luciano riprende i suoi viaggi. Di certo una meta fissa non esisteva per un sofista come lui, ma Atene sembra essere comunque il punto di ritorno e il luogo in cui il ‘problema’ dell’identità si fa particolarmente sentire.

Atene è la culla della cultura, della classicità, della democrazia109, la stessa città in cui Socrate si muove, ma senza mai lasciarla, a differenza degli altri filosofi, eccetto una volta per una spedizione110.

109 Per l’ambientazione delle opere di Luciano tra Atene e Roma, e in particolare per il Nigrino vd.

Nesselrath 2009, p. 123. Anche Clay si sofferma sul ruolo delle due città nelle vite filosofiche di alcuni protagonisti lucianei, vd. Clay 1992.

110 Per il desiderio di Socrate di rimanere ad Atene a dialogare con i suoi concittadini vd. Diog.

Laert. 2.22. In Plat. Apol. 37d 5-8 Socrate disprezza la vita dei Sofisti, i quali vagano senza meta di città in città, non per ricercare la verità o spinti dal desiderio di conoscerla, ma convinti, poiché

sophoi, di esserne già in possesso, per dimostrarlo agli altri. Nonostante ciò, e questo è un

elemento molto interessante per il nostro studio, la sua ricerca della verità si configura come un ‘vagare’. Egli stesso nell’Apologia (22a 7) definisce la sua ricerca un ‘vagare’ (plane).

L’opera platonica Critone è particolarmente importante in questo contesto, non solo perché distingue la figura di Socrate dagli esploratori eruditi, instancabili viaggiatori sullo stile di Erodoto, e dai Sofisti, che viaggiavano da una città all’altra senza mai stabilirsi, interessati solo al profitto, ma anche perché mostra un Socrate alla costante ricerca della verità, di una risposta all’oracolo che gli era stato dato a Delfi (quello di essere il più saggio di tutti gli uomini) senza mai muoversi dalla città verso l’esterno. Egli non varca mai i confini della città come gli altri filosofi. Egli è un greco a tutti gli effetti, è un cittadino, un insider, ma allo stesso tempo poiché è alla ricerca della propria identità, si sente un outsider. La compresenza di questi due elementi rendono la sua figura paradossale111.

In un passo tratto dal Critone, dunque, Socrate, dopo essere stato esortato dall’amico a fuggire dalla città perché l’indomani avrebbe dovuto morire, rassicura l’amico che non avrebbe dovuto preoccuparsi e spiega che l’uomo giusto deve vivere secondo giustizia e per questo deve sottostare alle leggi.

Sono proprio le leggi ad aver dato la possibilità a Socrate di scegliere se rimanere e ubbidire a loro, o fuggire.

È chiaro qui che Socrate incompreso da tutti (outsider), ha piena fiducia nelle leggi e nella sua città (insider). Questo lo porterà a rimanere e ad affrontare il suo destino. La sua sorte è legata indissolubilmente alla sua città.

Plat. Crito 52 b-c i[sw" a[n mou dikaivw" kaqavptointo levgonte" o{ti ejn toi'" mavlista ≠Aqhnaivwn ejgw; aujtoi'" wJmologhkw;" tugcavnw tauvthn th;n oJmologivan. fai'en ga;r a]n o{ti ®ÇW Swvkrate", megavla hJmi'n touvtwn tekmhvriav ejstin, o{ti soi kai; hJmei'" hjrevskomen kai; hJ povli": ouj ga;r a[n pote tw'n a[llwn ≠Aqhnaivwn aJpavntwn diaferovntw" ejn aujth'/ ejpedhvmei" eij mhv soi diaferovntw" h[resken, kai; ou[t≠ ejpi; qewrivan pwvpot≠ ejk th'" povlew" ejxh'lqe", o{ti mh; a{pax eij" ≠Isqmovn, ou[te a[llose oujdamovse, eij mhv poi

111 La studiosa Silvia Montiglio, in uno dei suoi capitoli dedicati al vagabondare dei filosofi nella

Grecia antica, si sofferma, in particolare nel caso di Socrate (ma anche nel caso di Cadmo, di Alcmeone e di Filottete), sul ruolo dell’oracolo delfico. Montiglio 2005, p. 152: «The role of the Delphic oracle is normally to orient voyagers. In several myths, Apollo, the god, “of roads”, leads lost wanderers to found a city to settle down there. He is the god who gives human wanderers a goal, who converts their blind and endless movement into a purposeful one. […] Apollo’s role in Socrates’ trajectory is the reverse. Instead of settling a wretched wanderer far from his native city his oracle transforms an established citizen into a wanderer within his city». L’elemento paradossale del personaggio si riscontra anche nel metodo stesso che Socrate utilizza per interrogare, o meglio mettere alla prova, i suoi interlocutori: l’ironia. Come dice Alcibiade, non soltanto Socrate, ma anche i suoi discorsi assomigliano ai sileni. Questi, come i sileni, hanno in un primo momento un aspetto ridicolo e sembrano quasi chiacchiere senza alcun senso, ma in realtà nascondono al loro interno un contenuto di saggezza. Plat. Smp. 221 e-222 a. Per la figura di Socrate e dei ‘sileni con sorpresa’ vd. Lanza 1997, p. 26-33 e 65-66.

strateusovmeno", ou[te a[llhn ajpodhmivan ejpoihvsw pwvpote w{sper oiJ a[lloi a[nqrwpoi, oujd≠ ejpiqumiva se a[llh" povlew" oujde; a[llwn novmwn e[laben eijdevnai, ajlla; hJmei'" soi iJkanoi; h\men kai; hJ hJmetevra povli": ou{tw sfovdra hJma'" hJ/rou' kai; wJmolovgei" kaq≠ hJma'" politeuvsesqai, tav te a[lla kai; pai'da" ejn aujth'/ ejpoihvsw, wJ" ajreskouvsh" soi th'" povlew". e[ti toivnun ejn aujth'/ th'/ divkh/ ejxh'n soi fugh'" timhvsasqai eij ejbouvlou, kai; o{per nu'n ajkouvsh" th'" povlew" ejpiceirei'", tovte eJkouvsh" poih'sai.

Giustamente, credo, le Leggi mi darebbero addosso, ricordandomi che proprio io più di tutti gli altri Ateniesi mi sono trovato d’accordo con loro nell’accettazione dei patti stabiliti. E di fatti mi potrebbero dire così: «O Socrate, grandi prove noi abbiamo di questo, che a te non eravamo sgradite, né noi né la Città: ché tu non avresti, più di tutti gli altri Ateniesi, in questa città dimorato, se a te, più che a tutti gli altri senza paragone, questa città non fosse piaciuta; né mai uscisti dalla città per partecipare a cerimonie solenni, se non una volta che andasti all’Istmo; né mai ti recasti in altro luogo, se non per qualche spedizione militare; né mai facesti viaggio in paese straniero, come pur fanno gli altri uomini; e nemmeno ti prese mai desiderio di vedere altra città o di conoscere altre leggi, perché eravamo tutto per te noi e la città nostra: così fortemente ci prediligevi, e avevi accettato di vivere qui, sotto la nostra disciplina, la tua vita di cittadino; e qui appunto esercitasti tutti i tuoi diritti civili, e qui anche generasti i tuoi figlioli, prova sicura che la città ti piaceva».

Dunque Luciano, da Roma si dirige verso Atene. Quasi sicuramente egli percorrerà il tragitto via terra piuttosto che navigando. A testimonianza di ciò risulterebbe il breve componimento, L’Ambra o i Cigni, composta attorno al 155 d.C., in cui l’autore narra la risalita del fiume Po.

Durante la risalita (ajnaplei'n) Luciano ricorda quei miti che aveva sentito raccontare dai poeti: uno narrava la storia di Fetonte, l’altro narrava del melodioso canto dei moltissimi cigni sulle sponde del fiume. Compagni del dio Apollo, erano stati trasformati da musici in quegli uccelli (Electr. 4).

Luc. Electr. 1-2 ≠Hlevktrou pevri kai; uJma'" dhladh; oJ mu'qo" pevpeiken, aijgeivrou" ejpi; tw'/ ≠Hridanw'/ potamw'/ dakruvein aujto; qrhnouvsa" to;n Faevqonta, kai; ajdelfav" ge ei\nai ta;" aijgeivrou" ejkeivna" tou' Faevqonto", ei\ta ojduromevna" to; meiravkion ajllagh'nai ej" ta; devndra, kai; ajpostavzein e[ti aujtw'n davkruon dh'qen to; h[lektron. toiau'ta ga;r ajmevlei kai; aujto;" ajkouvwn tw'n poihtw'n aj/dovntwn h[lpizon, ei[ pote genoivmhn ejpi; tw'/ ≠Hridanw'/, uJpelqw;n mivan tw'n aijgeivrwn ejkpetavsa" to; prokovlpion uJpodevxesqai tw'n dakruvwn ojlivga, wJ" h[lektron e[coimi. kai; dh; ouj pro; pollou' kat≠ a[llo mevn ti crevo", h|kon de; o{mw" ej" ta; cwriva ejkei'na, kai;<e[dei ga;r ajnaplei'n kata; to;n ≠Hridanovn<ou[t≠ aijgeivrou" ei\don pavnu periskopw'n ou[te to; h[lektron, ajll≠ oujde; tou[noma tou' Faevqonto" h[/desan oiJ ejpicwvrioi. ajnazhtou'nto" gou'n ejmou' kai; diapunqanomevnou, povte dh; ejpi; ta;" aijgeivrou" ajfixovmeqa ta;" to; h[lektron, ejgevlwn oiJ nau'tai kai; hjxivoun safevsteron levgein o{ ti kai; qevloimi: kajgw; to;n mu'qon dihgouvmhn aujtoi'" […].

Riguardo all’ambra il mito ha fatto credere certamente anche a voi che sul fiume Eridano dei pioppi versano lacrime di essa piangendo Fetonte, che quelle piante sono sorelle di Fetonte, poi che, desolate a causa del giovinetto, si mutarono nei

pioppi e le loro lacrime, l’ambra intendo dire, stillano tuttora. Anch’io naturalmente, quando udivo i poeti cantare una simile storia, speravo che, se un giorno mi fossi trovato sull’Eridano, sarei andato sotto uno dei pioppi e, aperta la veste, avrei accolto in grembo poche lacrime, per avere un po’ di ambra. E infatti or non è molto, anche se per un’altra ragione, mi recai in quei luoghi e, giacché dovevo risalire l’Eridano, guardai molto intorno, ma non vidi né pioppi né ambra, e la gente del posto non conosceva nemmeno il nome di Fetonte. Fatto sta che, mentre io domando cercavo di sapere quando finalmente avremmo raggiunto i pioppi, quelli dell’ambra, i battellieri ridevano e mi pregavano di dire più chiaramente ciò che volessi; ed io raccontai loro il mito […].

Luciano da questa, se pur breve, esperienza nella Pianura Padana apprende una lezione di vita di cui egli stesso si farà portavoce: i miti, i racconti di cui i poeti infarciscono le loro opere sono menzogneri e falsi. Sin dal primo rigo l’autore denuncia che non bisogna credere né ai poeti né tantomeno a quello che esce dalla loro bocca112.

Luciano si sta ponendo qui contro non solo i ‘rappresentanti’ della poesia e dell’epica greca, ma anche contro la tradizione. Rivela con animo sincero di aver creduto anche lui a quelle storie, ma che nonostante tutto gli rimaneva sempre il grande desiderio di poter confrontare il racconto con la realtà e verificare così se ciò che aveva udito fosse vero o meno.

E quale migliore occasione di quella che gli si offre innanzi in quel momento? Egli si trova sul Po, quel fiume Eridano in cui era precipitato il Fetonte del racconto, e ha la possibilità di interrogare gli abitanti del luogo.

Luciano dunque attraverso quest’opera porta avanti la sua feroce critica contro la credulità della società e dimostra così di non credere a niente e a nessuno. Questo apistein deve essere applicato anche nei suoi confronti: il pubblico non deve sulla base delle dicerie dei più, che approvano il suo stile

112 L’accusa ai poeti di essere menzogneri e di non sapere quello che dicono è contenuta anche

nella feroce polemica intitolata quasi ironicamente, Dialogo con Esiodo. Il perché i Greci abbiano prestato fede a quello che raccontano i poeti attraverso l’uso del mito, anche quando quello che raccontavano si presentava come qualcosa di palesemente falso, è quello che si domanda Paul Veyne in un bel saggio sul mito in Grecia, vd. Veyne 2005. Luciano ne L’Amante della Menzogna si interroga a lungo sul perché gli uomini siano spinti a mentire, e allo stesso tempo perché vi siano altrettanti uomini spinti a credere a quello che questi uomini dicono. Luciano in questo testo si soffermerà a lungo sul ruolo dell’incredibile, dell’assurdo e del thauma nella narrazione poetica. Agli stessi strumenti farà ricorso anche lui nelle sue opere di ‘viaggio impossibile’.

retorico, credere di Luciano quello che non è113. Il pubblico deve essere impassibile alle dicerie altrui, deve essere libero di non credervi (apistein)114.

Luc. Electr. 3 tou'to lecqe;n ouj metrivw" mou kaqivketo, kai; ejsiwvphsa aijscunqeiv", o{ti paidivou tino" wJ" ajlhqw'" e[rgon ejpepovnqein pisteuvsa" toi'" poihtai'" ajpivqana ou{tw" yeudomevnoi", wJ" mhde;n uJgie;" ajrevskesqai aujtoi'".

Queste parole mi ferirono non leggermente e tacqui, perché mi vergognai di essermi comportato veramente come un bambino credendo ai poeti, i quali dicono menzogne così incredibili, che certo non piace loro nulla di sensato.

Le aspettative che derivano dalla credulità infatti, rendono l’uomo vulnerabile perché potrebbe rimanere deluso dalla verità. L’uomo è perciò debole e schiavo di se stesso.

Verso i quarant’anni, quindi verso il 165 d.C., visitata Roma e risalito il fiume Po, si stabilisce ad Atene, città elogiata nel Nigrino115. Non vi si stabilisce in modo definitivo. Luciano passa infatti gran parte della vita viaggiando da una città all’altra, come si addice ad un sofista del II sec. che si rispetti, ma Atene però provoca nell’autore un desiderio di svolta. Dopo la visita a Nigrino, a Roma, ha

113

Non rinuncia neanche questa volta Luciano a ribadire l’importanza della testimonianza diretta, in prima persona. La critica alla credulità diviene occasione per ribadire la superiorità della testimonianza diretta. Luciano come lo storico assiste personalmente agli eventi e ne diviene portavoce imparziale. La raccolta personale di dati attraverso la visione dei fatti e l’audizione degli stessi diviene l’elemento essenziale del racconto. Solo l’esperienza personale permette di verificare la veridicità di racconti, di miti, di rappresentazioni figurative etc. L’autore molto spesso sottolinea la semplicità del suo stile, ma in realtà si auto compiace molto di sé e di quello che scrive. Egli sa benissimo di essere un abilissimo retore, ma è a conoscenza anche del fatto che la struttura della sua narrazione è molto articolata. Dopotutto la ricerca del pepaideumenos in grado di comprendere veramente la sua critica è uno dei suoi fini.

114 Vd. infra 5.2 e 5.3, pp. 169-205.

115 Nel Nigrino infatti la città di Roma è il luogo dove regnano e dilagano i peggiori vizi. Tutti i

sensi, vista e udito – proprio quelli necessari per l’azione satirica e non solo, come si è visto –, ma anche l’olfatto, sono compromessi dalle abitudini di alcuni cittadini e dalle loro passioni (pavsai" puvlai" th;n hJdonh;n katadevcesqai, tou'to me;n di≠ ojfqalmw'n, tou'to de; di≠ w[twn te kai; rJinw'n) più pericolose (Nigr. 16): l’amore per la ricchezza, per l’oro (plouvtou ejra'/ kai; crusw'/ kekhvlhtai), per la fama, la porpora, il potere (kai; porfuvra/ kai; dunasteiva/ metrei' to; eu[daimon). Questi però sono uomini vili perché non conoscono la libertà né mai la assaporeranno, non hanno mai visto la verità (a[geusto" me;n ejleuqeriva", ajpeivrato" de; parrhsiva", ajqevato" de; ajlhqeiva"), ma vivono adulando gli altri, e sono schiavi dei più potenti (kolakeiva/ ta; pavnta kai; douleiva/ suvntrofo"). Si danno ai piaceri facili, al vino e alla menzogna (hJdonh'/ pa'san th;n yuch;n ejpitrevya" tauvth/ movnh/ latreuvein dievgnwke, fivlo" me;n perievrgwn trapezw'n, fivlo" de; povtwn kai; ajfrodisivwn, ajnavplew" gohteiva" kai; ajpavth" kai; yeudologiva"). Mentre Atene è la città della filosofia, e del vivere secondo virtù e giustizia e viene lodata per questo, come anche i suoi cittadini (e[paino" h\n ïEllavdo" kai; tw'n ≠Aqhvnhsin ajnqrwvpwn). Qui tutti i vizi vengono livellati e corretti dallo stesso atteggiamento critico dei suoi abitanti. La paideia regna sovrana ed è proprio lei l’antidoto a tutti i mali (Nigr. 12 tw'n ≠Aqhvnhsin ajnqrwvpwn, filosofiva/ kai; peniva/ suvntrofoiv eijsin). Per il confronto tra le due città vd. Nesselrath 2009.

subito un cambiamento: ha riacquisito la vista, non solo degli occhi, ma anche dell’anima. La scintilla della filosofia si è accesa dentro di lui. Luciano nell’estasi causata dalla parola del filosofo – come i Feaci di fronte al racconto di Odisseo116 –, si sente colpito nel profondo dell’anima come dal dardo scagliato da un bravo arciere.

Luc. Nigr. 35 ejgw; de; tevw" me;n h[kouon aujtou' teqhpwv", mh; siwphvsh/ pefobhmevno": ejpeidh; de; ejpauvsato, tou'to dh; to; tw'n Faiavkwn pavqo" ejpepovnqein: polu;n ga;r dh; crovnon ej" aujto;n ajpevblepon kekhlhmevno": ei\ta pollh'/ sugcuvsei kai; ijlivggw/ kateilhmmevno" tou'to me;n iJdrw'ti katerreovmhn, tou'to de; fqevgxasqai boulovmeno" ejxevpiptovn te kai; ajnekoptovmhn, kai; h{ te fwnh; ejxevleipe kai; hJ glw'tta dihmavrtane, kai; tevlo" ejdavkruon ajporouvmeno": ouj ga;r ejx ejpipolh'" oujd≠ wJ" e[tucen hJmw'n oJ lovgo" kaqivketo, baqei'a de; kai; kaivrio" hJ plhgh; ejgevneto, kai; mavla eujstovcw" ejnecqei;" oJ lovgo" aujthvn, eij oi|ovn te eijpei'n, dievkoye th;n yuchvn.

Ed io fino a quel momento lo ascoltai stupefatto e timoroso che cessasse di parlare; quando poi cessò, rimasi come i Feaci. Guardai lui per molto tempo, incantato, poi, preso da un profondo turbamento e da vertigine, colavo sudore e pur volendo parlare ne ero impedito e perdevo la parola, la voce veniva meno, la lingua si impacciava e infine, non sapendo che fare, piansi. Il discorso, infatti, mi aveva colpito non superficialmente né leggermente: il colpo era stato profondo e mortale, e il discorso, lanciato diritto al bersaglio mi aveva, se si può dire, trafitto l’anima.

Il bravo arciere sa prendere bene la mira, sa valutare la forza impiegata nel tendere l’arco e conosce i punti deboli del suo bersaglio. È la natura che predestina la vittima. Così, allo stesso modo agisce Nigrino con la sua parola nell’anima malleabile di Luciano. E Luciano, incline alla filosofia per natura, si lascia colpire dal dardo intinto nel dolce pharmakon117.

Luciano viaggiando ha la possibilità non solo di accrescere la sua cultura, ma anche di affinare il suo stile e di selezionare gli elementi che vanno a caratterizzare la sua narrazione.

Il dialogo con Nigrino gli ha fatto conoscere la potenza di questo grande strumento della parola tra retorica e filosofia. Egli sa bene che unendo le sua abilità di retore ai dardi intinti nel pharmakon filosofico, appreso inizialmente da Nigrino e approfondito poi nella città della Filosofia, Atene, la sua azione satirica può colpire il bersaglio. Luciano deve riuscire a utilizzare le belle parole che Retorica gli ha insegnato, che ammaliano e colpiscono l’ascoltatore, per associarle

116 Hom. Od. 11. 333-334 w}" e[faq≠, oiJ d≠ a[ra pavnte" ajkh;n ejgevnonto siwph'/, / khlhqmw'/ d≠

e[sconto kata; mevgara skioventa.

ad un significato morale. I discorsi devono avere un fine, ma bisogna saperli rendere appetibili a un pubblico che non deve però annoiarsi. Il miglior modo per costruire un dialogo potente e ammaliante con intento morale, ma senza cadere nel banale, nel noioso e stimolando al contrario l’uditorio, è quello di utilizzare l’acutissimo strumento dell’ironia118.

Luciano sperimenta un metodo tutto nuovo, che ha appreso proprio viaggiando, per colpire nel segno l’ascoltatore. Un nuovo dialogo, quell’ ‘ibrido mostruoso’ – come il Dialogo lo definisce nella sua accusa contro il Siro – nato dall’unione degli insegnamenti della retorica, del dialogo filosofico e della commedia nuova, gli permette di creare un nuovo tipo di produzione letteraria che ha come oggetto la critica a tappeto di tutti i valori e di tutte le componenti della società. Lo scopo è quello dello smascheramento e della rivalutazione di tutto ciò che ci circonda119.

Luc. Bis acc. 33 DIALOGOS øA de; hjdivkhmai kai; periuvbrismai pro;" touvtou, tau'tav ejstin, […] kataspavsa" aujto;" h[dh kata; th;n aJyi'da petovmenon kai; ajnabaivnonta uJpe;r ta; nw'ta tou' oujranou' kai; ta; ptera; suntrivya" ijsodivaiton toi'" polloi'" ejpoivhsen, kai; to; me;n tragiko;n ejkei'no kai; swfroniko;n proswpei'on ajfei'lev mou, kwmiko;n de; kai; saturiko;n a[llo ejpevqhkev moi kai; mikrou' dei'n geloi'on. ei\tav moi eij" to; aujto; fevrwn sugkaqei'rxen to; skw'mma kai; to;n i[ambon kai; kunismo;n kai; to;n Eu[polin kai; to;n ≠Aristofavnh, deinou;" a[ndra" ejpikertomh'sai ta; semna; kai; cleuavsai ta; ojrqw'" e[conta. teleutai'on de; kai; Mevnippovn tina tw'n palaiw'n kunw'n mavla uJlaktiko;n wJ" dokei' kai; kavrcaron ajnoruvxa", kai; tou'ton ejpeishvgagen moi foberovn tina wJ" ajlhqw'" kuvna kai; to; dh'gma laqrai'on, o{sw/ kai; gelw'n a{ma e[daknen. […] to; ga;r pavntwn ajtopwvtaton, kra'sivn tina paravdoxon kevkramai kai; ou[te pezov" eijmi ou[te ejpi; tw'n mevtrwn bevbhka, ajlla; iJppokentauvrou divkhn suvnqetovn ti kai; xevnon favsma toi'" ajkouvousi dokw'.

Dialogo: I torti e le offese che ho subito da costui consistono in questo […] mi frantumò le ali ed eguagliò il mio genere di vita a quello del volgo; mi tolse la maschera tragica della mia saggezza e me ne mise un’altra, comica e satirica, quasi ridicola. Poi raggruppò e rinchiuse con me il Motteggio, il Giambo, il Cinismo, Eupoli ed Aristofane, autori bravissimi nello schernire le cose sacre e nel canzonare le cose rette; e infine dissepolto un certo Menippo, uno dei cani antichi,