• Non ci sono risultati.

Il dipinto nella prolalia Eracle

CAPITOLO III LESSICO DI VIAGGIO

3.4 La lingua dell’alterità

3.4.4 Il dipinto nella prolalia Eracle

In questa prolalia Luciano affronta uno dei bersagli ricorrenti del suo programma satirico: la stoltezza e la credulità della gente. Ma come al solito, le sue opere sono strutturate su due livelli di ricezione. In parte egli utilizza la

prolalia anche per rivendicare le sue capacità retoriche e, vista la data di

composizione dell’Eracle, molto probabilmente Luciano, retore invecchiato, ha bisogno di dimostrare, attraverso un termine di paragone verosimile, che nonostante l’apparenza ingannevole (egli è un uomo vecchio come l’Eracle del dipinto), il suo essere e il suo spirito sono ancora eloquenti (proprio come l’eroe che trascina per le orecchie gli uomini, incatenati alla sua lingua)213. L’apparenza molto spesso inganna214.

Nell’Eracle Luciano racconta un episodio particolarmente degno di nota che gli è capitato durante un viaggio che ha compiuto nella terra dei Galli. Luciano come un etnologo riporta una delle particolarità che più lo ha colpito del popolo della Gallia contrapponendola alla tradizione iconografica greca di uno degli eroi più celebri, Eracle. Luciano con il suo viaggio in Gallia scopre non solo che i Greci hanno una visione totalmente diversa di Eracle rispetto a quella dei Galli, ma anche che gli stessi Greci ritengono, senza alcuna giustificazione, che la loro

213 La critica contro l’apparenza, contro la credulità è un tema ricorrente in Luciano. Egli infatti

attraverso la tecnica della variazione rende le sue opere, nonostante i temi ricorrenti, sempre nuove. Questa tecnica (meqovdo" deinovthto") gli deriva dagli studi di retorica fatti in gioventù che gli permisero di usare ripetutamente gli stessi temi (come insegnava la retorica), ma nel contempo di risultare sempre nuovi e mai come mero artificio retorico. Per la tecnica della variazione nella Seconda Sofistica e in Luciano vd. Anderson 1976a, in particolare pp. 1-22 e pp. 135-149.

214

Sul contrasto tra essere e apparire e la credulità degli uomini, Luciano ne parla anche in un’altra delle sue prolaliai, il Dioniso. Non a caso Luciano sceglie una divinità ambigua per il suo breve componimento e sfrutta questa sua ambiguità in modo funzionale alla sua intenzione critica. L’ambiguità del dio viene infatti mal interpretata dagli Indiani. A questi giunse voce che il dio stesse marciando contro di loro con il suo esercito composto di Menadi e di Satiri, guidato da due luogotenenti, Sileno e Pan. Un esercito piuttosto strano, dove tutti presi dall’ebbrezza del vino, ridono, insomma un esercito non molto temibile, apparentemente. Ma gli Indiani si sbagliavano. Credevano di non doversi affannare per lo scontro finale. La prolalia dimostra che la credulità dell’uomo può produrre degli effetti disastrosi, mortali. Luciano non si accontenta e inserisce, nella seconda parte della prolalia, una ‘favola bacchica’ (Bacch. 1 mu`qon Bakcikovn). Si presenta come un racconto etnografico secondo il quale esistono delle fonti dalle quali sgorga il vino e alle quali chi si abbevera viene inebriato dalla potenza della parrhesia (una sorta di in vino veritas).

sia la rappresentazione più fededegna all’originale. Come i Greci sono portati a credere a miti e leggende confezionate dai poeti per nascondere la verità imbellettandola con parole altisonanti, anche i barbari, in questo caso i Celti, si creano un’immagine dei Greci altrettanto deformata.

E Luciano raggiunge il culmine: cosa c’è di più demistificante se non parlare dell’immagine deformata di un dio? La religione è uno dei tanti valori condivisi attorno a cui la civiltà greca ruotava senza mai staccarsene. Luciano non si lascia perdere l’occasione per criticare la credulità degli uomini anche nei confronti dei dogmatismi religiosi.

Luciano pertanto nella prolalia, visitando la Gallia ha la possibilità di vedere personalmente un dipinto che raffigura l’eroe Eracle, chiamato in lingua locale215 Eracle Ogmio216. Si ha quasi l’impressione che l’autore avesse trascritto sul suo taccuino di viaggio qualcosa di davvero particolare. L’Eracle che ha davanti a sé è infatti strano, sembra addirittura un’immagine paradossale217.

215 Luciano utilizza una formula particolarmente interessante: ojnomavzousi fwnh`/ th`/ ejpicwrivw/

(Herc. 1). Come un etnografo, studia i culti e le tradizioni locali e rende partecipe il suo pubblico di ciò che vede. Allo stesso modo dopotutto aveva fatto Erodoto nelle sue Storie, in particolare nel secondo libro, dedicato al logos egizio. Gli abitanti del luogo, gli ejpicwvrioi godono di una certa autorità, tanto che Erodoto molto spesso si affida alla loro testimonianza per garantire la veridicità di una tradizione religiosa e delle varie tradizioni culturali di un luogo e pertanto anche di quello da lui riporta (vd. Hdt. 2.63, 2.150).

216 Ogmion dal verbo ojgmeuvw significa letteralmente ‘colui che trascina’. Sull’etimologia del nome

vd. Favreau-Linder 2009, pp. 156-157. La studiosa dà un quadro generale della prolalia molto esaustivo, ponendosi innanzitutto il problema se Luciano avesse davvero sotto gli occhi il dipinto o meno. Anche Benoît 1952 vorrebbe capire se quella di Luciano è solo una trovata ben riuscita attraverso la quale paragonarsi per elogiare la sua eloquenza ancora viva nonostante l’età. Eppure alcuni ritrovamenti archeologici non solo in Gallia, ma anche in Magna Grecia, in Etruria e nella penisola iberica, dimostrano che erano diffuse alcune immagini piuttosto strane (vd. apparato iconografico che lo studioso riporta all’interno dell’articolo). Secondo Benoît Eracle era considerata una figura psicopompa alla pari di Hermes, infatti secondo lui le catene del dipinto, che legavano per le orecchie gli uomini alla lingua di Eracle, «né représentent donc pas l’image de la parole, comme se l’était laissé dire Lucien et comme l’ont supposé tous les commentateurs, mais le lien symbolique, qui rattache les peuples barbares à la nouvelle religion, dont Héraclès est le champion», vd. Benoît 1952, p. 153.

217 L’immagine di Eracle corrisponde al rovesciamento dell’aspetto canonico dell’eroe. Forse

Luciano aveva in mente un’altra immagine della tradizione. Nell’Odissea infatti il prototipo dell’eroe, che soffre e affronta le difficoltà che gli si pongono davanti, che viaggia, viene rappresentato esteticamente in alcuni passi come l’anti-eroe, un mendicante. Hom. Od. 17.201-204 oJ d≠ ej" povlin h\gen a[nakta / ptwcw'/ leugalevw/ ejnalivgkion hjde; gevronti, / skhptovmenon: ta; de; lugra; peri; croiÖ ei{mata e{sto; 17.336-338 ajgcivmolon de; met≠ aujto;n ejduvseto dwvmat≠ ≠Odusseuv", / ptwcw'/ leugalevw/ ejnalivgkio" hjde; gevronti, / skhptovmeno": ta; de; lugra; peri; croiÖ ei{mata e{sto. Il travestimento, il mutare identità è un procedimento tipico delle situazioni marginali e viene utilizzato da Odisseo per ristabilire il proprio ruolo all’interno della società. Sebbene sembri un atteggiamento paradossale (quello di mascherarsi per riappropriarsi del proprio

L’Eracle del dipinto è infatti un’immagine deformata di come i Greci invece sono soliti raffigurarlo.

Il viaggio dunque ha permesso a Luciano di appropriarsi di una lente altra attraverso cui guardare la realtà. È come se Luciano, cresciuto seguendo i valori della paideia ellenica, indossasse delle lenti deformanti. Ma la conoscenza gli permette di togliere quelle lenti e mettere a confronto le due realtà, due mondi differenti, quello greco e quello celtico.

Lo straniamento di cui Luciano diventa protagonista in un primo momento gli causa una situazione di instabilità, di incomprensione, di meraviglia, le sue aspettative infatti, quelle che gli suggerirebbero un Eracle nel pieno delle forze, ardito, possente vengono totalmente tradite dalla concretezza del dipinto218.

Luc. Herc. 1 To;n ïHrakleva oiJ Keltoi; fiOgmion ojnomavzousi fwnh'/ th'/ ejpicwrivw/, to; de; ei\do" tou' qeou' pavnu ajllovkoton gravfousi. gevrwn ejsti;n aujtoi'" ej" to; e[scaton, ajnafalantiva", polio;" ajkribw'" o{sai loipai; tw'n tricw'n, rJuso;" to; devrma kai; diakekaumevno" ej" to; melavntaton oi|oiv eijsin oiJ qalattourgoi; gevronte": ma'llon de; Cavrwna h] ≠Iapetovn tina tw'n uJpotartarivwn kai; pavnta ma'llon h] ïHrakleva ei\nai a]n eijkavseia". ajlla; kai; toiou'to" w]n e[cei o{mw" th;n skeuh;n th;n ïHraklevou": kai; ga;r th;n difqevran ejnh'ptai th;n tou' levonto" kai; to; rJovpalon e[cei ejn th'/ dexia'/ kai; to;n gwruto;n parhvrthtai, kai; to; tovxon ejntetamevnon hJ ajristera; prodeivknusin, kai; o{lo" ïHraklh'" ejsti tau'tav ge.

I Celti nella lingua del loro paese chiamano Eracle col nome di Ogmio, ed è molto strano l’aspetto che attribuiscono al dio dipingendolo. Per loro è all’estremo della

ruolo originario) questo è comunque riflesso della personalità di Odisseo (polytropos, polymetis e

polymechanos) e gli deriva in parte dall’esperienza del viaggio. Il mendicante è per natura figura

marginale, che vive ai limiti della società, ed è proprio per questo che Odisseo indossa i suoi panni: per non essere notato e portare a compimento la riappropriazione del potere.

218 L’unica cosa che l’Eracle del dipinto ha in comune con quello greco sono gli attributi: indossa

la leonte, attorno al collo porta la faretra e stringe la clava nella mano destra e l’arco nella sinistra. Per gli attributi di Eracle intesi come armi del cinico vd. Höistad 1948, pp. 72-73; per Eracle cinico invece vd. Roca Ferrer 1974, pp. 140-144. I tratti identificativi di Eracle, ma anche di Odisseo, derivano da una scelta operata da Luciano sulla base del criterio dell’essenzialità e sono gli stessi che egli utilizza per travestire Menippo, eroe della Negromanzia. La funzione di questi tratti nella discesa all’Ade, è quella di garantire a Menippo la buona riuscita della sua impresa paragonandola a quella che anche i due eroi panellenici affrontano, la discesa all’Ade per l’appunto. Eracle, secondo la tradizione mitica, sarebbe stato inviato nel mondo dei morti da Euristeo per riportarne Cerbero. In questo consisteva la sua dodicesima e ultima fatica. Per la discesa all’Ade di Eracle vd. Gantz 1993, pp. 413-416, per l’incontro dell’eroe con Teseo e Piritoo vd. Apollod. 2.5.12. Pure Odisseo compie la sua nekyia in Hom. Od. 11, e lì incontra Tiresia, ma anche l’ombra possente di Eracle, Od. 11.601. Anche Teseo è un eroe che compie la discesa nella casa di Ade, vd. Gantz 1993, pp. 291-295. Sull’influenza che Eracle e Odisseo esercitano nella rappresentazione di Menippo in Luciano vd. Bompaire 2000, p. 356: «le costume de Ménippe, visiteur de l’Hadès, comprend ‘pilos, peau de lion, lyre’: le pilos, coiffeur est capitale sur les mythes philosophiques, la néméide fait songer à la katabase légendaire d’Héraclès et plus encore à ses adaptations théâtrales comme l’Alceste d’Euripide. La peau de lion apparaissant aussi dans les Grenouilles où Dionysos était le substitut comique d’Héraclès».

vecchiezza, calvo sopra la fronte, tutto bianco nei capelli che gli rimangono, rugoso di pelle, e bruciato fino al nero più nero come i lavoratori del mare quando sono vecchi. Potresti immaginare che fosse uno del Tartaro, Caronte o Giapeto, e qualunque altra cosa ma piuttosto che Eracle. Tuttavia, pur con simili tratti ha l’abbigliamento di Eracle: è vestito della pelle del leone, ha la clava nella destra, la faretra appesa al fianco, la sinistra mostra l’arco teso in avanti; e questo almeno è tutto Eracle.

Luciano per dare una patina di veridicità al racconto inserisce alcune opinioni personali e ricerca una spiegazione plausibile a tale rappresentazione attingendo direttamente alla tradizione219.

Luc. Herc. 2 w[/mhn ou\n ejf≠ u{brei tw'n ïEllhnivwn qew'n toiau'ta paranomei'n tou;" Keltou;" ej" th;n morfh;n th;n ïHraklevou" ajmunomevnou" aujto;n th'/ grafh'/, o{ti th;n cwvran pote; aujtw'n ejph'lqen leivan ejlauvnwn, oJpovte ta;" Ghruovnou ajgevla" zhtw'n katevdrame ta; polla; tw'n eJsperivwn genw'n.

Ebbene, io pensavo che i Celti si prendessero tali libertà nei confronti della lingua di Eracle per vendicarsi di lui con il dipinto del fatto che invase un tempo il loro paese per fare preda, quando nel ricercare le greggi di Gerione corse le terre di quasi tutti i popoli d’occidente.

Ma il desiderio di soddisfare i quesiti che la meraviglia gli suscita, di sciogliere l’enigma che vela di mistero quella strana rappresentazione, lo obbligano a rivolgersi ad un intermediario che possa svelargli il vero messaggio (ainigma).

Luc. Herc. 4 Tau't≠ ejgw; me;n ejpi; polu; eiJsthvkein oJrw'n kai; qaumavzwn kai; ajporw'n kai; ajganaktw'n: Kelto;" dev ti" parestw;" oujk ajpaivdeuto" ta; hJmevtera, wJ" e[deixen ajkribw'" ïEllavda fwnh;n ajfieiv", filovsofo", oi\mai, ta; ejpicwvria, ≠Egwv soi, e[fh, w\ xevne, luvsw th'" grafh'" to; ai[nigma: pavnu ga;r tarattomevnw/ e[oika" pro;" aujthvn.

Era molto tempo che stavo lì guardando queste figure, meravigliato, incerto e sdegnato, quando un Celta, che mi era vicino non digiuno della nostra cultura, come dimostrò parlando il greco perfettamente, e, credo, studioso di cose locali, disse: «Ti scioglierò, o straniero, l’enigma del dipinto, giacché mi sembri molto sconcertato davanti ad esso».

Luciano deve compiere un processo di analisi dello scarto che deriva dalla propria conoscenza, di quella che è la rappresentazione canonica di Eracle nel mondo greco, e il dipinto che ha di fronte. La parodia viene in questo caso realizzata attraverso la descrizione di un dipinto paradossale. Il discorso attraverso

219

Luciano fa riferimento alla decima fatica di Eracle, il quale errando tra le diverse regioni della terra, giunge presso l’isola Erizia, dove abitava il mostruoso Gerione, vd. Apollod. 2.5.10. Per la figura di Eracle e l’analisi delle fatiche vd. Gantz 1993, pp. 374-466. Per la decima fatica vd. in particolare pp. 402-408.

le immagini infatti ha efficacia immediata, e la descrizione deve essere la più vivida possibile (enargeia) e Luciano sfrutta moltissimo questa tecnica220.

Luc. Hist. conscr. 51 Toiou'to dhv ti kai; to; tou' suggrafevw" e[rgon< eij" kalo;n diaqevsqai ta; pepragmevna kai; eij" duvnamin ejnargevstata ejpidei'xai aujtav. kai; o{tan ti" ajkrowvmeno" oi[htai meta; tau'ta oJra'n ta; legovmena kai; meta; tou'to ejpainh'/, tovte dh; tovte ajphkrivbwtai kai; to;n oijkei'on e[painon ajpeivlhfe to; e[rgon tw'/ th'" iJstoriva" Feidiva/.

Tale è appunto il compito dello storico, mettere in ordine perspicuo i fatti ed esporli con la massima possibile chiarezza. E quando qualcuno che lo ascolta crede, dopo averle udite, di vedere le cose che egli dice e dopo ciò lo loda, allora sì che l’opera ha raggiunto la perfezione e ha ricevuto la lode che spetta a un Fidia della storia.

La forza della rappresentazione visiva che conferisce un effetto di realtà al racconto (anche quello dello storico), il richiamarsi ad una cultura visiva comune uniti al momento del piacere dell’ascolto o alla meraviglia della visione del narratore, costituiscono la struttura della prolalia, ma anche di altre opere lucianee.

Luciano, come fa l’anonimo celta, si pone come mediatore, come interprete alla lettura dell’opera, guidando l’occhio dell’ascoltatore nell’osservazione corretta dell’immagine. Egli rappresenta due punti di vista, quello dell’osservatore tecnico, che sa su quali dettagli soffermarsi e conosce i segreti e gli ‘enigmi’ nascosti dietro all’operazione artistica, e il punto di vista dell’osservatore comune che si stupisce, inorridisce, non comprende221.

220 L’allusione a statue e dipinti nelle opere lucianee presuppone una cultura visiva e iconografica,

che ha la capacità di evocare attraverso l’immaginazione quanto viene descritto attraverso l’arte della parola. L’ekphrasis, l’inserimento di descrizioni all’interno di alcuni testi – in genere romanzi – sembra essere una delle tecniche utilizzate dalla scuola retorica al fine di razionalizzare il racconto e al fine di contribuire a rendere più credibile il carattere fittizio dell’opera. Come bene osservano Cistaro 2009 e Maffei 1994, le descrizioni di Luciano si incastrano perfettamente all’interno delle sue narrazioni e servono a esemplificare un concetto attraverso una determinata simbologia, ma non diventano mai protagoniste del discorso. Luciano utilizza l’ekphrasis per «instaurare un rapporto con il lettore, stimolando la sua memoria visiva: capita, infatti, che nelle sue allusioni artistiche Luciano ometta di proposito qualche particolare, suscitando in tal modo la partecipazione attiva del destinatario, chiamato a integrare i dati mancanti», vd. Cistaro 2009, pp. 20-21.

221 Luciano opera come un vero e proprio artista più volte nelle sue opere. Per la pittura in

particolare e le problematiche relative a questo tema vd. Zeusi o Antioco. Anche nell’opera La

Sala Luciano sembra esercitarsi nel parlare d’arte, proprio come un critico d’arte. Egli infatti è

convinto che il critico, il conoscitore e l’amante dell’arte non possa rimanere muto spettatore di fronte alla bellezza di un’opera d’arte. Egli ha bisogno di prolungare il piacere che gli deriva dalla visione il più a lungo possibile e farsi portavoce anche per gli altri della bellezza che vede, vd. Luc. Dom. 2. In qualche modo anche l’eroe satirico agisce come un critico d’arte: egli deve

«La descrizione deve fornire alla parola una ‘dimensione visiva’, deve far emergere nitidamente gli oggetti e le immagini descritti in tutta la loro corposa concretezza e lasciare che siano essi a far scaturire il racconto»222. Ma Luciano non si sofferma solo sull’aspetto delle figure descritte – che il più delle volte si rifanno alla tradizione e al mito – ma piuttosto su alcuni gesti particolari su cui l’occhio dell’osservatore si sofferma e che non trovano una spiegazione, e per questo sembrano ancora più stravaganti e assurdi (paradoxovtaton e

ajtopwvtaton).

Luc. Herc. 3 kaivtoi to; paradoxovtaton oujdevpw e[fhn th'" eijkovno": oJ ga;r dh; gevrwn ïHraklh'" ejkei'no" ajnqrwvpwn pavmpoluv ti plh'qo" e{lkei ejk tw'n w[twn a{panta" dedemevnou". desma; dev eijsin oiJ seirai; leptai; crusou' kai; hjlevktrou eijrgasmevnai o{rmoi" ejoikui'ai toi'" kallivstoi". kai; o{mw" uJf≠ ou{tw" ajsqenw'n ajgovmenoi ou[te drasmo;n bouleuvousi, dunavmenoi a]n eujmarw'", ou[te o{lw" ajntiteivnousin h] toi'" posi;n ajntereivdousi pro;" to; ejnantivon th'" ajgwgh'" ejxuptiavzonte", ajlla; faidroi; e{pontai kai; geghqovte" kai; to;n a[gonta ejpainou'nte", ejpeigovmenoi a{pante" kai; tw'/ fqavnein ejqevlein to;n desmo;n ejpicalw'nte", ejoikovte" ajcqesqhsomevnoi" eij luqhvsontai.

Ma non ho ancora detto ciò che il ritratto ha di più straordinario: quel vecchio Eracle tira, legati tutti per le orecchie, numerosissimi uomini. Li legano a lui catene sottili, fatte di oro e di ambra, simili alle più belle collane. E tuttavia, benché condotti con così deboli mezzi, né meditano di fuggire, pur potendolo con facilità, né assolutamente resistono o puntano i piedi piegandosi all’indietro nel senso contrario a quello in cui sono tirati, ma seguono raggianti e gioiosi lodando colui che li conduce e allentando la catena perché lo vogliono prevenire: sembra che, se mai fossero disciolti, se ne dorrebbero.

La curiosità spinge l’osservatore a dire di più e a rendere partecipi gli ascoltatori del suo resoconto.

Luc. Herc. 3 o} de; pavntwn ajtopwvtaton ei\naiv moi e[doxen, oujk ojknhvsw kai; tou'to eijpei'n: ouj ga;r e[cwn oJ zwgravfo" o{qen ejxavyeie tai'" seirai'" ta;" ajrcav", a{te th'" dexia'" me;n h[dh to; rJovpalon, th'" laia'" de; to; tovxon ejcouvsh", truphvsa" tou' qeou' th;n glw'ttan a[kran ejx ejkeivnh" eJlkomevnou" aujtou;" ejpoivhsen, kai; ejpevstraptaiv ge eij" tou;" ajgomevnou" meidiw'n.

Ma non esiterò a dire anche la cosa che mi è parsa la più stravagante di tutte: il pittore, non sapendo dove allacciare i capi delle catene, dal momento che la destra aveva già la clava, la sinistra l’arco, ha forato la punta della lingua e ha fatto che gli uomini siano tirati da questa; ed egli è anche voltato, sorridente, verso coloro che si lasciano condurre.

attraverso l’akribeia, osservare attentamente l’opera, ma non si deve accontentare e accettare quello che vede, anzi il suo ruolo è quello di comprenderne il significato e farsene portavoce.

Luciano molto probabilmente conosce le funzioni psicopompe che vengono attribuite ad Eracle in Gallia223. Ma il suo intento va oltre, egli ha bisogno di ricorrere al mito e porre a confronto le due interpretazioni culturali-religiose dell’eroe per sfruttare di entrambe le caratteristiche. Luciano infatti inserendo nella narrazione la figura dell’anonimo celta224, pone quasi una frattura all’interno del racconto: l’interpretazione del dipinto da parte del pepaideumenos celta è inaspettata, ma funzionale al racconto lucianeo. Eracle sebbene sembri quasi un vecchio consunto dagli anni e dalla fatica, mantiene viva la sua eloquenza. Egli ammalia gli uomini legandoli a sé attraverso catene magiche, sottilissime di oro e di ambra225. Così anche Luciano vecchio, canuto, retore affaticato, ha bisogno di rinsaldare il suo ruolo, di esaltare le sue capacità oratorie che ancora non sono invecchiate. Quella stravagante (pavnu ajllovkoton) immagine di Eracle Ogmio, gli dà la forza di ritornare sulla scena e di dimostrare a tutti che dell’aspetto non se