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L’esilio cinico

CAPITOLO III LESSICO DI VIAGGIO

3.2 Viaggi molto particolar

3.2.3 L’esilio cinico

Luciano sfrutta la condizione dell’esiliato per creare il paradigma del suo eroe satirico. I protagonisti satirici erranti delle sue opere somigliano agli eroi del patrimonio mitico, della tradizione, spesso rivisitati in chiave cinica. Parlare infatti dell’esilio ci dà l’occasione per parlare brevemente di come la filosofia cinica abbia in parte influenzato la costruzione del personaggio errante in Luciano.

Diogene, il rappresentante per eccellenza dei filosofi cinici (i ‘cani’) aveva anch’egli subito l’esilio. Il motivo di questo provvedimento è piuttosto controverso: sembra comunque, da quanto ci riferisce Diogene Laerzio (6.20-21), che Diogene avesse manomesso o falsificato la moneta (paracaravttein to;

168 Flavio Filostrato compose verso la metà del III secolo d.C. una raccolta di vite sui maggiori

esponenti culturali dell’epoca della Seconda Sofistica. I personaggi che riuscirono a guadagnarsi il titolo di sofista erano coloro che viaggiando per il Mediterraneo dedicarono la loro vita all’eloquenza, alle declamazioni pubbliche, attraverso le quali acquisivano fama e buona reputazione e proprio per questo degni di rispetto (anche se Luciano non ne era affatto convinto). Nelle Vite dei Sofisti di Filostrato però non compaiono tutti i sofisti. Anzi sembra quasi che l’autore abbia deliberatamente scartato alcune figure – tra le quali anche Luciano. Quasi tutti i sofisti ivi presenti erano persone estremamente ricche e di nobili natali, elementi che Luciano non possedeva (vd. Luc. Somn). Swain 1994 ha tentato di dare una spiegazione alla scelta di Filostrato di inserire la vita di Dione Crisostomo e invece di scartare quella di Luciano, considerato parimenti un sofista di tutto rispetto. Lo studioso si concentrerà su opere ad argomento fantastico, o che comunque si classificano nella categoria della fiction. Infatti per Filostrato i sofisti «were those who especially devoted to composing and delivering speeches on fictional subjects», (Swain 1994, p. 166).

novmisma)169. Le versioni che vengono riportate sono numerose e contrastanti, come anche il significato attribuito all’espressione sopracitata170.

Sicuramente l’intento di Luciano non era quello di sovvertire l’ordine stabilito per legge, ma la capacità e la determinazione di andare oltre ciò che appare, che spesso vuol dire anche contro le convenzioni e le norme accettate passivamente. Egli spinge al giudizio critico, ad osservare attentamente la realtà.

Luciano non si può definire un filosofo cinico, anzi, spesso egli critica la loro scuola, ma ne sfrutta alcuni strumenti, per meglio portare a compimento la sua azione satirica. Luciano avrà in comune con il cinismo anche l’ammirazione per alcuni eroi del passato, tra questi spiccano Odisseo ed Eracle171. Questi modelli eroici, dai quali Luciano si lascia affascinare, sono eroi erranti, che in qualche modo subiscono la pena dell’esilio da parte degli dei. Sono entrambi eroi privi di legami con un luogo specifico, ma sono cittadini del mondo, quasi come Diogene.

Diog. Laert. 6.63 ejrwthqei;" povqen ei[h, ®kosmopolivth",® e[fh.

169

Sull’interpretazione dell’espressione si sono concentrati molti studiosi. Entrambi i termini, sia il verbo paracaravttein, che il sostantivo to; novmisma infatti sono piuttosto vaghi. Solo per fare il nome di alcuni studiosi che si sono dedicati all’interpretazione: Gardner 1893 ha studiato i termini maggiormente impiegati per la falsificazione della moneta sono kibdhleuvein, parapoiei'n e soprattutto parakovptein. Paracaravttein invece può valere tanto ‘falsificare’ quanto ‘sovraimprimere’ un altro ‘carattere’ (il conio) alla moneta corrente, o semplicemente ‘alterare’. Bywater 1940, ha analizzato il verbo distinguendo tre significati: sbagliare il conio, cambiare deliberatamente il marchio di conio o coniare con uno stampo contraffatto. Ma anche il termine to; novmisma si presta a problemi di interpretazione. Si tratta infatti di un termine piuttosto ambiguo che può significare tanto ‘istituzione’, e cioè ciò che è ‘stabilito per legge’, quanto ‘moneta’, che risulta comunque essere prodotto di una provvedimento istituzionale. Per la ‘manomissione della moneta’ e l’esilio di Diogene vd. Giannantoni 1985, vol. III, pp. 379-388.

170

Le versioni che Diogene Laerzio riporta sono molto diverse tra loro. Per citarne alcune: 1) secondo Diocle di Magnesia sarebbe stato il padre, titolare di un banco pubblico, ad alterare la moneta; e Diogene sarebbe andato in esilio; 2) secondo un certo Eubulide (in Diog. Laert. 6.30 autore di una Diogevnou~ pra'si~) sarebbe stato Diogene a manomettere la moneta e ad andare poi in esilio col padre; 3) Diogene stesso, nel suo scritto Povrdalo~, avrebbe ammesso di aver manomesso la moneta; 4) secondo altre figure non nominate, sarebbero stati i suoi tecni'tai a spingere Diogene, sovrintendente (ejpimelhthv~) al conio, a manomettere la moneta. Diogene non sapendo che fare avrebbe quindi consultato l’oracolo di Apollo (a Delo o a Delfi non è chiaro). Quest’ultimo gli avrebbe dato il permesso di mutare il regime politico (to; politiko;n novmisma), ma Diogene, equivocando il termine novmisma, alterò la moneta. Scoperto, sarebbe stato mandato in esilio o, secondo altri, sarebbe fuggito per paura. 5) Secondo altri ancora, infine, Diogene avrebbe manomesso la moneta allorché il padre Icesio gli affidò il conio. Diogene fuggì a Delfi, dove interrogò l’oracolo non se manomettere la moneta, ma in che modo avesse potuto diventare ejndoxovtato~.

171 Odisseo ed Eracle sono eroi che vengono utilizzati dalla tradizione cinica come modello

«Interrogato di dove fosse, ‘cittadino del mondo’ rispose».

A questo proposito citiamo un passo di Epitteto sul concetto di libertà, sull’autonomia che i cinici eleggevano a loro modello di vita. In esso non si parla di esilio, ma del desiderio di non possedere alcuna identità relegata all’interno dei confini di uno spazio civico. Questa definizione è molto vicina alla condizione dell’esiliato172.

Epict. Diss. 3.22.47 i[detev me, a[oikov" eijmi, a[poli", ajkthvmwn, a[doulo": camai; koimw'mai: ouj gunhv, ouj paidiva, ouj praitwrivdion, ajlla; gh' movnon kai; oujrano;" kai; e}n tribwnavrion. kai; tiv moi leivpei∫n˜;

«Guardatemi, io sono senza casa, senza una città, senza alcuna proprietà, senza uno schiavo; dormo per terra; io non ho una moglie né figli, né un piccolo pretorio, ma solo la terra e il cielo e un piccolo mantello. Che cosa mi manca ancora?».

Epitteto ribadisce quella che è l’aujtavrkeia cinica, ovvero il bastare a se stessi, l’indipendenza del soggetto da qualsiasi tipo di legame affettivo, sociale e materiale173.

Per la filosofia cinica è necessario rinunciare a ciò che si ha di caro, ma anche a tutto ciò che la società, la tradizione e la consuetudine trasmettono come veri valori: la ricchezza, il matrimonio, la religione e i nobili natali. Per questi

172 Luciano dichiara le medesime idee del passo di Epitteto in La Vendita all’asta delle vite, nella

quale Diogene riferisce al compratore il suo stile di vita che intende poi insegnare a lui: Vit. Auct. 9 gavmou de; ajmelhvsei" kai; paivdwn kai; patrivdo", kai; pavnta soi tau'ta lh'ro" e[stai, kai; th;n patrwv/an oijkivan ajpolipw;n h] tavfon oijkhvsei" h] purgivon e[rhmon h] kai; pivqon. Cf. anche Epict. Diss. 3.22.22 fughvÉ kai; pou' duvnataiv ti" ejkbalei'nÉ e[xw tou'kovsmou ouj duvnatai. o{pou d≠ a]n ajpevlqw, ejkei' h{lio", ejkei' selhvnh, ejkei' a[stra, ejnuvpnia, oijwnoiv, hJ pro;" qeou;" oJmiliva.¯

173 Secondo la filosofia cinica, infatti, l’uomo deve liberarsi da tutta quella serie di oggetti e

convenzioni non necessarie, che gli impediscono il vivere secondo natura (kata; fuvsin) e l’assimilazione alla divinità (oJmoivwsi" qew'/). L’uomo cinico deve come prima cosa rinunciare ai propri beni, intesi non solamente come beni materiali, ma anche come convenzioni e pregiudizi tipici della società corrotta in cui vive. Questo comporta divenire uomini che non si curano delle vesti, privi di beni di lusso, dalla barba incolta, senza una dimora fissa. Uomini che vivono in balia delle intemperie, mendicanti e appunto, nomadi itineranti. Essi non sono più cittadini di una polis definita, ma divengono cittadini del mondo, diventano liberi. La condizione di sofferenza dell’esiliato e quindi dell’uomo errante viene estremizzata dai Cinici, i quali molto spesso, dopo aver rinunciato ai propri beni, e dopo aver trascorso un periodo in esilio, girovagando, fanno del loro corpo merce venduta nell’agora (per il caso di Diogene che viene venduto al mercato come schiavo, vd. Diog. Laert. 6.29.30 e 6.74. La Diogevnou" pra'si" è comunque un caso del tutto particolare. Essa infatti è connessa strettamente all’ ajnqrwvpwn a[rcein: Diogene-dou'lo" è allo stesso tempo a[rcwn, perché la natura cinica lo porta ad essere così: la sua ajnaivdeia, la parrhsiva e la pulsione verso l’ejleuqeriva sono gli elementi che costituiscono un personaggio che rompe i confini, va oltre i limiti che la società impone, contro il novmo" comune). Anche questo fa parte di quella preparazione attraverso l’esperienza del povno" che permette all’uomo di raggiungere la verità.

filosofi sono rinunce che comportano dolore174, ma che con l’esercizio temprano il corpo e lo spirito e indirizzano alla verità175. Luciano non dice di non credere a nulla, ma spinge i suoi interlocutori a mettersi in dubbio, lo stesso dubbio che spinge gli eroi protagonisti delle sue opere ad intraprendere viaggi verso altre realtà.

Perciò la condizione dell’esiliato (subita o scelta consapevolmente, come nel caso dei cinici), non è solo privazione e sofferenza, ma nell’allontanamento diviene l’acquisizione di una prospettiva esterna, ai margini, che è la condizione ideale per poter fare critica.

3.3L’identità

Parlare dell’esilio ci fornisce l’occasione di affrontare un altro grande tema collegato indissolubilmente al tema del viaggio: l’identità. Questa costituisce un terreno di studio piuttosto insidioso. Il più delle volte viene percepita come scontata. È difficile affermare la propria identità se non servendoci di definizioni convenzionali, come possono essere le strutture sociali o le collocazioni spazio- geografiche176. Essa non è qualcosa di convenzionale e di standardizzato, ma è personale e mutevole. Pertanto è un tema che va affrontato con cautela.

Il viaggio, come si è detto, inteso come mutamento in un determinato spazio, o cambiamento sociale, prevede anche un cambiamento ‘di forma’177. L’esperienza allora muta profondamente le origini identitarie dell’individuo, e il

174 In questo consiste il vivere cinico, sperimentando quotidianamente il povno". Come osserva

Desmond 2008, p. 155 «frailty is not the human condition but a human choice», infatti per i cinici la debolezza non era causata dalla natura ma dalla degenerazione dei costumi e solamente attraverso l’ajskei'n l’uomo sarebbe riuscito a ristabilire il trait d’union originario con la natura.

175 Per la figura del filosofo cinico che osserva la realtà come kataskopos, vd. Roca Ferrer 1974, p.

41.

176 Importante è quello che dice Hartog, riportando il pensiero di Bachtin, riguardo all’identità di

Odisseo e la coscienza culturale che si è creata attorno a questo eroe-paradigma. «Ovunque Ulisse è ospite e straniero […]. Secondo Bachtin, una cultura si riconosce solo sulla linea di demarcazione con altri mondi spirituali. Ulisse è la nostra coscienza culturale che ha a che fare con altre culture e che conserva la capacità di ascoltare e di stupirsi. Proprio attraverso questo viaggio interminabile la cultura contemporanea si è lanciata su se stessa. Poiché non vi è niente di più difficile che comprendere se stessi: è un caso che Ulisse non sia stato riconosciuto nella sua isola natale? Ulisse è un filo che unisce diverse culture tra di loro […]. Sarebbe il primo etnologo o culturologo, quello attraverso il quale, per così dire, le culture vengono date alla luce […]. Simbolo d’incertezza, Ulisse è anche simbolo di una speranza di sopravvivenza che la cultura nutre, a dispetto delle prove senza precedenti conosciute nel XX secolo», vd. Hartog 2002, pp. 15- 16 n. 10.

modo in cui il soggetto definisce se stesso e si manifesta. L’identità è prima di tutto riconoscimento reciproco, classificazione e identificazione tra individui. «L’esistenza sociale e le sue principali categorie – il gruppo etnico, il sesso, la classe – derivano da osservazioni e identificazioni compiute da “altri”. Se le trasformazioni intellettuali del viaggio sono un prodotto del modo in cui le mobilità rendono il viaggiatore un vero e proprio “osservatore”, le trasformazioni sociali del transito sono una conseguenza del fatto che il viaggiatore viene osservato da un pubblico variabile di testimoni che si preoccupa attivamente di chiarire le sue promesse e il pericolo che può rappresentare»178. In altre parole, noi siamo ciò che siamo perché abbiamo di fronte lo specchio dell’ ‘altro’. Il mutamento del viaggio consiste dunque nella presa di coscienza di sé, che non è altro che un processo di interazione con l’altro e di percezione reciproca179.

«Le trasformazioni dell’individuo sociale che si compongono durante il viaggio derivano invariabilmente da un terreno di riconoscimenti che si sposta, il che fa pensare che le identità derivino da atti di identificazione. Un’identità può perciò essere lasciata alle spalle, nella cerchia degli sguardi consapevoli in cui essa trova le proprie radici, e questa non è una metafora»180. Odisseo infatti tornando in patria, non si riappropria immediatamente del proprio ruolo di signore di Itaca, egli si maschera e diventa un semplice mendicante, nascondendo la sua vera identità. Questo non vuol dire non sapere chi si è, al contrario questo significa essere consapevoli di sé e del proprio ruolo, e che la società in cui ci si trova, una volta tolta la maschera dello straniero, ci riconoscerà un determinato ruolo sociale. Egli ha bisogno di sentirsi per l’ultima volta straniero in casa propria, prima di riappropriarsi definitivamente della propria identità.

L’identità, per quanto possa sembrare un punto fisso nella società e nell’individuo, è un elemento indissolubilmente legato all’esperienza del viaggio

178 Uno degli ultimi capitoli dello studio di Leed, è dedicato proprio all’identità e alle

trasformazioni dell’individuo viaggiante. Le prime pagine sono particolarmente significative perché riassumono bene quello che è il concetto di identificazione sociale, che sebbene coinvolga dei parametri e dei valori culturali diversi, non sembra discostarsi molto da quello che ritroviamo nelle opere di Luciano.

179

Leed 1991, p. 252: «Le trasformazioni dell’esistenza sociale nel viaggio indicano che non c’è un “io” senza l’ “altro”, e che in fondo l’identità si crea con specchi e riflessi. Quando quei riflessi mutano, o si deformano, le identità si trasformano».

che è per definizione dinamismo, cambiamento, alterità e molteplicità. Ed è proprio in questo che consiste la molteplicità (la poikilia ma anche quello stesso prefisso polu- che troviamo davanti agli epiteti che definiscono Odisseo nell’Odissea) del viaggiatore – e quindi anche dell’eroe satirico. Le sue stesse armi gli derivano dall’esperienza del viaggio e sono mutevoli, cambiano, migliorano nello svolgersi del viaggio, così anche la sua identità181.

Odisseo è il viaggiatore che incarna il modello della molteplicità, egli può essere un dio, ma anche un mendicante. «Dai riconoscimenti e dalle osservazioni di altri si creano quelle categorie del personaggio, quelle semplificazioni, rigidità, maschere e veli che costituiscono l’essenza e la realtà dell’individuo sociale»182. L’identità di Odisseo si plasma proprio viaggiando183. Ma il suo personaggio è un caso particolare, egli infatti non è come gli eroi satirici che ci presenta Luciano, non solo perché egli non sperimenta il viaggio per curiosità, per scelta personale, ma anche perché possiede già un’identità definita e deve solo riacquisirla, riprenderne possesso.

Identità e patria, come suggerisce Montiglio, sono considerati un tutt’uno184. Essi costituiscono l’elemento essenziale attraverso cui lo straniero si presenta davanti ad un pubblico di individui appartenenti ad una comunità ‘chiusa’. Nei poemi omerici, ma anche in Luciano, troviamo la formula ‘tiv" povqen eij"

ajndrw'n;’, che non è altro che la contrazione di due domande: ‘Chi sei? Da dove

vieni?’185. Nella società descritta dai poemi omerici, l’identità era determinata dalla comunità di appartenenza, pertanto chi si allontanava dalla propria patria (e quindi da un gruppo sociale definito) per qualsiasi ragione, comprometteva e metteva a repentaglio la propria identificazione e l’accettazione di sé all’interno della comunità a cui apparteneva. Pertanto chi si allontanava per un lungo tempo,

181 La stessa vista degli eroi satirici di Luciano migliora passo passo, vd. infra 5.4, pp. 205-243. 182 Leed 1991, p. 252.

183 Hartog 2002, p. 4: «Nei suoi viaggi Ulisse, con il moto stesso di quel ritorno continuamente

contrastato e differito, traccia i contorni di una identità greca. La recinge. Segna dei confini (per esempio l’umano e il divino) o meglio lui, Colui che resiste, prova o tenta di definirli, a rischio di perdercisi completamente. Sempre in movimento, in balia delle onde, sempre costretto a ripartire, è un uomo-frontiera e un uomo memoria».

184

Montiglio 2005, p. 35.

185 L’espressione formulare compare solo una volta nell’Iliade 21.150, mentre nell’Odissea

numerosi sono i casi. Solo per fare alcuni esempi Od. 1.170, 3.71, 7.238, 10.325, 14.187. In Luciano la formula compare in maniera pressoché inalterata in Icar. 23.

per poi fare ritorno in patria, veniva considerato uno xenos, privo di diritti, ma soprattutto privo di un’identità. C’era bisogno di un certo periodo di ‘decantazione’, durante il quale lo straniero, rimanendo tale, doveva essere ammesso o riammesso nella società. Questo è quello che avviene ad Odisseo al momento del suo ritorno in patria: «Odysseus’s disguise and self-presentation as a wanderer project his real condition, his suspended identity prior to recognition»186.

Ma la condizione di xenos nell’Odissea, non produce, come si è detto sopra, un effetto straniante, o una visione critica della realtà. Odisseo continua ad osservare i nuovi mondi in cui si imbatte tenendo sempre presente il suo modello di origine, quello greco, ma le nuove realtà che conosce, sembrano riflettere in parte questa sua identità greca187.

In Luciano invece il confronto con il nuovo, con l’estraneo e il diverso, permette al viaggiatore una visione tutta nuova. Il viaggiatore diventa xenos e come uno straniero osserva le cose con sguardo nuovo, meravigliandosi e interrogandosi. L’esperienza del viaggio in Luciano dunque muta la prospettiva del viaggiatore e approfondisce le sue conoscenze. Lo mette nella condizione di essere straniero e di presentarsi come tale188.

186 Montiglio 2005, p. 36.

187 Come afferma Montiglio, Odisseo «describes, and with interest, the customs of the people he

encounters, but his references in these descriptions remain the same throughout his wanderings», infatti, Odisseo osserva gli altri contrapponendo il modo di vivere ellenico (civilizzato, devoto agli dei e rispettoso delle leggi che regolano I rapporti tra xenoi) a quello estraneo (e quindi dal quale ci si può aspettare qualsiasi cosa) dei popoli che incontra: «Odysseus’s ethnographic curiosity is epitomized by the questions, which introduces his inquiries: “whether these men have hybris or whether they cherish xenia and fear the [Greek] gods”» (Montiglio 2005, p. 129). Hom. Od. 9.174- 176 ejlqw;n tw'nd≠ ajndrw'n peirhvsomai, oi{ tinev" eijsin, / h[ rJ≠ oi{ g≠ uJbristaiv te kai; a[grioi oujde; divkaioi, / h\e filovxeinoi, kaiv sfin novo" ejsti; qeoudhv".¯, Od. 6.119-121 ®w[ moi ejgwv, tevwn au\te brotw'n ej" gai'an iJkavnwÉ / h[ rJ≠ oi{ g≠ uJbristaiv te kai; a[grioi oujde; divkaioi, / h\e filovxeinoi kaiv sfin novo" ejsti; qeoudhv"É, la stessa formula si trova in Od. 13.201-202).

188 Ci sarebbe molto da dire su cosa intendessero i Greci per straniero. Esistono infatti due diversi

termini per definire lo straniero: xevno" e bavrbaro". Questi assumono significati differenti non solo in base al contesto, ma anche in riferimento all’epoca. Ma non è questo il luogo per discutere questo tema. Esistono svariati studi sull’argomento, funzionali al nostro vd. in particolare Hartog 2002, soprattutto pp. 13-17 e pp. 107-144 in cui l’autore di sofferma sul tema dell’Hellenikon (vd. Hdt. 8.144); utili anche gli studi di Moggi 1992a e 1992b, come anche Nippel 1996. Per lo straniero in Luciano vd. Bernardini 1992a e 1992b. Per lo straniamento in Luciano vd. Camerotto 2012. Lissarague 1997 invece affronta la rappresentazione dello straniero fornendo anche un apparato iconografico. Ci si limita a dire che xevno" era un termine con cui venivano designati non solo gli stranieri greci, cioè coloro che erano estranei alla comunità ristretta della polis (caso a parte è quello di Sparta che definiva xevnoi non solo gli abitanti greci delle altre città, ma anche i

Il viaggio mette in contatto persone diverse, identità opposte, valori, tradizioni, lingue, culture estranee, dislocati lungo frontiere umane e non-umane. Ma per creare la propria identità si ha necessariamente bisogno dell’altro, esso costituisce il punto di riferimento attraverso il quale i Greci hanno ‘pensato loro stessi’189.

Il contatto con l’altro, con l’estraneo rappresenta dunque una fonte