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Il mito diventa fatto storico: lo straniamento del Dioniso

TRA STORIA, ETNOGRAFIA E FINZIONE

5.2 Luciano, prodotto letterario del suo tempo (mixis)

5.2.2 Il mito diventa fatto storico: lo straniamento del Dioniso

Il procedimento letterario della mixis e del suo relativo prodotto, lo

spoudaiogeloion, ci permette di introdurre la breve prolalia Dioniso. Le prolaliai,

e in particolare quella di Dioniso, offrono a Luciano lo strumento di mediazione tra l’autore e il pubblico, nel quale l’autore stesso chiarisce le caratteristiche distintive della sua performance, difendendosi così da accuse e da possibili incomprensioni del testo327.

Il Dioniso riflette l’ambiguità che deriva dal congiungimento dello

spoudaion e del geloion nella figura stessa della divinità da cui il prologo prende

il titolo. Luciano inserisce un elemento tratto dalla tradizione (la spedizione in India di Dioniso) per riflettere sulle proprie operazioni letterarie, trasformando così il mito in un avvenimento storico328. Realtà (fattualità) e finzione di nuovo si mescolano. Lo straniamento, uno degli effetti primi che il viaggiatore sperimenta, è il risultato che deriva da questa mixis di elementi incompatibili tra loro, ed è qui esemplificata nell’immagine del corteo, strano e paradossale, incomprensibile; lo stesso effetto provocano i testi lucianei, disorientamento e incomprensione329.

325 «La mixis è un’operazione ardita (ejtolmhvsamen), che però ha un risultato notevole e inedito:

lo spoudaiogeloion», (vd. Camerotto 1998, p. 120).

326

Nel caso della Storia Vera si parla di pastiche meta-letterario, vd. Fusillo 1999, pp. 351-354. Lo studioso afferma che il bersaglio della satira di Luciano non è la fantasia, la finzione, ma il suo travestimento sotto l’apparenza della vera esperienza. Quell’atteggiamento che avevano gli storici e gli etnografi a lui contemporanei che riportano resoconti con descrizioni assurde su società, costumi, codici, affermando di aver potuto vedere tutto ciò in prima persona. «The vast spectrum of texts referred to in A True Story makes the definition of pastiche seem particularly appropriate for this work», vd Fusillo 1999, p. 353. Il pastiche deriva dalla parodia (che utilizza imitazione e trasformazione) e quello che Luciano presenta nella sua opera è una deformazione satirica del viaggio e degli strumenti tipici del viaggiatore.

327 Per le opere apologetiche in cui Luciano difende il suo programma e tenta di dare voce alle sue

opere vd. Branham 1989, pp. 42-43. Come afferma anche Santini 2001, p. 74, Luciano, nel

Dioniso, ma anche nel Sei il Prometeo della parola e nella Duplice Accusa (in particolare dal

paragrafo 33), difende l’originalità (kainovth") della sua creazione letteraria. Lo studio della Santini è molto esaustivo per quanto riguarda la struttura narrativa della nostra prolalia. Inoltre la studiosa analizza punto per punto le caratteristiche del testo, che sono le chiavi di lettura della maggior parte delle opere di Luciano.

328

Per la mixis e lo spoudaiogeloion nella prolalia vd. Camerotto 1998, pp. 122-123.

329 Branham 1989, pp. 44-45, riprendendo le parole di Tolstoj (che già Victor Shklovskij aveva

citato nel suo studio sui metodi dello straniamento) definisce lo straniamento quel metodo attraverso cui «familiar objects and events are “made strange”, or “defamiliarized”, by being

Luciano sfrutta il mito (Bacch. 1 mu`qon Bakcikovn) e lo rimodella come se stesse raccontando un fatto storico realmente accaduto e dichiara fin da subito quale è stato il motivo che lo ha spinto a parlare di ciò: il fatto che gli uomini siano portati a giudicare, deridendo e disprezzando tutto ciò che non conoscono, sulla base dell’apparenza330.

Luc. Bacch. 1 ‹Ote oJ Diovnuso" ejp≠ ≠Indou;" stratia;n h[lase <kwluvei ga;r oujdevn, oi\mai, kai; mu'qon uJmi'n dihghvsasqai Bakcikovn<fasi;n ou{tw katafronh'sai aujtou' ta; prw'ta tou;" ajnqrwvpou" tou;" ejkei', w{ste katagela'n ejpiovnto", ma'llon de; ejleei'n th;n tovlman aujtivka mavla sumpathqhsomevnou uJpo; tw'n ejlefavntwn, eij ajntitavxaito: h[kouon gavr, oi\mai, tw'n skopw'n ajllovkota uJpe;r th'" stratia'" aujtou' ajggellovntwn.

Dicono che, quando Dioniso condusse il suo esercito contro gli Indi – nulla impedisce, io penso, che vi racconti anche una storia dionisiaca –, gli uomini di là in principio lo disprezzassero a tal punto da deridere la sua invasione, o, meglio, da compassionare la sua audacia, considerato che, se fosse venuto a battaglia contro di loro, in men che non si dica sarebbe finito sotto le zampe degli elefanti. Sentivano infatti – credo – le notizie mirabolanti che portavano riguardo al suo esercito gli esploratori.

Insiste molto sul fatto che gli Indiani si fidino ciecamente di quanto viene loro riferito da terzi. Gli Indiani non si meravigliano ascoltando tali stranezze, ma le deridono sopravvalutando la pericolosità dell’esercito bacchico. Il verbo dell’ascolto (ajkouvw), compare molte volte all’interno di questa prolalia (Bacch. 1

h[kouon ajllovkota, 3 Tau'ta oiJ ≠Indoi; kai; oJ basileu'" aujtw'n ajkouvonte" ejgevlwn, 5 oijovmenoi ga;r saturika; kai; geloi'av tina kai; komidh'/ kwmika; par≠ hJmw'n ajkouvsesqai<toiau'ta ga;r pepisteuvkasin).

Luc. Bacch. 3 Tau'ta oiJ ≠Indoi; kai; oJ basileu'" aujtw'n ajkouvonte" ejgevlwn, wJ" to; eijkov", kai; oujd≠ ajntepexavgein h] paratavttesqai hjxivoun, ajll≠ ei[per a[ra, ta;" gunai'ka" ejpafhvsein aujtoi'", eij plhsivon gevnointo, sfivsi de; kai; nika'n aijscro;n ejdovkei kai; foneuvein guvnaia memhnovta kai; qhlumivtrhn a[rconta kai; mequvon smikro;n gerovntion kai; hJmivtragon stratiwvthn a[llon kai; decribed as if they had just been seen for the first time. The author “refuses to recognized” what everyone knows».

330 Luciano afferma inoltre che nulla gli impedirà di parlare anche di una storia dionisiaca.

Quell’anche è significativo perché l’invasione dell’India da parte di Dioniso sembra aver lasciato dei segni tangibili sul territorio. Questi sono le fonti di cui Luciano parla in Bacch. 6: ou|toi me;n ou\n<ejleuvqeron ga;r ajkohv<poiouvntwn o{ ti kai; fivlon. ≠Egw; dev, ejpeidhvper e[ti ejn ≠Indoi'" ejsmevn, ejqevlw kai; a[llo uJmi'n dihghvsasqaiv ti tw'n ejkei'qen, oujk ajprosdiovnuson oujd≠ aujtov, oujd≠ w|n poiou'men ajllovtrion. ejn ≠Indoi'" toi'" Maclaivoi", […] para; touvtoi" a[lso" ejsti;n ejn perifravktw/, […] ejntau'qa phgaiv eijsi trei'" kallivstou kai; dieidestavtou u{dato", hJ me;n Satuvrwn, hJ de; Panov", hJ de; Silhnou'. Luciano inserisce spesso all’interno delle sue opere degli ‘elementi tangibili’ al fine di rendere i suoi resoconti più credibili. Si tratta nel caso di Dioniso di tre fonti di acqua, ma molto più spesso di stele (Dips. Scyth. VH) o di dipinti, come nel caso di

gumnhvta" ojrchstav", pavnta" geloivou". ejpei; de; h[ggelto purpolw'n oJ qeo;" h[dh th;n cwvran […] katafronou'nte" me;n kai; tovte, ojrgizovmenoi de; o{mw" kai; suntri'yai speuvdonte" aujtw'/ stratopevdw/ to;n ajgevneion ejkei'non strathlavthn.

Udendo queste cose gli Indi e il loro re ridevano e pensavano che non fosse nemmeno il caso di uscir loro incontro o di schierarsi in ordine di battaglia, ma, se mai, di mandare ad affrontarli le donne, qualora si avvicinassero, giacché per sé medesimi ritenevano vergognoso vincere e uccidere donne impazzite, un capo con una fascia muliebre introno ai capelli, un vecchietto ubriaco, un soldato per metà di un’altra natura e degli armati alla leggera ballerini, tutti ridicoli. Ma quando fu annunciato che il dio già stava mettendo a fuoco il paese, […] si mossero contro i nemici, disprezzandoli ancora ma tuttavia sdegnati e bramosi di fare a pezzi quell’imberbe condottiero con tutto il suo esercito.

Luciano sembra sottolineare quello che già Erodoto aveva affermato – utilizzando peraltro anch’egli una storia, quella di Candaule, re di Sardi, di sua moglie e della sua guardia personale Gige – e cioè che l’udito è un senso meno affidabile della vista331:

Hdt. 1.8 w\ta ga;r tugcavnei ajnqrwvpoisi ejovnta ajpistovtera ojfqalmw'n.

Infatti per gli uomini è più facile credere agli occhi che agli orecchi.

Gli abitanti dell’India troveranno conferma alle dicerie che correvano sul conto di Dioniso solo nel momento in cui avranno davanti agli occhi il suo esercito, non basterà loro sapere che il dio sta ormai mettendo a ferro e fuoco la loro terra, hanno bisogno di vedere. Ma ovviamente è troppo tardi, non c’è scampo. Solo così l’uomo apprende la lezione.

Luc. Bacch. 4-5 oiJ ≠Indoi; de; kai; oiJ ejlevfante" aujtw'n aujtivka ejgklivnante" su;n oujdeni; kovsmw/ e[feugon oujd≠ ejnto;" bevlou" genevsqai uJpomeivnante", kai; tevlo" kata; kravto" eJalwvkesan kai; aijcmavlwtoi ajphvgonto uJpo; tw'n tevw" katagelwmevnwn, e[rgw/ maqovnte" wJ" oujk ejcrh'n ajpo; th'" prwvth" ajkoh'" katafronei'n xevnwn stratopevdwn.

Gli Indi e i loro elefanti ripiegarono subito fuggendo in disordine senza aver nemmeno il coraggio di restare sotto tiro e alla fine, catturati a viva forza, furono condotti via prigionieri da quelli che prima avevano deriso; e appresero così dai

331 Luciano è consapevole di ciò, ma solo in un’opera chiede al suo pubblico di essere vigile a tutto

quello che andrà raccontando, e paradossalmente ciò avviene nel Sogno, una dimensione di per sé incredibile: Luc. Somn. 5 pavnu filhkovwn ajkroatw'n deovmena. Segal 1997, afferma che i Greci sono un popolo di spettatori, curiosi per natura, che hanno bisogno di confrontarsi con l’Altro per specchiare se stessi. Nel suo studio Segal approfondisce la questione della fama come una questione di visibilità. Essere visibili significa essere famosi, ed essere famosi significa non cadere nell’oblio. Poiché il soggetto conoscente è strutturato come un osservatore ciò che è ignoto è anche invisibile. L’occhio diventa quindi lo strumento attraverso cui si vede e si conosce, ma anche lo strumento che rende visibili.

fatti che non si sarebbe dovuto giudicare indegno di considerazione un esercito straniero alla prima notizia udita.

Ancora una volta Luciano si oppone all’apparenza delle cose, e questa è l’occasione perfetta per paragonare la credulità e il disprezzo degli Indiani nei confronti di Dioniso e il suo esercito alle reazioni che il pubblico ha nei confronti della sua opera. L’autore mettendosi nei panni dello spettatore, inserisce una formula divenuta proverbiale per indicare che una cosa era estranea all’argomento di discussione332. Egli utilizza la formula per giustificare quanto dirà in seguito.

Luc. Bacch. 5 ≠Alla; tiv pro;" to;n Diovnuson oJ Diovnuso" ou|to"É ei[poi ti" a[n. o{ti moi dokou'si<kai; pro;" Carivtwn mhv me korubantia'n h] televw" mequvein uJpolavbhte, eij tajma; eijkavzw toi'" qeoi'"<o{moiovn ti pavscein oiJ polloi; pro;" tou;" kainou;" tw'n lovgwn toi'" ≠Indoi'" ejkeivnoi", oi|on kai; pro;" tou;" ejmouv"-.

«Ma che ha da fare codesto Dioniso con Dioniso?» Potrebbe dire qualcuno. Questo, che a me sembra – e, per le Cariti, non pensate che io sia fuori di me o completamente ubriaco, se paragono i fatti miei a quelli degli dei – che la massa del pubblico reagisca alle nuove forme della prosa, e così anche alle mie nello stesso modo di quegli Indi.

Il pubblico di Luciano si è fatta un’opinione falsata della realtà – proprio come gli Indiani del Dioniso – alcuni, infatti, lo deridono perché considerano la sua produzione ridicola e di basso intrattenimento, altri invece, decifrato l’enigma333, e cioè che l’ironia lucianea (geloion) non è altro che una patina creata ad arte dall’autore, si rifiutano di pronunciarsi a suo favore perché la novità e la stranezza (tw`ó paradovxwó) dell’ibrido li spaventa.

Luc. Bacch. 5 oijovmenoi ga;r saturika; kai; geloi'av tina kai; komidh'/ kwmika; par≠ hJmw'n ajkouvsesqai<toiau'ta ga;r pepisteuvkasin, oujk oi\d≠ o{ ti dovxan aujtoi'" uJpe;r ejmou' <oiJ me;n oujde; th;n ajrch;n ajfiknou'ntai, wJ" oujde;n devon parevcein ta; w\ta kwvmoi" gunaikeivoi" kai; skirthvmasi saturikoi'" katabavnta" ajpo; tw'n ejlefavntwn, oiJ de; wJ" ejpi; toiou'tov ti h{konte" ajnti; tou' kittou' sivdhron euJrovnte" oujd≠ ou{tw" ejpainei'n tolmw'si tw'/ paradovxw/ tou' pravgmato" teqorubhmevnoi.

Immaginando, infatti, di udire da me cose del tipo satiresco, un certo che di ridicolo e un po’ di vera e propria commedia – si sono persuasi di questo non so quale opinione essendosi fatta di me –, alcuni non vengono per niente, nella

332 «Oujde;n pro;" to;n Diovnuson» era un’esclamazione di protesta che secondo la tradizione

veniva utilizzata dai devoti di Dioniso, quando durante le prime esibizioni tragiche, venivano presentati miti non conformi alla tradizione del dio o comunque delle alternative non previste. Luciano utilizza l’espressione anche in Hermot. 55 oujde;n ga;r pro;" to;n Diovnuson w\ptai levgwn.

333 Luciano utilizza una metafora bacchica per indicare lo scioglimento dell’enigma da parte del

presunzione che non si debba affatto scendere dagli elefanti per prestare ascolto a baldorie di femmine e a saltelli di Satiri, altri, che erano venuti con l’idea di trovare qualcosa di simile, scoperto il ferro al posto dell’edera, neppure in questo caso ardiscono approvare, perché sono frastornati dalla novità della cosa.

Già abbiamo visto come l’opera lucianea sia formata da un ipotesto e da un ipertesto, due registri, due messaggi. Pertanto l’ascoltatore deve stare attento, deve saper distinguere sempre il vero messaggio sottostante il testo. E Luciano nemmeno in quest’opera rinuncia ad inserire un ulteriore messaggio.

La parte finale del testo della prolalia infatti (Bacch. 6-8) farà un breve

excursus di tipo quasi etnografico, «non estraneo a Dioniso» e alla sua narrazione

(oujk ajprosdiovnuson oujd≠ aujtov, oujd≠ w|n poiou`men ajllovtrion) dato che si tratta di una particolarità che riguarda il popolo degli Indiani (≠Egw; dev,

ejpeidhvper e[ti ejn ≠Indoi'" ejsmevn, ejqevlw kai; a[llo uJmi'n dihghvsasqai). Infatti

presso gli Indiani Maclei, vi è un bosco cintato e proprio qui sono presenti tre fonti di acqua pura e trasparente, ognuna delle quali è dedicata ad una figura diversa: una dei Satiri, una di Pan e la terza di Sileno (para; touvtoi" a[lso"

ejsti;n ejn perifravktw […] ejntau'qa phgaiv eijsi trei'" kallivstou kai; dieidestavtou u{dato", hJ me;n Satuvrwn, hJ de; Panov", hJ de; Silhnou'). Luciano

sembra essere a conoscenza però anche di un rito tradizionale che gli abitanti di questo luogo praticano regolarmente ogni anno. Gli Indiani infatti durante la festività del dio, sono soliti accedere al bosco e dissetarsi a quelle fonti. La particolarità di queste fonti è che a ciascuna si devono abbeverare distinti gruppi di persone in base all’età: alla fonte dei Satiri si possono abbeverare i giovani, a quella di Pan gli uomini e a quella di Sileno invece le persone anziane. E Luciano fa rientrare se stesso in quest’ultima categoria (th'" de; tou' Silhnou' oiJ kat≠

ejmev)334

.

Luc. Bacch. 6 ejntau'qa phgaiv eijsi trei'" kallivstou kai; dieidestavtou u{dato", hJ me;n Satuvrwn, hJ de; Panov", hJ de; Silhnou'. kai; eijsevrcontai eij" aujto; oiJ ≠Indoi; a{pax tou' e[tou" eJortavzonte" tw'/ qew'/, kai; pivnousi tw'n phgw'n, oujc aJpasw'n a{pante", ajlla; kaq≠ hJlikivan, ta; me;n meiravkia th'" tw'n Satuvrwn, oiJ a[ndre" de; th'" Panikh'", th'" de; tou' Silhnou' oiJ kat≠ ejmev.

334 Elemento che fa porre la composizione della prolalia attorno al 180 d.C., e da cui si deduce che

Luciano avesse ancora un rapporto piuttosto difficile con il suo pubblico, che da una parte lo ammirava, ma in larga parte ancora non comprendeva i suoi dialoghi ibridi satirici.

Qui ci sono tre fonti di acqua ottima e trasparentissima, l’una dei Satiri, l’altra di Pan, l’altra di Sileno. Gli Indi accedono al bosco una volta all’anno per celebrare la festa del dio e bevono alle fonti, non però tutti a tutte ma, secondo l’età, i ragazzi a quella dei Satiri, gli uomini a quella di Pan, a quella di Sileno quanti sono della mia età.

Il secondo messaggio della prolalia dunque è simile a quello contenuto nell’Eracle. Luciano utilizza qui, inserendo una narrazione etnografica, l’elemento della fonte, come già aveva fatto nell’Eracle con il dipinto. Infatti come egli descrive, i vecchi Indiani che si abbeverano alla fonte di Sileno, presi dall’ebbrezza bacchica restano senza voce, in un angolo, come storditi dalla potenza di quella bevanda, ma all’improvviso la situazione cambia: il vecchio riacquista una voce squillante, come fosse nel fiore della giovinezza, quello che dice è armonioso, limpido e non riesce più a fermare quel flusso di parole. Ma ecco che quando l’effetto dell’acqua finisce, questi ammutolisce e ritorna ad essere il vecchio di sempre.

Luciano dichiara esplicitamente che quello che ha fatto in quest’ultima parte del racconto non è altro che una derisione di sé, della sua figura, che invecchiata è presa da un fervore bacchico, desidera ancora parlare, nonostante la sua età, come se si fosse anch’egli abbeverato a quella fonte.

Luc. Bacch. 8 Tau'tav moi kata; to;n Mw'mon eij" ejmauto;n ajpeskwvfqw, kai; ma; to;n Div≠ oujk a]n e[ti ejpagavgoimi to; ejpimuvqion: oJra'te ga;r h[dh kaq≠ o{ ti tw'/ muvqw/ e[oika. w{ste h]n mevn ti parapaivwmen, hJ mevqh aijtiva: eij de; pinuta; dovxeie ta; legovmena, oJ Silhno;" a[ra h\n i{lew".

Questa sia, nei modi di Momo, la mia canzonatura di me stesso, alla quale non potrei certo aggiungere la morale, giacché voi vedete subito in che cosa io sono confrontabile col mito. Di conseguenza, se cadrò in fallo, la colpa è dell’ebbrezza; se invece potrà sembrare che dica cose assennate, allora mi è stato propizio Sileno.

Luciano dunque attraverso la narrazione di un ‘mito bacchico’ – nel quale descrive minuziosamente i particolari della spedizione dionisiaca, del dio, dei suoi luogotenenti, del suo esercito, appositamente per esaltarne ancora di più la loro stranezza e paradossalità – e attraverso la descrizione di tipo etnografico di una tradizione tutta particolare presso gli Indiani, affronta uno dei grandi problemi che affligge il suo tempo (e non solo), la credulità. Al contempo sfrutta il mito, la tradizione, per trasmettere un messaggio a suo favore, per autocelebrarsi, per rendersi benevolo il pubblico, ma anche per denunciare che la credulità, la

tradizione ha a tal punto reso incapaci di distinguere ciò che vero da ciò che è falso, ciò che è apparenza da ciò che è essenza, che nemmeno il suo pubblico è più in grado di apprezzare un’opera, che pur divertente, reca con sé un messaggio serio.

Non si è più in grado di esprimere un giudizio e pertanto Luciano parla della sua eloquenza, del suo desiderio di parlare e di portare avanti la sua azione satirica attraverso la tradizione, inventando un racconto etnografico sulle tre fonti degli Indiani Maclei. Branham, a ragione, afferma che «classical traditions have for us become covered with the glassy armour of familiarity, we remember them too well, we have heard them from childhood, we have read them in books, thrown out quotations from them in conversation, and now we have callouses on our soul – we no longer sense them»335. La tradizione diviene un punto fermo, qualcosa che dà sicurezza, ma che allo stesso tempo, se non analizzata grazie al buon senso, può incatenare l’uomo, portarlo a credere cose non vere, ottenebrargli così la vista e la capacità di giudizio.

Come afferma Tichiade, un altro dei personaggi alter-ego dell’autore, bisogna che ciascuno non si affidi completamente alla tradizione, alle narrazioni mitiche, ma che passi ogni cosa al vaglio del buon senso (ejmfrovnw" ejxetavzwn), anche se verrà tacciato dagli altri di essere un empio.

Luc. Philops. 3 o}" d≠ a]n ou\n tau'ta katagevlasta o[nta mh; oi[htai ajlhqh' ei\nai, ajll≠ ejmfrovnw" ejxetavzwn aujta; Koroivbou tino;" h] Margivtou nomivzh/ to; peivqesqai h] Triptovlemon ejlavsai dia; tou' ajevro" ejpi; drakovntwn uJpoptevrwn h] Pa'na h{kein ejx ≠Arkadiva" suvmmacon eij" Maraqw'na h] ≠Wreivquian uJpo; tou' Borevou aJrpasqh'nai, ajsebh;" ou|tov" ge kai; ajnovhto" aujtoi'" e[doxen ou{tw prodhvloi" kai; ajlhqevsi pravgmasin ajpistw'n: eij" tosou'ton ejpikratei' to; yeu'do".

Ebbene, chi pensi che queste storie ridicole non sono vere, ma passandole al vaglio del buon senso ritenga che sia cosa degna di un Corebo o di un Margite lasciarsi convincere che Trittolemo guidasse per il cielo il suo carro tirato da serpenti alati o che Pan fosse andato in veste di alleato dall’Arcadia a Maratona o che Oritia fosse rapita da Borea, costui è considerato da tutti quelli empio e stolto, perché non crede a cose così evidenti e vere: fino a tanto estende il suo potere la menzogna.