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Anfora in cristallo (Fig 32) PROVENIENZA: Egitto (Vian), Iraq (Alcouffe)

MATERIALE: cristallo di rocca, argento dorato, pietre preziose, perle

STATO DI CONSERVAZIONE: la montatura potrebbe essere stata aggiunta in seguito a una rottura e conseguente molatura del piede del vaso in cristallo. Restuarato prima del 1845. DATAZIONE: cristallo di rocca: Vian: X secolo, Alcouffe: fine X secolo (?); montatura: Venezia, seconda metà del XIII secolo (Alcouffe, Gaborit-Chopin, Polacco)

BIBLIOGRAFIA: Pasini 1885-86, p. 61, n. 97, Molinier 1888, p. 93 n. 84, Lamm 1929-30, I, pp. 202-3, Erdmann 1940, p. 144, Erdmann 1951, p. 6, Gallo 1967, p. 278, III, n. 5, p. 301 n. 136, p. 354 n. 113, p. 361 n. 203, p. 374 n. 19, p. 398 n. 101, Hahnloser 1971, pp. 111-12 (Erdmann, Hahnloser), Alcouffe, Gaborit-Chopin 1986, pp. 272-281, Grube 1993-94, pp. 145- 46, Polacco 2001, p. 294, fig. p. 297, Carboni 2007, pp. 340-341,70, Vian 2011, p. 294, IV.4. Altezza 49 cm, diametro 17 cm

Inv. Tesoro n. 123

Questo vaso cilindrico, di dimensioni notevoli, costituisce uno dei più grandi pezzi in cristallo di rocca conservatisi al giorno d’oggi465. È probabile che anche quest’anfora facesse parte originariamente del tesoro dei califfi fatimidi, e che sia giunta nel tesoro di

San Marco assieme al bottino della IV crociata466. Quest’oggetto è nominato già

nell’inventario del 1325 come “ferale unum [una lampada] de cristallo varnitum, cum

pede et capite argenti”, (Gallo 1967, p. 277, n. 3), in abbinata a un altro pezzo

consimile, ma in vetro e di fattura veneziana (“ferale unum vitreum fornitum, cum pede

et capite argenti”467) (Fig. 33). Anche l’inventario del 1571 cita entrambi i vasi,

descrivendo però il presente come “un vaso grande de Cristal de montagna rotto” (ivi, p. 301, n. 136). La stima del Cicognara (1816-19) colloca quest’oggetto come il più prezioso in questo materiale dopo il bricco di cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah (ivi, p. 398, n.101). Pasini ci informa che sia quest’anfora che quella in vetro furono restaurate prima del 1845468.

L’anfora in oggetto, dalla forma allungata tubolare469, presenta un bordo superiore in parte nascosto dalla montatura sottolineato da due modanature che racchiudono il bordo

                                                                                                                          465  Erdmann,  1971,  pp.  111-­‐112   466  Carboni,  2007,  pp.  340-­‐341,  n.  70   467  Gallo,  1967,  p.  277,  n.  5   468  Pasini,  1885-­‐86,  p.  92   469  Grube,  1993-­‐94,  p.  145,  n.  55  

obliquo470. Il lungo corpo del vaso presenta due fasce decorate, separate da un’ampia zona liscia centrale, quella alla base è ornata con “un motivo vegetale a rilievo formato da quindici foglie lanceolate appuntite, unite fra loro in basso da semicerchi, che richiama la tradizione pre-fatimide”471. Queste foglie sono raccordate alla base da un motivo a palmetta decorato a rilievo. La base del vaso, racchiusa nel piede della montatura, termina con una punta (Fig. 34), che conferisce all’anfora le sembianze di una lampada472. È probabile che il piede del vaso sia stato molato in seguito a una

rottura e inserito poi nella montatura473. L’alta fascia superiore misura 7,8 cm e presenta

una decorazione composta da un’affusolata iscrizione cufica, i cui caratteri si allargano

nella parte superiore formando decori di ispirazione fitomorfa474. L’iscrizione compone

un augurio per un ignoto sovrano: “Permanente potenza e piena grazia e benessere al

nostro signore”475. La datazione di questo pezzo si basa proprio sull’iscrizione, ma gli

studiosi hanno idee divergenti a riguardo. Erdmann476 ritiene che sia della fine del X

secolo e che sia di provenienza irachena. Alcouffe è dell’idea che questo pezzo non possa essere opera di cristallai fatimidi: “fra gli esemplari in cristallo di sicura attribuzione fatimita non ritroviamo né questa forma né la decorazione della parte inferiore. Inoltre, non presentano mai una superficie liscia così vasta e le loro iscrizioni sono più tozze”477. Studi più recenti478 invece suffragano l’ipotesi che questo vaso avesse in origine fatto parte del favoloso tesoro dei califfi fatimidi, disperso e in seguito giunto a Venezia tramite Bisanzio. Anche Grube ritiene che il vaso provenga dall’Egitto fatimide del tardo X secolo, apportando alla sua tesi anche un altro argomento: “la                                                                                                                          

470  Alcouffe,  1986,  p.  272  

471  Vian,   2011,   p.   294,   n.   IV.4.   “La   decorazione   comprende   una   corona   di   foglie   lanceolate   che   si   congiungono  alla  base  creando  dei  motivi  in  tre  quarti  di  cerchio  che  provengono  direttamente  dal   linguaggio  artistico  creato  dagli  abbassidi  in  Iraq  nel  IX  secolo,  rapidamente  adottato  dai  tulunidi  in   Egitto   più   tardi   nel   corso   dello   stesso   secolo   e   successivamente   dai   fatimidi   in   quello   seguente”.   Carboni,  2007,  p.  342,  n.  70.  

472  Alcouffe,  1986,  p.  272   473  Erdmann,  1971,  p.  111   474  Alcouffe,  1986,  p.  272  

475  Lamm,   Mittelalt.   Gläser,   1930,   p.   202,   n.   17,   Erdmann,   1971,   p.   111,   Alcouffe,   1986,   p.   272,   Carboni,  2007,  pp.  340-­‐341,  n.  70,  Vian,  2011,  p.  294,  n.  IV.4.  Pasini,  1885-­‐86,  p.  61,  la  traduce  come:   “Durevole   felicità   e   pieno   favore   e   salute   al   nostro   signore”,   mentre   Grube,   1993-­‐94,   pp.   145-­‐46,   riporta:  “Potere  infinito  e  copiosa  fortuna  e  salute  al  nostro  Signore”.  

476  Erdmann,  1971,  p.  112   477  Alcouffe,  1986,  p.  272  

478  Carboni,   2007,   p.   340,   n.   70:   “Se   il   motivo   a   foglie   lanceolate   sembra   rinviare   a   una   data   precedente   e   a   un’origine   probabilmente   irachena,   l’iscrizione   cufica,   vicina   allo   stile   fiorito,   ci   permette   di   attribuire   il   vaso   alla   fine   del   X   secolo   e   all’Egitto   fatimide”.   Ibid.   E’   della   stessa   idea   anche  Vian,  2011,  p.  294,  IV.4.  

particolare tecnica di ornamentazione della base del vaso sembra avere in realtà goduto di maggior fortuna di quanto non si ritenga normalmente. Essa appare in una forma

molto simile su dei vasi egiziani in vetro, databili al X-XI secolo”479. E’ possibile che

esista una tradizione continua nell’intaglio del cristallo di rocca, trasferitasi dai pezzi di dimensioni più contenute del IX secolo di epoca prefatimide (vedi i candelabri in cristallo di rocca, vedi SCHEDE 15 e 16) ad altri oggetti di forma differente, come

questo vaso, attribuiti alla tarda produzione fatimide480. “Si tratta probabilmente di una

tradizione fiorita dapprima nelle botteghe abbasidi irachene di Bassora481, e portata in

Egitto dai Tulunidi”482.

La decorazione a foglie appuntite della base del vaso richiama un rilievo molto piatto del fregio inferiore di una coppa ovale in sardonica facente parte della collezione di Luigi XIV e ora custodita al Louvre che, sebbene trattata in modo diverso, presenta la

medesima disposizione di foglie con un cerchietto alla base483. Secondo Lamm484 e

Erdmann485, sia quest’anfora in cristallo di rocca che questa coppa hanno una

decorazione che richiama gli ornamenti murali della città di Samarra, situata a nord di Baghdad e abitata dai califfi abbassidi tra l’836 e l’883486 ed è in virtù di queste rassomiglianze che ritengono il manufatto veneziano in cristallo di rocca di origine irachena.

Montatura

La raffinata montatura in argento dorato e pietre è stata aggiunta al vaso intorno alla metà del XIII secolo per fungere da reliquiario, in quanto le anse, troppo leggere, non

consentivano di usare questo oggetto come boccale487. La montatura si compone di una

cupola sovrastata da un pomo, di un piede di forma svasata, di due anse simmetriche che si dipartono dal collarino collocato nella parte superiore dove si trova l’iscrizione e che si raccordano al piede ed è cinta “a circa un terzo dell’altezza, da una fascia di                                                                                                                          

479  Grube,  1993-­‐94,  p.  146   480  Ibid.  

481  Per  la  lavorazione  e  decorazione  del  cristallo  a  Bassora,  vedi  Kahle,  1936,  Bergkristall,  Glass  und  

Glasfülsse  nach  dem  Steimbuch  von  el-­‐Beruni”,  in  ZDMG,  90,  pp.  322-­‐356  

482  Grube,  1993-­‐94,  p.  146   483  Alcouffe,  1986,  p.  272   484  Lamm,  1929-­‐30,  I,  p.  515   485  Erdmann,  1971,  p.  112   486  Alcouffe,  1986,  p.  272   487  Hahnloser,  1971,  p.  112  

filigrana traforata a serpentina schiacciata”488. Nel complesso la montatura assomiglia a quella del consimile vaso in vetro, ma in questo esemplare è più semplice, in quanto composta da semplici viticci e palline489. Nell’anfora in cristallo di rocca invece, la

montatura presenta caratteristiche tanto diverse che sia Hahnloser490 che Gaborit-

Chopin491 ritengono che possano essere opera di due mani diverse. Il coperchio, diviso

in otto lobi, è decorato con trafori simmetrici, filigranato e ornato di palline; così come la fascia sottostante presenta la medesima decorazione dai fili ritorti nettamente staccati dal fondo, a cui si aggiungono palline e rosette, nonché pietre preziose e perle. Il piede è diviso in sei riquadri e le sue filigrane sono distribuite seguendo uno schema cruciforme, ornato da palline e foglie trilobate a cui si aggiungono anche qui pietre preziose. Secondo Hahnloser, la filigrana del coperchio si rifà esplicitamente a modelli renani e mosani, nonché alla tavola di S. Michele (vedi SCHEDA 7) e, rispetto a quella

del piede, è stata composta da un orafo con una “mano più artistica”492. A suo parere,

questo maestro si sarebbe riservato la composizione delle parti più visibili, ossia il collo e il coperchio, destinando a una mano secondaria il piede e le anse; inoltre “egli lavora con uno stile più vivo, più raffinato, seguendo scrupolosamente i modelli mosani. Vero fogliame e gracili palline distinguono in suo lavoro dai piatti fiori e foglie in lamina del

maestro secondario”493. Dato il divario di qualità fra le due parti, è probabile che si tratti

di un lavoro proveniente da due botteghe diverse. La lavorazione della parte del piede è molto simile a quella della montatura della grande anfora in cristallo di rocca del tesoro di San Marco (Hahnloser 1971, n. 84), probabilmente opera dello stesso maestro del

piede del vaso in questione494. Gaborit-Chopin concorda che piede e coperchio siano di

due artisti diversi, ma non ritiene che il primo maestro superi di molto il secondo in

abilità, e riconosce che anche il piede “testimonia un notevole virtuosismo tecnico”495.

Nel complesso si può dire che tutta la montatura, omogenea anche se opera di più artisti, rappresenta una delle più alte rappresentazioni del cosiddetto opus venetum ad filum.

                                                                                                                          488  Gaborit-­‐Chopin,  1986,  p.  277   489  Ibid.     490  Hahnloser,  1971,  p.  112   491  Gaborit-­‐Chopin,  1986,  p.  277   492  Hahnloser,  1971,  p.  112   493  Ibid.   494  Gaborit-­‐Chopin,  1986,  p.  277   495  Ibid.,  p.  281  

SCHEDA 14: Reliquiario del sangue miracoloso (Fig. 35)