MATERIALE: cristallo di rocca, argento dorato, pietre preziose, perle
STATO DI CONSERVAZIONE: la montatura potrebbe essere stata aggiunta in seguito a una rottura e conseguente molatura del piede del vaso in cristallo. Restuarato prima del 1845. DATAZIONE: cristallo di rocca: Vian: X secolo, Alcouffe: fine X secolo (?); montatura: Venezia, seconda metà del XIII secolo (Alcouffe, Gaborit-Chopin, Polacco)
BIBLIOGRAFIA: Pasini 1885-86, p. 61, n. 97, Molinier 1888, p. 93 n. 84, Lamm 1929-30, I, pp. 202-3, Erdmann 1940, p. 144, Erdmann 1951, p. 6, Gallo 1967, p. 278, III, n. 5, p. 301 n. 136, p. 354 n. 113, p. 361 n. 203, p. 374 n. 19, p. 398 n. 101, Hahnloser 1971, pp. 111-12 (Erdmann, Hahnloser), Alcouffe, Gaborit-Chopin 1986, pp. 272-281, Grube 1993-94, pp. 145- 46, Polacco 2001, p. 294, fig. p. 297, Carboni 2007, pp. 340-341,70, Vian 2011, p. 294, IV.4. Altezza 49 cm, diametro 17 cm
Inv. Tesoro n. 123
Questo vaso cilindrico, di dimensioni notevoli, costituisce uno dei più grandi pezzi in cristallo di rocca conservatisi al giorno d’oggi465. È probabile che anche quest’anfora facesse parte originariamente del tesoro dei califfi fatimidi, e che sia giunta nel tesoro di
San Marco assieme al bottino della IV crociata466. Quest’oggetto è nominato già
nell’inventario del 1325 come “ferale unum [una lampada] de cristallo varnitum, cum
pede et capite argenti”, (Gallo 1967, p. 277, n. 3), in abbinata a un altro pezzo
consimile, ma in vetro e di fattura veneziana (“ferale unum vitreum fornitum, cum pede
et capite argenti”467) (Fig. 33). Anche l’inventario del 1571 cita entrambi i vasi,
descrivendo però il presente come “un vaso grande de Cristal de montagna rotto” (ivi, p. 301, n. 136). La stima del Cicognara (1816-19) colloca quest’oggetto come il più prezioso in questo materiale dopo il bricco di cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah (ivi, p. 398, n.101). Pasini ci informa che sia quest’anfora che quella in vetro furono restaurate prima del 1845468.
L’anfora in oggetto, dalla forma allungata tubolare469, presenta un bordo superiore in parte nascosto dalla montatura sottolineato da due modanature che racchiudono il bordo
465 Erdmann, 1971, pp. 111-‐112 466 Carboni, 2007, pp. 340-‐341, n. 70 467 Gallo, 1967, p. 277, n. 5 468 Pasini, 1885-‐86, p. 92 469 Grube, 1993-‐94, p. 145, n. 55
obliquo470. Il lungo corpo del vaso presenta due fasce decorate, separate da un’ampia zona liscia centrale, quella alla base è ornata con “un motivo vegetale a rilievo formato da quindici foglie lanceolate appuntite, unite fra loro in basso da semicerchi, che richiama la tradizione pre-fatimide”471. Queste foglie sono raccordate alla base da un motivo a palmetta decorato a rilievo. La base del vaso, racchiusa nel piede della montatura, termina con una punta (Fig. 34), che conferisce all’anfora le sembianze di una lampada472. È probabile che il piede del vaso sia stato molato in seguito a una
rottura e inserito poi nella montatura473. L’alta fascia superiore misura 7,8 cm e presenta
una decorazione composta da un’affusolata iscrizione cufica, i cui caratteri si allargano
nella parte superiore formando decori di ispirazione fitomorfa474. L’iscrizione compone
un augurio per un ignoto sovrano: “Permanente potenza e piena grazia e benessere al
nostro signore”475. La datazione di questo pezzo si basa proprio sull’iscrizione, ma gli
studiosi hanno idee divergenti a riguardo. Erdmann476 ritiene che sia della fine del X
secolo e che sia di provenienza irachena. Alcouffe è dell’idea che questo pezzo non possa essere opera di cristallai fatimidi: “fra gli esemplari in cristallo di sicura attribuzione fatimita non ritroviamo né questa forma né la decorazione della parte inferiore. Inoltre, non presentano mai una superficie liscia così vasta e le loro iscrizioni sono più tozze”477. Studi più recenti478 invece suffragano l’ipotesi che questo vaso avesse in origine fatto parte del favoloso tesoro dei califfi fatimidi, disperso e in seguito giunto a Venezia tramite Bisanzio. Anche Grube ritiene che il vaso provenga dall’Egitto fatimide del tardo X secolo, apportando alla sua tesi anche un altro argomento: “la
470 Alcouffe, 1986, p. 272
471 Vian, 2011, p. 294, n. IV.4. “La decorazione comprende una corona di foglie lanceolate che si congiungono alla base creando dei motivi in tre quarti di cerchio che provengono direttamente dal linguaggio artistico creato dagli abbassidi in Iraq nel IX secolo, rapidamente adottato dai tulunidi in Egitto più tardi nel corso dello stesso secolo e successivamente dai fatimidi in quello seguente”. Carboni, 2007, p. 342, n. 70.
472 Alcouffe, 1986, p. 272 473 Erdmann, 1971, p. 111 474 Alcouffe, 1986, p. 272
475 Lamm, Mittelalt. Gläser, 1930, p. 202, n. 17, Erdmann, 1971, p. 111, Alcouffe, 1986, p. 272, Carboni, 2007, pp. 340-‐341, n. 70, Vian, 2011, p. 294, n. IV.4. Pasini, 1885-‐86, p. 61, la traduce come: “Durevole felicità e pieno favore e salute al nostro signore”, mentre Grube, 1993-‐94, pp. 145-‐46, riporta: “Potere infinito e copiosa fortuna e salute al nostro Signore”.
476 Erdmann, 1971, p. 112 477 Alcouffe, 1986, p. 272
478 Carboni, 2007, p. 340, n. 70: “Se il motivo a foglie lanceolate sembra rinviare a una data precedente e a un’origine probabilmente irachena, l’iscrizione cufica, vicina allo stile fiorito, ci permette di attribuire il vaso alla fine del X secolo e all’Egitto fatimide”. Ibid. E’ della stessa idea anche Vian, 2011, p. 294, IV.4.
particolare tecnica di ornamentazione della base del vaso sembra avere in realtà goduto di maggior fortuna di quanto non si ritenga normalmente. Essa appare in una forma
molto simile su dei vasi egiziani in vetro, databili al X-XI secolo”479. E’ possibile che
esista una tradizione continua nell’intaglio del cristallo di rocca, trasferitasi dai pezzi di dimensioni più contenute del IX secolo di epoca prefatimide (vedi i candelabri in cristallo di rocca, vedi SCHEDE 15 e 16) ad altri oggetti di forma differente, come
questo vaso, attribuiti alla tarda produzione fatimide480. “Si tratta probabilmente di una
tradizione fiorita dapprima nelle botteghe abbasidi irachene di Bassora481, e portata in
Egitto dai Tulunidi”482.
La decorazione a foglie appuntite della base del vaso richiama un rilievo molto piatto del fregio inferiore di una coppa ovale in sardonica facente parte della collezione di Luigi XIV e ora custodita al Louvre che, sebbene trattata in modo diverso, presenta la
medesima disposizione di foglie con un cerchietto alla base483. Secondo Lamm484 e
Erdmann485, sia quest’anfora in cristallo di rocca che questa coppa hanno una
decorazione che richiama gli ornamenti murali della città di Samarra, situata a nord di Baghdad e abitata dai califfi abbassidi tra l’836 e l’883486 ed è in virtù di queste rassomiglianze che ritengono il manufatto veneziano in cristallo di rocca di origine irachena.
Montatura
La raffinata montatura in argento dorato e pietre è stata aggiunta al vaso intorno alla metà del XIII secolo per fungere da reliquiario, in quanto le anse, troppo leggere, non
consentivano di usare questo oggetto come boccale487. La montatura si compone di una
cupola sovrastata da un pomo, di un piede di forma svasata, di due anse simmetriche che si dipartono dal collarino collocato nella parte superiore dove si trova l’iscrizione e che si raccordano al piede ed è cinta “a circa un terzo dell’altezza, da una fascia di
479 Grube, 1993-‐94, p. 146 480 Ibid.
481 Per la lavorazione e decorazione del cristallo a Bassora, vedi Kahle, 1936, Bergkristall, Glass und
Glasfülsse nach dem Steimbuch von el-‐Beruni”, in ZDMG, 90, pp. 322-‐356
482 Grube, 1993-‐94, p. 146 483 Alcouffe, 1986, p. 272 484 Lamm, 1929-‐30, I, p. 515 485 Erdmann, 1971, p. 112 486 Alcouffe, 1986, p. 272 487 Hahnloser, 1971, p. 112
filigrana traforata a serpentina schiacciata”488. Nel complesso la montatura assomiglia a quella del consimile vaso in vetro, ma in questo esemplare è più semplice, in quanto composta da semplici viticci e palline489. Nell’anfora in cristallo di rocca invece, la
montatura presenta caratteristiche tanto diverse che sia Hahnloser490 che Gaborit-
Chopin491 ritengono che possano essere opera di due mani diverse. Il coperchio, diviso
in otto lobi, è decorato con trafori simmetrici, filigranato e ornato di palline; così come la fascia sottostante presenta la medesima decorazione dai fili ritorti nettamente staccati dal fondo, a cui si aggiungono palline e rosette, nonché pietre preziose e perle. Il piede è diviso in sei riquadri e le sue filigrane sono distribuite seguendo uno schema cruciforme, ornato da palline e foglie trilobate a cui si aggiungono anche qui pietre preziose. Secondo Hahnloser, la filigrana del coperchio si rifà esplicitamente a modelli renani e mosani, nonché alla tavola di S. Michele (vedi SCHEDA 7) e, rispetto a quella
del piede, è stata composta da un orafo con una “mano più artistica”492. A suo parere,
questo maestro si sarebbe riservato la composizione delle parti più visibili, ossia il collo e il coperchio, destinando a una mano secondaria il piede e le anse; inoltre “egli lavora con uno stile più vivo, più raffinato, seguendo scrupolosamente i modelli mosani. Vero fogliame e gracili palline distinguono in suo lavoro dai piatti fiori e foglie in lamina del
maestro secondario”493. Dato il divario di qualità fra le due parti, è probabile che si tratti
di un lavoro proveniente da due botteghe diverse. La lavorazione della parte del piede è molto simile a quella della montatura della grande anfora in cristallo di rocca del tesoro di San Marco (Hahnloser 1971, n. 84), probabilmente opera dello stesso maestro del
piede del vaso in questione494. Gaborit-Chopin concorda che piede e coperchio siano di
due artisti diversi, ma non ritiene che il primo maestro superi di molto il secondo in
abilità, e riconosce che anche il piede “testimonia un notevole virtuosismo tecnico”495.
Nel complesso si può dire che tutta la montatura, omogenea anche se opera di più artisti, rappresenta una delle più alte rappresentazioni del cosiddetto opus venetum ad filum.
488 Gaborit-‐Chopin, 1986, p. 277 489 Ibid. 490 Hahnloser, 1971, p. 112 491 Gaborit-‐Chopin, 1986, p. 277 492 Hahnloser, 1971, p. 112 493 Ibid. 494 Gaborit-‐Chopin, 1986, p. 277 495 Ibid., p. 281
SCHEDA 14: Reliquiario del sangue miracoloso (Fig. 35)