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Calice con manici dell’imperatore Romano (Fig 6) PROVENIENZA: Bisanzio

MATERIALE: Sardonica, argento dorato, smalto cloisonné d’oro, vetro

STATO DI CONSERVAZIONE: la coppa è danneggiata, si è perduta una voluta di un manico, mancano due placchette smaltate sull’orlo e tre sul piede, assieme ad alcuni cabochons e a un anello. Restaurato nel 1845 e nel 1856.

DATAZIONE: pietra: I secolo a.C., montatura: Costantinopoli, 959-963 (Frazer), 920-944 (Grabar)

BIBLIOGRAFIA: Durand 1861, p. 337; Rohault de Fleury 1883, pp. 58-59, Pasini 1885-86, pp. 58-59, Molinier 1888, p. 92 n. 70, Schlumberger 1890, p. 305, Kondakov 1892, pp. 228-29, Dalton, 1911, pp. 498, 514, Ebersolt 1923, pp. 67-68, Albizzati 1923, pp. 37-43, Braun 1932, pp. 47, 161, Grabar 1958, p. 166, Gallo 1967, p. 299 n. 79, pp. 350-351 nn. 36,53,57, p. 368 n. 34, p. 379 n. 99, Wessel 1967, p. 79, Beckwith 1970, p. 98, Hahnloser 1971 (Grabar), p. 61, Alcouffe e Frazer 1986, pp. 137-143, Polacco, 2001, p. 288.

Altezza 25 cm; lunghezza 28 cm; diametro 21 cm. Inv. Tesoro n. 70

Nel tesoro sono custoditi due calici noti come “calici dell’imperatore Romano”, commissionati presumibilmente, secondo Frazer, dall’imperatore bizantino Romano II e datati quindi 959-963. A supportare la sua ipotesi, le analogie degli smalti riscontrate nella coeva stauroteca di Limburg-an-derLahn (Figg. 7 e 8). Per Grabar invece è più probabile si tratti di Romano I Lecapeno, regnante dal 920 al 944, quindi per cinque volte più di Romano II. Due esemplari che attestano lo spessore dell’oreficeria bizantina per la raffinata lavorazione e per l’equilibrio complessivo della composizione.

Questo calice rappresenta uno dei più grandi del tesoro di San Marco. È formato da una coppa rotonda a due manici in sardonica datata tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., poggiante su un piedistallo. Sotto la coppa l’imperatore commissionò la seguente iscrizione celebrativa in smalto azzurro: ”Il Signore aiuti l’imperatore ortodosso

Romano”122, distribuita su otto placchette, di cui una mancante. Grabar la traduce come:

”Signore, abbi pietà dell’imperatore ortodosso Romano”123. La realizzazione dei due

manici geminati testimonia l’abilità del maestro artigiano nella lavorazione della pietra: essi si dipartono in due volute simmetriche costituenti un grande motivo traforato, per

ricongiungersi poi alla base della coppa con una foglia allungata stilizzata124. Lungo il

                                                                                                                          122  Frazer,  1986,  p.  141  

123  Grabar,  1971,  p.  61   124  Alcouffe,  1986,  p.  137

bordo superiore e inferiore la coppa è decorata da una sottile modanatura, mentre il

ventre, inizialmente concavo, si arrotonda nella parte inferiore. Albizzati125 potè

esaminare l’oggetto in questione prima del 1919, e sappiamo da lui che la parte inferiore è decorata da una rosa, oggi invisibile a causa della montatura. Posto che la coppa era

spezzata, Pasini riferì di averla fatta riparare dal restauratore Giovanni Spel nel 1857126.

Oggi la superficie del vaso si presenta danneggiata in più punti, e una voluta di un manico è andata perduta. Tale vaso in pietra dura era sicuramente una coppa antica per uso profano riadattata a oggetto liturgico con l’aggiunta della montatura. La pietra che costituisce il vaso antico trovò apprezzamento a Bisanzio anche dal punto di vista simbolico: se tale calice fosse stato davvero usato per la liturgia, una volta sollevato dal celebrante, la tinta a macchie rosso-brune della sardonica avrebbe dato l’illusione che

all’interno fosse contenuto il Prezioso Sangue di Gesù Cristo127.

La forma a due anse per le coppe antiche rotonde è piuttosto rara, così come l’elaborata lavorazione dei due manici. Di forma analoga ricordiamo una coppa del Dipartimento di antichità greche e romane del Louvre e una coppa custodita a Palazzo Pitti. Altre coppe paragonabili a questa hanno forme un po’ diverse: uno skyphos in cristallo di rocca facente parte sempre del tesoro di San Marco (Hahnloser 1971, cat. n. 5), due coppe in sardonica conservate una alla Bibliothèque Nationale a Parigi e l’altra alla National Gallery of Canada di Ottawa e l’esemplare forse più somigliante per l’intaglio dei manici, ossia la coppa in agata della Schatzkammer di Vienna. Le similitudini riscontrate in questo insieme di pezzi permettono di farli risalire all’arco di tempo che

va dalla fine dell’età repubblicana all’inizio dell’impero128.

Montatura

La montatura di questo calice si compone di un orlo e di un piede d’argento dorato decorati da placchette smaltate raffiguranti a coppie Cristo e la Vergine o arcangeli e santi accompagnati da iscrizioni e componenti il tema della Glorificazione della

                                                                                                                          125  Albizzati,  1923,  pp.  37-­‐43   126  Alcouffe,  1986,  p.  137   127  Polacco,  2001,  p.  288   128  Ibid.,  pp.  137-­‐139  

Vergine129. Le placchette, in smalto cloisonnè d’oro, sono incorniciate da una fila di granuli. Ne mancano due sull’orlo, che probabilmente dovevano rappresentare altri

quattro apostoli e tre sul piede, rappresentanti forse altri sei martiri130, assieme ad alcuni

cabochons mancanti e a un anello. Sotto il bordo si scorgono i restanti anelli aggettanti,

sia in questo che nell’altro calice dell’imperatore Romano: secondo la testimonianza del Pasini servivano a reggere dei cordoncini di perle o pietre preziose. Il piede su cui poggia la coppa è decorato con un bassorilievo niellato composto da un nodo su cui sono iscritte dentro a un clipeo delle palmette sasanidi, mentre nel registro inferiore altri clipei ospitano delle croci greche al loro interno. La piattaforma di sostegno vede delle pietre cabochon alternatamente tonde e quadrate e termina con le placchette smaltate. La datazione proposta per la montatura è X secolo, per lo stile raffinato della decorazione del piede, affine al rilievo poco pronunciato dell’orlo della scodella in vetro turchese (vedi Fig. 45, Hahnloser, 1971, cat. n. 117). Nonostante le analogie stilistiche degli smalti dei due calici dell’imperatore Romano, il risultato estetico finale è piuttosto diverso, dal momento che detti smalti decorano calici di forma dissimile. Le placchette smaltate di questo calice seguono la forma della coppa in pietra, e sono quindi più basse e allungate; diversamente quelle dell’altro calice di Romano, qui di seguito analizzato,

sono più affusolate, per meglio raccordarsi alla foggia slanciata della coppa.131

                                                                                                                         

129  Le  “immagini  a  mezzo  busto  rappresentano  il  Cristo,  la  Vergine,  gli  arcangeli  Michele  e  Gabriele,   gli  apostoli  (Pietro  e  Paolo,  Bartolomeo  e  Simone,  Giacomo  e  Filippo),  san  Giovanni  Battista  e  i  padri   della  Chiesa  (Giovanni  Crisostomo,  Basilio  e  Nicola,  Gregorio  Nazianzeno  e  Gregorio  il  Taumaturgo),   vescovi,   diaconi,   martiri   (Caralampio   e   Cipriano,   Giorgio   e   Demetrio,   Aussenzio   e   Eugenio,   Agatonico  e  Acacio,  Floro  e  Lauro,  Oreste  e  Cristoforo),  sant’Antonio  abate  e  il  diacono  Spiridone,  e   san  Lazzaro  il  Pittore”.  Frazer,  1986,  pp.  139-­‐141  

130  Frazer,  1986,  p.  141   131  Ibid.,  pp.  139-­‐141  

SCHEDA 4: Calice dell’imperatore Romano (Fig. 9)