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Il bricco di cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah (Fig 22) PROVENIENZA: Egitto fatimide

MATERIALE: cristallo di rocca, oro, smalto

STATO DI CONSERVAZIONE: nel complesso ben conservato, presenta il beccuccio leggermente danneggiato all’estremità; anche la base anulare del fondo è danneggiata, il che ha reso necessaria l’aggiunta della montatura (Alcouffe, 1986, p. 224). Restaurato nel 2006 da Corinna Mattiello.

DATAZIONE: cristallo di rocca X secolo; montatura XVI sec. e oltre (Spiazzi: arte veneziana, sec. XX?)

BIBLIOGRAFIA: Lanci 1845-46, II, pp. 133-134, Pasini 1885-86, p. 93, Molinier 1888, n. 107, Migeon 1907, p. 372, Schmidt 1912, p. 44, Cohn-Weiner 1923, pp. 124, 129, Lamm 1929-30, I, pp.192-193, Holzhausen 1931, p. 201, Buckley 1935, p. 66, Erdmann 1940, p. 139, Honey 1946, p. 42, Erdmann 1950-51, p. 7, Erdmann 1953, p. 191, Rice 1956, pp. 86-87, Sherlovnikov 1966, p. 111, Gallo 1967, p. 300, Erdmann 1971, pp. 112-113, Gabrieli, Scerrato 1979, p. 153, Alcouffe 1986, pp. 224-229, Grube 1993-94, p. 153-154, Polacco, 2001, p. 292, Fumo 2006, pp. 142-145, Spiazzi 2006, p. 130, Tonghini 2011, p. 294, IV.3.

Altezza 23 cm, larghezza 12,5 cm Inv. Tesoro n. 80

Si tratta di un bricco ansato in cristallo di rocca a forma di pera montato su un basso

piede anulare389. Costituisce uno dei più importanti manufatti in pietra dura del tesoro

marciano390. Il fondo è costituito da un anello molto aggettante, ma non è stato possibile

misurarne la base in quanto il pezzo non è mai stato separato dalla montatura (secondo il Lamm, 20,5 cm)391; al di sopra di questo anello il corpo del vaso raggiunge la

massima larghezza di diametro392, per poi restringersi man mano che sale verso il

beccuccio. Non sappiamo quando questo oggetto confluì nel tesoro marciano. La montatura, relativamente recente (postuma al XVI secolo), rende a volte difficile

distinguere questo vaso nelle descrizioni degli inventari393: nell’inventario del 1571 si

descrive un pezzo come “un vaso de Cristallo con manico, con tre penini et la bocca

d’esso vaso d’oro”, (Gallo, 1967, p. 300, n. 85?) che potrebbe riferirsi a questo394.                                                                                                                           389  Erdmann,  1971,  p.  112   390  Fumo,  2006,  p.  142   391  Erdmann,  1971  p.  113   392  Ibid.,  p.  112   393  Alcouffe,  1986,  p.  224  

394  In  occasione  del  restauro  effettuato  nel  2006  da  Corinna  Mattiello  si  notò  la  presenza  di  piccoli   segni  simmetrici  attorno  al  collo  del  vaso  che  hanno  lasciato  supporre  che  in  origine  vi  fosse  una   finitura  metallica,  il  che  confermerebbe  la  descrizione  dell’inventario  del  1571.    

Nell’inventario del 1733 si parla di “un’ampolla con manico d’un solo pezzo scolpita di

figure, con piede et ornamenti d’oro massiccio” (ivi, p. 354, n. 136). Il catalogo del

Cicognara del 1816-20 lo valuta più di tutti gli altri oggetti in cristallo di rocca395. In

base alle descrizioni di questi inventari, Alcouffe ritiene che la montatura che rafforza il manico del bricco si componga di una parte d’oro smaltato e risalga al XVI secolo,

mentre è del parere che il piede d’oro senza smalti sia probabilmente più tardo396.

Collo e beccuccio del bricco sono entrambi di piccole dimensioni397, e sono sottolineati

da due modanature molto marcate a spigoli vivi. Il bordo termina con un beccuccio assai sporgente, lievemente danneggiato. Anche l’ansa, più larga alla base (2,2 cm), si restringe leggermente verso l’alto (1,9 cm), dove è fissata subito sotto al bordo superiore; qui è un piccolo stambecco scolpito a tutto tondo (lunghezza cm 3,5, larghezza cm 0,85, altezza cm 2,5). Le corna dell’animale formano un tutt’uno con le

gambe accovacciate, le quali sono lavorate con un motivo a spirale398 (Fig. 23). L’ansa,

ricavata dallo stesso blocco di cristallo, è rastremata e presenta cinque fori in cui si trovano delle borchie a foggia di fiore, che in origine contenevano degli smalti colorati,

oggi perduti399. L’ansa è ornata da una lavorazione a traforo consistente in tre paia di

tralci opposti terminanti in un arabesco a foglia400.

La decorazione a rilievo del ventre, ravvivata da scanalature, è disposta simmetricamente e ospita un programma iconografico consistente in due leoni affrontati su un motivo a tralci che fa da sfondo. Le bestie sono raffigurate di profilo in posizione araldica, con il collo sagomato da un listello scanalato e il corpo coperto da fitte

punzonature401. Il loro “atteggiamento viene reso naturalisticamente, ma la decorazione

del corpo e delle zampe annulla in parte la volumetria”402. A proposito delle fiere, Erdmann dice che “riposano sulle gambe posteriori, si sostengono su quelle anteriori raddrizzate e tengono la testa leggermente piegata indietro. La bocca è aperta, il loro occhio a forma di sfera ha un incavo nel centro, l’orecchio è stranamente piccolo. […]                                                                                                                          

395  Alcouffe,  1986,  p.  224.  Durand  descrive  l’oggetto  nel  modo  seguente:  “Aiguière:  ornée  d’animaux  

sculptés   en   relief   dans   la   masse,   parmi   lesquels   j’ai   distinugé   un   lion   accroupi;   elle   est   fixé   sur   une   petite  base  dorée  et  est  garnie  d’une  anse  en  argent”.  Durand,  1861,  p.  55  

396  Alcouffe,  1986,  p.  224   397  Spiazzi,  2006,  p.  130   398  Erdmann,  1971,  p.  113   399  Fumo,  2006,  pp.  143-­‐144   400  Alcouffe,  1986,  p.  224   401  Erdmann,  1971,  p.  113   402  Spiazzi,  2006,  p.  130  

La coda passa davanti alla gamba posteriore e si arriccia sopra la schiena degli animali. Mentre la forma delle loro zampe è piuttosto naturalistica, il disegno a forma di squame sulle gambe anteriori, le mezze palmette che si staccano dalla coda sulla coscia posteriore e una simile figurazione presso l’occhio costituiscono aggiunte

ornamentali”403. (Fig. 24). Il decoro fitomorfo che si trova tra le due fiere rappresenta

un arabesco floreale404 che si diparte da un cartiglio e si sviluppa in palmette e mezze

palmette. Delle aggiunte simili si trovano anche come dettaglio nelle code dei leoni, terminanti in una sorta di foglia di palma, e nelle zampe, decorate da scaglie ravvicinate. Sulla spalla della brocca un’iscrizione cufica gira attorno al collo e recita: “La

benedizione di Dio sull’Imam al-‘Aziz-billah”405. Tale cartiglio, decifrato da

Longpérier, consente di datare con precisione il pezzo: il califfo fatimita al-‘Aziz- Billah, a cui è dedicato, regnò in Egitto dal 975 al 996406. Inoltre, ci permette di

collocare il vaso ad un contesto di corte: probabilmente il vaso faceva parte del ricco corredo del califfo, e l’iconografia qui presente costituita dai leoni e dallo stambecco

voleva forse alludere alla caccia, attività che l’imam praticava con passione407.

L’oggetto si ritiene con certezza eseguito da intagliatori fatimidi del Cairo, dove all’epoca si lavorava il cristallo di rocca408.

Esistono in totale sei brocche di questo tipo: due si trovano nel tesoro marciano (SCHEDE 10 e 11), una è conservata al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti (Fig. 25), una si trova al Victoria and Albert Museum di Londra (Fig. 26), una è custodita al Louvre (Fig. 27) e l’ultima appartiene al tesoro del duomo di Fermo (Fig. 28). Questi vasi in cristallo di rocca condividono tutti la medesima forma a pera e la stessa distribuzione dell’iconografia: gli intagli presentano sempre due animali che si fronteggiano tra una decorazione floreale. Ad eccezione del vaso fiorentino, più piccolo, l’altezza di questi pezzi è compresa fra i 18 e i 21 cm, e avevano tutti in origine un’ansa

                                                                                                                          403  Erdmann,  1971,  p.  113  

404  Grube,  1993-­‐94,  p.  153  

405  Erdmann,   1971,   p.   113   e   Alcouffe,   1986,   p.   224.   Spiazzi   e   Grube   la   riportano   come:   “La   benedizione  di  Allah  sull’Imam  al-­‐‘Aziz-­‐billah”.    

406  “Un  solo  altro  esemplare  porta  il  nome  di  un  califfo,  al-­‐Zahir  (1021-­‐1036):  si  tratta  di  un  oggetto   a   forma   di   mezzaluna,   forse   parte   di   una   bardatura   per   cavallo,   oggi   nel   museo   di   Norimberga.   Tonghini,  2011,  p.  294,  n.  IV.3  

407  Fumo,   2006,   p.   144.   Al   sovrano   al-­‐‘Aziz-­‐Billah   è   stato   dedicato   il   più   vasto   testo   arabo   di   falconeria:  cfr.  Viré,  Le  Traité  de  l’art  de  volerie,  Leiden,  1967.  

sulla cui sommità stava seduto un animaletto a tutto tondo409. Risalgono tutti al X secolo, il bricco di Firenze a inizio XI secolo. Il bricco conservato al Museo degli Argenti, Palazzo Pitti, Firenze, è decorato da due uccelli affrontati, è di poco posteriore a quello del califfo e reca una iscrizione dedicata al dignitario di corte Husayn ibn Jawhar410 e quindi datato 1000-1008411. Un’altra brocchetta è conservata al Victoria and Albert Museum di Londra: l’animale posto sull’ansa è spezzato, mentre il bricco è decorato da una scena di combattimento che vede una gazzella catturata da un falco, ma in questo caso la disposizione del fogliame attorno agli animali è distribuita con leggerezza su tutta la superficie e la resa è più astratta412. Ad eccezione di questa e dell’altra brocca di Venezia, tutti riportano un’iscrizione augurale413. L’altro bricco appartiene al Louvre e in origine faceva parte del tesoro di Saint-Denis (è nota come

Aiguière du trésor de Saint-Denis414). Molinier cita solo questa brocca e quella di

Firenze come vasi consimili a quelli del califfo415. Anche in questo vaso, come in quello

di Firenze, la decorazione vegetale domina lo spazio, che rimane esiguo per gli animali,

in questo caso due volatili di piccoli taglia416. L’ultimo dei sei vasi presenta anch’esso

due volatili intagliati tra un elaborato motivo floreale ed è custodito nel tesoro del duomo di Fermo. L’iscrizione augurale posta sulla spalla del vaso ha consentito di datarlo al tardo X secolo417.

Fra tutti questi pezzi, il bricco del califfo è l’esemplare più antico e il meglio

conservato418: l’ampolla degli arieti e il bricco di Fermo hanno completamente perduto

l’ansa, e in nessuno degli altri si conserva l’animaletto posto sulla sommità419.

                                                                                                                          409  Grube,  1993-­‐94,  p.  151  

410  Questa   iscrizione   era   inizialmente   ritenuta   una   formula   di   benedizione,   ma   Rice   fornì   una   interpretazione  più  acuta  traducendola  come  “per  il  Comandante  dei  Comandanti  in  persona”,  Rice   identifica   tale   comandante,   in   base   ai   dati   storiografici,   con   Husayn   ibn   Jawhar,   un   personaggio   illustre  della  corte  fatimide.  Grube,  1993-­‐94,  p.  155  

411  Spiazzi,  2006,  p.  130   412  Grube,  1993-­‐93,  p.  151   413  Alcouffe,  1986,  p.  224  

414  S.v.  Sophie  Makariou,  Les  arts  de  l’Islam  au  Musée  du  Louvre,  Hazan,  Paris,  2012,  pp.  127-­‐128   415  A   proposito   del   bricco   di   Saint   Denis   dice:   “Sa   forme   est   sensiblement   la   même,   mais   l’anse   a  

perdu  le  bouquetin  qui  la  surmontait  et  que  nous  retrouvons  intact  dans  le  vase  d’El-­‐Aziz_billah;  il  en   reste   toutefois   des   traces.   Sur   la   panse   sont   sculptés   des   perroquets   et,   autor   du   col,   on   lit   une   inscription  que  Longpérier  a  traduite:  Bénédiction  et  (bonheur)  à  son  possesseur.”

416  Makariou,  2012,  p.  128   417  Grube,  1993-­‐94,  pp.  148-­‐149  

418  Erdmann,  1971,  p.  113,  Alcouffe,  1986,  p.  224,  Spiazzi,  2006,  p.  130   419  Alcouffe,  1986,  p.  224  

Circa lo sviluppo della decorazione di questi vasi, gli studiosi hanno idee diverse: Rice420 ritiene che l’ornamentazione ad arabesco si evolva da semplice a via via più

complessa e articolata; mentre Grube421 è del parere che si sviluppi nel modo inverso422.

Per quanto concerne la forma, secondo Alcouffe essa “tradisce forse un’influenza persiana: il beccuccio allungato appare già nell’oreficeria sasanide, e in genere la loro sagoma sembra riscontrabile nell’arte vetraria persiana del IX-X secolo; ma esistono

anche reminescenze classiche423”: al Louvre si conserva una brocca in argento datata IV

secolo, la cui ansa è decorata da uno stambecco. Anche la decorazione manifesta influenze persiane, in modo particolare nella resa astratta dei motivi fitomorfi, in

contrasto con il realismo con cui sono reso gli animali424. La scelta dell’iconografia di

leoni e stambecchi ricorre anche in altri cristalli di rocca fatimidi: si veda ad esempio la bottiglia in cristallo di rocca conservata a Firenze nel tesoro di San Lorenzo, il cui collo è decorato da due leoni425, o il ventre di una brocca conservata all’Ermitage (Lamm,

1929-30, I, pp. 94-94). Gli stambecchi si vedono invece rappresentati in un bassorilievo del cofanetto per reliquie in cristallo di rocca custodito al Musée de Cluny a Parigi, o nel piede del calice appartenente alla collezione di Luigi XIV, ora al Louvre, il quale “è costituito da un frammento di fiaschetta fatimita ornato da un fregio con otto

stambecchi”426. Anche Erdmann è d’accordo sul fatto che questi vasi richiamino quelli

persiani-sassanidi: “per quanto riguarda la loro forma, essi non hanno precursori fra i precedenti lavori egiziani in cristallo. Il loro tipo compare senza gradi preparatori, già

pienamente sviluppato”427. Gli studiosi ritengono che dei vasi in vetro ritrovati in Persia

(vedi il bricco di vetro della collezione Buckley ora al Victoria and Albert Museum di

Londra), per forma e decorazione mostrino spiccate analogie con forme sassanidi428.

Vasi come questo dovettero giungere in Egitto all’inizio della dinastia fatimide e                                                                                                                          

420  Rice,  A  datable  Islamic  rock  crystals,  in  OA,  NS,  II,  1956,  pp.  85-­‐93   421  Grube,  1993-­‐94,  pp-­‐  151-­‐153  

422  Per  questo  data  l’ampolla  degli  arieti  (vedi  SCHEDA  11)  al  X  secolo,  non  al  tardo  X  secolo  come   gli  altri  studiosi.  Ibid.,  p.  151  

423  Alcouffe,  1986,  p.  224   424  Ibid.,  p.  229  

425  Grube,  1993-­‐94,  pp.  146-­‐147.  Sulla  disposizione  di  queste  due  fiere  Grube  dice:  “La  decorazione   di  questo  recipiente  è  per  molti  aspetti  insolita:  solo  un  lato  del  collo  è  decorato,  e  rappresenta  due   leoni  uno  l’uno  di  fronte  all’altro,  ma  con  la  testa  girata  in  modo  da  dare  l’impressione  di  essere  in   posizione  frontale”.  Ibid.  Il  corpo  è  invece  decorato  da  medaglioni  che  racchiudono  al  loro  interno   degli  uccelli.  Vedi  Heikamp,  1974,  n.  22,  fig.  44.    

426  Alcouffe,  1986,  p.  229  

427  Erdmann,  Rock  Crystals,  1951,  passim.     428  Erdmann,  1971,  p.  114  

cominciarono subito ad essere imitati da intagliatori del cristallo già esperti in materia. “Così, dalla collaborazione fra la tradizione persiana, cioè sassanide, e la maestria egiziana della lavorazione del cristallo di rocca, nacque quel gruppo di vasi che vanno associati con il bricco di ‘Aziz del Tesoro di San Marco, che rappresenta il punto culminante dell’arte fatimita dell’intaglio della pietra”429. Questo tipo di vasi, con l’animale posto a tutto tondo alla sommità dell’ansa, per la forma a pera e per il tipo di decorazione composto da due animali affrontati tra un complesso motivo vegetale, si rifà certamente al vasellame in argento dorato trovato nella Persia sasanide e nell’arte islamica delle origini430.

Il bricco in cristallo di rocca del califfo al-‘Aziz-Billah, per la purezza del cristallo e per

la precisione dell’intaglio rappresenta uno dei più raffinati esempi di glittica fatimide431.

                                                                                                                         

429  Erdmann,  Bergkristallkannen,  1953,  pp.  198  e  ss.   430  Grube,  1993-­‐94,  pp.  151    

SCHEDA 12: Ampolla degli arieti (Fig. 29)