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3.1. Le opere islamiche del tesoro marciano

Nel tesoro di San Marco sono custoditi in totale ventuno oggetti islamici. A questo nucleo appartengono nove lavori in cristallo di rocca e quattro vetri, che costituiscono il gruppo più antico appartenente ai secoli IX-XI, una pisside, un cofanetto d’argento e un pugnale, risalenti ai secoli XII-XIV, oltre a cinque tappeti, che formano un gruppo unico risalente alla prima metà del secolo XVII. Non è ancora chiara la via per la quale questi oggetti arrivarono al tesoro di San Marco, probabilmente giunsero a Venezia come dono, come acquisto o come bottino; comunque nessuno di essi fu lavorato

direttamente per la chiesa di San Marco281. I bottini di guerra rappresentano la soluzione

più convincente per giustificare la presenza di questi oggetti nei tesori delle cattedrali,

in cui venivano adoperati come reliquiari o fungevano da elementi per la liturgia282. Se

ne deduce che questi oggetti erano tenuti in grande considerazione quando entravano a far parte dei tesori delle chiese occidentali per essere usati come reliquiari, calici o ampolle. “Prodotti nell’Egitto dei califfi Fatimidi fra il X e l’XI secolo per una committenza di corte, è possibile che alcuni siano giunti a Venezia come parte del bottino recuperato con il sacco di Costantinopoli del 1204, dove avrebbero potuto essere

confluiti dopo la dispersione del tesoro califfale del Cairo dalla metà del secolo XI”283.

Sappiamo inoltre che il tesoro del califfo fatimide al-Mustansir (1036-94) comprendeva moltissimi oggetti in cristallo di rocca, i quali vennero depredati durante il sacco del Cairo (1062)284. Da Maqrizi, circa i tesori dei califfi fatimidi, sappiamo che “fra gli oggetti trovati vi furono 17.000 capsule, ciascuna conteneva una volta un pezzo di cristallo di rocca liscio o decorato, sia di vetro artificiale o simili… E dalle camere del

tesoro si portarono fuori 36.000 gioielli di vetro o di cristallo di rocca”285. Anche i tesori

di Harun al Rashid e quelli detenuti dai califfi abbasidi di Samarra sono leggendari, e sono anch’essi andati perduti286. Fra i possessori di oggetti in cristallo di rocca, si                                                                                                                          

281  Erdmann,  1971,  p.  101   282  Mazot,  2007,  p.  156   283  Tonghini,  2011,  p.  103   284  Lamm,  1929-­‐30,  I,  pp.  511-­‐12  

285  Secondo   Kahle,   Die   Schätze   der   Fatimiden,   in   “Zeitschrift   der   Deutschen   Morgenländischen   Gesellschaft”,  1935,  pp.  346  e  355  

annoverano anche i sovrani del Sacro Romano Impero del X-XI secolo e l’ordine di Grandmont in Francia, del XIII secolo287. Più tardi questo tipo di oggetti entrò a far parte di collezioni laiche come quella del duca di Berry, il quale, stando alle descrizioni,

possedeva due brocchette molto simili a quella del califfo del tesoro marciano288.

Il viaggiatore persiano Nasir-i Khusraw, che visitò il Cairo verso la metà dell’XI secolo, ci informa che il cristallo di rocca era prodotto a Qalzum in Mar Rosso e in Maghreb,

era poi lavorato ad al-Qahira e venduto nel mercato del Cairo289. Grazie alla

conservazione nel tesoro marciano di un bricco in cristallo di rocca, appartenente al califfo fatimita al-‘Aziz-Billah (SCHEDA 11), regnante al Cairo tra il 975 e il 996, e di un’ampolla con due arieti intagliati (SCHEDA 12), sempre in cristallo di rocca, fu possibile raggruppare tutto il gruppo dei lavori analoghi in cristallo di rocca fatimidi, a cui si risalì in virtù delle caratteristiche del tutto particolari di questi pezzi290. Gli oggetti

appartenenti a questo gruppo furono probabilmente tutti lavorati in Egitto dagli artigiani del Cairo, la cui attività proseguì almeno fino al 1062, e la loro origine è confermata anche dal ritrovamento di oggetti simili in cristallo proprio in Egitto291. Sono sei in totale, fra essi l’esemplare meglio conservato è il bricco con i leoni custodito nel tesoro

marciano, e la loro datazione va dalla fine del X all’inizio dell’XI secolo292. Oltre ai già

citati bricco in cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah e all’ampolla degli arieti, al gruppo degli oggetti islamici in cristallo di rocca del tesoro di San Marco appartengono anche una grande anfora con montatura in filigrana (SCHEDA 13), il reliquiario del Sangue Miracoloso (SCHEDA 14) due candelabri (SCHEDE 15 e 16), e il piatto alto in cristallo di rocca (SCHEDA 17).

Oltre a questo gruppo di oggetti in cristallo di rocca, di grande interesse sono anche gli oggetti in vetro facenti parte di questa sezione. Essi risalgono ai primi secoli dell’Islam

e sono tutti di grande qualità293. Ad essi appartiene la scodella in pasta di vetro turchese

con lepri (SCHEDA 19), il calice verde sempre con lepri (SCHEDA 20), la navicella di                                                                                                                          

287  Alcouffe,  1986,  p.  216  

288  “Une  aiguière  de  cristal,  ouvrée  à  bestes,  à  une  ance  de  mesme”  e  une  aiguière  de  cristal,  ouvrée  à  

feuillages  et  ò  oiseaulx,  garni  d’argent  doré”  (“una  brocca  di  cristallo,  ornata  di  animali,  con  un’ansa   dello   stesso”   e   “una   brocca   di   cristallo,   ornata   di   foglie   e   uccelli,   montata   in   argento   dorato”).   Guiffrey  1894-­‐96,  pp.  209-­‐10,  n.  806;  p.  214,  n.  826.    

289  Alcouffe,  1986,  p.  215  

290  Alcouffe,  1986,  p.  215  e  Erdmann,  1965,  p.  101   291  Lamm,  1929-­‐30,  I,  pp.  207-­‐8;  II,  tav.  74  

292  Erdmann,  1965,  p.  101  

vetro rubino (SCHEDA 21) e la coppa dei leoni (SCHEDA 22). Tali oggetti in vetro simulano il colore di pietre più preziose, rispettivamente: il turchese, lo smeraldo, il

rubino e il cristallo di rocca294. L’arte della lavorazione del vetro era molto sviluppata

nei paesi islamici. La produzione di oggetti in vetro del primo periodo islamico si ispira a tecniche bizantine e sasanidi, per poi sviluppare procedimenti nuovi che rendessero la cromia più vivace e la decorazione più varia295. La prima dinastia che si occupò di

questa produzione è quella degli abbasidi, i maggiori centri si trovavano in Siria, Iraq e Egitto. Tali vetri presentavano una decorazione che poteva essere stampata, tagliata, incisa, impressa, riportata a caldo o molata296. I vetri marciani appartenenti a questa sezione sono tutti decorati con la tecnica lapidaria: il vetro cioè è inciso e tagliato in tondo come se si trattasse di una pietra. Tale tecnica costituisce uno dei punti più alti della lavorazione di vetro islamico dal IX all’XI secolo, ed era presente dall’Iran fino

all’Egitto297. Il tesoro di San Marco conserva alcuni fra i più antichi e pregiati prodotti

in vetro islamici, qui giunti probabilmente assieme al bottino della IV crociata. I prodotti in vetro erano molto richiesti nel mercato orientale, così come in Occidente: spesso si trovano indicati negli inventari dei tesori dei principi o delle chiese come

oggetti “à la façon de Damasque” o “alla damaschina”298. Gli studiosi sono ormai

concordi nell’affermare che i vetri islamici ebbero un ruolo di primo piano nello

sviluppo di un’industria vetraria locale veneziana299.

“Senza i tesori delle chiese occidentali, di San Marco anzitutto, la storia dei lavori

fatimiti in cristallo di rocca e in vetro non potrebbe essere scritta”300. Essi si

conservarono in Occidente anche grazie alla passione che si sviluppò nel primo medioevo per il cristallo di rocca: era molto apprezzata la sua purezza, e si riteneva

                                                                                                                          294  Carboni,  2007,  p.  353  

295  Blair,  Bloom,  2011,  p.  122  

296  Gabrielli,   Scerrato,   1979,   p.   477.   Sui   vetri   islamici   vedi   anche   Lamm,   Mittelateriche  Gläser  und  

Steinschnittarbeiten   aus   dem   nahen   Osten,   I-­‐II,   Berlin,   1929-­‐30,   Honey,   Glass:   A   Handbook   for   the   Study  of  Glass  Vesels  of  all  Periods  and  Country,  a  Guide  to  the  Museum  Collection  (Victoria  and  Albert   Museum),   London,   1946,   Bonfioli,   Nota  sul  vetro  islamico  in   Arte   Veneta,   XXIX,   1975,   pp.   4-­‐8,   al-­‐ Hassan,  Il  vetro  in  La  civiltà  islamica:  teoria  fisica,  metodo  sperimentale  e  conoscenza  approssimata.   Tecnologia   della   chimica   in   Storia   della   Scienza,   Treccani,   2002,   pp.   674-­‐675,  Blair,   Bloom,   Arti  

decorative  in  Arte  e  architettura,  a  c.  di  M.  Hattstein  e  P.  Delius,  Konemann  2011 297  Carboni,  2007,  p.  353  

298  Gabrielli,  Scerrato,  1979,  p.  481   299  Tonghini,  2011,  pp.  103-­‐104   300  Erdmann,  1971,  p.  101  

inoltre avesse un’azione magica301. Durante il periodo delle Crociate, i rapporti con l’Oriente si intensificarono; ma dei pezzi portati in Occidente non rimane oggi che una piccola parte. Essi vennero distrutti durante i saccheggi e dispersi con le conquiste quando cadde la dinastia fatimide alla fine del XII secolo302. A ciò contribuì anche il fatto che gli edifici di culto islamici non raccolgono tesori, per questo, paradossalmente, il numero degli oggetti in vetro e cristallo di rocca di fattura orientale conservati in Occidente è maggiore di quello dello stesso Oriente. Analoga è la situazione dei tappeti: in Oriente sono stati usati e consumati, in Occidente sono entrati a far parte di collezioni di principi o della Chiesa. La maggior parte di essi è stata esportata subito dopo la produzione. La sezione islamica del tesoro marciano annovera anche cinque tappeti di seta con fili d’oro e argento, i quali “sono stati consegnati in regalo alla Basilica di San Marco da un’ambasceria dello Scià Abbas il Grande nel 1603 e da una seconda

ambasceria venuta dalla Persia nel 1622”303.

                                                                                                                          301  Erdmann,  1971,  p.  101  

302  Grube,  1993-­‐94,  p.  133     303  Erdmann,  1971,  p.  102  

3.2. I Fatimidi e la loro produzione di arti minori

L’origine dei Fatimidi, sebbene non ancora del tutto chiarita, li vuole discendenti della figlia di Maometto, Fatima, la moglie di Ali, a sua volta cugino del Profeta304. I Fatimidi controllavano una grossa parte del califfato Abbaside, di cui non riconoscevano la legittimità. Il primo califfo fatimide, ‘Ubaydallah, si spostò dalla Siria

al Nord Africa305, dove conquistò Fustat, e fondò lì vicino la sua capitale: al-Qahira (Il

Cairo), “la Vittoriosa”, nel 973306. Il dominio fatimide si estese presto fino alla Siria e

allo Yemen; in questo periodo le arti e la cultura conobbero un florido sviluppo307. La

dinastia finì nel 1169 quando Salah-al-Din conquistò il Cairo e fondò la dinastia degli

Ayyubidi308. Durante i tre secoli di governo fatimide furono gettati i fondamenti

ideologici per un vasto rinnovamento dell’architettura: al-Qahira venne fondata come città palatina per il califfo e la sua corte309. Molti palazzi vennero distrutti, ma

rimangono i resoconti di testi antichi310, che ci descrivono abitazioni sontuosamente

arredate. “Una caratteristica peculiare degli edifici fatimidi al Cairo è la decorazione innovativa e sovrabbondante delle pareti interne ed esterne, che utilizza materiale molto

diverso, come lo stucco e la pietra”311, e arricchisce le architetture di archi a sesto acuto,

muqarnas312 e nicchie scanalate. Durante questa dinastia crebbero notevolmente le

attività artigianali: il Cairo divenne un importante atelier di produzione di oggetti artistici, sostituendo e superando Costantinopoli e Baghdad, grazie anche alla sua

posizione strategica sul Mediterraneo, crocevia di scambi commerciali e culturali313.

                                                                                                                          304  Mazot,  2007,  p.  141  

305  Grube,  1993-­‐94,  p.  133   306  Mazot,  2007,  p.  142  

307  L’unico   libro   interamente   dedicato   alle   arti   decorative   del   periodo   fatimide,   Muhammad   Zaki   Hassan,  Alkunuz  al-­‐fatimiyin  (Il  Tesoro  dei  Fatimidi),  Cairo,  1356-­‐1937,  sfortunatamente  non  è  mai   stato  tradotto  in  una  lingua  europea.  

308  Mazot,  2007,  p.  143   309  Stierlin,  1997,  p.  138  

310  Vedi  le  descrizioni  del  poeta  persiano  Nasr-­‐i-­‐Khursau,  che  visitò  il  Cairo  nel  1048  e  del  cronista   Guglielmo  di  Tiro,  inviato  in  Egitto  nel  1167.  

311  Mazot,  2007,  p.  153  

312  Hagedorn,  2011,  p.  610.  S.v.  Muqarnas:  “Suddivisione  a  più  livelli  di  un  trompo  [arco  contenente   una  nicchia,  edificato  agli  angoli  di  una  struttura  a  pianta  quadrata  per  trasformarla  in  un  ottagono.   Serve  pertanto  da  elemento  di  raccordo  tra  il  basamento  quadrato  di  una  cupola  e  la  cupola  stessa],   nella  quale  numerosi  piccoli  pennacchi  o  nicchie  formano  una  sorta  di  struttura  a  celle  di  alveare.   La   decorazione   a   muqarnas   può   presentare   una   grande   varietà   di   suddivisioni   geometriche   della   superficie  e  assumere  diverse  forme  decorative  tridimensionali.  La  volta  a  muqarnas  ha  funzione   puramente  decorativa  e  non  di  sostegno”.    

L’arte fatimide raggiunse una sintesi fra le tradizioni orientale e occidentale: immagini di personaggi, quali musicanti, cacciatori e danzatrici, che testimoniano i piaceri della vita di corte, accanto a raffigurazioni animali, quali gazzelle, leoni o lepri e vegetali fortemente astratte, si fondono a immagini tipiche del repertorio cristiano, a

testimonianza dell’importanza della comunità copta in terra fatimide314. Le arti applicate

in cui si espressero questi artigiani comprendono la lavorazione della ceramica, del vetro, dei tessuti e dell’intaglio di legno, avorio e cristallo di rocca. Una buona parte di questi oggetti si conserva oggi nel tesoro di San Marco, nel tesoro di Saint-Denis e nei tesori di molte chiese della Germania315. Della pittura fatimide in Egitto rimane ben

poco, e sopravvive principalmente sugli oggetti in ceramica decorati a lustro316. Questi

erano molto apprezzati in Occidente, e venivano usati come vasi liturgici o per decorare le facciate delle chiese. La stessa tecnica a lustro metallico317 era usata anche per gli

oggetti in vetro, di cui esisteva una produzione anche colorata. Le forme erano varie (brocche, calici, flaconi), e la decorazione variava da motivi fitomorfi e calligrafici a rilievi intagliati, incisi con stampi o strumenti abrasivi. Venivano prodotti inoltre oggetti in metallo o bronzo, mentre oro e argento erano riservati ai monili, usando soprattutto la tecnica della filigrana. Gli artigiani fatimidi eccellevano in modo particolare nella tecnica dell’intaglio, che poteva essere su legno, avorio o cristallo di rocca. Essendo l’Egitto povero di legno, questa materia prima era per la maggior parte importata, ed era destinata a produrre non solo soffitti dalle travi intagliate o porte, ma anche piccoli

oggetti quali scrigni o mimbar portatili318. I soggetti prescelti, sia per i legni che per gli

avori, spaziano da figure umane ad animali che si accompagnano ad ornamenti vegetali                                                                                                                          

314  Grube,  1993-­‐94,  p.  134   315  Ibid.,  p.  137  

316  Grube,   1993-­‐94,   p.   133.   “Uno   dei   cicli   più   importanti   della   pittura   fatimide   sopravvive   nel   periodo  normanno  in  Sicilia,  nel  soffitto  ligneo  della  Cappella  Palatina  del  Palazzo  di  Ruggero  II,  del   1140  d.C.  circa”.  Ibid.,  p.  135  

317  Hagedorn,   2011,   p.   609.   S.v.   Lustro   metallico:   “tecnica   sviluppatasi   nei   secoli   VII-­‐VIII   per   la   decorazione  su  vetro,  soprattutto  in  Iraq  ed  Egitto.  Nel  IX  secolo  fu  adottata  in  Mesopotamia  anche   per   la   ceramica.   Il   lustro   è   realizzato   con   leghe   metalliche   applicate   come   pittura  su  smaltatura  a   basse  temperature,  su  ceramiche  che  sono  già  state  cotte  in  atmosfera  ridotta.  Il  colore  viene  fissato   nel   corso   di   una   seconda   cottura   a   basse   temperature   (600-­‐900°C).   Rame,   oro   argento   e   platino   sono  le  componenti  dei  colori,  che  vengono  polverizzati,  mischiati  a  veri  additivi  e  quindi  cotti  per   tre   giorni.   Le   ceramiche   a   lustro,   che   si   caratterizzano   per   la   superficie   iridescente,   furono   realizzate  in  tutto  il  mondo  islamico,  in  varie  epoche,  anche  se  raggiunsero  il  massimo  splendore   nei  secoli  IX-­‐X  in  Mesopotamia,  nei  secoli  IX-­‐XI  in  Egitto,  nei  secoli  XII-­‐XIV  in  Iran  e  nei  secoli  XIII-­‐ XIV  in  Spagna”.      

a intreccio o calligrafici319. Gli oggetti fatimidi in avorio intagliato rimasti sono molto scarsi, ma di eccellente qualità: ”di lavorazione finissima e dalla elaborata iconografia principesca, rappresentano il massimo fra gli oggetti di lusso e, infatti, sembra siano stati largamente adoperati come elementi decorativi su mobili, scatole intarsiate e

simili”320. Di grande importanza sono anche i tessuti: il primo centro orientale per la

produzione e lavorazione dei tessili nacque proprio all’epoca dei Fatimidi. Come per il legno, anche in questo settore lavoravano esclusivamente artigiani copti, secondo un sistema amministrativo detto tiraz (in persiano, “ricamo”, termine che indica

genericamente tutti i tessuti) ed era sottoposto alla direzione diretta del califfo321. I suoi

atelier producevano vestiti e arazzi intessuti con fili d’oro o dai bordi ricamati in lana o seta, che potevano riportare il nome del califfo regnante o essere decorati da scene o motivi vegetali322.                                                                                                                           319  Mazot,  2007,  p.  155   320  Grube,  1993-­‐94,  p.  137   321  Mazot,  2007,  p.  156   322  Ibid.    

3.3. I manufatti islamici in cristallo di rocca

I lavori in cristallo di rocca costituiscono una delle massime espressioni degli artigiani fatimidi. In Europa giunsero circa duecento lavori in cristallo di rocca, i quali si

conservano per lo più nei tesori delle chiese323. La tecnica di lavorazione del cristallo di

rocca appartiene alla glittica: (dal latino scalpere, ossia l’intaglio e l’incisione delle pietre dure), la scienza che studia l’intera classe delle gemme incise324. Per quanto concerne questa tecnica, le fonti bibliografiche in merito sono scarse e in gran parte occasionali, ma segnalano che il procedimento seguito dagli incisori non ha subito grandi variazioni nel corso dei secoli325. Una delle prime applicazioni della glittica si trova in Mesopotamia, dove era impiegata per i sigilli: su di essi era applicata un’incisione a incavo, in modo che poi lasciassero l’impronta in positivo sul supporto326. Trovò largo impiego anche a Roma, in particolare per la produzione di cammei, i quali erano lavorati con un’incisione a rilievo. Rispetto all’Oriente, in Occidente rimangono scarse testimonianze circa l’impiego di questa tecnica nel Medioevo, dove era usata in area bizantina ma soprattutto musulmana327. Secondo Wentzel328 esisteva una produzione anche nell’Italia meridionale, importata dagli intagliatori fatimidi che risiedevano lì. Essa continua anche dopo la conquista normanna della Sicilia, ma con connotati differenti: “Federico II (1194/1212-1250) riesce a portare nuovamente a grande fioritura la glittica come genere artistico classicheggiante”329.

Anche in epoca carolingia si riprese l’arte della glittica, che produsse interi cicli narrativi intagliati nel cristallo di rocca, come ad es. il cosiddetto cristallo di Lotario con

le Storie di Susanna330. Nell’area bizantina le tecniche di lavoro del cristallo di rocca si

possono considerare come derivanti delle manifatture di epoca imperiale romana,                                                                                                                          

323  Tonghini,  2011,  p.  294,  IV.3  

324  Breglia,  1960,  pp.  956-­‐964.  S.v.  Glittica    

325  “Mentre   le   pietre   tenere,   quali   la   steatite,   venivano   incise   a   mano   libera,   le   altre,   una   volta   ridotte  col  taglio  alla  forma  voluta,  erano  lavorate  con  uno  strumento  apposito  e  variabile  di  forma,   mosso  da  una  ruota.  Il  bulino  poteva  essere  di  metallo  per  le  pietre  meno  dure  rinforzato  a  volte   dall’innesto  di  una  scheggia  di  diamante  (Plin.,  Nat.  hist.,  XXXVII,  60),  talora  sostituita  da  schegge  di   pietre  dure;  la  rarità  del  diamante  tuttavia,  pur  conservandosene  l’uso  per  i  particolari  più  minuti,   fece  preferire  il  sistema  della  polvere  di  smeriglio  impastata  ad  olio  che,  per  frizione,  si  applicava  su   un   bulino   spuntato   (ferrum   retusum)   e   da   questo   era   poi   mossa   sulla   superficie   da   incidere”.   Il   bulino  era  da  principio  mosso  a  mano  libera,  poi  con  l’aiuto  di  una  ruota.    Ibid.    

326  Ibid.,  p.  958  

327  Polacco,  1991,  p.  487.  S.v.  Cristallo  di  rocca     328  Wentzel,  1972,  pp.  284  e  ss.  

329  Distelberger,  2006,  p.  198   330  Polacco,  1991,  p.  488  

rifiorite durante l’età macedone, mentre i cristalli di rocca occidentali si ispirano all’arte

bizantina con influssi orientali331. Anche Venezia ebbe un ruolo importante nella

glittica, ma in periodo più tardo, nel Trecento e soprattutto nel Quattrocento332. Gli artigiani veneziani trassero ispirazione dalla semplicità e dall’eleganza degli esemplari renano-mosani: ”poiché la produzione veneziana presenta evidenti richiami di carattere tecnico-artistico ai manufatti germanici, si può dedurre che a Venezia venissero conservati non solo prodotti suntuari bizantini, ma anche di altri centri occidentali che si

qualificavano nella lavorazione del cristallo di rocca”333. L’ampia circolazione in quegli

anni di cristalli di rocca determinò influssi sulla locale produzione in area germanica.

Il cristallo di rocca334 è una varietà di quarzo purissimo (biossido di silicio), totalmente

trasparente, che trovò quindi “largo impiego nella glittica fin dall’Antichità, in particolare ad Alessandria d’Egitto e a Roma, e ancora in epoca tardoantica, specie in area bizantina”335. La tecnica di incisione di questa pietra prevedeva che i blocchi di

quarzo fossero tagliati con la sega e perforati con il trapano, in seguito si proseguiva con

l’incisione dei temi iconografici336. Si riscontrano però diversità esecutive nelle

lavorazioni di questo materiale. Fra età antica e mediobizantina ad esempio, la differenza maggiore risiede nello spessore dei manufatti: quelli risalenti all’età romano- imperiale sono più sottili, mentre quelli bizantini sono più spessi337 (cfr. il calice esagonale in cristallo di rocca, SCHEDA 18: la consistenza delle placche di cristallo di rocca inserite da artigiani bizantini nella montatura metallica del calice in confronto al piede, di fattura sasanide/abbaside). Anche la lampada a forma di pesce (SCHEDA 2), attribuita al periodo di rinascenza macedone, è caratterizzata da un certo spessore. Vanno considerate anche differenze all’interno della glittica fatimide: gli oggetti islamici più antichi presentano un intaglio poco profondo riservato alla superficie dell’oggetto, sono quindi pezzi quasi del tutto pieni, ad eccezione di un foro centrale. Viceversa, gli oggetti più tardi, quali le brocchette, “sono ricavate da un unico grande

                                                                                                                          331  Polacco,  1991,  p.  491  

332  Distelberger,  2006,  p.  199   333  Polacco,  1991,  p.  488  

334  “Cristallo   di   rocca”   è   sinonimo   di   cristallo   di   monte,   diamante   Arkansas,   diamante   messicano,   quarzo  ialino.  Stifter,  Cristallo  di  rocca,  2006,  p.  165    

335  Polacco,  1991,  p.  488   336  Mazot,  2007,  p.  155   337  Polacco,  1991,  p.  488  

blocco di cristallo di rocca scavato per crearvi vasi dalle pareti sottilissime”338 (SCHEDE 11 e 12).

In area islamica la tecnica di incisione del cristallo di rocca raggiunse i suoi massimi risultati durante la dinastia dei fatimidi, “ma era già conosciuta nel precedente periodo abbaside: al-Biruni, che scrive fra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, riporta infatti della lavorazione del cristallo di rocca a Basra, uno dei principali centri artistici del