3.1. Le opere islamiche del tesoro marciano
Nel tesoro di San Marco sono custoditi in totale ventuno oggetti islamici. A questo nucleo appartengono nove lavori in cristallo di rocca e quattro vetri, che costituiscono il gruppo più antico appartenente ai secoli IX-XI, una pisside, un cofanetto d’argento e un pugnale, risalenti ai secoli XII-XIV, oltre a cinque tappeti, che formano un gruppo unico risalente alla prima metà del secolo XVII. Non è ancora chiara la via per la quale questi oggetti arrivarono al tesoro di San Marco, probabilmente giunsero a Venezia come dono, come acquisto o come bottino; comunque nessuno di essi fu lavorato
direttamente per la chiesa di San Marco281. I bottini di guerra rappresentano la soluzione
più convincente per giustificare la presenza di questi oggetti nei tesori delle cattedrali,
in cui venivano adoperati come reliquiari o fungevano da elementi per la liturgia282. Se
ne deduce che questi oggetti erano tenuti in grande considerazione quando entravano a far parte dei tesori delle chiese occidentali per essere usati come reliquiari, calici o ampolle. “Prodotti nell’Egitto dei califfi Fatimidi fra il X e l’XI secolo per una committenza di corte, è possibile che alcuni siano giunti a Venezia come parte del bottino recuperato con il sacco di Costantinopoli del 1204, dove avrebbero potuto essere
confluiti dopo la dispersione del tesoro califfale del Cairo dalla metà del secolo XI”283.
Sappiamo inoltre che il tesoro del califfo fatimide al-Mustansir (1036-94) comprendeva moltissimi oggetti in cristallo di rocca, i quali vennero depredati durante il sacco del Cairo (1062)284. Da Maqrizi, circa i tesori dei califfi fatimidi, sappiamo che “fra gli oggetti trovati vi furono 17.000 capsule, ciascuna conteneva una volta un pezzo di cristallo di rocca liscio o decorato, sia di vetro artificiale o simili… E dalle camere del
tesoro si portarono fuori 36.000 gioielli di vetro o di cristallo di rocca”285. Anche i tesori
di Harun al Rashid e quelli detenuti dai califfi abbasidi di Samarra sono leggendari, e sono anch’essi andati perduti286. Fra i possessori di oggetti in cristallo di rocca, si
281 Erdmann, 1971, p. 101 282 Mazot, 2007, p. 156 283 Tonghini, 2011, p. 103 284 Lamm, 1929-‐30, I, pp. 511-‐12
285 Secondo Kahle, Die Schätze der Fatimiden, in “Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft”, 1935, pp. 346 e 355
annoverano anche i sovrani del Sacro Romano Impero del X-XI secolo e l’ordine di Grandmont in Francia, del XIII secolo287. Più tardi questo tipo di oggetti entrò a far parte di collezioni laiche come quella del duca di Berry, il quale, stando alle descrizioni,
possedeva due brocchette molto simili a quella del califfo del tesoro marciano288.
Il viaggiatore persiano Nasir-i Khusraw, che visitò il Cairo verso la metà dell’XI secolo, ci informa che il cristallo di rocca era prodotto a Qalzum in Mar Rosso e in Maghreb,
era poi lavorato ad al-Qahira e venduto nel mercato del Cairo289. Grazie alla
conservazione nel tesoro marciano di un bricco in cristallo di rocca, appartenente al califfo fatimita al-‘Aziz-Billah (SCHEDA 11), regnante al Cairo tra il 975 e il 996, e di un’ampolla con due arieti intagliati (SCHEDA 12), sempre in cristallo di rocca, fu possibile raggruppare tutto il gruppo dei lavori analoghi in cristallo di rocca fatimidi, a cui si risalì in virtù delle caratteristiche del tutto particolari di questi pezzi290. Gli oggetti
appartenenti a questo gruppo furono probabilmente tutti lavorati in Egitto dagli artigiani del Cairo, la cui attività proseguì almeno fino al 1062, e la loro origine è confermata anche dal ritrovamento di oggetti simili in cristallo proprio in Egitto291. Sono sei in totale, fra essi l’esemplare meglio conservato è il bricco con i leoni custodito nel tesoro
marciano, e la loro datazione va dalla fine del X all’inizio dell’XI secolo292. Oltre ai già
citati bricco in cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah e all’ampolla degli arieti, al gruppo degli oggetti islamici in cristallo di rocca del tesoro di San Marco appartengono anche una grande anfora con montatura in filigrana (SCHEDA 13), il reliquiario del Sangue Miracoloso (SCHEDA 14) due candelabri (SCHEDE 15 e 16), e il piatto alto in cristallo di rocca (SCHEDA 17).
Oltre a questo gruppo di oggetti in cristallo di rocca, di grande interesse sono anche gli oggetti in vetro facenti parte di questa sezione. Essi risalgono ai primi secoli dell’Islam
e sono tutti di grande qualità293. Ad essi appartiene la scodella in pasta di vetro turchese
con lepri (SCHEDA 19), il calice verde sempre con lepri (SCHEDA 20), la navicella di
287 Alcouffe, 1986, p. 216
288 “Une aiguière de cristal, ouvrée à bestes, à une ance de mesme” e une aiguière de cristal, ouvrée à
feuillages et ò oiseaulx, garni d’argent doré” (“una brocca di cristallo, ornata di animali, con un’ansa dello stesso” e “una brocca di cristallo, ornata di foglie e uccelli, montata in argento dorato”). Guiffrey 1894-‐96, pp. 209-‐10, n. 806; p. 214, n. 826.
289 Alcouffe, 1986, p. 215
290 Alcouffe, 1986, p. 215 e Erdmann, 1965, p. 101 291 Lamm, 1929-‐30, I, pp. 207-‐8; II, tav. 74
292 Erdmann, 1965, p. 101
vetro rubino (SCHEDA 21) e la coppa dei leoni (SCHEDA 22). Tali oggetti in vetro simulano il colore di pietre più preziose, rispettivamente: il turchese, lo smeraldo, il
rubino e il cristallo di rocca294. L’arte della lavorazione del vetro era molto sviluppata
nei paesi islamici. La produzione di oggetti in vetro del primo periodo islamico si ispira a tecniche bizantine e sasanidi, per poi sviluppare procedimenti nuovi che rendessero la cromia più vivace e la decorazione più varia295. La prima dinastia che si occupò di
questa produzione è quella degli abbasidi, i maggiori centri si trovavano in Siria, Iraq e Egitto. Tali vetri presentavano una decorazione che poteva essere stampata, tagliata, incisa, impressa, riportata a caldo o molata296. I vetri marciani appartenenti a questa sezione sono tutti decorati con la tecnica lapidaria: il vetro cioè è inciso e tagliato in tondo come se si trattasse di una pietra. Tale tecnica costituisce uno dei punti più alti della lavorazione di vetro islamico dal IX all’XI secolo, ed era presente dall’Iran fino
all’Egitto297. Il tesoro di San Marco conserva alcuni fra i più antichi e pregiati prodotti
in vetro islamici, qui giunti probabilmente assieme al bottino della IV crociata. I prodotti in vetro erano molto richiesti nel mercato orientale, così come in Occidente: spesso si trovano indicati negli inventari dei tesori dei principi o delle chiese come
oggetti “à la façon de Damasque” o “alla damaschina”298. Gli studiosi sono ormai
concordi nell’affermare che i vetri islamici ebbero un ruolo di primo piano nello
sviluppo di un’industria vetraria locale veneziana299.
“Senza i tesori delle chiese occidentali, di San Marco anzitutto, la storia dei lavori
fatimiti in cristallo di rocca e in vetro non potrebbe essere scritta”300. Essi si
conservarono in Occidente anche grazie alla passione che si sviluppò nel primo medioevo per il cristallo di rocca: era molto apprezzata la sua purezza, e si riteneva
294 Carboni, 2007, p. 353
295 Blair, Bloom, 2011, p. 122
296 Gabrielli, Scerrato, 1979, p. 477. Sui vetri islamici vedi anche Lamm, Mittelateriche Gläser und
Steinschnittarbeiten aus dem nahen Osten, I-‐II, Berlin, 1929-‐30, Honey, Glass: A Handbook for the Study of Glass Vesels of all Periods and Country, a Guide to the Museum Collection (Victoria and Albert Museum), London, 1946, Bonfioli, Nota sul vetro islamico in Arte Veneta, XXIX, 1975, pp. 4-‐8, al-‐ Hassan, Il vetro in La civiltà islamica: teoria fisica, metodo sperimentale e conoscenza approssimata. Tecnologia della chimica in Storia della Scienza, Treccani, 2002, pp. 674-‐675, Blair, Bloom, Arti
decorative in Arte e architettura, a c. di M. Hattstein e P. Delius, Konemann 2011 297 Carboni, 2007, p. 353
298 Gabrielli, Scerrato, 1979, p. 481 299 Tonghini, 2011, pp. 103-‐104 300 Erdmann, 1971, p. 101
inoltre avesse un’azione magica301. Durante il periodo delle Crociate, i rapporti con l’Oriente si intensificarono; ma dei pezzi portati in Occidente non rimane oggi che una piccola parte. Essi vennero distrutti durante i saccheggi e dispersi con le conquiste quando cadde la dinastia fatimide alla fine del XII secolo302. A ciò contribuì anche il fatto che gli edifici di culto islamici non raccolgono tesori, per questo, paradossalmente, il numero degli oggetti in vetro e cristallo di rocca di fattura orientale conservati in Occidente è maggiore di quello dello stesso Oriente. Analoga è la situazione dei tappeti: in Oriente sono stati usati e consumati, in Occidente sono entrati a far parte di collezioni di principi o della Chiesa. La maggior parte di essi è stata esportata subito dopo la produzione. La sezione islamica del tesoro marciano annovera anche cinque tappeti di seta con fili d’oro e argento, i quali “sono stati consegnati in regalo alla Basilica di San Marco da un’ambasceria dello Scià Abbas il Grande nel 1603 e da una seconda
ambasceria venuta dalla Persia nel 1622”303.
301 Erdmann, 1971, p. 101
302 Grube, 1993-‐94, p. 133 303 Erdmann, 1971, p. 102
3.2. I Fatimidi e la loro produzione di arti minori
L’origine dei Fatimidi, sebbene non ancora del tutto chiarita, li vuole discendenti della figlia di Maometto, Fatima, la moglie di Ali, a sua volta cugino del Profeta304. I Fatimidi controllavano una grossa parte del califfato Abbaside, di cui non riconoscevano la legittimità. Il primo califfo fatimide, ‘Ubaydallah, si spostò dalla Siria
al Nord Africa305, dove conquistò Fustat, e fondò lì vicino la sua capitale: al-Qahira (Il
Cairo), “la Vittoriosa”, nel 973306. Il dominio fatimide si estese presto fino alla Siria e
allo Yemen; in questo periodo le arti e la cultura conobbero un florido sviluppo307. La
dinastia finì nel 1169 quando Salah-al-Din conquistò il Cairo e fondò la dinastia degli
Ayyubidi308. Durante i tre secoli di governo fatimide furono gettati i fondamenti
ideologici per un vasto rinnovamento dell’architettura: al-Qahira venne fondata come città palatina per il califfo e la sua corte309. Molti palazzi vennero distrutti, ma
rimangono i resoconti di testi antichi310, che ci descrivono abitazioni sontuosamente
arredate. “Una caratteristica peculiare degli edifici fatimidi al Cairo è la decorazione innovativa e sovrabbondante delle pareti interne ed esterne, che utilizza materiale molto
diverso, come lo stucco e la pietra”311, e arricchisce le architetture di archi a sesto acuto,
muqarnas312 e nicchie scanalate. Durante questa dinastia crebbero notevolmente le
attività artigianali: il Cairo divenne un importante atelier di produzione di oggetti artistici, sostituendo e superando Costantinopoli e Baghdad, grazie anche alla sua
posizione strategica sul Mediterraneo, crocevia di scambi commerciali e culturali313.
304 Mazot, 2007, p. 141
305 Grube, 1993-‐94, p. 133 306 Mazot, 2007, p. 142
307 L’unico libro interamente dedicato alle arti decorative del periodo fatimide, Muhammad Zaki Hassan, Alkunuz al-‐fatimiyin (Il Tesoro dei Fatimidi), Cairo, 1356-‐1937, sfortunatamente non è mai stato tradotto in una lingua europea.
308 Mazot, 2007, p. 143 309 Stierlin, 1997, p. 138
310 Vedi le descrizioni del poeta persiano Nasr-‐i-‐Khursau, che visitò il Cairo nel 1048 e del cronista Guglielmo di Tiro, inviato in Egitto nel 1167.
311 Mazot, 2007, p. 153
312 Hagedorn, 2011, p. 610. S.v. Muqarnas: “Suddivisione a più livelli di un trompo [arco contenente una nicchia, edificato agli angoli di una struttura a pianta quadrata per trasformarla in un ottagono. Serve pertanto da elemento di raccordo tra il basamento quadrato di una cupola e la cupola stessa], nella quale numerosi piccoli pennacchi o nicchie formano una sorta di struttura a celle di alveare. La decorazione a muqarnas può presentare una grande varietà di suddivisioni geometriche della superficie e assumere diverse forme decorative tridimensionali. La volta a muqarnas ha funzione puramente decorativa e non di sostegno”.
L’arte fatimide raggiunse una sintesi fra le tradizioni orientale e occidentale: immagini di personaggi, quali musicanti, cacciatori e danzatrici, che testimoniano i piaceri della vita di corte, accanto a raffigurazioni animali, quali gazzelle, leoni o lepri e vegetali fortemente astratte, si fondono a immagini tipiche del repertorio cristiano, a
testimonianza dell’importanza della comunità copta in terra fatimide314. Le arti applicate
in cui si espressero questi artigiani comprendono la lavorazione della ceramica, del vetro, dei tessuti e dell’intaglio di legno, avorio e cristallo di rocca. Una buona parte di questi oggetti si conserva oggi nel tesoro di San Marco, nel tesoro di Saint-Denis e nei tesori di molte chiese della Germania315. Della pittura fatimide in Egitto rimane ben
poco, e sopravvive principalmente sugli oggetti in ceramica decorati a lustro316. Questi
erano molto apprezzati in Occidente, e venivano usati come vasi liturgici o per decorare le facciate delle chiese. La stessa tecnica a lustro metallico317 era usata anche per gli
oggetti in vetro, di cui esisteva una produzione anche colorata. Le forme erano varie (brocche, calici, flaconi), e la decorazione variava da motivi fitomorfi e calligrafici a rilievi intagliati, incisi con stampi o strumenti abrasivi. Venivano prodotti inoltre oggetti in metallo o bronzo, mentre oro e argento erano riservati ai monili, usando soprattutto la tecnica della filigrana. Gli artigiani fatimidi eccellevano in modo particolare nella tecnica dell’intaglio, che poteva essere su legno, avorio o cristallo di rocca. Essendo l’Egitto povero di legno, questa materia prima era per la maggior parte importata, ed era destinata a produrre non solo soffitti dalle travi intagliate o porte, ma anche piccoli
oggetti quali scrigni o mimbar portatili318. I soggetti prescelti, sia per i legni che per gli
avori, spaziano da figure umane ad animali che si accompagnano ad ornamenti vegetali
314 Grube, 1993-‐94, p. 134 315 Ibid., p. 137
316 Grube, 1993-‐94, p. 133. “Uno dei cicli più importanti della pittura fatimide sopravvive nel periodo normanno in Sicilia, nel soffitto ligneo della Cappella Palatina del Palazzo di Ruggero II, del 1140 d.C. circa”. Ibid., p. 135
317 Hagedorn, 2011, p. 609. S.v. Lustro metallico: “tecnica sviluppatasi nei secoli VII-‐VIII per la decorazione su vetro, soprattutto in Iraq ed Egitto. Nel IX secolo fu adottata in Mesopotamia anche per la ceramica. Il lustro è realizzato con leghe metalliche applicate come pittura su smaltatura a basse temperature, su ceramiche che sono già state cotte in atmosfera ridotta. Il colore viene fissato nel corso di una seconda cottura a basse temperature (600-‐900°C). Rame, oro argento e platino sono le componenti dei colori, che vengono polverizzati, mischiati a veri additivi e quindi cotti per tre giorni. Le ceramiche a lustro, che si caratterizzano per la superficie iridescente, furono realizzate in tutto il mondo islamico, in varie epoche, anche se raggiunsero il massimo splendore nei secoli IX-‐X in Mesopotamia, nei secoli IX-‐XI in Egitto, nei secoli XII-‐XIV in Iran e nei secoli XIII-‐ XIV in Spagna”.
a intreccio o calligrafici319. Gli oggetti fatimidi in avorio intagliato rimasti sono molto scarsi, ma di eccellente qualità: ”di lavorazione finissima e dalla elaborata iconografia principesca, rappresentano il massimo fra gli oggetti di lusso e, infatti, sembra siano stati largamente adoperati come elementi decorativi su mobili, scatole intarsiate e
simili”320. Di grande importanza sono anche i tessuti: il primo centro orientale per la
produzione e lavorazione dei tessili nacque proprio all’epoca dei Fatimidi. Come per il legno, anche in questo settore lavoravano esclusivamente artigiani copti, secondo un sistema amministrativo detto tiraz (in persiano, “ricamo”, termine che indica
genericamente tutti i tessuti) ed era sottoposto alla direzione diretta del califfo321. I suoi
atelier producevano vestiti e arazzi intessuti con fili d’oro o dai bordi ricamati in lana o seta, che potevano riportare il nome del califfo regnante o essere decorati da scene o motivi vegetali322. 319 Mazot, 2007, p. 155 320 Grube, 1993-‐94, p. 137 321 Mazot, 2007, p. 156 322 Ibid.
3.3. I manufatti islamici in cristallo di rocca
I lavori in cristallo di rocca costituiscono una delle massime espressioni degli artigiani fatimidi. In Europa giunsero circa duecento lavori in cristallo di rocca, i quali si
conservano per lo più nei tesori delle chiese323. La tecnica di lavorazione del cristallo di
rocca appartiene alla glittica: (dal latino scalpere, ossia l’intaglio e l’incisione delle pietre dure), la scienza che studia l’intera classe delle gemme incise324. Per quanto concerne questa tecnica, le fonti bibliografiche in merito sono scarse e in gran parte occasionali, ma segnalano che il procedimento seguito dagli incisori non ha subito grandi variazioni nel corso dei secoli325. Una delle prime applicazioni della glittica si trova in Mesopotamia, dove era impiegata per i sigilli: su di essi era applicata un’incisione a incavo, in modo che poi lasciassero l’impronta in positivo sul supporto326. Trovò largo impiego anche a Roma, in particolare per la produzione di cammei, i quali erano lavorati con un’incisione a rilievo. Rispetto all’Oriente, in Occidente rimangono scarse testimonianze circa l’impiego di questa tecnica nel Medioevo, dove era usata in area bizantina ma soprattutto musulmana327. Secondo Wentzel328 esisteva una produzione anche nell’Italia meridionale, importata dagli intagliatori fatimidi che risiedevano lì. Essa continua anche dopo la conquista normanna della Sicilia, ma con connotati differenti: “Federico II (1194/1212-1250) riesce a portare nuovamente a grande fioritura la glittica come genere artistico classicheggiante”329.
Anche in epoca carolingia si riprese l’arte della glittica, che produsse interi cicli narrativi intagliati nel cristallo di rocca, come ad es. il cosiddetto cristallo di Lotario con
le Storie di Susanna330. Nell’area bizantina le tecniche di lavoro del cristallo di rocca si
possono considerare come derivanti delle manifatture di epoca imperiale romana,
323 Tonghini, 2011, p. 294, IV.3
324 Breglia, 1960, pp. 956-‐964. S.v. Glittica
325 “Mentre le pietre tenere, quali la steatite, venivano incise a mano libera, le altre, una volta ridotte col taglio alla forma voluta, erano lavorate con uno strumento apposito e variabile di forma, mosso da una ruota. Il bulino poteva essere di metallo per le pietre meno dure rinforzato a volte dall’innesto di una scheggia di diamante (Plin., Nat. hist., XXXVII, 60), talora sostituita da schegge di pietre dure; la rarità del diamante tuttavia, pur conservandosene l’uso per i particolari più minuti, fece preferire il sistema della polvere di smeriglio impastata ad olio che, per frizione, si applicava su un bulino spuntato (ferrum retusum) e da questo era poi mossa sulla superficie da incidere”. Il bulino era da principio mosso a mano libera, poi con l’aiuto di una ruota. Ibid.
326 Ibid., p. 958
327 Polacco, 1991, p. 487. S.v. Cristallo di rocca 328 Wentzel, 1972, pp. 284 e ss.
329 Distelberger, 2006, p. 198 330 Polacco, 1991, p. 488
rifiorite durante l’età macedone, mentre i cristalli di rocca occidentali si ispirano all’arte
bizantina con influssi orientali331. Anche Venezia ebbe un ruolo importante nella
glittica, ma in periodo più tardo, nel Trecento e soprattutto nel Quattrocento332. Gli artigiani veneziani trassero ispirazione dalla semplicità e dall’eleganza degli esemplari renano-mosani: ”poiché la produzione veneziana presenta evidenti richiami di carattere tecnico-artistico ai manufatti germanici, si può dedurre che a Venezia venissero conservati non solo prodotti suntuari bizantini, ma anche di altri centri occidentali che si
qualificavano nella lavorazione del cristallo di rocca”333. L’ampia circolazione in quegli
anni di cristalli di rocca determinò influssi sulla locale produzione in area germanica.
Il cristallo di rocca334 è una varietà di quarzo purissimo (biossido di silicio), totalmente
trasparente, che trovò quindi “largo impiego nella glittica fin dall’Antichità, in particolare ad Alessandria d’Egitto e a Roma, e ancora in epoca tardoantica, specie in area bizantina”335. La tecnica di incisione di questa pietra prevedeva che i blocchi di
quarzo fossero tagliati con la sega e perforati con il trapano, in seguito si proseguiva con
l’incisione dei temi iconografici336. Si riscontrano però diversità esecutive nelle
lavorazioni di questo materiale. Fra età antica e mediobizantina ad esempio, la differenza maggiore risiede nello spessore dei manufatti: quelli risalenti all’età romano- imperiale sono più sottili, mentre quelli bizantini sono più spessi337 (cfr. il calice esagonale in cristallo di rocca, SCHEDA 18: la consistenza delle placche di cristallo di rocca inserite da artigiani bizantini nella montatura metallica del calice in confronto al piede, di fattura sasanide/abbaside). Anche la lampada a forma di pesce (SCHEDA 2), attribuita al periodo di rinascenza macedone, è caratterizzata da un certo spessore. Vanno considerate anche differenze all’interno della glittica fatimide: gli oggetti islamici più antichi presentano un intaglio poco profondo riservato alla superficie dell’oggetto, sono quindi pezzi quasi del tutto pieni, ad eccezione di un foro centrale. Viceversa, gli oggetti più tardi, quali le brocchette, “sono ricavate da un unico grande
331 Polacco, 1991, p. 491
332 Distelberger, 2006, p. 199 333 Polacco, 1991, p. 488
334 “Cristallo di rocca” è sinonimo di cristallo di monte, diamante Arkansas, diamante messicano, quarzo ialino. Stifter, Cristallo di rocca, 2006, p. 165
335 Polacco, 1991, p. 488 336 Mazot, 2007, p. 155 337 Polacco, 1991, p. 488
blocco di cristallo di rocca scavato per crearvi vasi dalle pareti sottilissime”338 (SCHEDE 11 e 12).
In area islamica la tecnica di incisione del cristallo di rocca raggiunse i suoi massimi risultati durante la dinastia dei fatimidi, “ma era già conosciuta nel precedente periodo abbaside: al-Biruni, che scrive fra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, riporta infatti della lavorazione del cristallo di rocca a Basra, uno dei principali centri artistici del