MATERIALE: argento dorato, smalto cloisonné d’oro, pietre preziose, perle (mancanti), vetro STATO DI CONSERVAZIONE: profondamente rimaneggiata. L’icona si presentava danneggiata a causa della collocazione in una nicchia della stanza del tesoro, presso la finestra. Restaurata da Lorenzo e Pietro Favro fra il 1840 e il 1850 e da Corinna Mattiello nel 2006. DATAZIONE: Fine X secolo- inizio XI
BIBLIOGRAFIA: Durand 1860, pp. 45-46, Pasini 1885-86, p. 73, Molinier 1888, pp. 45-46, Molinier 1902, pp. 49-50, Dalton 1911, p. 513, Diehl 1926, 695-696, Cat. Trésors d’art du
Moyen Age en Italie, 1952, n. 71, Grabar 1953, pp. 186-90, Felicetti-Liebenfels 1956, pp. 48,
110, Rice e Hirmer 1959, p. 323, Beckwith 1961, pp. 92-93, Muraro e Grabar 1962, pp. 65-68, Delvoye 1967, p. 294, Gallo 1967, p. 279 nn. 7-8, p. 299 n. 66, p. 379 n. 13, Wessel 1967, pp. 89-91, Beckwith 1970, p. 98, Hahnloser 1971 (Grabar), p. 25, Mallé 1971, pp. 106-8, Wessel 1971, col. 112, Venezia e Bisanzio, 1974, n. 37, Grabar 1975, p. 22, Weitzmann 1978, p. 66, Coche de la Ferté 1981, p. 308, Weitzmann 1982, pp. 15, 42, Drake Boehm 1986, pp. 149-155, Polacco 2001, p. 286, Merkel, 2006, pp. 136-141.
Altezza 44 cm, larghezza 36 cm (senza cornice: 33 x 22) Inv. Tesoro n. 46
Tavola in legno bagnato d’argento dorato e smalti, con lavorazione a sbalzo, raffigurante il busto di San Michele arcangelo al centro. È rappresentato frontalmente e porta un diadema sul capo, la dalmatica e il loros (veste imperiale), fissato con una grande pietra ovale, nella mano sinistra regge un labarum (scettro) mentre la destra si presenta con il palmo aperto. I tratti del volto, in oro sbalzato, si rifanno alla tradizione
classica, in particolare per i capelli ricci disposti in modo regolare166. Le ali dell’angelo
sono interamente smaltate, così come gli avambracci, mentre veste liturgica e polsini
(epimanikia) sono composti da una lavorazione in filigrana e impreziositi da pietre cabochon. A sottolinearne il profilo e i dettagli degli abiti, una cornice di perle. Attorno
al capo si staglia dallo sfondo in filigrana finissima un nimbo in smalto blu e rosso, con un motivo ricorrente di fiori dentro a dei rombi interrotti da altri cabochons quadrati. Dal fondo emergono inoltre due placchette smaltate con l’iscrizione identificativa del personaggio e accanto altri due tondi, in smalto cloisonnè, recano oggi Cristo a destra e San Simone a sinistra. Il tutto è racchiuso da una cornice rettangolare smaltata ornata da crocette continue. In quest’opera troviamo il più massiccio uso di smalti adoperati su
una superficie che sia stato elaborato in area bizantina167.
166 Grabar, 1971, p. 25
Sopra e sotto l’immagine centrale sono state collocate due bande rettangolari in argento lavorate con un rilievo poco accentuato che ospitano tre medaglioni in smalto ciascuna: in quella superiore compaiono San Marco e San Luca tra l’arcangelo Uriele, in quella sottostante i santi Giovanni Battista e Bartolomeo ai lati dell’arcangelo Gabriele168. Grabar suppone che le placchette degli arcangeli appartenessero forse in origine a un
altro pezzo di oreficeria169. Una cornice doppia delimita l’immagine centrale ed è
composta da un primo bordo d’argento, di origine veneziana, ornato da racemi e pietre
cabochon, e da un secondo bordo, esterno, lavorato con un motivo vegetale, sempre
interrotto da pietre cabochon di varie cromie. La cornice esterna vera e propria è in filigrana veneziana, ma i quattordici medaglioni smaltati sono bizantini, e raffigurano la Vergine, apostoli (Paolo, Giacomo, Tommaso e Filippo), evangelisti (Giovanni e Matteo) e alcuni santi guerrieri segnalati dall’iscrizione (Giorgio, Demetrio, Teodoro, Procopio, Mercurio e Eustrazio). Hahnloser porta l’attenzione sulla raffinatezza di queste filigrane, lavorate a Venezia nel Duecento. In particolare la filigrana con frutta del bordo esterno rappresenta la più elevata forma di opus venetum ad filum, ed è datata 1290170.
Pasini ci da la notizia che quest’icona venne restaurata a metà Ottocento, e forse in questa occasione sono state apportate delle modifiche alla composizione originale, come la diversa posizione dei medaglioni a smalto.
Il retro (Fig. 13), rivestito d’argento parzialmente dorato decorato da rilievi, conserva la forma originaria bizantina, e presenta al centro una croce a racemi lobati con dei medaglioni rappresentanti san Basilio all’incrocio dei bracci e altri santi nella parte
terminale delle traverse171. Una prima cornice in argento decorata da un motivo vegetale
è seguita da un’altra cornice, decorata da rilievi fitomorfi interrotti da diciotto medaglioni con busti di santi. Il tergo di quest’icona è infine racchiuso entro un alto bordo, decorato in modo analogo alle due fasce della fronte poste al di sopra e al di sotto l’immagine centrale. Si avanzò l’ipotesi che queste potrebbero essere dei lacerti
recuperati dalla decorazione del retro e applicati poi alla fronte dell’icona172. Anche il
168 Drake Bohem, 1986, p. 149 169 Grabar, 1971, p. 26 170 Hahnloser, 1971, p. 27 171 Drake Bohem, 1986, p. 149 172 Grabar, 1971, p. 26
retro della tavola ha subito dei rimaneggiamenti: stando a un disegno di data anteriore al restauro, san Basilio non si trovava al centro della croce, inoltre negli spazi tra i bracci
della croce, ora liberi, dovevano esservi altri quattro medaglioni173. Nonostante queste
modifiche, l’icona ha conservato comunque la coerenza e l’equilibrio originari: le dimensioni del ritratto dell’arcangelo centrale corrispondono esattamente a quelle della croce sul verso, così come coincide il raggio dei medaglioni frontali smaltati con quelli retrostanti lavorati a sbalzo.
La datazione fissata per questo pezzo bizantino è seconda metà del X secolo o prima
metà dell’XI 174. Grabar suggerisce delle analogie che riguardano l’impianto
compositivo generale fra il retro di quest’icona e quello della stauroteca di Limburg an- der-Lahn (cfr. Fig. 8). Più nel dettaglio, Drake Bohem propone delle somiglianze più dirette fra gli smalti della fronte di quest’icona e quelli di altri pezzi del tesoro di San Marco, come un medaglione del calice-reliquiario della testa di S. Giovanni Battista o le figure che decorano i fianchi del reliquiario della Vera Croce. Viceversa, essi si discostano invece nettamente da quelli del Calice dell’imperatore Romano, per la diversa realizzazione dei cloisons, qui più fitta. Stabilire dei raffronti con il busto dell’arcangelo è più difficile, a causa dell’esiguo numero di opere bizantine che combinano la lavorazione a sbalzo con le placchette smaltate. Il primo raffronto è con l’icona dell’arcangelo Michele stante (vedi Fig. 14, SCHEDA 14), analogamente decorata con smalti, metallo sbalzato e pietre preziose, ma è probabile che essa sia più tarda e risalga al XII secolo, stando alla maggior ricchezza degli smalti comparabili a
quelli della Pala d’Oro175. La datazione di questo pezzo è comunque discorde.
Forse quest’opera proveniva originariamente da uno dei santuari dedicati all’arcangelo Michele di Costantinopoli (ve ne erano due eretti all’interno delle mura del palazzo
imperiale), ma rimane il dubbio se essa fosse all’origine una legatura o un’icona176. Se
si trattasse di un’icona, essa costituirebbe un unicum, fra le opere di XI secolo, per l’elaborata lavorazione della faccia posteriore, non solo decorata con la croce ma anche con numerosi medaglioni sbalzati. Posto che le icone a due facce risalgono al XII-XIII secolo, questa, lavorata su entrambi i lati, richiama i piatti delle legature. Se così fosse,
173 Drake Bohem, 1986, p. 149 174 Merkel, 2006, p. 136
175 Drake Bohem, 1986, pp. 154-‐155 176 Ibid., p. 155
il manoscritto da essa contenuto sarebbe stato eccezionalmente grande. Viceversa, le esigue dimensioni dei medaglioni farebbero pensare invece ad un’icona di uso privato177.
177 Drake Bohem, 1986, p. 155
SCHEDA 8: Icona dell’arcangelo Michele stante (Fig. 14)