PROVENIENZA: Iran o Egitto (Erdmann, Gabrieli, Scerrato, Curatola) MATERIALE: vetro, argento dorato, perline, pietre preziose
STATO DI CONSERVAZIONE: coppa: conservata poco più che per metà solo in senso longitudinale (Erdmann), montatura: mancano frammenti e filigrane
DATAZIONE: coppa in vetro: IX-X secolo (Erdmann, Curatola, Gabrieli e Scerrato), montatura veneziana: XIII secolo (Hahnloser)
BIBLIOGRAFIA: Pasini 1885-86, p. 66, n. 95, Molinier 1888, p. 93, n. 82, Erdmann 1971, pp. 105-107, Gabrieli e Scerrato 1979, p. 477, fig. p. 485, Curatola 1990, p. 250, Curatola 1993-94, p. 101, n. 28.
Altezza 18 cm, larghezza 20 cm, profondità 12 cm Inv. Tesoro n. 46
Questo frammento di navicella spezzato per metà in vetro violaceo simula il colore e la
struttura della pietra preziosa del rubino589. Anche in questo caso, come per il
precedente vaso in vetro verde, nessun studioso cita la descrizione negli inventari pubblicati dal Gallo nel 1967590. Il pezzo si presenta dotato di una montatura ritenuta veneziana di XIII secolo.
Il frammento di vetro, che oggi si conserva per poco più di metà in senso longitudinale, è stato studiato attentamente da Erdmann, che ci fornisce un disegno ricostruttivo (Fig.
55). Trattasi di una scodella piatta di forma oblunga, il cui perimetro si divide in otto
lobi diseguali che lo studioso definisce “gobbe”. Secondo la sua descrizione: “le due gobbe all’estremità hanno la forma di un arco incavato, le quattro interne sono piegate
ad angolo, le due centrali assomigliano ad una spina triangolare”591. All’interno il vaso
non presenta decorazioni, l’esterno invece ospita un intaglio composto da una coppia di mezze palmette affrontate disposte sui due lobi esterni, e da due ornamenti che Curatola592 definisce “falci”, mentre Erdmann ritiene che tali decori siano più affini a una sorta di “ornamento simile ad un astragalo”593, decorato internamente da fusarole alternate a elementi di forma ellittica. I due lobi centrali di forma triangolare non sono
589 Carboni, 2007, p. 353
590 Tuttavia, il Cicognara parla di un pezzo che potrebbe consistere in questa navicella: “Tazza a navicella di vetro violaceo rotta in due pezzi senza mancanze con sua legatura d’argento a filograna; erano perle al piede e ne rimangono sole 3 danneggiate oltre modo. Questa dà luogo a tutte le odierne discussioni sui vasi Murrini”. Gallo, 1967, p. 365, n. 16.
591 Erdmann, 1971, p. 105 592 Curatola, 1993-‐94, p. 101 593 Erdmann, 1971, p. 105
decorati. Alla base della navicella, tra le due palmette, rimangono le tracce di un basso piede ovoidale. Vasi di forma ovale lobata sono piuttosto ricorrenti nella toreutica
sasanide, ma in genere sono forme con dieci o dodici lobi594. Anche Erdmann595 ha
riconosciuto in questo pezzo l’influenza della metallistica sasanide, in particolare dei
modelli iranici596. I vasi di questa forma di origine sasanide hanno da otto a dodici lobi,
Erdmann597 cita come esempi dei vasi in argento, tra cui una scodella in oro conservata
all’Ermitage (Fig. 57) e quella in argento del Museo Archeologico di Teheran, Iran (Fig. 58), entrambi giudicati prodotti sasanidi di VII secolo. Tre vasi in bronzo, senza decorazione, sono conservati nel Shōsō-in a Nara, un altro, in argento, è custodito al Museum of Fine Arts di Boston. Vasi consimili in argento si trovano anche nell’arte cinese di epoca T’ang, che sviluppa ulteriormente le forme a partire da queste copie.
Inizialmente si era supposto che fossero le forme iraniche derivanti da quelle cinesi598,
ma in seguito è provato che sono quelle cinesi a subire l’influsso dei modelli iraniani599.
Tale manufatto costituisce un unicum. Di forma similare possiamo citare un altro oggetto del tesoro di San Marco, una navicella in serpentino giudicata un lavoro bizantino di XIII secolo (Hahnloser, 1971, cat. n. 74). Questo frammento di vetro non solo è un lavoro di straordinaria qualità, è altresì utile anche al fine di stabilire il contributo iranico sulla lavorazione a intaglio applicata a vetri e cristalli di rocca: la sua forma infatti è puramente ripresa da modelli iranici, derivanti a loro volta da esempi sasanidi600. Non è ancora stato stabilito se nell’Iran sasanide fossero esistite analoghe coppe in vetro, ma l’astragalo qui riportato si ritrova sul piede ovale di simili vasi sasanidi d’argento.
Un'altra ipotesi circa la provenienza di questo pezzo, abbracciata da vari studiosi601, è
l’Egitto fatimita di X secolo: lo stile dell’intaglio composto da mezze palmette avvicina molto l’oggetto agli intagli presenti nei cristalli di rocca islamici lavorati dagli artigiani
594 Curatola, 1993-‐94, p. 101 595 Erdmann, 1971, p. 106
596 Gabrieli, Scerrato, 1979, p. 477 597 Erdmann, 1971, p. 106
598 K. Dorn, Östlicher Einfluss auf eine Gruppe iranischer Silberschalen in Ostasitische Zeitschrift, N.F. 13, 1937, pp. 82-‐91
599 Si veda: Gyllensvärd, T’ang Gold and Silver, in Bulletin of the museum of Far Eastern Antiquities, Stoccolma, n. 29, 1957, fig. 20 b.
600 Erdmann, 1971, p. 106
egiziani602. Tuttavia, il disegno delle mezze palmette è presente anche nei vetri ritrovati
a Samarra603, nonché in un bicchiere dei Musei di Berlino e in una coppa del Corning
Museum of Glass, New York (Ettinghausen e Grabar, 1987, figg. 244 e 248). Se fosse iranico, alimenterebbe la tesi che sostiene la presenza di influssi iranici sulla tecnica di intaglio fatimita del cristallo di rocca, ma al momento la sua provenienza di trova ancora sospesa tra l’Iran e l’Egitto, prodotto sotto influsso iranico, tra il IX e il X secolo.
Montatura
La montatura si costruiva attorno al prezioso vetro di rubino permettendo di ammirare i preziosi intagli e in modo da costituire una navicella per l’incenso. Si compone di un piede, di un bordo superiore e di quattro bande che seguono l’alzato a forma di coppa. Il piede è decorato da lingue ospitanti una decorazione in filigrana alla maniera mosana, ma più semplificata: le spirali metalliche sono semplicemente saldate sul fondo piatto e non convesse. Esse si disponevano originariamente attorno alle pietre, oggi si conserva una sola lingua intera, un’altra si conserva per metà, mancano inoltre le bordure di perle che in origine le incorniciavano (vedi Pasini, 1885-86, tav. XLIV, Fig. 56). Al centro del piede si trova un nodo eseguito a traforo compreso entro due file perlinate, il motivo
di ghirlande di fiori che quasi si toccano costituisce una imitazione dei lavori mosani604.
Il raffinato bordo superiore accompagna la morfologia della navicella e si compone di una parte superiore liscia e di una fascia sottostante che alterna filigrane a zaffiri, turchesi e perle. Tale fascia era originariamente compresa tra due file di perle (rimangono gli anellini su cui era presumibilmente fissata questa bordura di perle). Quattro raccordi tempestati di pietre congiungono il bordo al piede della coppa,
potrebbero aver perduto le filigrane originali605. Mancano le tracce del coperchio
ribaltabile che in genere si trovava in questo tipo di oggetti, e rimane quindi il dubbio se
602 Cfr. in particolare un cristalli di rocca del Museo Diocesano di Capua, una pedina per il gioco degli scacchi (Gabrieli e Scerrato, 1979, p. 501, fig. in alto), o le brocchette fatimite in cristallo di rocca.
603 Erdmann, 1971, p. 106
604 Hahnloser, 1971, p. 106. Lo studioso cita come esempi affini il reliquiario di S. Adalberto, scoperto a Cracovia, il quale assomiglia a un altro reliquiario in cristallo del tesoro di Oignies a Namur. Questi oggetti però, accanto alle arcate di fili metallici (care ai veneziani), mostrano un cordone di perle che separa le ghirlande.
questo oggetto fosse pertanto usato come navicella da incenso o se costituiva un ornamento di destinazione principesca.
L’orefice esecutore di questa montatura è probabilmente lo stesso che eseguì la montatura di una piccola brocca in onice del tesoro marciano (Hahnloser, 1971, cat. n. 88), ma questo lavoro è più raffinato e testimonia come l’oreficeria veneziana
sviluppasse idee proprie a partire dagli stimoli mosani606.
606 Hahnloser, 1971, p. 107