MATERIALE: cristallo di rocca
STATO DI CONSERVAZIONE: varie incrinature
DATAZIONE: tuttora incerta. Ipotesi che sia di epoca rinascimentale (Erdmann, tav. CII) BIBLIOGRAFIA: Pasini 1885-86, p. 93, Lamm 1930, p. 206, tav. 73,3, A. H. Christie, Two
Rock-Crystal Carvings of the Fatimid Period, in “Ars Islamica”, 9, 1942, pp. 166-168, fig. 1,
Erdmann 1940, p. 138, fig. 20, Ghirshman, Iran, 1954, p. 335, attribuito “either to the Iranian
workshop of the same period [Sasanian or to craftsmen influenced by them”, Gallo 1967, p.
280, VI, n. 9, p. 357, n. 12, Hahnloser 1971, p. 116 (Erdmann), tav. CII (con errore nell’identificazione del piatto, confuso con quello islamico), Alcouffe, 1986, p. 223, Grube, 1993-94, pp. 143-144, Grube 2005, Fatimid or not fatimid? That is the question: some notes on
two dishes in the treasury of San Marco in Venice, pp. 13-19
Altezza 2 cm, diametro 11,9 cm (Erdmann) Inv. Tesoro n. 106
Questo piccolo vaso piatto (patena) è montato su un basso piede anulare. Di dimensioni notevolmente minori rispetto all’altro piatto in cristallo di rocca (cfr. SCHEDA 17, Fig.
40), è montato su una base più bassa e il bordo presenta sette tacche, differisce inoltre
anche per il programma iconografico. In comune all’altro piatto in cristallo di rocca del tesoro marciano presenta invece una base anulare, l’assenza di montatura e il rilievo della parte superiore dell’orlo costituito da un motivo di mezze palmette. Alcouffe descrive molto brevemente questo vaso, senza affrontare il problema della localizzazione e della datazione618.
La decorazione a rilievo del bordo esterno di questo piatto è descritta dal Lamm619 come
un tralcio intermittente ondulato in cui delle mezze palmette addossate, dotate di volute, incrociano i gambi. Nella parte panciuta del piatto, due ovoli intagliati prendono forma dalla decorazione a doppie S, e danno luogo a due perle sia nel lato interno che nel lato esterno. Quelle interne formano un motivo che lo studioso interpreta come una
emulazione di godrons620 obliqui. Lo specchio liscio centrale è contornato da un anello
618 Alcouffe, 1984, p. 223
619 Lamm, 1930, p. 206
620 Corrispettivo francese del termine italiano baccelli o baccelletti: “Elemento decorativo
in cui all’interno di riquadri sono intagliati degli elementi geometrici romboidali, che a loro volta contengono una sorta di sferetta.
Erdmann621 fa notare che il tralcio del bordo esterno presenta una intermittenza che in
realtà è solo apparente. Puntualizza che più che altro essa consiste in più tralci fatti a S che si intersecano e che terminano ciascuno con una mezza foglia di palmetta. In realtà, non è né un motivo continuato, né una intermittenza. Il motivo a mezze palmette ricorda certamente le forme islamiche (cfr. il piatto alto in cristallo di rocca, SCHEDA 17), da cui molto probabilmente trae ispirazione. In questo caso, non ci troviamo di fronte a un lavoro islamico perché il modo in cui sono disegnati i tralci non è presente in nessun altro lavoro della stessa cultura in cristallo di rocca. Il piede anulare è ornato da un modello a tralci analogo a quello di un altro pezzo conservato nel tesoro di San Marco, si tratta di un frammento di cristallo di rocca, che pure non è islamico (SCHEDA 24). Singolare in questo piatto è il motivo che Lamm definisce come imitazione di godrons diagonali. I suoi richiami ai vasi bizantini di X e XI secolo non sono giudicati molto convincenti da Erdmann. L’origine e la datazione di questo oggetto pertanto non è ancora stata chiarita, così come non si sa da quando il piccolo piatto faccia parte del tesoro di San Marco. Il confronto immediato con la decorazione dell’altro piatto islamico però ci permette di escludere una provenienza islamica.
Anche Grube622 parla di questo oggetto, ma leggendo le sue descrizioni si notano
incongruenze e sembra confondere questo piatto, ancora di dubbia appartenenza, con
l’altro, islamico. Infatti, in una pubblicazione più recente623, dichiara che ci sono stati
degli errori nella traduzione del catalogo dall’inglese, e che infatti nel catalogo del 1993-94 si scambia questo piatto per l’altro. Rileggendo i suoi appunti presi in occasione dell’incontro con Kurt Erdmann effettuato a Venezia nel 1962, con l’oggetto
in mano, sospetta che Erdmann lo ritenga una copia moderna. Anche Scerrato624 prende
in esame l’oggetto, ma non fornisce ulteriori delucidazioni circa data e origine, dichiarando che la seguente lavorazione è ancora di incerta attribuzione.
in modo da prestarsi come raccordo ornamentale tra forme curve e rettilinee, ad esempio tra le volute e gli ovoli del capitello ionico”. Www. treccani.it/vocabolario/baccelletto
621 Erdmann, 1971, p. 116
622 Grube, 1993-‐94, pp. 143-‐144, n. 53
623 Grube, Fatimid or not fatimid? That is the question: some notes on two dishes in the treasury of San
Marco in Venice in Facts and Artefacts. Art in the Islamic World, edited by Annette Hagedorn and Avinoam Shalem, 2005
SCHEDA 24: Frammento di cristallo di rocca(Fig. 63) PROVENIENZA: incerta
MATERIALE: cristallo di rocca
STATO DI CONSERVAZIONE: leggermente eroso DATAZIONE: controversa
BIBLIOGRAFIA: Lamm 1930, p. 73, Gallo 1967, p. 357, n. 12, Hahnloser 1971, pp. 118-119, (Erdmann), Gabrieli e Scerrato 1979, p. 518, img. p. 525, Polacco, 1992, p. 488.
Altezza 4,8 cm, diametro massimo 4 cm Inv. Tesoro n. 139
Trattasi di un piccolo frammento di cristallo di rocca di forma ottagona di cui si sa
molto poco. Non compare descritto negli inventari pubblicati dal Gallo625; forse
potrebbe far parte di quei “6 pezzi di cristallo senza fornimenti” (ivi, p. 357, n. 129) nominati nell’inventario del 1801. Non è quindi dato sapere quando quest’oggetto entrò a far parte del tesoro marciano. Questo cristallo, dalla forma di tronco di cono, presenta un intaglio sfaccettato irregolare: “la parete è divisa da quattro bande verticali, di cui ciascuna porta tre rombi sovrapposti dai contorni semplici, in quattro rettangoli alti, non decorati, che in basso sono delimitati da una banda orizzontale con una losanga giacente a contorni doppi. La spalla porta otto cerchi con piccoli rialzi centrali”626. La base misura 4 cm di diametro, ma si restringe verso l’alto fino a misurare 2,8 cm. Il pezzo è forato in tutta la lunghezza.
Secondo il Lamm627 potrebbe trattarsi di un manico di un pugnale, ipotesi che non
convince molto Erdmann, il quale ritiene piuttosto che si tratti di una pedina per il gioco degli scacchi. Esistevano varie serie di pedine da gioco in cristallo di rocca, tutte islamiche, ma nessuna di queste era forata internamente. Se abbracciamo questa ipotesi, allora la cavità centrale è stata scavata in un secondo momento, cosa comunque possibile. La decorazione presente nelle 52 figure islamiche per il gioco degli scacchi differisce però notevolmente da questo pezzo, in quanto esse non presentavano né trafori, né un motivo ornamentale analogo a questo; non solo: considerando anche altre opzioni oltre a quella che si tratti di una pedina da scacchi, i motivi qui raffigurati non
625 Gallo, 1967, pp. 273-‐402
626 Erdamnn, 1971, p. 118. Non concorda con il Lamm che questi rappresentino “forme di foglie pendenti”, Lamm, 1930, p. 73
sono noti nell’arte islamica628. Per questo Erdmann considera più probabile che si tratti di un prodotto dell’arte medievale bizantina, o occidentale, eseguito sotto influsso islamico. Un’altra ipotesi da lui avanzata è che si tratti del nodo o di un piede di una croce o di un reliquiario di XIII secolo, analogo a quello della croce di Erfurt.
Polacco629 concorda con l’ipotesi che il pezzo in questione sia una figura per il gioco degli scacchi, ed esclude una provenienza islamica, pensando piuttosto che questo oggetto sia un manufatto occidentale di IX-X secolo, in quanto le volute simmetriche del fregio disposte attorno al foro centrale di questo pezzo costituiscono motivo ricorrente nelle sculture altomedievali (es. un capitello nella cripta della basilica di Aquileia), così come i rombi intagliati sulle superfici laterali del cristallo richiamano le decorazioni della plastica occidentale di X secolo, ripresi dai temi ornamentali di età giustinianea. Per questi motivi, Polacco colloca questo frammento di cristallo di rocca alla produzione occidentale altomedievale.
628 Erdmann, 1971, p. 119
3.5. Il restauro dei cristalli di rocca: il caso della brocchetta fatimita del Museo degli Argenti di Firenze
Al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti è conservata una delle brocchette in cristallo di rocca pertinenti al gruppo composto in totale da sei esemplari consimili datati tutti in
base alla brocca del califfo al-‘Aziz-Billah del tesoro di san Marco (vedi SCHEDA 11,
Figg. 22-23-24). La brocca del Museo degli Argenti (Fig. 25) è il secondo dei tre
oggetti in cristallo di rocca a portare un’iscrizione che ne permette una datazione abbastanza precisa: sotto il collo del bricco l’iscrizione dedicatoria recita: “Per il Comandante dei Comandanti in persona”. A seguito di un attento studio dell’oggetto,
Rice630 identifica questa persona con Husayn ibn Jawhar, figlio di un famoso generale
dell’esercito fatimide, che ricevette tale titolo dal califfo al-Hakim nell’anno 1000631. La
datazione della brocchetta coincide con gli anni in cui questo personaggio godette di un’alta posizione alla corte fatimide, tra il 992 e il 1011, anno in cui venne assassinato632. Il manufatto è intagliato in un unico blocco di cristallo di rocca e conserva ancora l’ansa lavorata. Al di sotto dell’iscrizione un motivo floreale ad arabeschi terminanti in palmette e mezze palmette si dispiega verticalmente tra due uccelli affrontati i quali, nonostante la postura araldica e la semplificazione del corpo, conservano tuttavia un certo naturalismo633. Alle loro spalle, sui fianchi della brocca, altri caratteri cufici completano l’iscrizione; mentre dei simmetrici arabeschi decorano il lato posteriore del bricco in prossimità dell’ansa. Il piede si presenta scheggiato lungo tutto il contorno, probabilmente a causa delle sollecitazioni esercitate per rimuoverne la montatura ivi collocata. È probabile che anche l’ansa fosse stata dotata di una montatura, simile a quella che completa l’ansa della brocca marciana, la cui rimozione avrebbe causato le scheggiature oggi visibili attorno al perimetro dei cinque fori rotondi. Alla sommità dell’ansa doveva esservi collocato un piccolo animaletto: ancora una volta il riferimento diretto è con la brocca del califfo di Venezia, essendo l’esemplare meglio conservato e l’unico in cui è ancora visibile l’animale intero qui situato. Rimangono in questo bricco le tracce delle fratture e della conseguente molatura allo scopo di
630 Rice, A databl Islamic Rock Crystal in Oriental Art, New Series, II, p. 85-‐93, figg. 1, 3-‐7, 12 631 Gabrieli, Scerrato, 1979, p. 499
632 Grube, 1993-‐94, p. 155 633 Cappelli, 2008, p. 146
simularle634. Lungo l’orlo del beccuccio rimane una parte della montatura in oro e smalti neri, bianchi e blu: tale montatura è comunque postuma alla brocchetta, che in origine nasceva sprovvista di alcuna montatura metallica, e che probabilmente le fu donata alla fine del 1400, quando entrò a far parte del tesoro di Lorenzo de’ Medici. Il manufatto in esame è conservato al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti dal 1928. Nel 1998 incorse in uno sfortunato incidente che ne provocò la frammentazione in più di 80 pezzi. Il lavoro di restauro fu condotto dall’allieva dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze Federica Cappelli, che redasse successivamente un articolo come estratto della sua tesi, gentilmente fornitomi dall’Opificio delle Pietre Dure635. Nel presente articolo la studentessa illustra le fasi con cui si procedette a restaurare il manufatto. Oltre alla rottura in numerosi frammenti, di cui le zone più frammentarie risultavano essere il beccuccio e la zona centrale del ventre, anche la montatura metallica era saltata via, e presentava una evidente deformazione, oltre alla perdita di alcuni smalti e di due elementi della dentellatura. Il primo approccio al restauro di tale manufatto verteva attorno alla risoluzione di due problemi iniziali: ricomporre i frammenti e trovare un nastro adesivo atto a incollare i pezzi. La parte di ricostruzione fu un’operazione molto complessa a causa dell’elevato numero dei frammenti e del loro minimo spessore; inoltre, errori anche minimi nella ricostruzione avrebbero rischiato di compromettere il risultato finale. Si procedette inizialmente “con una ricostruzione preliminare tramite strisce di nastro adesivo posizionate trasversalmente lungo le linee di frattura, in tal modo è stato possibile verificare la ricomponibilità pressoché totale della brocchetta, che non presentava lacune di entità rilevante, ma solo lievi scheggiature lungo le linee di frattura”636. Tuttavia tale metodo non poteva consistere nel restauro definitivo del manufatto perché non garantiva la necessaria stabilità ai frammenti e avrebbe inoltre complicato l’applicazione della resina per l’incollaggio definitivo lungo le linee di frattura. Si valutarono due ulteriori metodi ricostruttivi, applicati in genere per il restauro dei vetri: il primo si configura come una variante del metodo appena illustrato e prevede una precedente ricostruzione del manufatto tramite le strisce di nastro adesivo e in seguito l’applicazione di alcune gocce di resina cianoacrilica solo in alcuni punti strategici; solo dopo la rimozione del nastro adesivo si può procedere con l’incollaggio
634 Cappelli, 2008, p. 147 635 Ibid., pp. 145-‐152 636 Ibid., p. 147
definitivo. Questo metodo non fu considerato idoneo al caso in quanto le gocce di resina sarebbero potute risultare otticamente percepibili, anche a causa dell’ingente numero di frammenti. Il secondo metodo, cosiddetto dei ‘ponti metallici’, venne considerato il più idoneo al tipo di restauro che in questo caso si doveva effettuare, consiste in un ulteriore perfezionamento del primo e fu messo a punto in Germania. Prevede che dopo una parziale ricostruzione dell’oggetto con il nastro adesivo, si proceda con “l’applicazione di piccoli ‘ponticelli’ metallici lungo le linee di frattura, ognuno dei quali, posizionato a cavallo della frattura stessa, viene fatto aderire alla superficie del manufatto con due
piccolissime gocce di cianoacrilato”637. Lo scopo di questi ponti metallici è sostituire le
strisce di nastro adesivo, che in seguito possono essere rimosse. Essi devono essere collocati lungo tutte le linee di frattura del manufatto, in modo da dotarlo di una sorta di ‘armatura’ leggera ma al tempo stesso resistente abbastanza da dargli la necessaria stabilità. Tale sistema ha inoltre il vantaggio di lasciare completamente libere le linee di frattura, rendendo più facile l’applicazione della resina per l’incollaggio definitivo. Dopo che la resina si è indurita, si può procedere alla rimozione dei ponti metallici e dei residui di cianoacrilato dalla superficie con l’aiuto di un bisturi. Questo sistema, congeniale al caso della brocchetta in cristallo di rocca, non può essere adottato indiscriminatamente per il restauro dei manufatti in vetro: qualora l’oggetto da restaurare presentasse un degrado superficiale, la rimozione delle gocce di resina necessarie a reggere i ponti rischierebbero di aggravare il degrado della superficie vetrosa. Per il caso in questione tale rischio non correva in quanto il quarzo ialino non solo non presentava un degrado della superficie, ma anzi, trattandosi di un materiale molto diverso dal vetro, ha la caratteristica di essere pressoché inalterabile. Gli altri due metodi presi in esame non erano adatti al nostro caso a causa dell’ingente numero di frammenti e del loro esiguo spessore: il primo non avrebbe garantito la necessaria
precisione, il secondo avrebbe in parte compromesso il risultato visivo finale638.
Valutato infine che l’approccio dei ponti metallici fosse il metodo più congeniale per la brocchetta in cristallo di rocca, si proseguì con la realizzazione degli stessi tramite fili di ferro zincati modellati con delle pinze e immersi in un barattolo di acetone. Dopo aver sostituito tutte le strisce di nastro adesivo con i ponticelli e verificato la perfetta collimazione delle fratture, si poté procedere con la fase di incollaggio definitivo. Dopo
637 Cappelli, 2008, p. 147 638 Ibid., p. 148
uno scrupoloso esame per valutare quale fosse la resina più adatta si optò per Hxtal
NYL-1639. L’adesivo scelto doveva presentare le caratteristiche di assoluta trasparenza e
assenza di colore, bassa viscosità per penetrare all’interno delle fratture per capillarità, buona resistenza all’ingiallimento, minima percentuale di contrazione durante la fase di indurimento, durezza e stabilità necessarie ma non tanto da rendere la resina incapace di
rispondere ai movimenti dell’oggetto640. Prima di procedere con l’operazione di
incollaggio si realizzarono dei rilievi lungo le linee di frattura, in modo da conservare una precisa testimonianza dello stato del manufatto, perché dopo l’incollaggio le fratture sarebbero state appena percepibili. Le fasi di applicazione della resina si sono articolate intorno a cinque momenti: inizialmente sono state incollate le fratture attorno al beccuccio, poi, attesi i tempi necessari, si sono rimossi i ponti metallici e i residui di colla. Quindi si procedette con l’applicazione della resina lungo le fratture della base e in seguito lungo quelle del corpo. Per poter intervenire con la stuccatura e la lucidatura finale della parte interna della brocchetta con appositi gommini fu necessario aprire a metà l’oggetto, sfruttando la linea di frattura al di sotto del collo che non era stata
incollata a questo proposito641. Ultimata l’adesione anche di quest’ultimo frammento, si
passò al restauro della montatura in oro e smalti: prima si ricompose il lato deformato, poi si saldò a laser l’elemento staccato della dentellatura, e la si riadagiò sull’orlo del beccuccio. Il profilo irregolare della base dell’oggetto, preesistente all’incidente del 1998, lo rende privo di un appoggio perfettamente stabile. Si optò quindi per la realizzazione di una base in resina epossidica, che riportasse l’impronta esatta del bordo irregolare la quale, incastrata alla base, dotasse la brocca di maggiore stabilità d’appoggio642.
Anche il noto bricco di cristallo del califfo al-‘Aziz-Billah fu interessato da un restauro,
condotto nel 2006 da Corinna Mattiello e pubblicato da Grazia Fumo643. In questo caso
però, si trattava di un intervento di restauro molto diverso, volto semplicemente a lucidare e ripulire l’oggetto e non a ricostruirlo. Il bricco si presentava in un discreto
639 Le altre due resine ciano acriliche prese in considerazione sono state Araldite 2020 e Loctite 3051.
640 Cappelli, 2008, p. 148 641 Ibid., p. 150
642 Ibid., p. 151
643 Fumo, 2006, pp. 142-‐145: Bricco di cristallo del califfo al-‐‘Aziz-‐billah, in Restituzioni 2006, Tesori d’arte restaurati, tredicesima edizione, Banca Intesa, Treviso, 2006
stato conservativo, ed era ricoperto da un sottile strato di polvere che ne determinava l’offuscamento generale. Si intervenne con un’operazione di spolveratura e lucidatura della superficie effettuata a tamponi, utilizzando compresse di cotone imbevute di acqua deionizzata e tensioattivo. Sempre a tampone si trattò anche la montatura. È stato “dapprima rimosso lo strato di depositi grassi ricorrendo al solvente organico, a cui è seguito un trattamento con acqua deionizzata, alcol e acetone. Le sostanze grasse e cerose più consistenti sono state rimosse con applicazioni di melina e acetone. Le
superfici metalliche sono state disidratate con bagni alternati d'alcol e acetone”644. Per la
protezione degli elementi metallici si procedette infine con la stesura a pennello di resina nitrocellulosa645.
644 Fumo, 2006, p. 145
3.6. Appendice con i restanti manufatti in cristallo di rocca conservati nel tesoro marciano
Per completezza di ricerca, si annoverano in Appendice anche gli altri oggetti in cristallo di rocca conservati nel tesoro di San Marco che non sono stati trattati nelle schede nel corso della tesi e che non fanno parte della sezione islamica del tesoro marciano.
Fra le opere antiche, oltre alle due lampade descritte, di cui una è forse bizantina (vedi SCHEDE 1 e 2), si include uno skyphos in cristallo di rocca, una grande coppa profonda biansata, forse la più grande in cristallo di rocca prefatimide, molto puro. Secondo Volbach si tratta di un’opera proveniente da Alessandria datata I secolo d.C.
per la finezza dell’intaglio e l’eleganza del manico646.
Alla sezione bizantina appartiene un vaso (calice?) sempre in cristallo di rocca a dieci lobi, poco trasparente, con una montatura in argento dorato a due anse decorata in origine da un centinaio di perle e cabochons, la maggior parte dei quali oggi è andata
perduta. Attribuito all’arte bizantina di X-XI secolo647. Si annoverano poi una
acquasantiera di cristallo di rocca purissimo 648, con montatura in argento, dalle pareti lisce e molto sottili e con un rosone intagliato nel fondo, datata X-XI secolo; una
lampada a forma di secchio sempre in cristallo di rocca649 posta su un piede di media altezza, dalla superficie liscia e le pareti sottilissime, dotata di montatura in argento dorato e perle, attribuita ai secoli XI-XII; un’anfora in cristallo di rocca a forma