MATERIALE: vetro, argento dorato, smalto cloisonné d’oro, pietre preziose STATO DI CONSERVAZIONE: perfettamente conservata (Erdmann)
DATAZIONE: coppa in vetro: IX-X secolo (Kane, Curatola), IX secolo (Erdmann); montatura bizantina: tardo X secolo e XV (?) secolo, smalti: arte bizantina, XI secolo (Frazer), X secolo (Erdmann).
BIBLIOGRAFIA: Montfaucon 1702, p. 52, La Mottraye 1727, tavv. VII e VII bis, Pasini 1885- 86, pp. 94-98, n. 105, Molinier 1888, pp. 40-41, 94-95 n. 93, Lamm 1929-30, I, pp. 144, 158- 159, Lamm 1939, III, pp. 2597-98, Arte iranica, 1956, n. 486, Gallo 1967, pp. 206-12, p. 299 n. 62, p. 352 n. 70, p. 361 n. 199, pp. 369-370 n. 42, p. 397 n. 100, Hahnloser 1971, pp. 103-104 n. 117 (Erdmann), Gabrieli e Scerrato 1979, p. 477, Charleston 1980, pp. 68-73, Saldern 1980, pp. 142-43, Kane e Frazer 1986, pp. 217-21, Ettinghausen e Grabar 1987, p. 235, Curatola 1990, pp. 250-51, Curatola 1993-94, pp. 98-99, Shalem 1998, pp. 63-64, n. 26, Polacco 2001, p. 294, K. Totev 2007, p. 353 n. 121.
Altezza 6 cm, diametro 18,6 cm Inv. Tesoro n. 140
La presente coppa di vetro turchese faceva già parte del tesoro di San Marco nel 1325, in quanto citata nell’inventario di quell’anno come “Scutelam unam de turchese
varnitam argento deaurato”548, nell’inventario del 1571 è descritta come “Un scudellotto di color turchino, non si sa di che materia sia, ha il friso attorno ornato con granate, delle qual granate di esse mancano” (ivi, 1967, p. 299, n. 62), in quello del
1733 come “Una scudella grande di turchina di roca vecchia, intagliata con figure et
ornata di geme e fornimenti d’oro” (ivi, 1967, p. 352, n, 70). Infine il Cicognara, nella
stima del 1816-20 dichiara “Catino fin qui creduto di pietra turchina […]” ma in seguito ad analisi ravvicinate condotte “è risultato a piena, solenne e palmar evidenza
che questi è opera dell’arte e del lavoro di fusione. Non cessa però d’esser di sommo pregio” (ivi, 1967, pp. 369-370, n. 42). Inizialmente infatti, il materiale che componeva
tale coppa era di dubbia attribuzione, anche a causa della scritta collocata nel fondo
della ciotola549; oggi è stato stabilito con certezza che si tratta di pasta vitrea turchese, e
non di pietra turchese.
548 Gallo, 1967, p. 211
Il vaso in questione riproduce la forma di una scodella pentalobata dall’interno liscio e privo di decorazione, mentre all’esterno, racchiuse in cornici trapezoidali aperti in
basso, cinque lepri dalla forma stilizzata si rincorrono con una vivacità che Erdmann550
ha definito “galoppo volante”. Le lepri sono disegnate di profilo e scolpite a più livelli di rilievo, le zampe anteriore e posteriore sinistra tese e l’orecchio, sottolineato da brevi
scanalature parallele551, è disteso quasi a coprire l’intera lunghezza del corpo. Secondo
Curatola552 la decorazione di questa coppa è a stampo, mentre Erdmann553 dichiara che
gli animali sono scolpiti a basso rilievo e fa notare che si differenziano tra loro soltanto per poca grandezza e piccoli particolari. Anche Kane ritiene che la tecnica con cui sono rappresentate le lepri sia quella dell’incisione a rilievo, tenendo anche conto del fatto che “la tecnica di incidere il vetro alla mola e alla punta e lucidarlo, riscontrabile all’epoca sia romana sia sasanide, fu in seguito adattata e perfezionata dalla civiltà islamica, specialmente in Iran e in Iraq del IX e X secolo ed era nota in Egitto fino alla
fine del X secolo”554. La tecnica dell’intaglio del vetro segue la tradizione della glittica
e prevede che il materiale venga abraso per ospitare la decorazione, la quale emerge a rilievo (la tecnica è quella dell’altorilievo o del rilievo fresato, che può essere a volte ravvivato da linee incise) su un fondo liscio e lucidato. Secondo la studiosa, in questo caso la tecnica adottata per rappresentare le lepri è quella dell’altorilievo e del rilievo fresato per alcune zone e della molatura a smusso per delineare la testa, il corpo e la coda. Linee tratteggiate servono a sottolineare alcuni particolari come naso, orecchie,
collo e schiena555. Anche Erdmann556 fa notare la differenza di trattamento del rilievo di
queste zone: la testa e le linee di distacco con il corpo e le gambe e la coda arrotolata sono elementi che fanno riferimento all’intaglio obliquo, mentre i rilievi della spina dorsale all’intaglio verticale.
Sul fondo della coppa (Fig. 46) si trova incisa un’enigmatica iscrizione cufica del IX-X secolo in debole rilievo che è stata tradotta con la parola “Khorasan”. All’epoca il Khorasan era una regione dell’Iran nordorientale non ben delimitata, famosa per la sua
550 Erdmann, 1971, p. 103
551 Secondo Erdmann, tali scalfitture potrebbero essere state eseguite postume. Erdmann, 1971, p. 103
552 Curatola, 1993-‐94, p. 98 553 Erdmann, 1971, p. 103 554 Kane, 1986, p. 217 555 Ibid., p. 219
556 Erdmann, 1971, p. 103. Egli riferisce che sotto l’orlo si trova una decorazione incisa che ripropone un motivo a intreccio vegetale con palmette, non visibile dalla figura.
produzione di pietra turchese557. Non sembra plausibile che tale iscrizione riguardi il luogo di produzione, in quanto non fa riferimento a una bottega, ma appunto a una vasta
regione; inoltre sono piuttosto rare le epigrafi indicanti la provenienza558. L’opinione di
Erdmann559 circa questa iscrizione è che possa essere stata tracciata a scopo
fraudolento: essendo il Khorasan noto all’epoca proprio in relazione alla pietra turchese, si potrebbe pensare che la scodella in vetro ne imiti il colore, in dimensioni però che per una turchese non sarebbero possibili. Un compratore di Baghdad o di Samarra difficilmente sarebbe caduto nell’inganno, ma se la coppa in questione fosse stata destinata al mercato occidentale, avrebbe potuto trovare compratori meno esperti facilmente convincibili che si trattasse di un turchese, considerando l’iscrizione sotto la coppa come una prova della sua provenienza. Per molto tempo infatti si ritenne la coppa di vera pietra turchese, e anche in data relativamente recente degli studiosi hanno
accettato l’ipotesi della provenienza khorassanica560. Curatola561 si dichiara più
propenso per una provenienza iranica, ma non esclude del tutto un’origine mesopotamica, restando in un arco di tempo compreso tra la fine del IX secolo e l’inizio dell’XI.
Questa coppa rappresenta un unicum per il suo colore, sono noti pochi altri oggetti in
pasta vitrea turchese i quali sono segnalati dal Lamm562, ma si tratta di frammenti privi
di decorazione. Il pezzo che più si avvicina a questo è un frammento di vetro trasparente
molato ritrovato a Samarra e datato IX secolo563. All’epoca Samarra era la capitale del
califfato abbaside (dall’838 all’883); non si è ancora certi sulla zona di produzione di questi oggetti di lusso, ma frammenti di vetro affini sono stati rinvenuti a Samarra in
Iraq e a Nishapur, nell’Iraq orientale564. Per quanto concerne il motivo iconografico, ma
non la forma, il primo confronto è quello con il calice con lepri del tesoro marciano (SCHEDA 20); lo stesso motivo iconografico composto da lepri in fuga si ritrova in altri due vasi in vetro, non in pasta di vetro come la scodella turchese, e consistono in
557 Lamm, 1929-‐30, p. 515, n. 161, che fa riferimento a un’antica fonte, forse del IX secolo. 558 Curatola, 1993-‐94, p. 98
559 Erdmann, 1971, p. 104
560 Ettinghausen e Grabar, 1987, p. 235 561 Curatola, 1993-‐94, p. 99
562 Cfr. Lamm, 1929-‐30, p. 104, nota 2: due frammenti del Museo di Arte Islamica del Cairo.
563 Vedi Olivier, Islamic relief cut glass, a suggested chronology in Journal of Glass Studies, 3, 1961, p. 13, fig. 7.
una coppa conservata al Corning Museum of Glass (Fig. 47) e in un vaso della collezione Delmar di Budapest (Fig. 48).
La forma della nostra scodella a cinque lobi richiama un modello cinese piuttosto
frequente in epoca T’ang (618-906 d.C.)565, anche se la forma più diffusa era a quattro o
sei lobi566, ma Kane567 fa notare che anche in epoca sasanide esistevano vasi polilobati,
che potrebbero costituire degli archetipi più prossimi per questa coppa. A partire dal IX secolo anche l’arte islamica comincia a produrre questo tipo di vasi a forma di coppa lobata, in genere di ceramica568.
Non è ancora chiaro come la coppa sia giunta al tesoro marciano. Secondo la tradizione,
riportata da Pasini569, questo vaso sarebbe giunto a Venezia come dono570: Uzun Hasan
(1453-78), sovrano della tribù dei turcomanni Aq-Qoyunlu (non scià della Persia, puntualizza Erdmann, che allora ancora non esisteva) localizzata nell’Iran nord-
occidentale, donò nel 1471 questa scodella alla Signoria di Venezia571. Uzun Hasan
strinse con Venezia un trattato di alleanza allo scopo di combattere il comune nemico ottomano: relazioni politiche sarebbero dunque alla base dell’invio di questo prezioso dono572. Tuttavia, Totev573 fa notare, e anche Curatola574 accetta questa ipotesi, che la montatura bizantina che riveste la coppa sia confluita a Venezia assieme all’ingente bottino della IV crociata.
Montatura
La legatura bizantina in argento dorato che circonda il bordo di questa coppa si compone di una parte interna e di una esterna molto diverse tra loro e di cinque raccordi
565 Erdmann, 1971, p. 103 e Curatola, 1993-‐94, p. 98
566 Esistevano comunque anche vasi cinesi pentalobati, come la ciotola in argento della Collezione Kempe di Stoccolma o le scodelle in porcellana. Erdmann, 1971, p. 103
567 Kane, 1986, p. 219
568 Curatola, 1993-‐94, p. 98. Per forme analoghe di ceramica abbaside, vedi Blair, Bloom, 2011, pp. 121-‐22.
569 Pasini, 1885-‐86, pp. 94-‐98
570 Anche Gallo, 1967, lo include nella sezione: Il Tesoro: doni e acquisti. 3. Il catino di turchese, pp. 206-‐12
571 Il Molinier ricorda che Uzun Hasan era un grande conquistatore e che la coppa in questione potrebbe aver fatto parte del bottino di conquista della Persia. Molinier, 1888, p. 41. Secondo Erdmann, giunse in possesso dell’oggetto tramite il matrimonio con la nipote dell’ultimo imperatore bizantino. Era a Bisanzio che era quindi destinata l’enigmatica scritta “Khorasan”. Erdmann, 1971, p. 104, nota 19.
572 Gabrieli, Scerrato, 1979, p. 477 573 Totev, 2007, p. 353
costituiti da listelli di metallo fissati da cerniere che congiungono il bordo superiore all’anello di rivestimento della base. Il bordo interno (Fig. 49) si presenta rivestito da cinque placche d’oro finemente lavorate che sono disposte in corrispondenza dei lobi della coppa. La loro decorazione a rilievo poco pronunciato ospita foglie e palmette stilizzate, ognuna tracciata in modo diverso. Si ritiene che il loro stile si avvicini a quello del piede del calice con manici di Romano (vedi SCHEDA 3), anche in questo
caso si tratterebbe quindi dell’arte bizantina di X secolo575. La montatura esterna (cfr.
Fig. 45) mostra caratteristiche molto differenti: è mantenuta la scansione a cinque lobi
della pasta vitrea, ma all’interno di ognuno di essi un elemento di forma trapezoidale racchiude delle placchette polilobate smaltate. A fianco di questo motivo, due rettangoli lavorati a filigrana ospitano sei cabochons di diverse dimensioni organizzati attorno ad una grossa pietra al centro. Soltanto le placchette smaltate sembrano essere bizantine; è probabile che esse siano state eseguite per un uso diverso, anche se è impossibile risalire a quale. Tre di esse vedono una rosa centrale attorniata da quattro motivi a forma di cuore: tale schema era diffuso durante il periodo medio-bizantino, questi pannelli sono stati ritagliati affinché si adattassero alla base trapezoidale; altri due smalti sono anch’essi composti da un motivo quadrilobo a croce e sono stati collocati al di sotto della placchetta, opportunamente forata in corrispondenza degli smalti per lasciarli
vedere576. Le placche in filigrana sarebbero invece occidentali, e probabilmente sono
state aggiunte alla coppa in seguito al suo arrivo a Venezia, forse nel XV secolo, in ogni caso prima dell’incisione di La Mottraye del 1727 che le rappresenta (Fig. 50).
La preziosità della montatura di questa coppa, presumibilmente rimaneggiata a Venezia dopo il suo arrivo, e il suo inserimento all’interno del tesoro di San Marco sono esemplificativi della grande considerazione con cui erano tenuti i vetri islamici nella città lagunare.
575 Frazer, 1986, p. 219, Gabrieli e Scerrato, 1979, p. 477, Erdmann, 1971, p. 103, Curatola, 1993-‐94, p. 98
576 Secondo Frazer, 1986, p. 219, “questa montatura poco ortodossa intende forse imitare un tipo di smalto bizantino riscontrabile su un medaglione e un lungo fregio incorporati nella cornice duecentesca della Pala d’Oro.