PROVENIENZA: Iraq (?) (Curatola), prodotto iracheno o persiano (Gabrieli, Scerrato), Iran o Egitto (Carboni)
MATERIALE: vetro soffiato, argento dorato, smeraldi, perle, pietre dure semipreziose e in vetro (alcune mancano)
STATO DI CONSERVAZIONE: coppa: ben conservata (Erdmann), montatura: conservata solo in parte (Grabar)
DATAZIONE: coppa in vetro: VIII-IX secolo (Erdmann, Curatola, Gabrieli e Scerrato), IX-X o X-XI secolo (Carboni); montatura bizantina: XI secolo (Erdmann, Curatola), X-XI secolo (Carboni)
BIBLIOGRAFIA: Pasini 1885-86, p. 57, n. 99, Molinier 1888, p. 94, n. 86, Lamm 1929-30, p. 155, Honey 1946, p. 44, Saldern 1955, p. 262, Olivier 1961, pp. 26, 28, Erdmann 1971, pp. 104- 105, Gabrieli e Scerrato 1979, p. 477, Curatola 1990, p. 250, Curatola 1993-94, p. 100, n. 27, Carboni 2007, pp. 352-353
Altezza 7 cm, diametro 13,1 cm (con montatura, rispettivamente 18,5 cm e 10,5 cm) Inv. Tesoro n. 76
L’oggetto è composto da un vaso di forma emisferica in spesso vetro verde decorato da un motivo di lepri in corsa (Fig. 52), montato su un supporto bizantino che l’ha trasformata in un calice. Non risulta facile risalire a questo oggetto negli inventari pubblicati dal Gallo nel 1967577, nessun studioso infatti cita la descrizione in qualche inventario da lui pubblicato.
La coppa, di vetro verde scuro, presenta tre cerchi concentrici sulla base (la Fig. 53 mostra la coppa vista senza montatura); il motivo iconografico che la decora è dato da quattro lepri intagliate in corsa, volte a sinistra. Gli animali in questo vaso sono tracciati in modo molto più stilizzato di quelli della scodella di vetro turchese (vedi SCHEDA 19, Fig. 45). Anche in questo caso, le lepri sono ritratte di profilo e mostrano solo le zampe anteriore e posteriore sinistra, girate verso l’interno. Erdmann578 fa notare che questa posizione potrebbe sembrare di riposo, ma ritiene più probabile che anche in questo caso le lepri siano in corsa, e precisamente lanciate nel “galoppo volante”. L’intaglio schematico semplifica il muso degli animali in un incavo, con al centro
577 L’inventario del 1325 parla di “Calicem unum viridem ornatum argento”, Gallo, 1967, p. 278, n. 20. Il Cicognara parla di una “tazza di cristallo verde bellissimo, ma tenerissimo, scolpita a bassi rilievi che hanno tutto l’aspetto di lavoro cuffico, con piede ed orlo d’argento dorato, e pietruzze diverse, e smalti nel giro, che vennero levati, e de’ quali uno soltanto rimane ove è scritta una parola in lingua greca. Lavoro cuffico”. Una descrizione che sembra corrispondere a questo calice con lepri. Gallo, 1967, p. 371, n. 2.
l’occhio rotondo, in tre di essi la bocca è resa con una sintetica scalfittura, le orecchie allungate raggiungono quasi la coda, schematizzata in un triangolo acuto, le zampe distese. Queste quattro lepri si differenziano tra loro per piccoli particolari e leggermente per dimensioni. Brevi tratti segmentati sottolineano, anche in questo caso, dei dettagli del corpo degli animali, come l’orecchio e la coda. Al di sopra del motivo delle lepri in corsa, un listello a rilievo segna il bordo del vaso, leggermente
compromesso in alcuni punti579.
Il vetro è stato prima soffiato (o pressato) per dargli la forma a coppa, e in seguito si è proseguito con l’incisione. Il tipo di intaglio di questo vaso si differenzia notevolmente da quello della scodella in vetro turchese: la stilizzazione delle lepri è data da una tecnica diversa di lavorazione, consistente nell’intaglio tutto obliquo, che ha dato corpo
ad animali resi in modo più essenziale. Gli studiosi580 concordano che il risultato finale
non raggiunge la raffinatezza della coppa turchese: nell’oggetto in questione infatti l’intaglio sembra piuttosto frettoloso, mancano i dettagli lavorati a intaglio verticale delle lepri del vaso precedentemente analizzato (Erdmann, 1971, p. 105) (vedi SCHEDA 19), ravvisabili anche nei vetri consimili citati per quel vaso. Inoltre, la tecnica con cui sono realizzati questi animali non è a rilievo, ed essendo quindi semplicemente e interamente incisa sul vetro, risulta più piatta e schematica (Carboni, 2007, p. 353). Tale schematizzazione ricorda un vaso ovale in vetro verde del museo Shōsō-in a Nara (Giappone), sul quale sono rappresentate due lepri. Secondo
Erdmann581, tenendo anche conto della forma, ciò potrebbe stabilire un terminus ante
quem il 756. Vasi emisferici di questo tipo, in metallo e vetro, senza piede anulare e con
cerchi concentrici alla base, rinviano a un’origine sasanide, ma Carboni582 non esclude
completamente neanche l’ipotesi di una provenienza fatimide tra i secoli X-XI. Il motivo con le lepri, oltre che nella coppa analizzata nella scheda precedente, è ravvisabile anche in una bottiglia della collezione David di Copenhagen risalente anch’essa all’Iran o all’Iraq di quel periodo, e recante un fregio con lepri intagliate sul collo583.
579 Erdmann, 1971, p. 105
580 Erdmann, 1971, p. 105, Gabrieli, Scerrato, 1979, p. 477, Curatola, 1993-‐94, p. 100, n. 27, Carboni, 2007, p. 353, n. 120
581 Erdmann, 1971, p. 105 582 Carboni, 2007, p. 353
Il trattamento delle figure, osserva Erdmann584, è tanto affine a quello del motivo iconografico della scodella in vetro turchese (in particolare nella resa dell’occhio, della testa e delle lunghe orecchie) da non consentire di distanziare di molto cronologicamente i due manufatti. Se infatti il vaso turchese è stato datato al IX secolo, anche questo vaso risale all’incirca quella data, tra l’VIII e il IX secolo. Egli ritiene che la coppa non possa essere datata oltre l’800, e che sia più esatto collocare le sue origini all’Iran o all’Iraq di fine VIII secolo. Anche a causa della difficoltà di riconoscere quest’oggetto all’interno degli inventari, non è dato a sapere quando tale coppa entrò a far parte del tesoro marciano. L’ipotesi di Curatola è che sia questo vaso, sia la coppa turchese (SCHEDA 19) sia la navicella in vetro rubino (SCHEDA 21) giunsero a
Venezia con il bottino del 1204585.
Montatura
La montatura bizantina in argento dorato, fatta su misura per questo vaso, testimonia che l’oggetto certamente si trovava a Costantinopoli poco dopo la sua produzione e avvalora l’ipotesi del suo arrivo a Venezia dopo il sacco della città nel corso della IV crociata. Essa si compone di una banda superiore che incornicia l’orlo della coppa e di tre strisce verticali che raccordano la legatura superiore al piede. Tale montatura trasforma la presente coppa islamica in un calice e colloca tale oggetto in un contesto
religioso cristiano586. Lo stato di conservazione della montatura è parziale: rimangono
alcune pietre cabochon in pasta di vetro blu e rosa collocate sul piede e sui raccordi verticali e file di perle disposte sotto al bordo superiore587. Dell’iscrizione a smalto invece, che si trovava sul bordo del vaso sopra la fila di perle svolta su sei riquadri dorati, si conserva una sola placchetta. L’epigrafe greca è stata sciolta da Grabar588 come la classica iscrizione di consacrazione eucaristica. Tale montatura è, secondo lo studioso, particolarmente affine a quella di un altro calice del tesoro di San Marco (Grabar 1971, calice in sardonica, cat. n. 45, p. 62). Per questa analogia, la montatura è da lui datata ai secoli X-XI.
584 Erdmann, 1971, p. 105
585 Curatola, 1993-‐94, p. 100 586 Carboni, 2007, p. 353
587 Anche in questo caso, gli anellini collocati al di sotto del bordo superiore servivano a sostenere cordoncini di perle o di vetro colorato. Grabar, 1971, p. 105