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Antonibon e la manifattura della ceramica

Come si è avuto modo di spiegare, la manifattura della ceramica di Giambattista Antonibon nacque a Nove nel terzo decennio del Settecento, in un periodo in cui le altre iniziative del settore segnarono alcuni fallimenti. Il successo nel decennio successivo derivò dalla capacità della manifattura di imitare le maioliche ad uso di Delft, che fino a quel momento venivano importate a Venezia dalla Compagnia delle Indie olandese.

Il decreto del Senato del 1728 aveva l’obiettivo di favorire i produttori che volessero cimentarsi nella produzione di terraglie fini, cioè maioliche e porcellane. In seguito a questo, vennero concessi all’Antonibon una serie di privilegi: l’esenzione ventennale da qualsiasi dazio per l’acquisto di alcune materie prime e per la vendita delle maioliche, l’esenzione dalle tasse per gli operai forestieri, il divieto agli operai che abbandonassero la fabbrica di svolgere la stessa attività in un’altra fornace prima di 4 anni e l’autorizzazione per un biennio ad aprire un negozio a Venezia, situato a San Giovanni Crisostomo, poi rinnovata per 10 anni33.

Agevolata dai privilegi ottenuti, la manifattura si avvalse non solo dell’esperienza delle maestranze locali, ma anche della manodopera specializzata di provenienza milanese, lodigiana e francese. In questo modo, all’interno della manifattura, si intrecciarono competenze di carattere pratico di provenienza diversa e di importanza strategica per gli sviluppi successivi dell’impresa.

Nel 1737, con la morte di Giambattista, la manifattura venne presa in gestione dal figlio Pasquale, sotto la cui direzione la fabbrica riuscì a guadagnare il monopolio sul mercato interno, mentre la produzione si affermò in Italia, Austria, Germania, Costantinopoli e nel Levante. Ebbe così inizio un periodo di grande vivacità, in particolare nel decennio 1744- 1754, in cui l’azienda raggiunse il suo massimo splendore e si registrò un aumento notevole

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Lanerossi (a cura di), Lanerossi ieri, Milano, Arti grafiche Pizzi, 1967, p. 15.

32 Vedi P. Bertoli, “Meccanizzazione e prodotti: scelte di A. Rossi”, in Fontana, Schio e Alessandro Rossi, cit.,

pp. 359-403.

33 P. Marini, “La manifattura Antonibon di Nove”, in Idem, G. Ericani (a cura di), La ceramica nel Veneto: la

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degli operai, da trentacinque nel 1740 a centotrentuno nel 1755, a cui si aggiungevano i trasportatori e i venditori ambulanti di Tramonte, addetti alle vendite al minuto34.

Di pari passo con l’ideazione di nuove tipologie di prodotti, come le mattonelle decorative e altri oggetti di uso domestico, cresceva in modo sempre più preponderante anche l’esigenza di limitare la mobilità della manodopera che operava all’interno delle fabbriche, affinché le loro competenze e l’esperienza che acquisivano nella pratica quotidiana non potessero essere sfruttate dalle imprese concorrenti. Infatti, episodi di trafugamento dei segreti dello smalto e altre lavorazioni e di appropriazione indebita di informazioni e materiali accadevano con una certa frequenza anche all’interno della famiglia, come nel caso del cognato di Antonibon, Antonio Gasparini. Gli operai potevano trarre vantaggio anche dal furto di modelli, disegni e colori che in seguito poterono essere trasferiti nella fabbrica di Geminiano Cozzi a Venezia (la cui produzione ebbe inizio nel 1769), in quella dei Brunello a Este (dal 1750) o dei Rossi a Treviso35.

Nel 1755 furono concessi dal Senato alcuni privilegi per i quali Antonibon aveva fatto più volte richiesta al fine di tutelarsi contro la concorrenza (come l’esclusiva territoriale di produzione della maiolica nelle cinque miglia circostanti a Nove), inoltre la fabbrica fu dotata di un nuovo regolamento interno per porre fine ai conflitti tra gli operai, ad alcuni atti di violenza e alle minacce contro lo stesso proprietario36. Tali provvedimenti ebbero come conseguenza la possibilità di bloccare l’attività alcuni concorrenti, come Giovanni Maria Salmazzo e Giovan Maria Marinoni, il quale fu costretto a limitare la sua produzione alla “cristallina”, e alcuni possessori di forni trevigiani che non avrebbero più potuto avere accesso sul mercato della ceramica di alta qualità37.

Negli anni Cinquanta del Settecento furono condotti da Antonibon i primi tentativi di produzione della porcellana, in collaborazione con tecnici francesi e tedeschi, che tuttavia fallirono. Infatti furono i coniugi Hewelcke che, alla fine del decennio, riuscirono ad avviare una consistente manifattura della porcellana nel territorio della Repubblica, ottenendo nel 1758 un’esclusiva ventennale sulla produzione, l’esenzione doganale sui prodotti e le materie prime, nonché il divieto di trasferimento per gli operai dalla loro fabbrica.

34 Fontana, “Distretti specializzati”, cit., p. 526-527.

35 P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano, Il Saggiatore, 1994, p. 384; Favero, “Old and new ceramics”, cit.,

p. 285. Vedi A. Bellieni, “Manifatture a Treviso nel Settecento e nel primo Ottocento”, in La ceramica nel

Veneto, cit., pp. 370-390; G. Ericani, “Le manifatture atestine del Settecento e dell’Ottocento: Brunello e

Franchini”, in La ceramica nel Veneto, cit., pp. 391-410.

36 Favero, “Old and new ceramics”, cit., pp. 287-288. 37

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Ponendo l’accento sullo sforzo sostenuto nel tentativo di produrre la porcellana, nel 1762 Antonibon rivolse una supplica ai Cinque Savi alla Mercanzia per assicurarsi nuovamente il rinnovo dei privilegi e per ottenere, al pari degli Hewelcke, il permesso di fabbricare la porcellana, dimostrando il proprio impegno facendo riferimento ad alcuni esemplari come prova degli esperimenti e a una relazione sulla fabbrica di Nove38.

Nel periodo tra il 1763 e il 1765 si verificò tuttavia un periodo di crisi in cui, a causa di una malattia di Pasquale, la produzione diminuì notevolmente e i settori della maiolica e della porcellana furono gravemente danneggiati. Il trasferimento degli operai che andavano in cerca di un nuovo impiego, l’indisciplina e i furti di materiali e stampi contribuirono a peggiorare la situazione, che fu affrontata e risolta solo grazie a un processo promosso dai Savi alla Mercanzia, mentre nello stesso periodo Geminiano Cozzi rilevava l’impresa degli Hewelcke, la cui attività era cessata nel 176339.

A partire dal 1773, a fronte del mancato rinnovo dei privilegi ottenuti in precedenza, entrambe le fabbriche furono affittate a Giovanni Maria Baccin, un collaboratore che assunse la gestione del comparto della maiolica per ventinove anni e di quello della porcellana per otto anni, garantendo una rendita sicura per la famiglia Antonibon. Sotto la direzione di Baccin l’impresa fu in grado di acquisire maggiore solidità e di avviare un generale rinnovamento dei prodotti, adeguandoli all’evoluzione dei gusti e alle nuove esigenze della clientela. Infatti egli riuscì a intraprendere negli anni Ottanta, con la collaborazione del dipendente Pietro Poatto, la manifattura della terraglia “ad uso inglese”, prodotta con una pasta che risultava così bianca e fine da divenire una vera e propria concorrente per le maioliche italiane e per le porcellane.

Questo materiale presentava numerosi vantaggi: il basso costo consentiva la fabbricazione di pezzi leggeri, sottili ma resistenti che potevano soddisfare la domanda di oggetti a prezzo contenuto da parte dei ceti meno abbienti, destinati a diversi utilizzi. La terraglia era inoltre idonea alla decorazione “a terzo fuoco”, ovvero tramite una terza cottura a bassa temperatura che consentiva di ottenere particolari tonalità cromatiche, segnando una trasformazione stilistica sia qualitativa che artistica grazie all’introduzione di nuovi modelli40.

Il livello massimo dal punto di vista qualitativo fu tuttavia raggiunto (sempre in affitto) sotto la direzione di Giovanni Baroni dal 1802 al 1811 e di Paolo Baroni fino al 1824, periodo in cui i tre comparti della fabbrica furono nuovamente riuniti sotto un’unica gestione. La manifattura infatti fu in grado di sopravvivere alla caduta della Repubblica di Venezia, in

38 Ivi, pp. 294-295.

39 Ivi, p. 296; Caizzi, Industria e commercio, cit., pp. 156-157.

40 Favero, “Old and new ceramics”, cit., pp. 306-307; Marini, “La manifattura Antonibon”, cit., pp. 315-325;

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seguito alla quale scomparvero sia il sistema protezionistico dei privilegi e delle esenzioni nel contesto della politica mercantilistica del governo veneziano, sia le agevolazioni fiscali e i divieti di importazione di prodotti esteri concorrenti con i manufatti di Venezia e della terraferma.

L’attività produttiva continuò anche durante la dominazione napoleonica, affrontando le difficoltà connesse all’adeguamento a un nuovo assetto contestuale, ai nuovi dazi e all’aumento dei costi delle materie prime.

Dopo che Giovan Battista Antonibon (ritornato a gestire direttamente l’azienda) decise infine nel 1825 di abbandonare la produzione della porcellana e della maiolica per dedicarsi esclusivamente alle terraglie popolari, nella zona tra Nove e Bassano negli anni Trenta risultavano attive ben tredici fabbriche (che impiegavano circa 350 operai), le quali formavano un vero e proprio distretto non più identificabile nel nome degli Antonibon, ma ugualmente destinato a soddisfare le esigenze del mercato europeo e di nuove tipologie di consumatori41.