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Un’analisi dal punto di vista organizzativo

Come si è avuto modo di illustrare in precedenza, anche l’impresa dei Remondini, al pari delle imprese moderne, disponeva di un’organizzazione intesa come strumento in grado di combinare risorse di vario genere con lo scopo di ottenere la trasformazione di conoscenze, energie e processi in ricchezza e valore economico. Anzi, l’organizzazione in sé costituì una competenza distintiva e una risorsa intangibile indispensabile per l’acquisizione di un vantaggio competitivo e per la sintesi in un risultato vincente di elementi quali il patrimonio familiare, il personale e la dotazione di altri fattori di produzione.

Le scelte organizzative dell’impresa in esame furono influenzate, oltre che dai sistemi macro e micro ambientale di cui si è già discusso, anche da altri tipi di variabili, come quelle istituzionali, individuali e sociali. In particolare, la decisioni riguardanti l’assetto organizzativo furono probabilmente elaborate in ottica strategica, con l’obiettivo di adattamento flessibile alle condizioni del contesto di riferimento e alle strutture e ai meccanismi istituzionali. L’adattamento non fu concepito come una passiva accettazione delle norme e delle consuetudini che da decenni regolavano le relazioni tra gli operatori del settore, ma come sfruttamento calcolato di tali norme al fine di ottenere lo status di impresa privilegiata, che in questo modo avrebbe potuto competere al pari delle altre almeno dal punto di vista istituzionale. Quindi l’adattamento contribuì in maniera fondamentale all’ottenimento dell’efficienza e della flessibilità necessarie per raggiungere il successo aziendale sia economico che competitivo.

Il contesto di riferimento in cui operò l’impresa rappresentò dunque un fattore condizionante sia delle performance sia della struttura, basata sulla gerarchia, sul sistema relazionale e sulla divisione del lavoro. Per questa ragione, l’organizzazione dell’impresa dei Remondini non può essere ricollegata a un’unica visione integrata, né letta attraverso un approccio universale. Essa infatti presenta le caratteristiche del paradigma dell’organizzazione come macchina, per il fatto che fu ottenuto un vantaggio competitivo grazie alla divisione del lavoro e delle mansioni tra gli operai e al conseguente aumento di produttività, ma anche i connotati dell’organizzazione come organismo vivente, in cui esistono una interrelazione e

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una influenza reciproca tra l’aspetto umano e quello tecnico, che a loro volta interagiscono con l’ambiente di riferimento.

Un fattore di successo determinante per l’esito delle attività fu quindi la generale flessibilità e l’elasticità sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, come si è detto, l’impresa era flessibile a livello produttivo, in quanto la produzione aggiuntiva rispetto alla capacità degli impianti veniva commissionata ai piccoli stampatori che operavano nella Dominante. In secondo luogo, l’adattamento al contesto era possibile attraverso l’utilizzo tattico di quegli strumenti normativi previsti da un assetto tradizionale e immobile, che inizialmente aveva contrastato l’ascesa di questa impresa, le cui attività venivano svolte con criteri capitalistici. Inoltre, fu fondamentale la rete di relazioni alimentate dalla cooperazione e dalla fiducia reciproca, soprattutto nel caso dei collaboratori e degli agenti delle filiali a cui veniva assegnata una delega di responsabilità per le questioni di una certa rilevanza. Infine, la flessibilità introdotta dagli stessi collaboratori e dai successori nelle iniziative produttive, alimentate dalla presenza di elementi di novità a livello di comportamenti, motivazioni, stimoli esterni, abilità tecniche e relazionali ed esperienze.

La forma organizzativa che più si avvicina all’assetto strutturale dell’impresa in questione è quella elementare o imprenditoriale. Questa infatti presenta moltissimi punti in comune con il tipo di organizzazione dei Remondini, che si basava in maniera preponderante sul vertice strategico, ovvero sull’imprenditore che si assumeva la responsabilità delle decisioni più importanti e ne controllava gli esiti attraverso la supervisione diretta, sulla gerarchia, ovvero su un assetto piramidale in cui a ogni individuo era assegnato uno status a seconda del contributo fornito nelle attività, e su un’autorità di tipo paternalistico che escludeva la possibilità di un’azione collettiva mirata a modificare i vari aspetti del rapporto di lavoro da parte degli operai24.

Sebbene questa forma organizzativa sia più idonea a spiegare le caratteristiche di un’impresa di piccole-medie dimensioni, ugualmente può essere in parte applicata all’impresa dei Remondini per sottolinearne i punti di forza, ovvero il comando diretto e la concentrazione del potere gestionale e decisionale nelle mani di un unico soggetto, l’imprenditore.

I tradizionali punti di debolezza di questa forma, ovvero i problemi derivanti dall’accentramento dei problemi di gestione, furono invece mitigati e in parte risolti dalla

24 Vedi Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Il paternalismo industriale: una discussione

storiografica, Lorenzo Bertucelli, http://www.dep.unimore.it/materiali_discussione/0257.pdf, data di consultazione 18 maggio 2013.

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presenza di figure intermedie che agivano in condizione di dipendenza, ma in maniera coordinata rispetto alle scelte dell’imprenditore e in base a rapporti amicali e di fiducia.

Quindi, tramite l’azione di queste figure intermedie, avrebbero potuto sussistere i presupposti per il rafforzamento della struttura al fine di ottenere una gestione più efficace, tramite il potenziamento delle posizioni dei collaboratori, l’incremento dei loro ruoli di responsabilità e la spartizione del potere decisionale.

La struttura elementare non è dunque sufficiente a spiegare la totalità degli aspetti organizzativi di quella che, per i suoi mille dipendenti, può essere considerata a tutti gli effetti un’impresa di grandi dimensioni. Ciononostante, i caratteri che non rientrano all’interno di questa fattispecie non possono essere attribuiti alle altre quattro forme organizzative (manageriale decentrata, burocratica, professionale, innovativa). Infatti, nel primo caso, la presenza di una linea intermedia di collaboratori non è paragonabile alla complessità di un classe manageriale articolata nel quartier generale e nelle divisioni. La forma burocratica è invece caratterizzata dalla standardizzazione dei processi di lavoro, dalla divisione netta delle mansioni e da una gerarchica ben articolata, ma non è applicabile all’impresa in esame per il ruolo fondamentale che avrebbe dovuto essere attribuito alla tecnostruttura e alla sintonizzazione e integrazione delle sotto-strutture, ma soprattutto per i problemi di rigidità causati da questo assetto e per la mancanza di adattamento strategico, necessario in un contesto immobile e legato al tradizionalismo. La forma professionale è basata sul lavoro autonomo e responsabile dei professionisti che compongono il nucleo operativo, assente nel caso dell’impresa dei Remondini che ricorreva a professionalità anche elevate ma all’esterno dell’azienda (come nel caso degli incisori). Infine la forma innovativa si contraddistingue per la presenza di relazioni informali tra specialisti che agiscono in maniera integrata e creativa per ideare innovazioni le quali, nel caso in esame, avrebbero piuttosto dovuto essere introdotte dall’esterno in seguito alla loro diffusione.

Solo uno dei punti di debolezza della forma elementare può quindi spiegare l’effetto di questo assetto organizzativo sull’andamento generale dell’impresa e sul successivo declino, ovvero il problema della successione del cosiddetto leader carismatico. Infatti, se ai membri della famiglia che furono responsabili della crescita e dell’espansione dell’impresa può essere attribuita tale qualifica (prima Giovanni Antonio, poi Giuseppe e Giambattista), gli eredi invece non furono successori degni nella conduzione delle attività e non furono nemmeno in grado di ricercare soluzioni innovative di fronte ai cambiamenti contestuali, quasi che lo spirito imprenditoriale dei predecessori fosse svanito, nonostante i tentativi di Giuseppe di apportare un miglioramento qualitativo, ma in un momento non favorevole. In questa

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situazione, solo l’intervento di responsabili intermedi esterni al nucleo familiare avrebbe potuto consentire di riconoscere l’urgenza e la necessità di un rinnovamento ma, d’altra parte, questi non avrebbero potuto partecipare attivamente alla soluzione dei problemi a causa della loro posizione subordinata e dipendente dalle decisioni dell’imprenditore.

La concentrazione del potere nelle mani di un solo soggetto fu quindi allo stesso tempo un fattore di successo e una delle cause del declino nella misura in cui essa non consentì il rinnovamento tecnico e produttivo necessario per sopravvivere in un contesto mutato rispetto a quello in cui l’impresa si era sviluppata, mentre i dissidi interni alla famiglia non permisero il riconoscimento della necessità e dell’opportunità di prendere provvedimenti radicali contro la condotta che avrebbe, lentamente ma inevitabilmente, portato al fallimento.

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5.8 Conclusione

Nonostante l’assenza di un piano strategico formale di lungo periodo determinato a priori e perseguito dai successori per il raggiungimento e mantenimento di un certo equilibrio aziendale sia verso l’interno che verso l’esterno, emerge nel corso del tempo una sorta di percorso assimilabile al ciclo di vita dell’impresa contrassegnato da quattro fasi, la formazione, lo sviluppo, la maturità e il declino25.

Nella fase di avvio emerge infatti la figura del fondatore inventore di origine borghese, ovvero l’imprenditore-capitalista proprietario dei mezzi di produzione e dei capitali necessari per dare avvio a un’attività complessa e orientato alla crescita e all’indipendenza dell’impresa rispetto alle concorrenti, alle istituzioni e ai fornitori.

Nella fase di espansione emerge invece la figura dello stimolatore dello sviluppo, caratterizzata da uno spirito imprenditoriale dinamico grazie al quale poté realizzarsi il completamento del progetto di integrazione verticale delle attività produttive e distributive. Lo stimolatore fu allo stesso tempo il realizzatore dell’innovazione nel senso schumpeteriano del termine, poiché rappresentò un sostanziale fattore di mutamento al tradizionale stato di immobilismo del settore di riferimento.

La fase di maturità fu caratterizzata dall’amministratore operatore che, pur portando avanti la tradizione dell’attività di famiglia, non fu in grado di dedicare la necessaria attenzione agli elementi di cambiamento e di novità che stavano prendendo piede tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX. Costui si limitò quindi alla continuazione dell’amministrazione ordinaria di quanto realizzato dai predecessori, adagiandosi sui fasti del passato e su una linea di gestione non più vincente e competitiva.

Infine, nella fase di declino emersero i successori riorganizzatori che, non più interessati all’attività imprenditoriale, si limitarono a una drastica riorganizzazione degli investimenti familiari che vennero diretti verso i beni immobili, mettendo in evidenza la preferenza verso la rendita e non più verso l’imprenditoria.

Nel cammino intrapreso dagli imprenditori membri della famiglia emerge, a posteriori, un percorso strategico e organizzativo che si evolse di pari passo con la crescita dimensionale e l’espansione dei traffici commerciali. La strategia concepita inizialmente fu infatti adattata alle condizioni settoriali e istituzionali da cui in un primo momento fu tratto vantaggio, ma che alla fine si rivelarono indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa al punto che, una

25 Vedi C.V. Kroeger, “Managerial development in the small firm”, California Management Review, XVI

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volta che furono mutate tali condizioni, gli imprenditori non furono più capaci di ideare una nuova strategia che inglobasse le innovazioni tecnologiche e fosse basata su una mentalità aperta ai cambiamenti, sia culturali che politici, del contesto.

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6 I Remondini e la grande impresa: un possibile modello di

trasformazione?