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Le manifatture del cotone a Venezia e in Carnia

6.4.1 L’iniziativa di Lischiuta

L’iniziativa di Francesco Lischiuta si inserisce nel contesto della manifattura del cotone, introdotta a Venezia attorno alla metà del Settecento in seguito al successo ottenuto dai produttori di pezze e di tele in Carnia e a Cividale e alla norma approvata dai Deputati al Commercio nel 1745 che consentiva l’impiego delle donne in qualità di maestre, lavoranti e garzoni42.

Il Lischiuta approfittò quindi della situazione favorevole per avviare nuove iniziative nel settore che potessero essere idonee al soddisfacimento dei gusti della clientela non abbiente e alla diffusione sul mercato internazionale. Inizialmente egli non mirava all’ingresso nell’Arte veneziana del fustagnari, che versava a quell’epoca in condizioni di profonda decadenza e dimostrava ostilità e chiusura verso possibili mutamenti e originali iniziative imprenditoriali che avrebbero potuto rinvigorire nuovamente il settore, in crisi dagli inizi del Cinquecento.

41 Ivi, p. 529. 42

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Ciononostante, egli divenne capo maestro dell’Arte, il cui obiettivo era quello di limitare le importazioni, e guadagnò così la possibilità di ottenere una serie di privilegi per la propria impresa. Questi furono: l’esenzione dei dazi di entrata e di uscita da Venezia per il biancheggio delle tele, l’esenzione dalle imposte della corporazione, la facoltà di marchiare i propri prodotti con un bollo e di acquistare direttamente il cotone greggio, l’esenzione dai dazi per il transito in terraferma dei carichi di lino e infine un accordo che lo tutelava dalla concorrenza dell’impresa Linussio di Tolmezzo43.

Totalmente libera dai vincoli corporativi e agevolata dalle concessioni delle autorità, l’impresa ebbe la possibilità di crescere a livello dimensionale e produttivo in un settore che in un primo momento fu da questa monopolizzato.

La sua produzione consisteva in generi a buon mercato e di largo consumo, come i

rigadini, le indianine stampate e abbellite con motivi di tendenza (a imitazione di quelle

prodotte a Marsiglia, Aleppo e Augusta), i dimitti, le bombasine, i fustagnetti e i cavezzoli, assolutamente non innovativi nel contesto europeo, ma destinati a ottenere un’ampia quota di mercato grazie al loro sicuro smercio. La grande varietà e la gamma di prodotti si accompagnava all’impiego di materiali differenti, come il lino, il cotone e la canapa44. Per svolgere le lavorazioni, non fu impiantata una grande fabbrica accentrata, soprattutto perché il Lischiuta inizialmente non disponeva di una quantità abbandonante di capitali da investire in una struttura produttiva unitaria di grandi dimensioni. Con le sue sole forze, fu in grado di integrare la manifattura di Venezia, che disponeva di trentadue telai, con il commercio e il lavoro a domicilio delle maestranze rurali, ponendo così in atto una strategia che consentisse una certa flessibilità ma anche il mantenimento costante della capacità produttiva.

Infatti i restanti settanta telai erano collocati perlopiù nei dintorni di Treviso, a Spilimbergo e in altre zone della terraferma, per un totale di 200 operai impiegati direttamente e duemila filatrici che, attorno alla metà degli anni Ottanta, arrivarono a produrre circa 5.300 pezze, delle quali una gran parte veniva esportata, mentre i telai operanti nella Dominante arrivarono a quota quarantasette.

Il successo dell’iniziativa del Lischiuta attirò le attenzioni di altri mercanti-imprenditori, che decisero di imitare le sue produzioni e di impiantare opifici nel territorio veneziano utilizzando la manodopera a domicilio per le lavorazioni e le fasi di filatura. Tra questi si annoverano la ditta di Giuseppe Zopetti e la ditta Mora, la cui sede era collocata a Mirano,

43 Ibidem.

44 Caizzi, Industria e commercio, cit., pp. 171-172. Brevi accenni su questa iniziativa si trovano anche in G.

Luzzatto, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, vol. II, L’età contemporanea dal 1700 al 1894, Padova, Cedam, 1948, p. 174.

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quelle di Bernardo Beggio, di Giovanni Bedena e di Giovan Battista Grego, imprese che, nella loro vivacità, testimoniano lo sviluppo non indifferente del settore in quell’epoca.

Così come era accaduto a Venezia sull’esempio di Lischiuta, i medesimi meccanismi imitativi avevano animato tra gli anni Trenta e Quaranta la fioritura di alcune ditte per la filatura e la tessitura del lino nei circondari di Tolmezzo, dove operava la grande manifattura di Linussio, e di Cividale. Nel distretto carnico infatti erano attivi Tomaso Dal Fabbro, la cui impresa produceva nel 1750 5.000 pezze all’anno, Lorenzo Foramiti, con 20.000 pezze nel 1791, e infine i Linussio, la cui capacità produttiva rasentò le 43.000 pezze nel 178045.

Una problematica di rilievo riguardò tuttavia la questione delle esportazioni delle manifatture del cotone. Infatti, come rileva il Caizzi, sebbene i prodotti riuscissero ad affermarsi all’estero e in particolare sui mercati del Levante e nelle città che si affacciavano sul Mediterraneo, le politiche mercantiliste mirate alla ricerca di nuovi sbocchi di mercato avevano tralasciato le necessità della domanda interna e locale, le cui esigenze dovevano quindi essere soddisfatte con prodotti di qualità medio-bassa analoghi a quelli veneti, ma importati a costi minori da Germania, Svizzera e Olanda46.

Dunque, il successo ottenuto attraverso il sistema di integrazione tra le lavorazioni negli opifici e quelle realizzate nelle campagne e nei centri minori perdurò solo nella misura in cui questo fu ancorato all’ingentissimo utilizzo della manodopera a domicilio, che rappresentava una soluzione di gran lunga più economica rispetto all’accentramento e alla meccanizzazione. L’industria del lino e del cotone era infatti caratterizzata dall’abbondanza di materie prime, come il lino e la canapa, ma nel contempo dall’assenza di investimenti di un certo livello in capitali fissi e dalla conseguente mancanza di un ricorso adeguato a macchinari e strumentazioni che avrebbero permesso di affrontare lavorazioni più complesse, le quali avrebbero a loro volta richiesto tuttavia maggiore sorveglianza e addestramento tecnico47.

Accanto all’assenza di qualsiasi tentativo di meccanizzazione e di adeguamento ai progressi tecnici che stavano prendendo piede in ambito europeo, un ulteriore fattore di declino del comparto fu quindi la radicata avversione al rischio da parte di coloro che possedevano i capitali e, come conseguenza dell’assenza di innovazione, la carenza di operai specializzati e preparati in campo tecnico, nonché la mancata espansione dell’offerta verso prodotti di maggior pregio che avrebbero potuto soddisfare più ampie quote di domanda.

45 Ivi, p. 175.

46 Caizzi, Industria e commercio, cit., p. 173-175. 47

159 6.4.2 L’impresa dei Linussio

L’iniziativa dei Linussio a Tolmezzo fornisce un eccellente esempio di espansione industriale e di ampliamento di un’impresa che, avviata nel 1717, fu in grado di sopravvivere fino al 181448. A partire dal 1725 ebbe inizio la fase di maggiore sviluppo, in concomitanza con la richiesta al Senato da parte di Jacopo Linussio di numerose concessioni, esenzioni e riduzioni daziarie che furono a lui accordate per consentire la crescita dimensionale, il maggiore impiego di manodopera locale nei suoi stabilimenti e il contenimento dell’importazione dei medesimi manufatti dalla Germania.

Tra le concessioni, di particolare importanza furono l’obbligo per trenta operai di praticare la loro professione solo al servizio del Linussio e, nel caso di una loro dimissione, di cambiare mestiere (il gruppo era infatti stato mandato in Germania per scoprire le tecniche e i segreti produttivi delle manifatture), nonché il conferimento dello jus privativo ventennale, secondo il quale nessun imprenditore avrebbe potuto impiantare un’azienda concorrente a quella del Linussio nelle sei miglia circostanti49.

Nonostante il mancato rispetto di questi privilegi da parte dei concorrenti, il Linussio continuò ad accrescere le sue fortune, sperimentando metodi e imitando i prodotti delle manifatture dei territori tedeschi, coltivando direttamente la materia prima, ovvero il lino, e costruendo un opificio a Tolmezzo. Tuttavia nel 1745 Jacopo morì, e la direzione dell’azienda fu assunta dal fratello Gian Pietro. Quest’ultimo si impegnò nel consolidamento aziendale e nella realizzazione di prodotti concorrenziali e di alta qualità, introducendo la diversificazione nella produzione con la fabbricazione di tele “viadane”, sulle quali era stata concessa una privativa ventennale alla fine degli anni Cinquanta, mentre l’immagine della ditta veniva promossa attraverso prestigiose committenze artistiche e architettoniche50.

Informazioni rilevanti riguardo le dimensioni di questa impresa sono ricavabili dalle relazioni annuali sul suo stato, che venivano inviate alla Magistratura dei Cinque Savi da

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Il caso di Linussio è stato oggetto di rinnovata attenzione divulgativa da parte di G. Ganzer, Jacopo Linussio:

un manager del Settecento, Udine, Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1986, p. 31-40. Ma vedi

soprattutto anche G. Cassetti, Di Jacopo Linussio e della tessitura in Carnia, Udine, G.B. Doretti, 1890; L. Molinari, Una grande industria carnica del Settecento: contributo alla storia economica della Repubblica

veneta, Tolmezzo, Tipografia Carnia, 1920; M. Banelli, “Un grande imprenditore nella Carnia del Settecento:

Jacopo Linussio”, Lettere friulane, V (1980), 27, pp. 13-16.

49 Il decreto del Senato che nel 1726 concesse questi privilegi è riportato parzialmente in A. Spinotti, Gl’antichi

e recenti privilegj et esenzione della provincia della Cargna, Venezia, Steffano Monti, 1760, pp. 88-89.

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parte del Luogotenente del Friuli. Ad esempio, nel 1761 veniva rilevato l’impiego di circa duemila persone, tra cui 500 spattolatori, 80 pettinatori e 1.500 occupati ai telai51.

La straordinaria capacità produttiva, che nel 1768 raggiunse quasi le 39.000 pezze, si integrava alla creazione di una fitta rete distributiva che raggiungeva sia gli Stati della penisola, sia i mercati europei e asiatici. Per mantenere una posizione competitiva, i Linussio introdussero negli anni Settanta la lavorazione delle indianine, tele di cotone pressate con stampi di maiolica a diversi colori, seguendo le sollecitazioni del governo veneziano che invitava a favorire l’emulazione per ravvivare la concorrenza. Vennero quindi acquisiti nuovi macchinari e assunti operai specializzati, inoltre fu nominato un direttore della produzione.

Proprio in questo quadro di successo, la ditta soffrì un grave contraccolpo in seguito alle conseguenze del terremoto avvenuto in Carnia il 28 ottobre 1788, che causò ingentissimi danni materiali e contribuì al generale aggravamento della crisi economica dell’azienda che aveva avuto inizio nell’annata 1782-1783 con un calo di produzione probabilmente dovuto alla carenza di lini greggi52.

Nonostante il fatto che negli anni Novanta il governo della Repubblica avesse disposto alcune agevolazioni alla ditta per sollevarla dal degrado, quest’ultima non dimostrò alcun segnale di ripresa, anzi la crisi peggiorò a causa della concorrenza delle manifatture di Gorizia, dei cambiamenti nelle direzioni dei traffici commerciali europei, e più tardi per i saccheggi delle truppe napoleoniche e per l’elevata pressione fiscale sotto la loro dominazione, nonché in seguito per l’avversione degli austriaci, che la consideravano una storica concorrente diretta delle loro manifatture e pertanto non degna di ricevere nuove agevolazioni.

Ebbero così fine le vicende dei Linussio, mentre i territori carnici furono soggetti a un generale degrado sia economico che demografico, a dimostrazione dell’essenziale ruolo sociale svolto dall’impresa nel risollevare per un secolo le sorti di una regione di confine53.

51 ASV, V Savi alla Mercanzia, f. 453, Fabbriche privilegiate, 10 ottobre 1761.

52 Ganzer, “L’arte tessile e la manifattura Linussio”, in Idem (edito da), Tesori d’arte in Carnia. Paramenti sacri

e tradizione tessile, catalogo della mostra tenuta a Gemona nel 1987-1988, Gemona del Friuli, Gemona

manifatture, 1987, pp. 42-48; L. Mainardis, “La fabbrica di tellerie della ditta Linussio”, Almanacco culturale

della Carnia, II (1986), pp. 5-36.

53 Ganzer, Jacopo Linussio, cit., pp. 79-86; Idem, Jacopo Linussio: arte e impresa nel Settecento in Carnia,

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