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Breve storia dell’impresa dei Remondini: dalla nascita alla decadenza

4.2.1 Fondazione, consolidamento e attività industriali

Le informazioni pervenute riguardo alle origini della famiglia Remondini non sono precise, ma secondo le fonti ottocentesche il fondatore delle iniziative imprenditoriali fu Giovanni Antonio (1634-1711), un commerciante di droghe e ferro che tra il 1650 e il 1657 si trasferì da Padova a Bassano e, disponendo di capitali da investire, prese in affitto a livello un ampio edificio collocato nella piazza principale di Bassano13.

Egli impiantò alcune botteghe in cui venivano venduti beni a prezzi accessibili anche per quella parte di popolazione che aveva a disposizione poche sostanze, come nel caso dei contadini. L’utilizzo di manodopera pronta a lavorare per qualsiasi salario e la forte attenzione alla quantità ma non alla qualità furono fattori fondamentali per ottenere i primi guadagni e per incrementare l’ammontare del patrimonio, e con esso anche la posizione di questa famiglia borghese nella società bassanese.

Come ricordato in precedenza, per ricostruire le sostanze familiari al tempo di Giovanni Antonio, è opportuno fare riferimento al suo testamento del 2 dicembre 1711, che fu rogato dal notaio bassanese Antonio Bachis, e agli atti riguardanti la divisione dei beni effettuata dagli eredi dei due rami della famiglia nel 1725.

Di particolare rilievo è il fatto che il lanificio fosse allora la fabbrica principale per un valore di 700.000 lire, mentre le altre attività erano rappresentate dalla stamperia per 430.000 lire, dalla cartiera stimata 2950, la “casoleria” e la tintoria. All’ammontare complessivo delle fortune contribuivano anche i numerosi immobili situati in varie località della regione, i crediti e il capitale liquido, per un totale di circa 1.833.400 lire.

La stamperia divenne in seguito la principale attività, in cui Giovanni Antonio vide una buona opportunità di investimento sin da quando, attorno al 1657, acquistò un torchio che gli permise di riavviare la produzione di operette, libri di devozione, figure di santi e animali indirizzandola verso una clientela ben definita, formata perlopiù da contadini e lavoranti.

A tale iniziativa seguì la nascita delle attività calcografiche, le quali necessitavano innanzitutto delle attrezzature essenziali adeguate, ossia i torchi calcografici e le immagini intagliate nel rame e nel legno, ma anche degli incisori che operavano nei laboratori e dei

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venditori ambulanti provenienti dalla val Tesino che diffusero le stampe prodotte a nome della ditta.

Il periodo di fiorente successo delle iniziative di Giovanni Antonio, caratterizzato da un aumento nelle dimensioni delle fabbriche, nel numero di macchinari e di beni immobili, fu interrotto dalla morte del fondatore e dalla successiva disputa per la spartizione dei beni e delle attività tra gli eredi. Queste ultime furono divise nel 1725 tra i due rami della famiglia: il ramo delle Grazie ottenne il lanificio e il setificio, il ramo di piazza tutte le attività della stamperia. La vicenda della divisione, ma soprattutto la discordia tra i fratelli, influenzarono profondamente le sorti dei due rami e condussero a una irrimediabile frattura familiare14.

La stamperia fu dunque presa in gestione da Giuseppe Remondini (1672-1742), il quale, superata la crisi di riavviamento gestionale, dedicò a questa attività tutte le sue energie, apportando notevoli miglioramenti e razionalizzazioni che consentirono l’espansione dell’impresa, l’aumento delle sue dimensioni e l’individuazione di nuove clientele lontane a cui indirizzare la produzione. In particolare, gli impianti furono ampliati e ammodernati, mentre il problema della scarsa quantità e dell’elevato prezzo della materia prima, la carta, fu risolto tramite l’acquisizione di tre cartiere tra il 1735 e il 1739, proseguendo in questo modo sulla linea di concentrazione verticale elaborata in precedenza dai fratelli.

L’attività calcografica guadagnò nuovo vigore grazie all’istituzione di una scuola per gli incisori che operò dal 1730 nella sede degli stabilimenti e per l’incessante attività dei torchi calcografici che venivano impiegati nella produzione delle immagini popolari dei santi e di altri soggetti, la cui domanda segnalava un costante aumento.

L’espansione all’epoca di Giuseppe fu favorita anche dall’ottenimento di concessioni, favori, privilegi, esenzioni fiscali e diritti privativi garantiti dal governo della Repubblica di Venezia che permisero la diffusione della produzione remondiniana ben oltre i confini regionali, tutelandola nel confronti della concorrenza estera.

4.2.2 L’espansione e il culmine della crescita

In seguito alla morte di Giuseppe nel 1742, la direzione dell’azienda venne trasferita nelle mani dei figli Giovanni Antonio (1700-1769) e Giambattista (1713-1773)15. Fu quest’ultimo, il più giovane, a continuare l’opera di espansione e sviluppo iniziata dal padre

14 F. Signori, “I Remondini e l’amministrazione dei loro beni”, in Infelise, Marini, Remondini, cit., pp. 52-57. 15 Infelise, I Remondini, cit., pp. 23-29. Riguardo a Giambattista, si dice che “in lui fosse riunita l’indole

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per merito di uno spirito imprenditoriale dinamico, di una situazione economica generale favorevole, della bassa incidenza dei costi di manodopera e infine dell’iscrizione della casa all’“Università de’ libreri e stampatori”. L’immatricolazione all’arte avvenne in seguito alla supplica dei due fratelli rivolta ai Riformatori dello studio di Padova nel 1747 e alle numerose controversie tra gli stessi Remondini e gli stampatori immatricolati all’Università, che vedevano minacciate le loro sicure posizioni privilegiate dall’irruenza della casa bassanese. Le contese si conclusero solo parzialmente nel 1750 poiché la corporazione non poteva più reggere l’onere economico derivante dalla continuazione delle questioni poste dai membri dell’arte16.

L’impegno di questa casa emergente fu profuso in maniera particolarmente vivace nella tipografia che, tra i suoi punti di forza, annoverava i 18 torchi funzionanti a partire dal 1750 e i 30 titoli di libri mediamente posti in commercio ogni anno. La considerevole ascesa, l’elaborazione di nuove idee, la volontà di affrontare il rischio per conquistare il mercato e i comportamenti di Giambattista, poco osservanti delle norme secolari che regolavano le relazioni tra gli immatricolati all’arte, ebbero come conseguenza una serie di controversie sia con questi ultimi sia con i calcografi di Augsburg (1766-1773), sia con la corte del re di Spagna Carlo III (1772).

Nel periodo di espansione le iniziative remondianiane compresero anche l’organizzazione di una fonderia per i caratteri tipografici, che in questo modo non dovevano più essere acquistati presso soggetti esterni, realizzando così il progetto di integrazione verticale di tutte le attività legate alla stamperia, dalla fabbricazione della carta (favorita dall’acquisto di una cartiera nel 1766), a quella dei caratteri, alla produzione delle stampe da parte di lavoranti riuniti per la maggior parte nello stesso stabilimento, alla distribuzione e commercializzazione del prodotto finito.

L’incremento dei profitti, della ricchezza familiare e degli scambi commerciali sia interni alla Repubblica sia esteri furono agevolati dalla concessione di privilegi a cui si è fatto accenno poco sopra.

Il culmine del successo dell’impresa remondiniana fu raggiunto grazie a Giuseppe Remondini (1745-1811), figlio di Giambattista. Costui rappresentò il membro della famiglia

16 “Saranno vicendevolmente sopite tutte le pendenze vertenti in qualunque Eccell. Consiglio, Collegio ed

Eccell. Magistrato tra li suddetti sign. Remondini da una, e l’Università de Librari e Stampatori dall’altra, con questo però che il suddetto sign. Gio:Battista Remondini debba esborsare in via di deposito al sign. Giuseppe Bertella Prior […] ducati trecento correnti […] perché il suddetto Gio:Battista Remondini possi essere ascritto nella Matricola dell’Università suddetta con tutte quelle facoltà, prerogative, privilegi e obligazioni che hanno tutti gl’altri Matricolati […]. ASV, Riformatori dello studio di Padova, f. 365, 22-23, Stampa Remondini, 15 settembre 1750.

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che si avvicinò in maggior misura all’ideale del personaggio nobile e colto contrapposto a quello dell’imprenditore borghese dedito alla produzione e al commercio, il cui obiettivo era la realizzazione di un profitto da investire proficuamente.

Sebbene la continuazione delle attività imprenditoriali avviate dai suoi predecessori avesse ottenuto momentaneamente un esito favorevole, Giuseppe non dedicò la necessaria attenzione alle novità che stavano prendendo piede nell’ambito dei gusti della clientela e in quello degli impianti e delle tecniche di lavorazione. Questi ultimi due elementi, congiunti all’indebolimento della spinta innovativa ed evolutiva che aveva caratterizzato il periodo di crescita e all’attenuazione dei conflitti con gli stampatori veneziani, condussero l’impresa alla perdita del dinamismo che l’aveva distinta nei decenni precedenti.

4.2.3 I Remondini nel XIX secolo: la crisi e il declino

I fattori di decadenza a cui si è fatto accenno furono accentuati anche da un generale mutamento della situazione politica, economica, sociale e culturale (in merito al quale si rimanda al primo capitolo) a cui l’azienda non fu in grado di adeguarsi17. Infatti, in seguito al definitivo tramonto delle istituzioni corporative dopo la caduta della Repubblica nel 1797, non sussistevano più le medesime condizioni che, nel corso del tempo, erano state sfruttate dai membri della famiglia per guadagnare un vantaggio competitivo nei confronti degli avversari.

Tali condizioni erano rappresentate principalmente dalle medesime norme corporative delle quali i Remondini avevano tentato di liberarsi in nome della libertà concorrenziale e imprenditoriale, ma di cui si erano serviti per alimentare il proprio successo economico. Se nel contesto della corporazione lo spirito imprenditoriale era insufficiente per consentire l’espansione dell’impresa su scala mondiale, esso invece si sarebbe dimostrato necessario per affrontare le nuove sfide lanciate dai profondi cambiamenti politici e tecnologici, che richiedevano la ricerca di soluzioni innovative, un complessivo rinnovamento e una maggiore apertura all’innovazione.

La situazione dell’azienda peggiorò gradualmente in seguito alla limitazione dei commerci ai soli territori veneti a causa della contrazione dei traffici tra gli stati italiani ed europei durante l’ultimo decennio del ‘700, in cui si verificarono le guerre e i disordini che successivamente avrebbero condotto al tramonto della Repubblica.

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In conseguenza di tale situazione, le merci rimasero invendute nei magazzini e il fratello di Giuseppe, Antonio, accortosi dello spreco di risorse, chiese che la manodopera in eccesso venisse ridotta e che le attività dell’impresa che ormai costituivano solo un costo privo di ritorno economico fossero eliminate. Le controversie tra i fratelli e l’ottusità di Giuseppe nel persistere lungo la solita linea di gestione indussero Antonio a chiedere la separazione delle proprietà comuni, che avvenne nel 1798.

Fino al 1815 la crisi dell’azienda si fece sempre più evidente e, anche dopo la fine delle guerre napoleoniche, i traffici stentarono a decollare nuovamente a causa dei mutamenti a cui essa non era stata in grado di adeguarsi. Tra questi spiccavano in particolare le innovazioni tecniche riguardanti le strumentazioni utilizzate nei processi di produzione della carta e di stampa.

Alla morte di Giuseppe, che non era stato in grado di reagire alla decadenza dell’azienda, nel 1811 fu incaricato della gestione il figlio Francesco (1777-1820), il quale non seppe porre rimedio agli errori del suo predecessore ma, anzi, contribuì ad accelerare il declino rivolgendo l’attenzione alla calcografia, ormai superata dalla litografia che era andata diffondendosi a partire dal 1796, determinando una svolta nel campo della riproduzione delle immagini, e ridimensionando l’azienda con la chiusura del negozio di Pieve Tesino.

Alla sua morte, gli subentrarono la moglie Gaetana Baseggio e la figlia allora minorenne Teresa Gioseffa18. Negli anni successivi, nonostante una minima ripresa dei commerci, i traffici furono ridotti ancor più drasticamente a causa del provvedimento del re di Napoli (1725) che impedì ai prodotti veneti di raggiungere l’Italia meridionale. In seguito alla chiusura del negozio di Venezia nel 1848, le eredi decisero di cessare le attività negli stabilimenti rimasti e di liquidare le fabbriche e le merci invendute, provocando in questo modo la fine definitiva della ditta Remondini.