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Fino a questo punto si è proceduto nell’esame del caso dell’impresa dei Remondini e lo si è analizzato anche facendo utilizzo, laddove opportuno, di elementi derivati da alcune teorie e quadri interpretativi che vengono applicati prevalentemente per spiegare alcuni aspetti delle moderne imprese operanti con criteri manageriali, in contesti caratterizzati da un elevato grado di complessità e competitività, ma anche di internazionalizzazione, integrazione e collaborazione.

L’impresa dei Remondini, come si è avuto modo di spiegare, presenta infatti una serie di elementi in comune con strutture imprenditoriali e organizzative di più recente formazione. La domanda che potrebbe sorgere spontanea riguarda quindi l’eccezionalità di questa iniziativa nel contesto di riferimento, o la possibilità che nella stessa epoca e nella medesima regione si stessero sviluppando tentativi di intrapresa similari in settori diversi da quello editoriale.

Per quanto riguarda invece l’ambito strettamente settoriale, a posteriori risulta evidente che l’impresa in questione è stata un caso di rottura rispetto alle tendenze in atto nel corso del XVIII secolo, rappresentando una sorta di discontinuità e interruzione in un settore contraddistinto dal protezionismo corporativo e da norme non scritte che governavano i rapporti tra gli operatori.

Il caso in esame costituisce quindi, a parere di chi scrive, un episodio inquadrabile all’interno di una struttura più ampia e di un quadro di sviluppo regionale le cui origini sono da ricercare nella natura omogenea dal punto di vista storico dei territori dominati dalla Repubblica di Venezia.

L’emergere della grande manifattura dei Remondini in un ambiente tradizionalmente rivolto alle attività agricole e a quelle manifatturiere di piccole dimensioni non fu sicuramente un evento isolato e unico nel suo genere. Si possono annoverare anche altre iniziative di mercanti-imprenditori protoindustriali che, al di fuori dei centri urbani maggiormente popolati, si imposero con nuovi modelli di organizzazione produttiva in contrasto (ma anche in accordo, nella misura in cui era necessario all’espansione) con il monopolio corporativo e i

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privilegi garantiti alle corporazioni veneziane dalla legislazione della Repubblica1. Tra questi si possono riconoscere, a titolo esemplificativo, la manifattura laniera nell’Alto Vicentino e l’industria della ceramica e della maiolica a Nove e Bassano. Infatti i centri minori dell’area pedemontana furono, sin dagli anni Settanta del Seicento, il teatro di un nuovo dinamismo e di una serie di poli produttivi specializzati a cui facevano riferimento i lavoratori a domicilio2. Per spiegare questo fenomeno è stato introdotto il concetto di industrializzazione pre- industriale (o protoindustriale), che si riferisce all’insieme di attività produttive e mercantili attorno alle quali si aggregarono nuclei corposi di lavoro manifatturiero e si diffuse il sapere tecnico che si era generato nel corso dell’età moderna3.

Le testimonianze di intenso fervore nelle attività protoindustriali settecentesche permettono quindi di tracciare una linea di continuità con la sopravvivenza di queste nel XIX secolo e con il loro passaggio a una fase tecnologico-organizzativa più complessa, grazie alla capacità di penetrazione nel mercato internazionale e a una base tecnologica innovativa e flessibile4.

Come si può evincere anche dal caso dei Remondini, l’industrializzazione precoce costituì una fase di passaggio dalla manifattura artigianale a quella industriale e anticipò le strutture su cui si sarebbe in seguito basato il sistema di fabbrica. Tali strutture potevano essere l’organizzazione meditata dei fattori di produzione, la specializzazione nelle mansioni e la divisione del lavoro così come teorizzata da Adam Smith, la standardizzazione dei prodotti (ma nel caso dei Remondini fu la specializzazione dei prodotti a seconda delle aree di vendita) e la tendenza all’internazionalizzazione dei mercati di sbocco che, come si è detto, facevano già riferimento a una dimensione mondiale.

Nonostante la presenza di aspetti comuni tra le iniziative imprenditoriali sviluppate nel territorio vicentino, emerge l’esistenza di fattori di discontinuità sintomatici di una certa vivacità industriale e della capacità di reagire al cambiamento degli scenari politici, economici

1 Vedi G. Roverato, L’industria nel Veneto: storia economica di un “caso” regionale, Esedra, Padova, 1996, pp.

29-46.

2

W. Panciera, “L’economia: imprenditoria, corporazioni, lavoro”, in P. Del Negro, P. Preto (a cura di), Storia di

Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, vol. VIII, L’ultima fase della Serenissima, Roma, Istituto

per la Enciclopedia Italiana, 1998, pp. 479-499.

3

Questa definizione è stata elaborata in riferimento al caso della Germania nel già citato testo di P. Kriedte, H. Medick, J. Schlumbohm, L’industrializzazione prima dell’industrializzazione, Bologna, Il Mulino, 1984.

4 S. Ciriacono, “L’industria a domicilio”, in A. Lazzarini (a cura di) Trasformazioni economiche e sociali nel

Veneto fra XIX e XX secolo: convegno di studio, Vicenza, 15-17 gennaio 1982, Vicenza, Istituto per le ricerche

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e competitivi5, ad esempio attraverso lo sviluppo di sistemi alternativi per il governo delle relazioni in seguito alla graduale scomparsa dei benefici ottenuti tramite i privilegi.

Non tutte le iniziative furono tuttavia in grado di sopravvivere ai mutamenti radicali del contesto, e la loro durata fu fortemente influenzata dalle capacità imprenditoriali di coloro che vi si dedicavano. Tali capacità avrebbero infatti dovuto essere integrate con l’adozione di innovazioni tecnologiche, con lo sfruttamento di un insieme di risorse naturali e l’adattamento a condizioni ambientali poco favorevoli, nel tentativo di mantenere, anche nel cambiamento, una cultura produttiva radicata nel territorio locale e tra la popolazione che costituiva il capitale umano.

I casi citati si inseriscono perciò in un processo di più ampio respiro, ovvero quello del precoce sviluppo industriale nei territori vicentini in confronto ad altre aree del Veneto che raggiunsero la fase di industrializzazione solo in seguito, grazie alla conformazione policentrica della regione e all’ulteriore sviluppo delle tipiche iniziative manifatturiere di dimensioni piccole e medie6.

In particolare, furono le attività tessili di lavorazione della seta e della lana che registrarono nel Settecento una crescita notevole grazie a una serie di fattori ambientali favorevoli all’impianto di manifatture, ai contatti dei mercanti soprattutto con le aree europee centro-settentrionali, all’accentramento dei telai e di alcune fasi di lavorazione, alla specializzazione nei panni di media qualità, alla spiccata attenzione per le innovazioni tecnologiche e al ruolo centrale assunto dall’imprenditore, figura che nel periodo settecentesco inizia ad assumere i connotati di un soggetto economico moderno, ovvero la propensione al rischio, all’innovazione e la facoltà di prendere decisioni.

Al pari dei Remondini, anche il patrizio veneziano Nicolò Tron riconobbe, dagli anni Venti agli anni Quaranta del Settecento nella cittadina di Schio, la necessità del controllo diretto della forza lavoro, che doveva comportare la graduale scomparsa dei lavoratori a domicilio, trasformati in dipendenti addetti esclusivamente alla produzione7.

In altri centri come Bassano, Marostica, Nove e Breganze si concentrarono invece sin dalla metà del Seicento una serie di attività seriche protoindustriali, come a Vicenza, che tuttavia non esercitava in quel periodo una funzione dominante nel settore8.

5 G.L. Fontana, “Distretti specializzati e grandi imprese nella formazione del sistema industriale vicentino”, in

Idem (a cura di), Le vie dell’industrializzazione europea: sistemi a confronto, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 495- 537.

6 Roverato, L’industria nel Veneto, cit., pp. 31-33. 7 Ivi, pp. 34-35.

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Un altro caso di passaggio anticipato da una produzione basata sull’artigianato a una basata sul sistema di fabbrica è, come si è detto, quello della manifattura della ceramica9. In seguito alla crisi dell’impresa della famiglia Manardi attorno al 172010, emersero alcune aziende che, pur basandosi sui benefici derivanti dai privilegi d’industria, seppero innovare i prodotti e adeguarli ai nuovi gusti del pubblico. Tra queste spicca la ditta di Giambattista Antonibon, un proprietario terriero benestante che nel 1728 impiantò una fabbrica di sua proprietà per la produzione di maiolica, in seguito alla promessa, da parte del Senato veneziano, che sarebbero state sostenute le nuove iniziative dei privati nel settore della porcellana, della ceramica e delle terraglie tramite esenzioni fiscali, con lo scopo di risollevare le sorti di quelle produzioni, danneggiate dall’importazione di ceramiche dall’estero11.

Le iniziative imprenditoriali che si sono descritte sopra si riferiscono quindi a un contesto estremamente vitale dal punto di vista commerciale e produttivo, in cui i Remondini si integrarono e introdussero una vasta quantità di stimoli culturali ed economici12.

Emerge dunque un quadro in cui la loro impresa non fu in sé un evento straordinariamente eccezionale, ma in cui la tipicità consisteva appunto nel fervore dinamico di attività di trasformazione e produzione in molteplici settori. Mentre l’impresa dei Remondini nell’Ottocento non fu in grado di rinnovarsi e di introdurre le innovazioni tecnologiche che sarebbero state necessarie per competere con gli stampatori europei, l’industria laniera di Schio fece registrare l’avvio di una nuova fase di industrializzazione grazie al ruolo di un gruppo di imprenditori socialmente omogeneo e propenso ad accettare i cambiamenti e le complessità di un rinnovamento tecnico e organizzativo.

La domanda che potrebbe sorgere riguarda quindi le motivazioni per cui tale propensione e prontezza nel recepire nuovi stimoli non fu una caratteristica dei Remondini, il cui percorso di evoluzione ed espansione si concluse con il cambiamento dell’assetto politico e contestuale. Al contrario, nel caso dell’industria laniera di Schio, il ceto imprenditoriale ebbe la capacità di rispondere alle sfide poste dall’ingresso in un più vasto sistema economico europeo grazie al precedente sviluppo e consolidamento di una rete di relazioni interne al

9

Vedi G. Favero, “Old and new ceramics: manufacturers, products, and markets in the Venetian Republic in the Seventeenth and Eighteenth centuries”, in P. Lanaro, (edito da), At the centre of the old world : trade and

manufacturing in Venice and the Venetian mainland, 1400-1800, Toronto, Centre for Reformation and

Renaissance Studies, 2006, pp. 271-315.

10

Vedi N. Stringa, La famiglia Manardi e la ceramica a Bassano nel '600 e '700, Bassano del Grappa, G.B. Verci, 1987.

11 Vedi Caizzi, Industria e commercio della Repubblica Veneta nel XVIII secolo, cit., pp. 153-154; Fontana,

“Distretti specializzati”, cit., p. 526; Favero, “Old and new ceramics”, cit., pp. 281-283.

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gruppo, consolidata anche dalle politiche matrimoniali, e formata da soggetti che operavano in base a strategie e comportamenti omogenei13.

In questa sede non è possibile effettuare richiami specifici alla totalità delle nuove energie imprenditoriali presenti non solo nel vicentino, ma anche nell’Alto Trevigiano, nel Bergamasco, a Salò, in Carnia e in altre regioni. Per questo motivo ci si limiterà a un confronto tra l’impresa dei Remondini e le iniziative che appaiono maggiormente significative nei loro aspetti organizzativi, gestionali e strategici, ovvero le manifatture della lana, del cotone e della ceramica.