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4.4.1 Lavoro e processi produttivi nelle cartiere

Le cartiere remondiniane inizialmente si servivano dei tradizionali procedimenti di lavorazione manuali, mentre in seguito, specialmente dopo la ristrutturazione della cartiera di Oliero, vennero introdotti i macchinari olandesi che consentirono risparmi di tempo e una maggiore efficienza.

Il processo manuale prevedeva l’impiego di donne e fanciulli provenienti dalle campagne nelle mansioni che richiedevano minore sforzo fisico, come la divisione e la scelta degli stracci di cotone e lino, la fase finale di confezione del prodotto, la pulizia degli utensili e il trasporto interno del prodotto. Gli uomini adulti erano invece impiegati nelle fasi di triturazione e distruzione del tessuto che veniva così trasformato in una pasta ridotta in fibre minute, le quali venivano a loro volta immerse nei tini (vasche circolari con diametro di circa due metri) e mescolate all’acqua. L’operaio detto prenditore affondava la forma nella pasta e la sollevava, mentre il ponitore prendeva la forma col foglio e la rovesciava sopra un feltro di lana a cui il foglio rimaneva aderente e veniva coperto con un secondo feltro finché si otteneva un certo numero di fogli formanti una pila. I fogli venivano appesi per essere asciugati, incollati e infine pressati, scelti, imballati e spediti50.

L’organizzazione dei reparti e della manodopera variava in base alle dimensioni della cartiera e del tipo di carta che si produceva. Il numero degli operai impiegati giornalmente

49 Infelise, L’editoria veneziana, cit., pp. 211-216.

50 A. Fedrigoni, L’industria veneta della carta dalla seconda dominazione austriaca all’unità d’Italia, Torino,

ILTE, 1966, pp. 14-15, 22. L’autore riporta alcuni dati riguardanti la retribuzione di donne, fanciulli e uomini nelle cartiere della provincia di Vicenza negli anni 1827 e 1844, ma non attribuibili con certezza alle cartiere Remondini (dati ricavati dalle registrazioni della Camera di Commercio nell’Archivio di Stato di Vicenza). I primi provvedimenti governativi in materia di lavoro furono successivi al 1843 e riguardarono l’impiego dei fanciulli nelle fabbriche e il divieto di vendita di alcolici negli spacci aziendali.

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negli stabilimenti si attestava intorno ai duecento secondo la testimonianza del podestà di Bassano nel 1761 e intorno ai sessanta secondo le fonti del XIX secolo. I lavoratori non possedevano competenze specifiche e venivano radunati negli stabilimenti poiché il processo produttivo avveniva totalmente al loro interno e lì erano situati i macchinari e gli attrezzi impiegati nella produzione51.

In seguito all’introduzione dei macchinari di tipo olandese si rese necessario l’impiego di tecnici specializzati provenienti dalla Germania che padroneggiassero la nuova tecnologia attraverso le loro conoscenze.

4.4.2 Lavoro e disciplina nelle attività calcografiche e tipografiche

Come si è avuto modo di spiegare in precedenza, il lavoro degli incisori poteva essere svolto sia all’interno del laboratorio di Bassano sia presso i domicili dei collaboratori dell’azienda. Purtroppo non si dispone di notizie precise riguardo all’organizzazione del lavoro degli incisori a Bassano: se per esempio ogni addetto portasse a termine singolarmente l’incarico ricevuto o se nel lavoro di intaglio i soggetti fossero organizzati in una sorta di catena di montaggio o ancora se le mansioni fossero divise in base alle competenze degli incisori più esperti52.

Considerando invece il quadro completo dell’organizzazione del lavoro, emerge senza dubbio la peculiarità e unicità dei Remondini rispetto agli usi degli stampatori ed editori loro contemporanei53.

L’organizzazione dell’impresa si distingueva per l’accentramento della manodopera, dei macchinari e degli strumenti nella sede centrale della ditta, per “l’estrema efficienza, razionalità e di conseguenza sveltezza e maggior economicità dell’intera struttura”54.

Infatti negli stabilimenti di Bassano non operavano solo gli incisori, ma anche i miniatori, i legatori di libri, gli addetti alla preparazione delle tinte, alla fusione dei caratteri e al trasporto dei materiali, nonché gli addetti alla messa in opera e alla manutenzione dei torchi, per un totale di circa mille persone impiegate55.

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Infelise, I Remondini, cit., p. 70. Secondo il censimento del 1818 gli impiegati nell’industria della carta nel territorio veneto erano 1186 e il numero degli addetti per ogni fabbrica poteva variare da un minimo di 5 a un massimo di 85. Fedrigoni, L’industria veneta, cit., p. 52.

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Gosen, Incidere per i Remondini, cit., p. 13.

53 Zotti Minici, Le stampe popolari dei Remondini, cit., p. 43. 54 Ibidem.

55 Infelise, I Remondini, cit., pp. 81-82. Secondo la relazione dei Riformatori, gli impiegati erano 1500. ASV,

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Nella stamperia operavano i compositori, i torcolieri, i garzoni e i facchini. I primi erano coloro che ottenevano la retribuzione più elevata, di 4 soldi ogni mille lettere. I secondi percepivano salari differenti a seconda che svolgessero le funzioni dei tiratori, i quali effettuavano l’impressione ponendo in azione la leva che faceva girare la vite del torchio, o battitori, responsabili dell’inchiostratura delle forme. I garzoni erano i giovani assunti per imparare il mestiere e ricevevano salari più bassi rispetto a quelli degli operai specializzati, così come i facchini che svolgevano i compiti di fatica56.

Per diminuire il più possibile il costo della manodopera, i Remondini selezionavano gli operai provenienti dalle campagne e spesso la loro condotta verso i dipendenti (in particolare per quel che riguardava il riconoscimento delle qualifiche) e i collaboratori a domicilio era scorretta in quanto miravano a risparmiare anche sul compenso pattuito per le commissioni57.

Per l’organizzazione e la disciplina del lavoro di questa grande quantità di operai, i Remondini ottennero nel 1766 da Gabriele Marcello, Savio della Mercanzia, una terminazione che regolamentò l’attività delle maestranze sia nelle cartiere sia nella stamperia58.

In questo regolamento, il savio procede a ricordare l’importanza della fabbrica dei Remondini la quale, insieme a quelle di Schio, Marostica, Nove e Bassano, apparteneva a una classe privilegiata di imprese che meritavano di essere tutelate e “dirette con buona disciplina e successo corrispondentemente alle pubbliche intenzioni, ed agli ottenuti privilegi, […]”. Era dunque necessario “fissare e stabilire le regole opportune di disciplina per tutti gli operai della Fabbrica di essa Dita, e ciò per il buon andamento, e direzione della Fabbrica medesima”.

In base al primo punto, i capi-reparto delle diverse arti e dei mestieri dovevano presentarsi in anticipo all’ora fissata per i diversi mesi dell’anno e ed erano addetti all’apertura delle officine vigilando sull’ingresso degli operai e sulla loro corretta disposizione nel luogo di lavoro. I capi avevano anche il dovere di essere gli ultimi a uscire e di raccogliere e spegnere i lumi nella stagione invernale per evitare possibili incendi. Si precisa che costoro “dovranno altresì osservare tutte le altre [incombenze] spettanti a una perfetta custodia e vigilanza a vantaggio della Fabbrica, che gli verranno imposte dal loro Principale, specialmente per la perfetta riuscita d’ogni e qualunque lavoro”.

Il secondo e il terzo punto specificano l’orario di inizio e fine del turno valido per ogni mattina e sera a seconda del mese, in base alla tabella oraria vigente nella Repubblica di

56 Infelise, L’editoria veneziana, cit., pp. 203-206. 57 Idem, I Remondini, cit., pp. 84-86.

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Venezia fino alla Rivoluzione Francese, in cui le ore sono indicate in maniera differente rispetto a quella attuale59. La giornata lavorativa poteva durare da 12 a 15 ore nei mesi estivi, quando la luce naturale consentiva il prolungamento dei turni. Ogni operaio doveva osservare gli ordini imposti dal capo e poteva abbandonare la posizione per la pausa pranzo (di un’ora o un’ora e mezza) solo al suono che segnalava il mezzogiorno, prodotto da una “competente campanella fatta adattare in luogo opportuno, perché servir possa di segno imancabile per la venuta e partenza degli operai alle ore destinate dai precedenti capitoli” (punto quarto).

Il quinto punto stabilisce con chiarezza le conseguenze dell’assenteismo “senza permesso e senza legittima causa” nei giorni feriali, ovvero l’ammonizione del datore di lavoro nel caso della prima assenza dell’operaio, mentre alla seconda occasione il principale lo avrebbe denunciato al “pubblico rappresentante di Bassano” o al Savio della Mercanzia deputato alle fabbriche in Venezia, i quali avrebbero stabilito gli opportuni provvedimenti.

Il sesto punto riguarda i permessi di lavoro che potevano essere accordati e che implicavano una riduzione del salario giornaliero.

Al settimo punto si indica il divieto di introdurre “armi da punta, o da taglio, e molto meno da fuoco” all’interno degli stabilimenti, a pena dei “dovuti castighi” decisi dal principale.

L’ottavo punto proibisce le offese, le azioni improprie, le ubriacature e le liti violente tra gli operai che altrimenti sarebbero stati castigati.

Il nono e ultimo punto riguarda il divieto di appropriazione indebita e di trasporto, dono, alienazione o trafugamento di materiali, caratteri, tinte, colori e altri utensili al di fuori delle officine, altrimenti sarebbe stato “preciso impegno del Principale di ricorrer, come nel quinto articolo, perché nei modi e forme […] abbia il reo a soggiacere a quel castigo, che serva a questi di correzione, e di esempio agli altri, a scanso di tali mancanze”.

Tale terminazione avrebbe poi dovuto essere stampata a spese della ditta e conservata nel registro del “Ministro destinato a servir alla Deputazion alle Fabbriche”.

Quindi questo regolamento rappresenta un fondamentale punto di riferimento per comprendere quale disciplina venisse applicata in un’impresa accentrata e sottolinea che una totale efficienza era necessaria per il consueto svolgimento delle attività giornaliere e per garantire un ambiente di lavoro privo di conflitti interni, che sarebbero andati a discapito della produttività.

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