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I Remondini tra borghesia e capitalismo familiare

Dopo aver esaminato i fattori e le vicende storiche che influirono sulla nascita, lo sviluppo e la decadenza dell’impresa dei Remondini, si procederà ora all’applicazione di una serie di strumenti e quadri interpretativi di tipo qualitativo alle caratteristiche imprenditoriali, produttive e organizzative di un’iniziativa economica che spiccò per i suoi connotati di originalità e unicità e svolse un ruolo anticipatore nell’identificazione di problematiche e criticità attuali. Gli strumenti teorici scelti, i cui contenuti sono stati trattati nei capitoli due e tre, saranno applicati nella consapevolezza del fatto che sono stati elaborati per spiegare evoluzioni e fattispecie imprenditoriali e contestuali che si sono manifestate solo successivamente al periodo in cui si situa il caso studiato, mentre l’obiettivo principale in questa sede è quello di raggiungere una possibile ipotesi significativa riguardo a un modello, la cui validità rimane comunque da testare, attraverso un metodo di ricerca non rigoroso.

Il caso dei Remondini, famiglia della borghesia imprenditoriale veneta, si colloca chiaramente nel contesto dell’epoca pre-industriale, ma le vicende dell’impresa si sono svolte in un periodo di transizione verso un mutamento radicale e un generale ammodernamento delle strutture produttive, tecnologiche e gestionali. Come si è avuto modo di illustrare nei capitoli precedenti, tale cambiamento nel territorio veneto ebbe inizio con la caduta della Repubblica di Venezia e con la scomparsa del sistema di privilegi e di concessioni che aveva permesso alle imprese del settore editoriale di essere tutelate nei confronti delle concorrenti estere, ma non dagli eventi esterni, come l’ingresso nella corporazione di una casa operante in terraferma, e dagli eventi remoti, come l’esclusione dal mercato dei titoli degli autori gesuiti in seguito alla loro espulsione dalle terre borboniche.

Tra la seconda metà del XVIII secolo e gli inizi del XIX, i mutamenti negli equilibri politici ed economici europei causarono una generale trasformazione, accentuata in modo particolare dallo sviluppo in Inghilterra di una nuova modalità di produzione, ovvero il sistema di fabbrica, basato sull’introduzione di macchine per la conversione del calore in lavoro, sull’aumento della produttività dovuto alle abbondanti provviste energetiche e sulla proprietà dei mezzi di produzione da parte dell’imprenditore-capitalista nel settore tessile1.

1 Vedi D.S. Landes, Prometeo liberato: trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa

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In questo contesto europeo caratterizzato da un elevato grado di dinamismo e di rinnovamento nelle tendenze di lungo periodo, si assiste a un caso di sviluppo imprenditoriale in territorio veneto emblematico delle difficoltà e delle sfide che un’azienda nata nei primi anni del secolo fu costretta ad affrontare per espandersi e sopravvivere.

Innanzitutto si può notare la presenza di una figura tipica dell’età pre-industriale, ovvero quella del mercante-imprenditore, riconoscibile in Giovanni Antonio Remondini, il fondatore delle attività produttive familiari nella cittadina di Bassano. A costui si possono senz’altro attribuire tutte le caratteristiche di tale figura: infatti egli disponeva dei capitali sufficienti per l’acquisizione dei mezzi di produzione e del potere di decisione riguardo ai prodotti e alle modalità di produzione e della facoltà di rilevare gli stabili necessari per lo svolgimento delle attività e per l’impiego della manodopera. I piccoli produttori di panni e di seta del circondario bassanese furono probabilmente danneggiati dall’arrivo di Giovanni Antonio, che riuscì ad instaurare nuovi rapporti di produzione con la manodopera proveniente dalle campagne e dalle montagne.

Costui tuttavia non fu solo un mercante-imprenditore, che fu in grado di vincolare a sé un gran numero di lavoratori, ma fu anche un imprenditore-capitalista secondo la nozione elaborata da Sombart e da Schumpeter. Sia il fondatore della ditta che i suoi successori rivestirono il ruolo di fornitori di mezzi di produzione e di mezzi finanziari, ma anche di organizzatori degli aspetti legati strettamente legati alle attività produttive e commerciali.

Tra le tipologie di soggetti teorizzate da Sombart e compatibili con la figura di imprenditore-capitalista compare anche la categoria dei “borghesi”, cittadini appartenenti al ceto medio ed esercitanti attività artigiane e agricole di dimensioni contenute. I Remondini si possono dunque inserire all’interno di questa classe di soggetti, con le dovute cautele di una categorizzazione che non esplicita le numerose differenziazioni interne a questo gruppo, a causa della loro vocazione familiare verso le iniziative produttive alimentate inizialmente da un patrimonio privato probabilmente derivante da attività commerciali praticate in precedenza.

Purtroppo non esistono fonti attendibili che dimostrino l’origine del patrimonio di Giovanni Antonio, che era benestante. Presumibilmente, la ricchezza di cui egli già disponeva al suo arrivo in Bassano poteva derivare dai guadagni accumulati grazie alla professione di commerciante di droghe (spezie) e ferro, anche se questa difficilmente sarebbe sufficiente per spiegare una tale accumulazione di capitali, ma soprattutto dai profitti ricavati dal lanificio di proprietà a Padova, di cui si ha notizia grazie alla matricola dell’Università della lana, mentre nella stessa città altri operatori svolgevano il medesimo mestiere. Grazie ai profitti, ebbe la

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possibilità di aprire nella piazza di Bassano attorno alla metà del Seicento, accanto al negozio di ferramenta, altre botteghe: una di stampe e di libri di devozione e cultura popolare (per cui forse non aveva visto spazi adeguati a Padova), una di merceria per le lane e i filati e una “casoleria” per i prodotti dei terreni di cui era proprietario2.

Dunque il patrimonio su cui poterono fondarsi le attività produttive remondianiane non ebbe origine dalle ulteriori fonti elencate da Sombart: né dalle rendite della grande proprietà terriera feudale né dalle provvigioni guadagnate dalle attività di prestito di denaro alla nobiltà né dai profitti ricavati dall’economia di schiavitù.

Il capitale dei Remondini era dunque di tipo “borghese” ed era derivato dalla rigenerazione e dal reimpiego di reddito derivante da altre attività commerciali e produttive, mentre in seguito la ragione della loro fortuna fu l’intuizione di produrre generi popolari su larga scala.

L’iniziativa della famiglia bassanese può dunque rientrare nella definizione di impresa capitalistica, forma economica caratteristica del capitalismo, fornita da Sombart, ma con alcune riserve. Infatti, sebbene lo scopo dei Remondini fosse chiaramente quello di raggiungere un guadagno e di accumulare sostanze da reinvestire3, esso non fu raggiunto tramite la stipula vantaggiosa di contratti per prestazioni e controprestazioni valutabili in denaro, bensì attraverso l’utilizzo dei vantaggi forniti dal sistema dei privilegi, rimanendo decentrati a Bassano, e l’esistenza di diritti di proprietà formalizzati sui beni, sulle materie prime e sulle macchine impiegate nella produzione. Come si vedrà nel capitolo successivo, i contratti in particolare non erano presenti nel caso della forza lavoro, la quale veniva probabilmente reclutata nelle campagne del bassanese ed era vincolata al datore di lavoro non da accordi stipulati formalmente, ma dalla necessità di sopravvivere alla povertà e a una situazione di precario equilibrio economico. Le condizioni di vita di questa fascia della popolazione erano infatti rese difficoltose dalla stagnazione economica che contraddistinse i territori veneti nel corso del ‘700 e, per questa ragione, la manodopera priva di occupazione era disposta a lavorare per qualsiasi salario pur di non soffrire la fame4.

2 Signori, “I Remondini e l’amministrazione dei loro beni” in Infelise, Marini, Remondini, cit., p. 52.

3 Signori fa notare come, nel corso del tempo, si radicò nei Remondini la tendenza familiare di investire il denaro

in circolo continuo, senza lasciarlo mai immobile nelle casse, in titoli bancari, immobili, terreni e livelli. Questa abitudine è dimostrata dai numerosi atti notarili di natura amministrativa rogati dai notai di Bassano. Ivi, p. 53.

4 Infelise, I Remondini, cit., p. 16. Riguardo alle condizioni di vita, i problemi economici e di sostentamento della

popolazione nelle zone circostanti Bassano, vedi G. Lombardini, Pane e denaro a Bassano: prezzi del grano e

politica dell'approvvigionamento dei cereali tra il 1501 e il 1799, Venezia, Neri Pozza, 1963. Riguardo ai

problemi dell’agricoltura veneta della terraferma nel XVIII secolo, vedi G. Gullino, “Dall’Arcadia all’economia: il problema agricolo nell’ultimo secolo della Repubblica veneta”, in M. Knapton, G. Gullino, S. Ciriacono, P. Ulvioni, G. Silini, Venezia e la Terraferma: economia e società, Bergamo, Comune di Bergamo: Assessorato alla Cultura, 1989.

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Naturalmente i criteri di azione che stavano alla base della mentalità imprenditoriale del fondatore erano lontani dai ragionamenti marxiani sull’economia capitalista e sulla diminuzione del costo unitario del lavoro all’aumentare dell’utilizzazione della forza lavoro remunerata con un salario stabilito, ma si avvicinavano di più a una logica di uso razionale delle risorse e all’attenzione per una maggiore quantità prodotta a basso costo e basso prezzo, destinata a clientele dotate di un ridotto potere d’acquisto.

Nel caso della manodopera, vigeva quindi una sorta di tacita intesa non scritta che prevedeva la collaborazione dei lavoratori nullatenenti con i possessori di mezzi di produzione in base a un meccanismo di scambio secondo cui la forza lavoro veniva ricompensata con un salario, differenziato a seconda dell’età, del sesso e delle mansioni affidate, ma non veniva tutelata dai soprusi, dagli abusi di potere, dalle scorrettezze e dalle faticose condizioni di lavoro. In particolare, la forza lavoro operava in un contesto ormai industriale, senza la possibilità di usufruire della tutela sociale e dell’assistenza che venivano offerte dalla corporazione agli iscritti, garanzie che rendevano più alto il costo del lavoro, all’interno di un sistema che d’altra parte nel corso del Settecento aveva iniziato a dare forti segni di cedimento e di insostenibilità.

Nell’impresa dei Remondini è dunque riconoscibile una forma di capitalismo familiare, in cui vigeva l’identità tra la proprietà del patrimonio dell’azienda, della famiglia e il controllo della sua gestione, corrispondenza che nel lungo periodo finì per ostacolare la crescita dell’azienda5. Quest’ultima fu impedita anche dalla mancata considerazione della necessità di un’amministrazione maggiormente articolata e dell’inadeguatezza di tale forma familiare per fronteggiare le complessità tecnologiche e la spinta all’innovazione dei processi di produzione agli inizi dell’Ottocento.

Infatti, da un lato il passaggio da processi di lavorazione manuali a tecnologie in parte meccanizzate, che facevano utilizzo di manodopera poco qualificata, e gli alti livelli di integrazione verticale raggiunti con l’acquisizione di attività produttive collaterali dall’altro, avrebbero reso indispensabile un cambiamento verso una organizzazione che si potrebbe definire di tipo manageriale e verso il coordinamento amministrativo, mutamento che però non avvenne né a Bassano né in nessun’altra città italiana almeno fino al 18306.

5 W.H. Lazonick, L’organizzazione dell’impresa e il mito dell’economia di mercato, Bologna, Il Mulino, 1993,

pp. 41-49.

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La prima stamperia moderna fu quella di Giuseppe Pomba a Torino. Vedi L. Firpo, Vita di Giuseppe Pomba da

Torino: libraio, tipografo, editore, Torino, UTET, 1975. Le tecnologie in parte meccanizzate a cui si fa

riferimento in questa sede sono la già citata macchina di tipo olandese introdotta nella cartiera di Oliero attorno agli anni Ottanta del ‘700 e la macchina continua, ideata in Francia del 1799, che permise la meccanizzazione di tutte le fasi di fabbricazione del foglio. Dell’introduzione di quest’ultima nelle cartiere Remondini non si ha

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L’impresa dei Remondini, per tutto il corso della sua esistenza, rimase infatti un’impresa familiare, caratterizzata dal possesso e dalla gestione da parte di più membri del medesimo nucleo familiare e da una resistenza tenace contro le asimmetrie informative e il grado di incertezza nell’ambiente economico7.

Il termine impresa familiare non deve tuttavia trarre in inganno ed essere considerato come sinonimo di impresa di piccole dimensioni. Infatti quella dei Remondini fu un’impresa di dimensioni medio-grandi caratterizzata, nel periodo di massima espansione, da un’elevata efficienza e redditività, elementi che le consentirono di sopravvivere per un lungo periodo e di assumere un approccio evoluto e attivo a livello produttivo e commerciale, in contrasto con l’immobile realtà corporativa.

5.2 Analisi del caso Remondini in base ai contributi teorici sulla nascita