Vale la pena, a questo punto, chiarire alcuni aspetti direttamente connessi alla natura del soggetto. Abbiamo poco sopra accennato quanto sia importante la sua unicità, oltre che quella dell’oggetto, poiché è dalla personale dimensione del singolo che nasce il significato connesso all’oggetto; non abbiamo però chiarito che i differenti strumenti di analisi o di manipolazione utilizzati nell’approccio multiplo sono di per se stessi espressione dell’uomo in quanto individuo. Infatti, tali strumenti vengono scelti solo sulla base della libertà d’azione e di scelta del singolo, il quale può decidere di rifarsi a esperienze antecedenti, oppure avvalersi di qualcosa di completamente nuovo: non esiste una codificazione aprioristica che premetta lo strumentario a ogni azione tecnica.11
In questi termini, l’affermazione lascerebbe spazio a libertà gratuite, che poco hanno a che vedere con il concetto di metodo come sopra esposto, poiché risolvere un problema significherebbe poter indifferentemente utilizzare strumentazioni tra loro non assimi- labili, le quali sono scelte solo sulla base della libera discrezione del singolo individuo che le utilizza. Si avrebbe cioè un’aleatorietà nell’utilizzo del metodo, poiché il metodo non imporrebbe regole certe sul tipo di strumenti necessari.
Una riflessione approfondita su quanto detto fino a ora, però, ci condurrebbe ad accet- tare come inopinabile l’impossibilità di riuscire a codificare la scelta degli strumenti utilizzati in uno specifico ambito tecnico. Se infatti definiamo come singolare e unico lo specifico contesto all’interno del quale l’azione tecnica interviene, non possiamo che rinnovare in funzione di esso gli strumenti che fanno parte dell’approccio multiplo; si dovrebbe cioè proiettare la singolarità dell’oggetto sugli strumenti che su di esso dovrebbero agire.
Vale la pena tornare a sottolineare che in tutto questo ricopre un ruolo di fondamentale importanza l’individualità del soggetto, la quale è inizialmente, attraverso un’attribuzione di significato, l’origine della dimensione singolare dell’oggetto; successivamente, per via di questo riconoscimento univoco e particolare, è la ragione che determina l’utilizzo di strumentazioni non codificabili. E’ quindi evidente che il campo d’azione del metodo da utilizzare in una dimensione tecnica non include l’aspetto fenomenologico esteriore
delle strumentazioni; in altri termini, esso non può fornire delle regole che riguardino il tipo di mezzi e il modo di utilizzo degli stessi, poiché quest’aspetto è in continua muta- zione a seconda dello specifico su cui ci si trova a confrontarsi.
Allora, su cosa e in che modo il metodo interviene al fine di eliminare l’aleatorietà potenziale che si annida in ogni processo? A nostro avviso si può dare una risposta alla domanda se si cerca di capire non tanto l’aspetto esteriore, diciamo tattile, del rapporto tra strumenti e oggetto, quanto piuttosto il tipo di relazioni che intercorrono tra questi due termini, ossia: come gli strumenti agiscono sull’oggetto; in cosa si concretizza il loro utilizzo; quale è il loro fine ultimo?
Può essere utile tornare alla definizione di tecnica. Da quanto detto in precedenza, si evince che il suo fine ultimo è quello di creare nuovi prodotti e mezzi che migliorino le condizioni di vita dell’uomo. La strumentazione messa in opera e applicata a uno speci- fico contesto ha uno scopo preciso: rendere l’oggetto sul quale interviene un mezzo necessario a migliorare la condizione umana. Tale è la relazione fondamentale che inter- corre tra strumento e oggetto, ed è in quest’ambito che il metodo deve imporre delle regole per riuscire a garantire il raggiungimento della verità, a prescindere dalle stru- mentazioni impiegate. Le regole di un metodo, perciò, trovano un appropriato campo di applicazione nell’aspetto comune a ogni specificità affrontata, il che equivale a pren- dere in considerazione le caratteristiche proprie del fine ultimo perseguito, cioè quello che noi definiamo mezzo.
Nella filosofia contemporanea la maggior parte degli enti tende a essere definita attra- verso il complesso legame tra materia e forma. Ciò è vero anche per il mezzo, anche se vale la pena proporre qualche approfondimento prendendo spunto dagli studi di Martin Heidegger che affrontano il tema. Nel testo che ha per oggetto lo studio della reale essenza dell’opera d’arte,12lo studioso chiarisce che nel mezzo è la forma, in quanto
contorno, che determina l’ordinamento e la disposizione della materia. Non solo, essa ne implica anche la qualità e il tipo. Tale legame tra forma e materia è però imprescin- dibilmente condizionato dall’uso che si fa del mezzo.
E’ importante, inoltre, non considerare l’usabilità del mezzo come qualche cosa di aggiunto secondariamente; al contrario, essa è il presupposto in base al quale l’uomo si impegna nella fabbricazione di un mezzo, il quale «ci è-presente, essendo così l’ente che è». Il mezzo, allora «è sempre il prodotto di una fabbricazione diretta all’approntamento di un mezzo-per qualcosa».13
Ritornando agli argomenti sopra espressi, possiamo sostenere che l’architettura, in quanto tecnica che si interessa teoricamente e praticamente di mezzi posti al servizio dell’uomo, si trova in una condizione di contiguità concettuale con i temi espressi da
Heidegger. In particolare, ogni tema architettonico non può prescindere dall’essere
mezzo-per l’uomo, quest’ultimo rivisto nella sua dimensione più ampia; inoltre esso nasce
da un bisogno d’uso già connaturato alla realtà umana, per la quale non è mai un’im- posizione, ma al contrario trae da essa linfa.
Heidegger aggiunge alle idee già espresse alcune osservazioni, che portano il significato di mezzo a un livello ancora più profondo. Rilevante per noi è la seguente. «E’ nel corso di questo uso concreto del mezzo che è effettivamente possibile incontrare il carattere del mezzo. Fin che noi ci limitiamo a rappresentarci un paio di scarpe [...] vuotamente presenti nel loro non-impiego, non saremo mai in grado di cogliere ciò che, in verità, è l’esser-mezzo del mezzo».14Ogni mezzo, nella citazione un paio di scarpe, deve essere
immaginato in un contesto definito a partire dall’usabilità che gli è propria. Si pensi a quanto ciò possa essere importante, se riferito alla metodologia da impiegare in una progettazione o in un’analisi di uno specifico tema architettonico. Immaginare o deco- dificare, a partire dalla dimensione umana, l’uso precisamente realistico di un’architettura è fondamentale se non si vuole cadere nell’astrazione.
Ritorna con insistenza, quindi, il tema dell’unicità e della specificità dell’oggetto di inte- resse della tecnica, ossia del mezzo, che va considerato come a sé stante. Ritornando per l’ultima volta al testo di Heidegger, secondo l’autore rivedere il mezzo nel contesto d’uso che gli è proprio permette di comprendere come l’usabilità del mezzo trae origine da una necessità essenziale che si crea nel rapporto tra il mezzo e chi lo usa. Questa necessità è chiamata da Heidegger fidatezza ed essa permette al soggetto che fa uso del mezzo di avere un’inconsapevole certezza nel mondo che lo circonda, quasi che il mezzo divenisse l’elemento costante di mediazione tra il soggetto e la realtà in cui si colloca; il filtro attraverso il quale si possono ritrovare delle abituali certezze.15
Ci piace sottolineare il carattere abituale che si attribuisce all’uso del mezzo, soprattutto in riferimento all’architettura. Valter Benjamin sostiene in un suo testo che l’architettura è fruita in un duplice modo: attraverso l’uso e attraverso la percezione, ossia in modo tattile e in modo ottico. «La fruizione tattica non avviene tanto sul piano dell’attenzione quanto su quello dell’abitudine. Nei confronti dell’architettura, anzi, quest’ultima deter- mina ampiamente anche la ricezione ottica».16 L’esplicita analisi dei caratteri che
definiscono l’essere-mezzo del mezzo, che noi abbiamo voluto fin qui proporre, restituisce la dimensione della verità che ogni metodo dovrebbe impegnarsi a raggiungere, attra- verso la promozione di un insieme sistematico di regole.
A proposito dei caratteri che qualificano il metodo rimane, però, un ultimo aspetto da definire. Se analizzassimo un qualsivoglia numero di esperienze architettoniche o di studi inerenti a esse, e più in generale di risultati di azioni tecniche, ci accorgeremmo
che ogni soggetto propone, secondo un diverso grado di approfondimento logico, un suo personale metodo. Dicendo questo non ci riferiamo alla strumentazione da impie- gare in una specifica disciplina tecnica, poiché ricordiamo che secondo noi il metodo non regolamenta né il tipo né il modo di utilizzo degli strumenti; al contrario per questi ultimi è naturale, a causa delle ragioni sopra esposte, non poter considerare una stan- dardizzazione.
Quando parliamo di individualità del metodo, invece, vogliamo fare riferimento al fondamentale contesto in cui esso trova applicazione, ossia al possibile processo di defi- nizione dell’usabilità del mezzo. Questa condizione è sicuramente implicata dalla non universalità degli aspetti affrontati all’interno della tecnica, poiché non essendo astratti e generalizzabili sono obbligati a rimanere ancorati a una dimensione contestuale storica e culturale ben precisa, la quale, anche se rivista in un’accezione sincronica, è la causa di risultati particolari. Infatti, il soggetto che interviene su di uno specifico oggetto è spontaneamente e personalmente condizionato dallo spirito del tempo che si trova a vivere, tanto che la sua attività tecnica rispecchia lo specifico ambito culturale e storico in cui sia lui sia l’oggetto sono immersi. Questo vale inevitabilmente anche per le regole definite in un metodo, sia perché è possibile dare un diverso significato al concetto di usabilità del mezzo a seconda del contesto in cui viene calato sia perché ogni soggetto struttura il suo operato in funzione del proprio personale bagaglio culturale ed espe- renziale.
Scrive al riguardo Descartes: «Il mio scopo non è [...] quello d’insegnar il metodo che ciascuno deve seguire per ben condurre la propria ragione, ma di far vedere soltanto in qual modo ho cercato di condurre la mia».17Lo studioso in questo testo evidenzia come,
nell’implicita libertà dell’azione intellettuale, è necessario seguire un metodo; non ne parla di uno in assoluto ma di un qualsivoglia tipo personale. La verità dedotta in funzione di un metodo particolare allora, non rappresenta altro che una porzione, la quale, andandosi a sommare ad altre precedentemente svelate, costituisce in una deter- minata società e in una determinata epoca una possibile strada da seguire per andare oltre. Questo è tanto più vero quando esso si considera applicato a una dimensione eminentemente tecnica come quella dell’architettura, in cui paradossalmente si potrebbe sostenere che ogni esperienza è un metodo in sé concluso.
Da quanto detto si deduce che la bontà dell’operato tecnico di un soggetto è valutabile solo ed esclusivamente sulla base del rigore attraverso il quale il soggetto cerca di dare attivazione al proprio metodo. E’ importante sottolineare infatti che esso potrebbe cambiare ed evolversi in qualsiasi momento, al contrario, sarebbe disonesto applicarlo in modo incoerente e parziale, in quanto verrebbe meno il suo principio d’essere.