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Lo scopo perseguito attraverso questo approccio non consiste nell’evangelizzazione di coloro che non hanno ancora conosciuto i concetti fondamentali alla base del messaggio cristiano, in particolar modo quello cattolico. Non si vuole nemmeno intra- prendere la via della moralizzazione cattolica dello specifico ambito disciplinare dell’architettura. Al contrario, visto che l’obiettivo che si sta cercando di raggiungere consiste nella comprensione dell’essenza di un luogo per il culto e per il popolo di Dio

e degli inevitabili rapporti con aspetti di natura teologica, appare essenziale un confronto analitico e rigoroso con essi. Il confronto si qualifica in un’indagine cono- scitiva non pregiudiziale, di cui è indispensabile riferire gli elementi peculiari senza disperderne la tensione all’unitarietà della concezione teologica fondamentale. Senza questo studio preventivo, si può cadere nell’errore di promuovere un metodo infondato, il quale, oltre alla disonestà intellettuale, implica la disgregazione dello stretto connubio tra materia e forma del segno sacramentale,15che rappresenta per molti il presupposto

da prendere in considerazione nella progettazione della chiesa-edificio.16

Quando si parla di popolo di Dio si dovrebbe pensare a una molteplicità di significati che vanno ben oltre il ridotto concetto di comunità di persone unite da un’identica professione di fede. Sicuramente questa definizione ne rappresenta un aspetto, che però non si può in alcun modo considerare esaustivo, poiché, come si avrà modo di capire, non solo si banalizzerebbe un tema per sua natura molto complesso, ma addirittura si traviserebbe l’originale messaggio ecclesiologico contenuto nei vangeli. Nel pensiero e nel confronto abituale, infatti, si è portati ad associare analogicamente al concetto di popolo di Dio quello di Chiesa. D’altronde lo stesso Varaldo, nel testo citato, fa uso di questa correlatività che, se pur non scorretta, a una analisi più approfondita restituisce un’immagine ridimensionata e manchevole della Chiesa.

Il popolo di Dio è nell’ambito teorico dell’ecclesiologia uno strumento ermeneutico di ispirazione sociologica necessario alla caratterizzazione di una parte delle aggettivazioni che contraddistinguono l’ecclesia, in particolare, attraverso di esso si riescono a interpre- tare i modi delle relazioni tra gli uomini che credono in Dio. Si tratta perciò di una visione attualistica, che risulta fortemente influenzata dalla condizione terrena della Chiesa, cioè da quella impostazione parziale che la interpreta come un incontro di cristiani che vivono insieme in forza di valori psicologici, affettivi od operativi più che della realtà misterica della salvezza. E’ sulla base di queste ragioni che si sostiene l’in- completezza della sua struttura concettuale e che ci si dovrà avvalere di strumenti ermeneutici a esso complementari, come quello della comunione, quello simbolico, e quello sacramentale. Allora, il discorso inizialmente organizzato sulla base di una presunta identità e autonomia del concetto di popolo di Dio sarà approfondito consi- derando quest’ultimo come parte di un ragionamento più ampio che terrà conto della reale essenza della Chiesa.

La categoria sociologica del popolo di Dio ci descrive una comunità di uomini che si viene a formare in seguito al Suo intervento diretto nella storia dell’umanità. Egli, per mezzo del proprio figlio Gesù Cristo e attraverso di esso dello Spirito Santo, guida l’in- tero genere umano alla comprensione del disegno della creazione e della salvezza,

cosicché solamente chi crede con fede a questa rivelazione potrà entrare a far parte in modo pieno del popolo che Egli ha voluto per sé.17Bisogna sottolineare che l’unità del

popolo di Dio deriva non già da fattori esterni quali la lingua, la cultura, la contingenza geografica, la politica, i programmi sociali e i manifesti ideologici, ma, come abbiamo detto, da un aspetto che si riferisce alla dimensione intima ed emotiva della natura umana, ossia alla fede comune nell’unico Signore Gesù Cristo; è solo ed esclusivamente sulla base di questo imprescindibile elemento che ci si riconosce legati agli altri in un’unità fraterna che realizza e manifesta nella storia dell’uomo la salvezza portata da Cristo.

Una volta riconosciute e dimostrate l’essenzialità e l’ineluttabilità dei concetti appena esposti, si possono comprendere con maggiore chiarezza gli aspetti complementari, anch’essi importanti, che costituiscono la nozione di popolo di Dio.

Esso si deve pensare totalmente inserito all’interno del continuo fluire della storia dell’uomo sia per ciò che riguarda l’eredità del passato sia per quel che concerne la dimensione presente. Infatti, fin dalla sua edificazione, la Chiesa, prima attraverso i detti di Gesù,18poi attraverso gli insegnamenti degli Apostoli19e dei loro successori, ha forte-

mente ricercato un legame di continuità, che quando è stato necessario si è trasformato in critica costruttiva, con le proprie radici storiche, in particolare quelle del giudaismo, dell’annuncio apostolico e, di là di esso, con l’evento stesso della vita, della morte e della risurrezione di Cristo. Allo stesso tempo, però, essa non trascura la sua condizione

RAFFAELLO, Pesca miracolosa, Londra, Victoria and Albert Museum, 1515-16

presente e più in generale quella di tutto il mondo, e si adopera per far sì che il regno di Dio si realizzi concretamente nel qui ed ora, a partire dalle esigenze, dalle domande e dai problemi dell’uomo contemporaneo.20

Oltre agli elementi appena sottolineati, bisogna approfondire alcune sfumature relative al principio di unità che caratterizza il popolo di Dio, poiché troppo spesso si incorre nell’errore di equiparare, in riferimento alla realtà della Chiesa, i significati dei termini unità e omogeneità, al punto tale che si è portati a pensare ai credenti, uniti dalla comune fede nell’unico Signore Gesù Cristo, come a un qualche cosa di indistinto, unisono o monodico. Per essi, al contrario, il principio di unità si caratterizza come uno stimolo alla valorizzazione e alla crescita delle peculiarità che contraddistinguono la propria dimensione personale, permettendo altresì la diversificazione all’interno della coesione connaturata al popolo di Dio. Il quale é, per le ragioni esposte, chiaramente comprensibile solo nel momento in cui lo si interpreta attraverso la dualità derivante dai concetti di unità e distinzione, o ancora meglio quando lo si considera analogica- mente affine a un corpo organicamente strutturato, ove ciascun membro o gruppo svolge la sua funzione specifica a servizio di tutti. In questo senso, pur nella sua unità, il popolo di Dio si caratterizza per un’evidente organizzazione sociale, vale a dire per

ChAGALL,

Mosè riceve le tavole della legge,

Parigi, Musée national d’art moderne - Centre Georges Pompidou, 1950-52

una suddivisione dei compiti e delle funzioni disposta sulla base delle capacità personali. Oltre a ciò, esso ci appare come una realtà essenzialmente varia, nella quale gli uomini confluiscono da tutte le diverse categorie, senza distinzione alcuna.

Purtroppo, come si è accennato, lo strumento ermeneutico del popolo di Dio presenta dei limiti intrinseci, che gli derivano dalla sua forte accentuazione sociologica. Esso infatti, una volta formalizzato, tende a risolversi in un insieme sistematico di regole, che cercano di dirigere e organizzare una comunità umana preesistente verso uno scopo prefissato. Si tratta cioè di un’accezione che banalizza la Chiesa al semplice ruolo di strumento necessario all’ottenimento della salvezza offerta dal Signore e che riduce enormemente la sua immagine di corpo mistico di Cristo.21Per ovviare a questa incom-

pletezza è necessario arricchire la base concettuale compresa all’interno della nozione di popolo di Dio con il tema della comunità.

La comunità è, rispetto al popolo, un evento più libero, una comunione di persone in una concreta rete di rapporti interpersonali. Essa si presenta non solo come un’organizza- zione strumentale al raggiungimento di un fine estrinseco che i singoli da soli non sarebbero in grado di raggiungere, ma soprattutto come un insieme di valori condivisi capaci di realizzare una nuova vita, che è già di fronte al mondo segno e attuazione della salvezza cristiana. I limiti sociologici contenuti nell’ambito della nozione di popolo, perciò, vengono superati grazie agli elementi tipici del mistero che l’idea di comunità è capace di esplicitare al suo interno: la libera professione di fede, la comunione dei credenti fra di loro e con Dio, la crescita della comunità operata dallo Spirito.

TINTORETTO,

La moltiplicazione dei pani e dei pesci,

Collezione privata, 1555

Il Nuovo Testamento, infatti, ci presenta l’origine della Chiesa come l’evento di una comunione suscitata dallo Spirito che interviene là dove l’annuncio del Vangelo viene accolto nella fede:

«Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...] noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comu- nione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo».22

In questo modo la comunità ecclesiale supera la strumentalità derivante dal fine ultimo della salvezza, distinguendosi per la singolarità di quell’annuncio del risorto da cui nasce, per l’animazione dello Spirito che muove alla fede con cui l’annuncio è accolto, per la dimensione trascendente della comunione che è comunione con Dio mentre è comu- nione fra uomini.

I temi fin qui affrontati hanno in particolar modo sottolineato la dimensione terrena della Chiesa: la sua genesi, il principio di unità, i modi di relazione tra gli uomini che la compongono, l’organizzazione delle sue strutture; non si è però ancora chiarita, se non attraverso qualche accenno, la natura della sua immagine universale e mistica. Per fare questo è necessario ricondursi non solo alla vicenda di Cristo, ma al destino voluto da Dio per l’universo, il quale è chiaramente rivelato all’interno delle sacre scritture. Il Vangelo e tutta la vicenda della salvezza, infatti, sono per Paolo lo svelarsi del disegno eterno della creazione, consistente nel progetto di «ricapitolare in Cristo tutte le cose,

LECORBUSIER,

Notre-Dame-du-Haut,

quelle del cielo come quelle della terra».23Questo disegno salvifico che fa di Cristo il

centro, deve realizzare ciò che in maniera nascosta è già la creazione, poiché «Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose [...] Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui».24

I due testi paolini, nel mettere in evidenza la posizione centrale di Cristo nell’universo, colgono in essa la prima manifestazione della venuta del Regno di Dio, già prefigurato nella creazione, e la riunione sotto a un unico capo sia del cielo sia della terra; essi inoltre si concludono, in maniera inaspettata, con il riferimento alla Chiesa: il Padre «Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose»;25

oppure «Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa».26In entrambi i passi la Chiesa

è definita con l’immagine del corpo e Cristo con quella del capo del suo corpo mistico che è la Chiesa.

La figura simbolica del capo, usata per indicare la centralità di Cristo nell’universo, deve però essere confrontata con la realtà del dato storico, poiché se essa non presenta incer-

MIChELANGELO, Giudizio Universale, Cappella Sistina, Città del Vaticano, 1535-41

tezze nel momento in cui la si pone in rapporto con la Chiesa, altrettanto non può dirsi quando essa viene proposta al resto della realtà. C’è infatti nel mondo chi attende ancora la sapienza della rivelazione e che per questo motivo non è capace di riconoscere nella realtà del Cristo il principio e il compimento di ogni cosa. L’ineluttabilità di questa condizione della realtà non può essere un pretesto per ridimensionare e screditare il messaggio rivelato nelle scritture; l’uomo infatti non ha potere alcuno nei riguardi del dato profetico e misterico in esse contenuto. Da tale realtà possiamo però proporre alcune riflessioni necessarie a risolvere l’apparente incongruenza appena descritta e approfondire il tipo di rapporto che lega la figura del Cristo all’universo.

Il dato rivelato nella lettera agli Efesini e nella lettera ai Colossesi chiarisce, come abbiamo detto, in modo definitivo che tutto appartiene a Cristo e nessuna fase o regione della storia umana resta completamente estranea al soffio dello Spirito. In riferimento a questa essenziale verità, la palese distanza di una parte della realtà da Cristo non deve essere letta negativamente, in quanto essa al contrario chiarisce che questa appartenenza a Cristo di tutta la realtà e di ogni uomo non è ancora visibile ma unicamente creduta. La sua manifestazione, infatti, è escatologicamente attesa e sperata, non storicamente colta o constatabile. Per questo il Cristo, centro dell’universo, si rivela nel farsi capo di un corpo visibile che è la Chiesa. Il rapporto della Chiesa con Cristo diventa modello manifesto del rapporto misterioso ed escatologico del mondo con il Verbo della crea- zione. Così il rapporto fra la Chiesa e gli uomini, quando questi non appartengono alla Chiesa, diventa il rivelatore critico e propulsivo, della loro appartenenza misteriosa ma reale a Cristo. Bisogna però sottolineare che la Chiesa non può porsi come termine della vicenda del mondo e deve guardarsi dalla tentazione di quel certo ecclesiocentrismo che dimentica il Regno e la porta a vivere per riprodurre se stessa. Ciò non toglie che essa debba essere per tutti gli uomini un segno capace di incarnare il corpo mistico di Cristo.

A questo punto della nostra analisi ci sembra importante proporre una serie di consi- derazioni utili a ridare una continuità e unità alle parti del discorso per mezzo delle quali si è voluta comprendere l’essenza della Chiesa. In particolare, non si è ancora avuto modo di chiarire con puntualità il nesso che consentirebbe l’intima interazione, all’in- terno dell’unicità della Chiesa, tra gli aspetti terreni e quelli trascendenti; in ogni caso ci si limiterà a dei brevi cenni, poiché essi verranno trattati in modo più approfondito in seguito. Per riuscire a comprendere i legami tra le due dimensioni della Chiesa, bisogna richiamare i già citati strumenti ermeneutici derivanti dal simbolo e dal sacra- mento; questi, rivisti insieme al popolo di Dio in un’unità interconnessa che trova

ragione nella complementarietà dei termini espressi, hanno il fondamentale ruolo di fornire un’oggettivazione a quelle particolari manifestazioni dello spirito che consen- tono all’uomo di elevarsi oltre il proprio sé terreno.

Per quanto riguarda l’ermeneutica simbolica, la ‘Lumen Gentium’ presenta la Chiesa attra- verso le immagini bibliche dell’ovile, del campo, dell’edificio, della famiglia, del tempio, della città, della sposa.27 Il simbolo dà al linguaggio la capacità di allargare i confini

semantici della parola: significa sempre di più del concetto e contiene intuizioni molte- plici. Parlare quindi della Chiesa per simboli fornisce un respiro maggiore al ragionamento e lo adegua al meglio alla vastità e alla profondità del mistero. Il simbolo, infatti, è uno strumento ermeneutico particolarmente adeguato a esprimere quelle realtà dell’esperienza che coinvolgono profondamente la globalità dell’uomo nei suoi aspetti anche più soggettivi e inesprimibili. In questo modo si può almeno ottenere l’effetto di ridimensionare e relativizzare ogni successiva interpretazione che tenti di inquadrare la Chiesa in schemi più legati alla logica deduttiva, oppure più funzionali alle esigenze sociologiche e giuridiche e fornire quindi un mezzo capace di liberare la comprensione terrena della Chiesa a un livello più alto, attraverso il quale si prefiguri la sua natura mistica.

La lettura simbolica della Chiesa deve però rispettare la natura di questo linguaggio. Ad esempio, nessun simbolo può imporsi come strumento privilegiato o centro di una sintesi complessiva: esso è la semplice espressione di un’intuizione. Non può quindi escludere infinite altre possibili intuizioni ugualmente luminose. Inoltre, se nel linguaggio simbolico sono possibili delle deduzioni, ne consegue che da un simbolo si deducono altri simboli e non già le realtà stesse. Oltre a ciò le nuove intuizioni simbo- liche dedotte dalle precedenti devono ancora essere utilizzate come strumento di un

Sinistra: Simboli epigrafici cristiani - Noé, Museo delle Terme, III secolo Destra: Nave graffita su intonaco, Museo Lateranense, III secolo

linguaggio simbolico e non trasferite in schemi concettuali, sociologici o giuridici. In conclusione si può affermare che l’ermeneutica simbolica ha la funzione di arricchire gli altri schemi interpretativi, come quello del popolo di Dio o della comunità, rivelan- done la parzialità, e non può e non deve essere asservita e strumentalizzata da essi o utilizzata entro l’ambito dei loro procedimenti logici specifici.

Lo schema sacramentario sembra in qualche maniera attingere ispirazione dal discorso simbolico, cercando però di teorizzarlo e di razionalizzarlo. La lettura simbolica, infatti, crea le sue immagini e ne può creare quante ne vuole; la categoria del sacramento, invece, raccoglie i dati dell’esperienza concreta e visibile della Chiesa per metterli in rapporto con la realtà invisibile rilevata e creduta. Questo tipo di rapporto è un dato generalissimo all’interno della realtà della Chiesa e quindi è anche semplice rilevarlo. Ad esempio, lo stesso fenomeno della Chiesa è un segno storicamente visibile e uno stru- mento storicamente efficace del mistero interiore della comunione dell’umanità con Dio e in Dio; oppure nei sacramenti rituali il rapporto tra il segno e la realtà invisibile è un dato creduto nella fede.

Allora anche nello strumento sacramentale, oltre che in quello simbolico, è presente una determinazione necessaria a garantire l’incontro con il trascendente che, come nel caso precedente, non bisogna sconnettere dal dato teologico fondamentale, cioè non bisogna elevare a una posizione di indipendenza e completezza. Basta domandarsi se lo schema sacramentale è in grado di fornire un qualche criterio garante di una corri- spondenza fra l’autenticità dell’interiore e quella della parola esteriore per confermare la sua limitatezza. Infatti, pur pensando a questi rapporti in termini sacramentali, non esiste alcun fondamento per dire che a una confessione di fede corretta corrisponde senz’altro una fede autentica, e viceversa. Insomma, lo schema sacramentale in realtà stabilisce un nesso generico, fondato sulla vicenda della vita, della morte e della risur- rezione di Cristo o su basi antropologiche, tra il visibile e l’invisibile, indubbiamente applicabile a tutta la realtà ecclesiale, ma senza fornire alcun criterio alla riflessione su di essa.

Attraverso queste ultime considerazioni si è cercato di fornire una chiara ed esaustiva definizione della Chiesa. Il sommarsi dei concetti esposti ha gradualmente dimostrato l’esigenza metodologica del rispetto per la complessità del tema, per il quale non avrebbe avuto senso proporre una sintesi o addirittura un’interpretazione declinata alle esigenze dell’architettura. Ma, soprattutto, ha messo in luce un organico sistema concet- tuale e strumentale all’interno del quale ogni elemento ha il suo proprio indispensabile ruolo, che non può essere né eluso né banalizzato, se non si vuole cadere nell’errore di ridimensionare la natura della Chiesa.

Va, infine, sottolineato che le affermazioni proposte, nonostante possano sembrare inutili in riferimento all’obiettivo che ci si è preposti di raggiungere, ovvero la compren- sione dell’essenza posta a fondamento della costruzione di una chiesa-edificio, in realtà si caratterizzano per una fattibile utilizzabilità a carattere operativo. Per esempio, ci potrebbero essere delle evidenti differenze nell’articolazione dello spazio architettonico se, piuttosto che i valori caratteristici della comunità, si usassero per la costruzione della chiesa-edificio delle interpretazioni dell’ecclesia più vicine al numinoso o al deismo. Oppure, l’immagine urbana di una chiesa-edificio potrebbe mutare in modo evidente in base al tipo di interpretazione adottata per descrivere il ruolo della Chiesa all’interno