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Nonostante sia possibile intuire l’utilità pratica e l’importanza dei temi appena esposti, non si è ancora proposta una concreta esemplificazione capace di qualificare, in riferi- mento al tema della chiesa-edificio, lo stretto legame esistente tra i temi di natura teologica e quelli riguardanti l’ambito disciplinare dell’architettura. Per mezzo di essa, infatti, sarebbe possibile illustrare molto più efficacemente i diversi modi in cui la forma, nel rispetto dell’autenticità del legame tra segno e significato, muta la propria immagine e si adatta ai temi che si sono assunti come fondamento. Rimandiamo questo tipo di trattazione alla terza parte del testo, dove verrà data molta importanza a quest’aspetto e si avrà modo di essere più puntuali in proposito. Per ora pensiamo sia più necessario fornire una più completa definizione dei temi fin qui argomentanti esplicando una ulte- riore nota di approfondimento.

Nel discorso sopra sviluppato si sono definiti da un punto di vista teologico i concetti di culto, di popolo di Dio e conseguentemente i temi che a essi si correlano; la consa- pevolezza acquisita ci permette di cogliere adesso un aspetto di notevole importanza per ciò che concerne l’autenticità del dato teologico e del dialogo interdisciplinare. Potrà sembrare scontato, ma è necessario innanzi tutto sottolineare che i temi oggetto della

nostra discussione hanno un’intrinseca discendenza e allo stesso tempo propensione verso l’assoluto e il trascendente, cioè rappresentano l’esito della ricerca sul divino da parte della scienza teologica e allo stesso tempo costituiscono il mezzo attraverso il quale la nostra comprensione delle verità spirituali si fa più alta. In ogni caso, pur tenuto conto della contiguità con argomenti che superano la dimensione umana, i dati teorici vanno considerati come verità parziali: sistemi interpretativi che non sono in grado di comprendere la totale complessità dell’argomento e che perciò cercano di proporne una lettura, che per quanto attenta e fedele, risulta fortemente caratterizzata dall’incom- pletezza. Non rispettare questo limite significherebbe confondere ciò che per sua stessa natura è assoluto con ciò che non lo è, e a partire da questo proporre una definizione disciplinare immobilizzata nella fermezza delle ipotesi iniziali, non dinamica, anacroni- stica e assolutistica. Nel nostro caso, perciò, bisogna stare molto attenti a non creare mai confusione tra il valore dell’argomento da interpretare e quello del modello inter- pretativo: i due termini hanno una natura profondamente diversa che non deve essere equiparata.

Da queste considerazioni si può comprendere molto più chiaramente come i temi teolo- gici precedentemente esposti siano il risultato di un lungo cammino di ricerca, durante il quale molte proposizioni si sono evolute contraddicendo o completando quanto precedentemente era stato affermato e molti altri temi si sono aggiunti arricchendo il già vasto corpo di pensieri esistente. Questi cambiamenti non si definiscono a partire dal soggetto indagato, il Dio della religione cattolica, al contrario essi si manifestano in funzione del contesto storico culturale che l’uomo si trova a vivere. Si pensi, ad esempio, a come il culto cristiano praticato nelle prime comunità fosse ancora rispettoso della tradizione ebraica e adempiente alla legge mosaica.48Non solo, in esse è evidente la

preoccupazione di far conservare alla Chiesa certi legami con il giudaismo, quasi a garanzia del suo spessore storico e della sua radice dentro un popolo. Oppure a come la nozione dei sacramenti si sia evoluta nel corso dei secoli: da un’esasperata attenzione per gli elementi sensibili e le forme visibili delle celebrazioni praticate dai soli consacrati, eredità del culto sinagogale e imperiale, si è giunti alla riscoperta dei sacramenti come celebrazioni dei misteri della vita di Cristo, per mezzo dei quali ogni fedele, attraverso la propria partecipazione, aspira alla salvezza. Si pensi ancora al differente modo di defi- nire l’azione dei presbiteri, fino a non molto tempo fa mediatori tra Dio e gli uomini, ora presidenti di un’assemblea di fedeli che, per via dei processi di secolarizzazione, rivendicano un ruolo attivo nelle celebrazioni e in tutta la propria storia e che nella

comunione con gli altri elevano la propria preghiera al Padre. In questo senso sono inte- ressanti quegli studi che cercano di collocare l’estesa attività teorica del Movimento Liturgico all’interno del progressivo processo di secolarizzazione della nostra società.49

Queste esemplificazioni chiariscono e ampliano il concetto che si è espresso in prece- denza, permettendo di cogliere la dipendenza delle interpretazioni teologiche dalla reale evoluzione della storia dell’uomo: si associa la loro mutevolezza non a un’ipotetica inde- terminazione del soggetto di studio, assoluto e perfetto, ma a una variabilità del contesto in cui esse trovano i natali. Tale riflessione sulla storia dell’uomo non può prescindere dal considerare il senso cristiano della storia, il quale può

«interpretarsi alla luce del liberissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà col quale l’Eterno Padre creò l’universo, decise di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina e, caduti in Adamo, non li abbandonò, ma sempre prestò loro gli aiuti per salvarsi, in considerazione di Cristo Redentore. Venuto il Figlio, mandato dal Padre, inau- gurò in terra il regno dei cieli rivelandoci il suo mistero e operando con la sua obbedienza la redenzione».50 Tutta l’esperienza umana è formata da riproduzioni, che mutano graduatamente attraverso piccole alterazioni più che mediante bruschi salti di inventiva

Il senso di queste parole definisce in modo più chiaro il valore del percorso evolutivo tracciato attraverso le proprie teorie dalla teologia: ognuno dei passi che essa ha mosso sottintende la volontà di un progressivo avvicinamento all’obiettivo della redenzione, il quale si dà anche attraverso una sempre più precisa e autentica comprensione delle verità di Dio. Gli stessi condizionamenti storico culturali che su di essa pesano, nel presente come nel passato, indicano l’attenzione e la sensibilità verso quel regno dei cieli inaugurato in terra, ma che sarà progressivamente portato a compimento solo nel giorno della redenzione. Per tutte queste ragioni, le argomentazioni che la teologia ha proposto nei secoli passati non devono essere riviste semplicisticamente come errori interpretativi, al contrario ognuna di esse rappresenta un parziale momento di verità necessario al completamento di un più vasto e autentico quadro d’unione.

L’oggetto architettonico della chiesa-edificio, in quanto segno, racchiude in se stesso i significati contenuti nei concetti appena espressi, cosicché a noi osservatori appare come il racconto, scritto nella materia e nelle forme, della cultura di un’epoca e delle diverse interpretazioni sviluppate dalla scienza teologica. Accogliere questo assunto, permette di giustificare la grande varietà di modelli di architettura cultuale che si sono manifestati nel corso della storia: ognuno di essi trova una ragione che gli deriva dal particolare contesto storico e teorico in cui si colloca e che lo fa apparire come «cosa in sé che non si lascia descrivere ed esaurire»,51cioè come complessa unità di significati

per la quale è molto difficile proporre un’interpretazione complessiva e unitaria capace di tener conto delle innumerevoli considerazioni a essa connesse. L’interezza della realtà di ogni chiesa-edificio perciò, rappresenta la più autentica e completa testimonianza dell’azione e del pensiero dell’uomo nella storia della religione cristiana, pertanto ogni modo in cui essa trova espressione è in se stesso di valore.

E’ molto importante rivedere ogni operazione o speculazione che faccia riferimento alla disciplina architettonica alla luce delle considerazioni fin qui proposte, poiché in esse è presente una forte attenzione alla realtà del contesto storico e al valore, seppur provvisorio, di ogni proposizione teologica che si è succeduta nel tempo, cercano cioè di garantire il rispetto per l’onestà intellettuale e una ferma opposizione nei confronti di alcune interpretazioni categoriali o assolutistiche. Rinunciarvi potrebbe poter indurre ad atteggiamenti e valutazioni incomplete o, nel peggiore dei casi, distorte. Mancando un sistema di valori basato su concetti e vicende scientificamente comprese e definite, si lascerebbe troppa libertà alla discrezione dei singoli i quali potrebbero svalutare o esaltare in modo arbitrario un particolare modello di chiesa-edificio piuttosto che un’altro. Oppure si schematizzerebbero delle astratte griglie di classificazione per mezzo delle quali si cercherebbe di dare un ordine e un valore alle architetture, quasi certa-

mente non autentico. Mancando poi un’attenzione alle realtà storiche e culturali del passato, ci sarebbe la liceità a esprimere giudizi di valore sulle chiese-edificio concepite in epoche lontane assumendo come termine di paragone gli odierni sistemi concettuali e sociali, i quali restituirebbero dei risultati, oltre che inesatti, disinteressati al progressivo costruirsi e affinarsi delle realtà umane. Ancora, non accettare lo stretto legame esistente tra il fatto costruttivo e il dato teologico, oppure non percepire la reale natura di quest’ultimo, caratterizzerebbe un tipo di edificio adibito al culto esclusivamente limi- tato alla propria dimensione formale, o perché libero da ogni corrispondenza simbolica tra significato e significante, o perché espressione di geometrie perfette ispirate a una teologia idealizzata.

Quello che stiamo cercando di dimostrare è la necessità, ed è utile ribadirlo, non solo di unire in modo inscindibile la teologia all’architettura della chiesa-edificio, ma anche di saper cogliere la sottile verità che deriva dal considerare il dato teologico come il prodotto di una scienza che si lega in modo stretto alla relatività di ogni particolare epoca storica. In questo non esiste niente di degradante, al contrario il prendere atto della limitatezza culturale insita in tutte le fasi della vicenda umana, sottintendendo in essa anche la scienza teologica, ci conferma la connaturata propensione dell’uomo verso l’affinamento del pensiero e il raggiungimento di verità sempre più alte, o se vogliamo usare concetti di ispirazione cattolica, la realizzazione del regno dei cieli.

Dalla consapevolezza delle relazioni in oggetto deriva una maggiore sensibilità nei confronti dei significati veicolati dai fatti della storia dell’architettura per il culto che, in quanto portatori di senso, si distaccano dal loro tempo e dal loro spazio per poter parlare a noi. Nell’esplicito legame tra passato e presente ci sentiamo come appartenenti a un unico percorso composto dall’instancabile perpetuarsi di tradizioni che, seppur rivedibili, sono pur sempre «un insieme di valori capace di aiutarci a dare un senso, una direzione al nostro muoverci verso la costituzione della storia futura, partendo dal presente, in quanto proprio la verità della nostra interpretazione è condizionata dalla nostra azione, dal nostro essere qui ed ora, nelle difficoltà del mondo».52

Nel chiarire le ragioni e i vantaggi che derivano dal considerare lo stretto colloquio tra architettura e teologia, non si è ancora descritto il tipo di rapporto che si dovrebbe venire a creare tra la professionalità dell’architetto e la condizione dell’aver fede in Cristo. E’, a nostro avviso, fondamentale che le due cose siano distinte tra di loro, cioè bisognerebbe fare in modo che la professionalità garantita nel fare architettura sia misu- rata in completa autonomia da ogni fattore esterno alla disciplina. Non occorre, infatti, che l’architetto sia credente per poter riuscire a progettare correttamente una chiesa-

edificio, risulta fondamentale però che lo stesso sappia accogliere ed esprimere, in un’ot- tica interdisciplinare, gli orientamenti che la teologia saprà offrirgli, evitando allo stesso tempo ogni forma di fai da te.

Purtroppo nella realtà dei fatti molto spesso le due cose si condizionano a vicenda, o quanto meno si intrecciano tra di loro in modo non giustificabile, tanto che non è poi così inusuale imbattersi nella posizione di chi reputa che la fede dimostrata da un progettista sia in grado di qualificare il suo elevato grado di preparazione; ovviamente non è così. L’unico modo attraverso cui l’architetto può riuscire a dimostrare le proprie capacità, è quello di ottenere, per via dell’utilizzo degli strumenti specifici alla propria disciplina, delle forme capaci di esprimere i significati derivanti dall’identità del tema affrontato. Tale identità si costruisce a partire da un forte dialogo e da un confronto fra le diverse posizioni assunte dalle discipline che, nell’ambito in questione, possono trovare un oggetto di studio. D’altro canto, per ogni credente in Cristo che decida di mettere la propria professionalità a servizio della Chiesa, il discorso non muta il proprio tenore, poiché seppur fede e competenza non possano essere disgiunte dall’unitarietà della persona, esse dovrebbero essere sempre distinte tra di loro. In caso opposto si prevaricherebbero i limiti definiti dalle specificità disciplinari che verrebbero scombinati e confusi all’interno di differenti argomenti, la cui poca oggettività determinerebbe un evidente stato di aleatorietà e successivamente di banalizzazione.

1G. GRASSO, Tra teologia e architettura. Analisi dei problemi soggiacenti all’edilizia per il culto, Borla, Roma

1988, p. 110.

2 G. GRASSO, Come costruire una chiesa. Teologia, metodo, architettura, Borla, Roma 1994, p. 118. 3Ivi, p. 11.

4G. GLESLERI, Architettura sacra in Italia dal dopo- guerra al Concilio Vaticano II, in Il sacro. L’architettura sacra oggi. Atti del convegno, Pescara 27-29

Gennaio 1989, il Cerchio, Rimini 1990, p. 182. 5R. GABETTI, Chiese per il nostro tempo. Come costruirle, come rinnovarle, Elledici, Leumann (TO) 2000, p. 14. 6G. VARALDO, La chiesa casa del popolo e casa di Dio, in Il sacro. L’architettura sacra oggi. Atti del convegno, Pescara 27-29 Gennaio 1989, il Cerchio, Rimini 1990, p. 152.

7Si vedano i concetti espressi nel primo capitolo del testo.

8LECORBUSIER, Verso una Architettura, a cura di P. Cerri-P. Nicolin-C. Fioroni, Longanesi, Milano 1984, p. 83 (ed. orig., Vers une Architecture, Fonda- tion Le Corbusier, s.l. 1966).

9M. hEIDEGGER, Costruire Abitare Pensare, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano

1976, p. 96 (ed. orig., Vortäge und Aufsätze, Verlag Günther Neske, Pfullingen 1954).

10Ivi, p. 97. 11Ivi, p. 99. 12Ivi.

13Il significato della parola costruire che comune- mente percepiamo è quello che si riferisce all’edificare, all’erigere, ossia a una attività che produce la sua opera. Nel significato di costruire, però, è compreso anche il custodire e il coltivare, ossia il proteggere la crescita che porta di per sé i suoi frutti. Per queste ragioni, quando si parla di

cose costruite non ci si riferisce esclusivamente a

oggetti prodotti, ma in modo molto più esteso si vuole intendere anche tutto ciò che viene coltivato dall’uomo. In questa ottica, una coltivazione è una cosa che permette l’abitare dell’uomo. Ivi, p. 98. 14Ivi, p. 102.

15Nell’ottica sacramentale questo tipo di interpre- tazione viene detta ilemorfica (materia-forma), cioè viene attribuita analogicamente la funzione di materia alle cose sensibili usate nella celebrazione e la funzione di forma alle parole che accompa- gnano l’applicazione della materia al soggetto del sacramento. In architettura questo tipo di logica è spesso utilizzato per riuscire a esprimere il signifi- cato pensato da un architetto per la propria opera. Il problema sussiste nel momento in cui le parole ci riferiscono di un qualche cosa che non può assolutamente corrispondere alla materia. In quel caso possiamo parlare della separazione dell’unità originaria tra materia e forma, ossia di una menzogna.

16In particolare pensare alla chiesa-edificio sulla base delle motivazioni didascaliche del segno sacramentale, impone di approfondire il concetto di quasi sacramentale, ossia di ciò che come segno opera solo con una causalità formale estrinseca, si veda al proposito G. GRASSO, Tra teologia e architet- tura. Analisi dei problemi soggiacenti all’edilizia per il culto, cit., p. 57.

17A proposito del tema dell’unità della Chiesa che si realizza attraverso la fede nell’unico Signore Gesù Cristo si veda la Lettera agli Efesini 1, 3-23. 18Gesù Cristo ha più volte fatto riferimento allo scopo della sua missione, soffermandosi in parti- colar modo a riflettere sulla continuità tra le sue parole e quelle proclamate nell’Antico Testamento, ed evidenziando l’intento di portare a compimento la Legge o i Profeti, non ad abolirli. Si veda al proposito Matteo 5, 17-19. 191 Corinzi c. 15. 20Gaudium et spes c. 38. 211 Corinzi 10, 16-22. 221 Giovanni 1, 1-4. 23Efesini 1, 10. 24Colossesi 1, 15-17. 25Efesini 1, 22-23. 26Colossesi 1, 18. 27Lumen gentium, 6. 28Matteo 5, 17-18.

29Luca 24, 27 e 44. 30Matteo 15, 8-9. 31Giovanni 4, 23. 32Giovanni 2, 21-22. 33Giovanni 4, 21. 34Giovanni 2, 19. 351 Corinzi, 10, 16-22. 36Romani 12, 1. 371 Pietro 2, 5. 38Efesini 2, 21-22. 39Atti 20, 7-8.

40 G. GRASSO, Come costruire una chiesa. Teologia, metodo, architettura, cit., p. 118.

41Atti 2, 1. 42Lumen gentium, 11. 43Sacrosanctum Concilium, 41. 44Sacrosanctum Concilium, 6. 45Sacrosanctum Concilium, 26. 46Sacrosanctum Concilium, 26. 47Lumen Gentium, 11.

48Atti 2, 46. «Ogni giorno tutti insieme frequenta- vano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore». 49 G. GRASSO, Come costruire una chiesa. Teologia, metodo, architettura, cit., pp. 28-52.

50G. GRASSO, Tra teologia e architettura. Analisi dei problemi soggiacenti all’edilizia per il culto, cit., p. 20. 51Cit. in Ivi, p. 15.