• Non ci sono risultati.

la gestualità formale come elemento preminente nella progettazione della chiesa-edificio

A. P ERRET , Notre Dame du

4. la gestualità formale come elemento preminente nella progettazione della chiesa-edificio

Il Movimento Moderno, come si è ampiamente dimostrato, definendo i propri capisaldi ideologici in funzione di una moderna visione del progresso, della razionalità e della tecnica, non ha ritenuto che essi potessero essere concordi ai valori insiti nel tema della chiesa-edificio, tanto da escludere quest’ultimo dai suoi possibili campi di ricerca ed applicazione. Evidentemente interpretando più una condotta assolutista che non un riconoscimento dei limiti della propria filosofia.

Ciò nonostante molti dei maestri dell’architettura moderna si sono impegnati nella riso- luzione del problema dell’edificio per il culto: in alcuni casi accogliendo la circostanza come un’opportunità per riflettere su temi inesplorati e migliorare il proprio metodo attraverso la sollecitazione dovuta a stimoli inconsueti, in altri interpretandolo senza preoccuparsi troppo delle sollecitazioni teoriche, ma concentrandosi esclusivamente sull’aspetto formale. In ambedue i casi si evidenzia, soprattutto se confrontata agli altri esiti progettuali raggiunti dal Movimento Moderno, una propensione all’emancipazione dalle rigide stereometrie razionaliste che si qualifica in una spiccata attenzione alla libertà ed all’espressività delle forme. Come se questo potesse di per sé garantire la bontà delle opere realizzate a prescindere da qualsiasi interazione con discipline derivanti dalla teologia.

Non ci occuperemo dettagliatamente dello studio di ogni singolo esempio di architet- tura cultuale costruita dai maestri del moderno ma, funzionalmente alla definizione di alcuni caratteri emblematici e comuni, approfondiremo solo alcune di esse: quelle capaci di testimoniare con maggiore efficacia il senso della vicenda del tema della chiesa- edificio nell’epoca della modernità.

La chiesa che più di tutte seppe, e per certi versi ancor oggi ci riesce, essere da stimolo alla discussione tanto per l’architettura quanto per le diverse discipline che a vario titolo sono interpellate dal tema, è sicuramente quella di Notre-Dame-du-Haut (1950-55) a Ronchamp in Francia, progettata da Le Corbusier. Fin dalla sua pubblicazione sulle più importanti riviste di architettura italiane,50essa ottenne in egual misura sia consensi sia

dissensi, accendendo dibattiti a distanza, pro o contro il suo valore, che raggiunsero alti livelli di tensione. Il più conosciuto è sicuramente quello che si svolse nel 1956 sulle pagine della rivista ‘Casabella’ tra Giulio Carlo Argan, convinto oppositore di quest’opera, ed Ernesto Rogers che, in quanto direttore della rivista menzionata, si era adoperato per pubblicizzare la chiesa del maestro francese con enfasi positiva.51Oppure

Cornoldi in cui il primo sostenendo le propria tesi attraverso la citazione delle parole di Argan a cui prima si è fatto cenno, sottolinea l’irrazionalità della simbologia usata da Le Corbusier;52il secondo, al contrario, ne esalta il valore della propensione verso il

numinoso.53 In ogni caso sono discussioni che, pur se avvalorando concetti realisti, si

costituiscono a partire da punti di vista parziali, riescono cioè a cogliere solamente un aspetto dell’intera complessità del problema e conseguentemente travisano la verità sul giudizio generale dell’opera.

Questa è sicuramente la più importante nozione che ci viene rivelata dai dibattiti ai quali abbiamo fatto riferimento: la critica architettonica, nelle poche volte che si è interessata al tema della chiesa-edificio, lo ha fatto senza preventivamente cercarne di capire la poliedrica natura: Argan e Rogers soffermandosi esclusivamente sulla possibilità o meno del colloquio tra Movimento Moderno e Chiesa Cattolica e sulla moralità del progetto di Le Corbusier, che secondo Argan non è coerente ad un autentico principio di fondo; Cornoldi e Benedetti proponendo una chiave di lettura astratta poiché troppo intellettualizzata e perciò distante dalla dimensione materiale della componente umana. Se prese isolatamente né la simbologia eucaristica, avvalorata da Benedetti, né l’atten- zione verso il numinoso, fondamentale per Cornoldi, possono essere concepite come elementi discriminanti: per essere efficaci esse dovrebbero prima di tutto integrarsi all’azione liturgica dell’uomo e della comunità che partecipano al culto. Nonostante ciò rimarrebbero ancora molti dubbi sul senso della fascinazione dovuta al mistero dell’as- soluto avvalorata da Cornoldi, le cui idee sono, in riferimento alla chiesa per il rito cattolico, meno appropriate di quelle di Benedetti.

Se contestualizzata in riferimento alla più ampia vicenda progettuale di Le Corbusier e del Movimento Moderno, la chiesa di Ronchamp rappresentò un atto rivoluzionario di enorme significato sia perché mai un maestro dell’architettura moderna si era confron- tato con questo tema sia perché le sue forme contraddissero esplicitamente e integralmente la religione dell’architettura modernista: dalla macchina per abitare ai volumi

puri sotto la luce, ai canoni, segnati in cinque punti, che consentivano a chi li applicava di

appartenere all’architettura moderna. D’altro canto il suo riferirsi alle scienze teologiche, in quanto architettura dedicata allo svolgimento della liturgia, ne rivela l’inadeguatezza a valorizzare le azioni ed i significati del culto e ne ridimensiona lo spessore innovativo. Molti critici d’architettura hanno scritto su quest’edificio offrendo pagine di straordi- nario valore alla nostra cultura, ma quasi tutte hanno preso in considerazione il solo evento architettonico senza considerarne la particolare declinazione funzionale e gli aspetti ad essa connessi, noi cercheremo di ricomporli in un’univoca visione che auspi- chiamo possa arricchirci di un più articolato punto di vista.

LECORBuSIER, Notre-Dame-du-Haut,

Ronchamp, 1950-55. Sopra: pianta della chiesa. Destra: prospetti

La planimetria dell’edificio si contraddistingue per l’estrema libertà degli elementi che la compongono: le pareti, le aperture e gli spazi sono svincolati dalla rigida geometria della maglia ortogonale e creano originali effetti visivi. Nonostante ciò, l’impianto dell’aula è chiaramente riconducibile ad uno schema trapezoidale con la base maggiore collocata in corrispondenza dell’altare. Questa definizione si colloca nella direzione, già perseguita da altri, della maggiore partecipazione dei fedeli al sacrificio eucaristico: con questo archetipo, infatti, si cerca di ridurre la distanza delle persone dall’altare. Purtroppo si tratta di un’intenzione potenziale, poiché paradossalmente la posizione dei banchi contraddice tale proposito dato che essi sono collocati lungo un asse orien- tato verso un’apertura laterale all’altare e divergono dalla direzionalità generata da quest’ultimo. LECORBuSIER, Notre-Dame-du- Haut, Ronchamp, 1950-55. Spaccato assonometrico

Sembra quasi che Le Corbusier, negando il diretto rapporto spaziale tra questi due elementi, voglia attribuire più respiro e monumentalità al luogo del sacrificio. un’inter- pretazione sottolineata dalla posizione dell’ingresso principale che, essendo posto sulla parete laterale in corrispondenza della fine delle sedute, garantisce a chi entra una libera visione verso il lato est occupato dal presbiterio. E’ perciò evidente una disarmonia rispetto all’impianto liturgico concepito da Pio XII nell’enciclica ‘Mediator Dei’, nella quale si sottolinea esplicitamente il bisogno di una dimensione comunitaria del sacrificio eucaristico. Al contrario, in tal senso si giustifica la scelta di non separare lo spazio occu-

LECORBuSIER, Notre-Dame-du- Haut, Ronchamp, 1950-55. Destra: interno. Sotto: interno

pato dall’altare da quello riservato all’accoglienza dei fedeli, in modo del tutto originale da quanto invece si stava facendo in Italia nello stesso periodo, dove una certa tendenza sacralizzante induceva ad una chiara autonomia spaziale del presbiterio dall’aula. Nell’opera di Le Corbusier, però, la disposizione delle aperture, le profonde stromba- ture aperte lungo il lato sud ed un netto taglio che separa la copertura dalla parete, creano effetti luministici che, pur nella loro straordinaria espressività, non valorizzano contraddistinguendolo adeguatamente il principio cardine della liturgia: l’eucaristia. Questa dovrebbe avere la sua transustanziazione nel solo altare principale, scelta che ne qualifica la sua centralità; sono perciò da considerarsi inappropriate le singole cappelle realizzate da Le Corbusier in aderenza all’aula principale, anche se da essa completamente separate. La zona presbiteriale è però composta, forse per la prima volta, con una straordinaria tensione, determinata dalla giusta collocazione liturgica degli elementi del rito: l’altare, il sacerdote, la grande croce di legno, la testimonianza mariana. Tutti trovano un posto all’interno di un ordine gerarchico.54

Nel suo complesso l’immagine dello spazio della chiesa di Notre Dame du Haut, così come evidenziato sia in positivo sia in negativo da molti critici, esprime il desiderio di evocare una religiosità primitiva insita nella terra, nelle grotte; la concezione del luogo sacro rappresentata dai tempi dell’antichità: uno spazio in cui il divino trova la sua giusta collocazione. Lo stesso Le Corbusier ci fa comprendere le sue intenzioni quando dice: «Costruendo questa cappella, ho voluto creare un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, di gioia interiore. Il sentimento del sacro animò le nostre fatiche. Certe cose sono sacre, altre no, siano esse o non siano religiose».55Tutto concorre alla sua definizione: le pareti

curve trattate con la ruvidezza dell’intonaco grezzo; il tetto a forma di guscio in calce- struzzo che sembra levitare su di un’asola di luce; il candore dei materiali; le profonde strombature; l’uso drammatico della luce.

Elementi interpretati per mezzo di una visione dell’architettura che oltrepassa i limiti dimensionali, razionali e materiali del progetto e si arricchisce della complementare dimensione simbolica delle forme, che in quest’opera è sapientemente composta dal maestro. Basti osservare in quale modo esso rinuncia all’onestà strutturale. Gli esagerati spessori murari, infatti, non hanno una funzione statica poiché tutto il tetto poggia su dei pilastrini nascosti all’interno della tamponatura perimetrale, ciò permette sia di far entrare una luce radente alla copertura che ne valorizza la morfologia organica sia di creare uno straordinario risultato scultoreo in cui prevale l’idea della massa, della stabi- lità.

Gli esiti raggiunti e le idee ad essi sottese, seppur necessari, non sono sufficienti a defi- nire un’architettura cultuale adibita al rito cattolico la quale, avvalendosi della

imprescindibile capacità simbolica delle forme, dovrebbe poter reinterpretare e superare l’idea del sacro e conseguentemente conformarsi alla semantica del santo contenuta nella rivoluzionaria visione teologica proposta dal Movimento Liturgico. In questo senso ci sembra onesta, seppur eccessivamente radicale, la posizione di Argan quando azzarda a mettere sullo stesso piano Ronchamp e la chiesa di Sant’Eugenio, di spiccato gusto neo-rinascimentale, costruita a Roma in onore di Papa Pio XII (Eugenio Pacelli)56 da

Enrico Galeazzi, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici.

LECORBuSIER,

Notre-Dame-du-Haut,

Ronchamp, 1950-55. Destra: esterno. Sotto: esterno

Ronchamp potrebbe essere considerato un capolavoro dell’architettura, poiché in grado di svelare quale enorme visione si trovi celata oltre alle rigidità del Movimento Moderno. Ma non lo è a causa della sua incoerenza funzionale, ossia della sua approssimata, seppur vagliata, adesione al rinnovamento liturgico. E’ perciò più giusto interpretarla come uno dei primi passi di avvicinamento verso quella completezza dello spazio per il culto che ancor oggi stiamo aspettando; solamente collocandola all’interno del processo evolutivo del tema della chiesa-edificio potremmo coglierne la vera essenza. La chiesa di Notre Dame du Haut di Le Corbusier però non venne mai vista sotto quest’ottica e ben presto divenne un modello, non solo un archetipo, da imitare; essa istituì il luogo comune della libertà formale dello spazio per il culto e purtroppo molti se ne fecero inflessibili sostenitori. E’ questa la paradossale eredità lasciataci da quest’opera straordinaria.

un altro maestro del Movimento Moderno che, confrontandosi con il tema dello spazio sacro, ha saputo pensare progetti di significativo valore architettonico e liturgico è Alvar Aalto. Tra gli architetti modernisti egli è sicuramente quello che più di ogni altro è riuscito ad interpretare il processo progettuale in funzione non solo delle teorie archi- tettoniche del moderno, ma anche della componente emotiva e psicologica dell’uomo. Annota Paolo Portoghesi che nelle opere di Aalto: «la forma architettonica è intesa come forma ambientale, l’uomo è messo a suo agio non solo prevedendone i movi- menti e i bisogni ma prevedendone le emozioni, le reazioni psicologiche».57 La

dimensione intangibile dell’esistenza umana è per l’architetto finlandese un dato da non trascurare soprattutto, come nel caso degli edifici per il culto, quando esso è elemento capace di veicolare ed amplificare i significati espressi dall’azione cultuale.

Aalto nella sua peculiare sensibilità trova la ricchezza che gli permette di realizzare fin da subito chiese-edificio di straordinario valore: la chiesa di Seinajoki (1952-60), una delle più importanti cattedrali finlandesi e la chiesa di Vuoksenniska a Imatra (1957- 59). Ma la sua opera che, nell’economia del nostro discorso, ci sembra maggiormente esplicativa sia per l’attenta analisi che in essa si fa del rinnovamento proposto dal Concilio sia per il contesto in cui si inserisce, è il centro parrocchiale dedicato a Santa Maria Assunta a Riola di Vergato presso Bologna (1966-78).

La chiesa fa parte dell’insieme di interventi, perseguiti dal Card. Giacomo Lercaro, volti a garantire la presenza uniforme della casa del Popolo di Dio su tutto il territorio della diocesi di Bologna e dimostra l’attenzione che questo Pastore ebbe nell’intuire il ruolo basilare che un luogo significativo ha nel processo formativo di una comunità di fedeli. La chiesa di Aalto, infatti, pur se fondamentale nel percorso evolutivo del tema della chiesa-edificio, è costruita sui colli che cingono la città di Bologna, in un luogo margi-

nale, distante dalle zone più visibili della città; nel suo essere conferma che la buona architettura dovrebbe pensarsi non tanto ad uso esclusivo della centralità di contesti eccelsi quanto come necessità determinata da una richiesta che ha valore in se stessa e non perché condizionata da fattori esterni. Lercaro, perciò, donò l’opera più virtuosa possibile alla comunità più piccola e periferica della sua diocesi, testimoniando con l’ar- chitettura la sua vicinanza ideale ad ogni fedele.

L’edificio costruito da Aalto a Riola, in questo senso, vive intensamente del desiderio di intelligibilità dei valori che in essa dovrebbero esprimersi; l’architetto, per rendere la sua opera comunicativa, reinterpreta in chiave moderna l’immagine architettonica consueta dell’impianto medievale ad aula con archi traversi, per certi versi seguendo gli intenti ricercati da Enrico Castiglioni in Ss. Nazzario e Celso a Gorla Minore, vicino Varese, nel 1962. L’impianto dell’aula ad estensione longitudinale, avendo una forma trapezoidale il cui lato minore corrisponde alla zona presbiterale, crea un artificio ottico tipico del Manierismo che favorisce la partecipazione dei fedeli al sacrificio eucaristico che si svolge sull’altare. L’interno, le cui superfici sono interamente trattate con intonaco bianco, vibra grazie alla vitalità della luce che proviene dalle finestre a nastro ricavate nella copertura a shed, tipica delle officine, poggiata sugli archi trasversali. una soluzione che definisce un effetto luministico molto simile a quello utilizzato da Rudolf Schwarz in St.Anna a Duren o nella St. Fronleichnam ad Aachen-Rothe Erde: la luce irrom- pendo cospicuamente all’interno dell’edificio dilata lo spazio dell’aula attraverso un

ALVARAALTO,

Santa Maria Assunta,

Riola di Vergato-Bologna, 1966-78.

Pianta della copertura e pianta della chiesa

evidente effetto di controluce. Sempre per mezzo dell’illuminazione, Aalto riesce a valo- rizzare la zona del presbiterio aumentando in quel punto la presenza di aperture, anche in questo caso seguendo l’esempio della St. Fronleichnam. Tutto l’insieme dell’opera è contraddistinto dall’evidente asciuttezza delle forme, per le quali l’architetto finlandese si permette la sola libertà della tessitura muraria a grandi blocchi squadrati in pietra: scelta giustificata dalla necessità di evocare un passato rassicurante.

ALVARAALTO, Santa Maria Assunta, Riola di Vergato-Bologna, 1966-78. Sopra: esterno. Sinistra: esterno. Sotto: interno

Liturgicamente la chiesa è chiaramente e positivamente condizionata dallo spirito del progetto culturale frutto del Concilio Vaticano II: l’area presbiterale, pur se compresa all’interno dell’aula assembleare, è trattata autonomamente e perciò valorizzata dal parti- colare uso della luce trasversale e dalla conformazione prospetticamente accentuata dell’impianto. Al suo interno, leggermente sopraelevati rispetto al piano dell’assemblea, si distinguono in modo deciso l’altare e l’ambone, al di sopra dei quali è appesa una grande croce in legno leggermente spostata rispetto all’asse geometrico della costru- zione, così da non contendere la rilevanza del luogo del sacrificio eucaristico.

A destra dell’aula, così come in St. Anna a Duren di Schwarz, Aalto realizza una navata laterale, immersa nella penombra, lungo la quale si estende un percorso processionale che dall’ingresso termina nella zona del battistero; esso è posto sul fianco dell’altare in una cappella a sé stante dove piove dall’alto una luce diffusa. un’evidente simbolizza- zione del cammino di redenzione dei credenti, nonché una sapiente soluzione capace di garantire l’autonomia dei poli liturgici. Di straordinario valore è infine il sagrato il quale, ponendosi direttamente in relazione con lo spazio dell’assemblea, crea una zona di mediazione, di adattamento al silenzio del rito ed allo stesso tempo valorizza le forme della facciata principale.

La chiesa di Santa Maria Assunta a Riola è testimone di una varietà di significati così articolata che le permette di qualificarsi chiaramente come esempio da non trascurare, in particolare perché attraverso di essa vengono definiti una serie di percorsi su cui poter continuare a riflettere: l’interpretazione del tema della tradizione dell’architettura

ALVARAALTO, Santa Maria Assunta, Riola di Vergato- Bologna, 1966-78. Esterno

cultuale attraverso i nuovi stimoli provenienti dal linguaggio del Movimento Moderno; il ripensamento dell’assetto liturgico in conformità alle riflessioni proposte dal Concilio; la conquista, da parte degli architetti, di un’umiltà culturale che possa consentire loro di superare la visione intellettualista del progetto, come in Notre Dame du Haut, così da recuperare una vicinanza ai caratteri non semplicemente materiali della dimensione umana. In ogni caso in quest’opera è evidente, come lo è per la chiesa progettata da Le Corbusier, l’analoga strategia adottata dai pochi maestri del Movimento Moderno che si sono occupati del tema dello spazio cultuale: la chiesa-edificio è per essi il campo in cui poter sperimentare la validità di nuove forme, di linguaggi inediti, di soluzioni spaziali più emozionanti. Ovvero il luogo in cui poter ripensare integralmente l’imma- gine dell’architettura moderna che, ormai decaduta nel suo materialismo, necessita di forme capaci di recuperare l’attenzione verso l’imponderabile vitalità dell’esperienza umana.

Queste due opere ci sembrano poter contenere, pur nelle loro carenze, tutti quei valori positivi che caratterizzano in modo più o meno esplicito l’attività dei maestri del Movi- mento Moderno in riferimento allo specifico dell’architettura per la liturgia. Tra i maestri non citati,58per i quali ci sembrano più evidenti gli elementi di crisi piuttosto che quelli

positivi, ricordiamo: Oscar Niemeyer che, con la cattedrale di Brasilia, esaspera il carat- tere monumentale e sacrale dell’opera; Frank Lloyd Wright che, ispirato dai valori della religione unitaria, punterà maggiormente l’attenzione verso la dimensione comunitaria dell’edificio dando l’impressione di progettare più una sala per assemblee che un luogo di culto; Louis I. Kahn che, interessato all’architettura dell’Illuminismo francese, proget- terà edifici religiosi idealizzati ed astratti, distanti dalla contemplazione di un approccio liturgico di ispirazione guardiniana.

1 W. PEHNT- H. STROHL, Rudolf Schwarz, 1987- 1961, Electa, Milano 2000, p. 48.

2R. GuARDINI, Lo spirito della liturgia, a cura di M. Bendiscioli, Morcelliana, Brescia 1930 (ed. orig.,

Vom Geist der Liturgie, Herder & Co., Freiburg

1920, 4aed.).

3B. NEuNHEuSER, Architettura sacra tedesca: il ruolo del rinnovamento liturgico, in Quarta Biennale d’Arte Sacra. La Crocifissione. Catalogo della Biennale

d’Arte sacra, Pescara 15 settembre - 28 ottobre 1990, Stauros Internazionale, Pescara 1990, p. 33. 4W. PEHNT- H. STROHL, cit., p. 42.

5Ivi, p. 53.

6 R. SCHWARz, Costruire la chiesa. Il senso liturgico nell’architettura sacra, a cura di R. Masiero - F. De