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Per iniziare il discorso ci sembra necessario fornire alcune note di carattere storico che, pur nella loro ovvietà, mettono in luce il contesto teorico in cui vogliamo muoverci. La Chiesa ha sempre avuto una forte aspirazione alla vita comunitaria; l’assemblea riunita per i riti ma anche il quotidiano sostegno nelle difficoltà della vita tra i fedeli sono testi- monianza di come il cristianesimo abbia fin da subito abbandonato la via della gnosi e abbia al contrario ispirato una fede più concreta e maggiormente aderente alla natura umana. A questa impostazione valoriale ha fatto immediatamente eco la necessità, soprattutto in riferimento alla celebrazione dei riti, di poter disporre di ambienti suffi- cientemente ampi per riuscire ad accogliere una comunità numerosa di persone riunita in preghiera. Inizialmente, per soddisfare questa esigenza, si cercò di adattare alle speci- fiche necessità gli spazi preesistenti, in generale le grandi sale delle case. Fu solamente a partire dal II secolo, anche se i casi sono molto rari, che cominciarono a essere costruite delle case, domus ecclesiae, appositamente pensate per ospitare le varie attività di una comunità di fedeli.1 Ovviamente non parliamo ancora di chiesa-edificio, della

quale riusciamo a individuare degli esempi solo a partire dal IV secolo, periodo a cui risalgono i primi edifici che, per l’originalità delle forme e dell’impianto, si distinguono da quanto fino a quel momento era stato costruito e rivelano un’esatta corrispondenza alle esigenze dei riti cristiani.

Quanto detto ci permette di sottolineare il fatto che le prime chiese-edificio furono costruite solamente quattro secoli dopo l’origine del cristianesimo e soprattutto che, in questo arco di tempo, per permettere lo svolgersi delle assemblee comunitarie, venivano occupati spazi semplicissimi la cui unica qualità era quella di contenere un grande numero di persone. Al fine di riuscire a capire in modo approfondito tale fenomeno bisogna cercare di superare il semplice dato materiale e proporre una serie di riflessioni che tengano conto dello specifico messaggio cristiano. Nella Chiesa delle origini era

comunemente riconosciuta una propensione al sacro estesa a ogni tempo della vita, per via della quale non avrebbe avuto più senso edificare un luogo del sacro, poiché per chi è cristiano ogni cosa è sacra.2 Sulla base di queste ragioni il significato implicito nella

parola tempio (témenos: recinto, separato) perse la sua originaria rilevanza e come conse- guenza si cominciò a pensare in modo completamente nuovo agli spazi adibiti al rito, al punto tale che anche una comune abitazione poté essere considerata un luogo adatto alle particolari esigenze della celebrazione. Questo concetto ricopre un ruolo così importante all’interno del sistema teologico del Cristianesimo, che anche oggi c’è chi sostiene provocatoriamente che «una chiesa non serve a nulla, (anche se) è altrettanto vero che la sua realizzazione corrisponde ad autentici bisogni e dunque che la chiesa a qualcosa pur serve».3

Sarebbe, allora, riduttivo pensare che tale condizione si sia imposta esclusivamente come conseguenza di un contesto politico avverso alla diffusione del Cristianesimo, a causa del quale veniva scelto l’anonimato e la mimesi come modo per sfuggire alle persecu- zioni. Sicuramente il limite dovuto all’attività repressiva dell’Impero determinò una serie di vincoli oggettivi che impedirono una rapida espansione ed evoluzione della religione cristiana anche per ciò che concerne la dimensione architettonica, ma questa imposi- zione fu certamente secondaria a un più importante e rivoluzionario sistema di concetti, i quali furono il vero centro ispiratore di tutta l’attività delle prime comunità cristiane. La storia, però, ci racconta che nel corso dell’evoluzione dell’esperienza cristiana questi atteggiamenti furono progressivamente subordinati ad altri fattori e la chiesa-edificio cominciò a caricarsi di significati sempre più distanti dall’originario messaggio.

Casa di una comunità cristiana,

Vale la pena fare alcune riflessioni. Prima di tutto, l’edificio in cui viene celebrato il rito cristiano ha avuto un’evoluzione storica che può riferirsi agli ultimi sedici secoli e in particolare, per merito dell’eccezionalità delle opere prodotte, riveste un’importanza fondamentale soprattutto nell’ultimo millennio. Questo significa, al contrario di quanto comunemente possiamo immaginare, che la storia della chiesa-edificio interseca quella dell’uomo per un arco di tempo relativamente breve,4il quale tuttavia ci ha lasciato in

eredità un enorme patrimonio architettonico testimone di una costante e approfondita ricerca. Quello che invece dovrebbe far riflettere è che a fronte di un circoscritto e quindi controllabile ambito di ricerca non si è mai affrontato il tema della chiesa-edificio in modo specifico e unitario. Manca un contributo teorico che, sulla base delle partico- lari tematiche riguardanti lo spazio adibito al rito cristiano, sappia restituire una visione completa dell’intero processo evolutivo del fenomeno.

A questa prima riflessione, che interessa maggiormente il campo della ricerca storica, bisogna aggiungerne una seconda che riguarda in particolar modo il significato dell’ar- chitettura. Il fatto che all’inizio della vita delle prime comunità cristiane non si avvertisse la necessità di realizzare una chiesa-edificio capace di fornire uno spazio adeguato alla celebrazione del rito eucaristico, ci stimolano a pensare quali siano le sue reali e auten- tiche peculiarità. Come abbiamo detto, spesso nel corso della storia si sono attributi a questo tipo di edifici significati che non solo distorcevano la verità del messaggio cristiano, ma che in alcuni casi subordinavano l’aspetto teologico a necessità di tipo materiale. Sulla base di queste particolari connotazioni, l’edificio adibito alla celebra- zione del rito ha assunto, in alcune circostanze, i caratteri particolari del tempio, che esprime cioè un Dio assolutamente distante dalla vita dell’uomo, in altre circostanze la connotazione di simbolo del potere. Ovviamente non mancano i casi in cui queste due accezioni si mescolano tra di loro. Tale situazione è di sicuro la manifestazione estre- mizzata di un processo che, per ragioni politiche, sociali, culturali, ha portato a uno scollamento tra i valori fondamentali del cristianesimo e le ragioni dell’uomo, anche in ciò che concerne la realizzazione degli edifici adibito al culto.

Allora, prendendo a esempio l’esperienza dei primi secoli di storia della Chiesa, si dovrà comprendere il modo di interpretare il tema della chiesa-edificio sulla base della essen- ziale verità del messaggio cristiano, così che ogni operazione prodotta dall’architettura ne diventi la coerente materializzazione. Si dovrebbe cioè tornare a pensare al problema della chiesa-edificio in modo coerente ai principi che l’ispirano; in particolare, sia nell’at- tività progettuale sia in quella teoretica, è fondamentale comprendere il valore

propedeutico ed essenziale di un dialogo con la ricerca teologica che, se trascurata, determina, nonostante lo splendore delle forme e l’originalità delle idee, una caduta nel falso.

A questo, tuttavia, bisogna aggiungere che ogni approccio storiografico al problema della chiesa-edificio non può esimersi dal considerare l’aspetto teologico come parte integrante del più vasto processo evolutivo della storia dell’uomo.5In tal modo si crea

una ideale continuità logica tra i concetti strutturali di ogni periodo storico e le inter- pretazioni proposte dalla teologia che, in quanto scienza, non può essere pensata disgiunta dal più generale clima teorico. Ogni teologia, allora, in quanto frutto del suo tempo, sarà l’impulso per la nascita di una particolare forma di architettura della chie- sa-edificio la quale, sulla base di una deduzione sillogistica, rappresenterà essa stessa un’espressione univoca della temperie ideologica del proprio tempo. Tali considerazioni devono essere interpretate non solo come chiarimenti ed esplicazioni disciplinari, ma anche come strumenti interpretativi posti a fondamento degli approfondimenti proposti successivamente.

2. ‘abitare’ lo spazio per il culto

Alla domanda che cos’è la chiesa-edificio? può essere utile rispondere partendo dalle parole di. Giuseppe Varaldo:

«Tra il non affrontare la questione per non correre il rischio di dire male cose difficili, e l’affrontarla dicendo che ci si trova di fronte a un argomento dalle mille sfaccettature che si compongono solo in quadri di grande complessità, non desisto dal correre i rischi dell’affrontarla, almeno nei termini seguenti: una chiesa è un luogo di culto; un chiesa è una casa per il popolo di Dio».6

Si tratta di una definizione che si distingue per l’onestà e per la molteplicità dei concetti riassunti, che devono essere chiaramente espressi se si intendono comprendere le reali peculiarità del problema esposto.

Ad esempio, l’iniziale dichiarazione di complessità in riferimento al tema trattato non dovrebbe essere accolta con superficialità semplicemente perchè potrebbe sembrare scontata. La complessità, infatti, implica l’esistenza di una diversità di elementi che, intrecciandosi tra di loro in modo non lineare, costituiscono la natura dell’oggetto defi- nito complesso. Si è di fronte a una realtà che, per sua natura, obbliga a una attenzione maggiore e a un’analisi che, rifiutando ogni pretesa autonomia disciplinare, sappia proporre un rapporto eteronomo tra le teorie prese in considerazione. Per queste

ragioni le specificità della disciplina architettonica devono essere chiamate a un confronto con le idee esposte da altre discipline, così che risulti possibile restituire la complessa unità dell’oggetto.

Va però aggiunto che rispondere alla domanda posta inizialmente impone, a causa della sua natura essenziale, di attenersi al rispetto di un rigore analitico chiaramente definito, il quale ha il compito di preservare il processo logico da ogni possibile forma di errore o carenza. Addentrarsi per vie speculative all’interno dell’essenza di un argomento, infatti, potrebbe implicare il rischio di cadere in astrazioni concettuali esasperate che sembrano perdere di vista l’unità originaria e che inducono l’osservatore a ogni possibile forma di alterazione della realtà. Le due argomentazioni espresse devono essere risolte sulla base di quanto è stato chiarito nel precedente capitolo in riferimento alla comple- mentarietà dei concetti di molteplicità necessaria e di interdisciplinarietà che, creando una sintesi di molteplici punti di vista di uno stesso oggetto, forniscono un metodo per riuscire a descrivere la verità di un argomento e ridurre il possibile margine di errore. In seconda battuta, dalla definizione di Giuseppe Varaldo è necessario estrapolare il concetto di abitare il quale, più o meno esplicitamente, è il fine che giustifica la defini- zione e l’uso sia del termine luogo sia del termine casa. Bisogna chiarirne soprattutto la dimensione ontologica, piuttosto che quella condizionata dalla storia e dall’etica, poiché è prima di tutto dalle qualità fondamentali dell’abitare che derivano le ragioni che hanno indotto e indurranno l’uomo a costruire. La posizione condizionale dell’abitare, infatti, potrà sicuramente aiutarci a capire il modo in cui sono stati realizzati gli edifici, ma il perchè si costruisce può essere compreso solamente a partire dalla natura dall’essere. Le peculiarità dell’abitare umano sono in questo contesto funzionali alla comprensione delle modalità secondo cui i vari aspetti teologici connessi al tema della chiesa-edificio devono essere presi in considerazione. Si deve, cioè, trovare una matrice semantica dell’architettura capace di comprendere ed esprimere nel modo più verace possibile i concetti che riguardano il rapporto tra l’uomo e Dio che, se non opportunamente valo- rizzati, decadono al ruolo di significati insignificanti imprigionati nelle forme del costruito.

Il concetto dell’abitare rappresenta, nell’economia del nostro discorso, il compimento di un percorso logico che si è precedentemente affrontato e attraverso il quale si è cercato di comprendere il rapporto tra l’architettura, in quanto tecnica, e i suoi prodotti. Questi sono stati qualificati sulla base della definizione heideggeriana dell’essere mezzo-

per del mezzo,7ovvero, in riferimento a questa intuizione filosofica, si è interpretata la

produzione architettonica come il mezzo necessario per rispondere alle necessità dell’uomo. Ricordato il legame che intercorre tra il concetto sottointeso nella natura del

mezzo e le opere create dall’architettura, risulta più agevole comprendere come i signi- ficati connessi all’abitare possano essere consequenziali a quanto si è detto, poiché è solamente attraverso le architetture costruite che l’uomo riesce a darne una tangibile definizione. Se si volesse condensare la complessità dei termini esposti, si potrebbe dire che l’architettura si occupa della costruzione dei mezzi-per abitare.

Questa affermazione sembrerebbe essere affine alla famosa espressione: «La casa è una macchina da abitare».8Tra le due definizioni, però, risulta possibile solamente un’asso-

nanza di tipo linguistico, poiché analizzando in particolar modo il significato attributo al prodotto dell’architettura, ci si renderebbe conto che nel primo caso le sue qualità derivano direttamente dall’abitare, mentre nel secondo caso derivano dall’essere macchina. Si tratta, perciò, di due posizioni tra loro molto distanti, che nella loro diver- genza impongono di rifiutare una definizione dell’architettura pensata sulla base di presupposti meccanicistici. Una simile impostazione, infatti, escluderebbe aprioristica- mente il legame concettuale, emozionale e spirituale tra l’architettura e i valori teoretici espressi dalla fede cristiana, deprimendo ogni possibile intenzione di ricerca in tal senso. Data per certa l’inopportunità di una definizione meccanicistica dell’architettura in rife- rimento al tema della chiesa-edificio, appare a questo punto essenziale capire come il senso più autentico dell’abitare possa chiarire il modo attraverso il quale l’architettura sia capace di dare una forma alla chiesa-edificio.

VANGOGh, La stanza di Vincent ad Arles, Amsterdam,Van Gog Museum, 1888

Anche in questo caso può essere utile richiamare quello che Martin heidegger ha scritto trattando il tema dell’abitare. Il filosofo chiarisce prima di tutto quale sia il contesto dell’esperienza umana in cui il significato etimologico della parola abitare dovrebbe essere esperito, affermando che non si dovrebbe intendere come il semplice prendere possesso di un alloggio, di una casa, poiché l’abitare dell’uomo è possibile in ogni costruzione da lui eretta; d’altra parte «le costruzioni che non sono abitazioni riman- gono pur sempre anch’esse determinate in riferimento all’abitare, nella misura in cui sono al servizio dell’abitare dell’uomo».9

Come diretta conseguenza di questa affermazione e successivamente a più accurate considerazioni di natura etimologica, lo studioso continua la sua analisi sostenendo che l’abitare è il modo di essere dell’uomo sulla terra, ossia «essere uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare»;10molti altri significati vengono abitualmente

riferiti a questo termine, tanto che nessuno di noi non ne ricorda più il senso profondo, il quale riguarda, come si è detto, non un aspetto limitato della vita umana ma la sua interezza. Le considerazioni proposte ancora non chiariscono il significato profondo dell’abitare, ma si limitano a definirne le sole implicazioni contestuali e, nonostante ciò, sono sufficienti a legittimare l’ipotesi interpretativa adottata.

All’inizio, infatti, si è espressa l’intenzione di descrivere la chiesa-edificio come un mezzo-

per abitare, apparentemente senza nessuna ragione che la giustificasse e la rendesse

intelligibile; ora, al contrario, i concetti analizzati ce ne fanno cogliere il pieno valore. L’abitare, essendo pertanto il modo di essere dell’uomo sulla terra, si nasconde nelle innumerevoli manifestazioni in cui si esplica l’esperienza umana, tanto che esso non può essere erroneamente considerato una sintesi, ma piuttosto un fondamento comune alle diverse attività dell’uomo. Per cui ogni edificio, seppur siano innumerevoli le funzioni che esso può accogliere e quasi mai esclusivamente associabili a un semplice prendere dimora, è comunque in una certa misura mezzo-per abitare. Anche la chiesa- edificio è, in base alle argomentazioni esposte, una concreta e coerente risposta al

LECORBSIER- SAUGNIER, Casa in serie “Citrohan”,

bisogno di abitare dell’uomo che si caratterizza nella specificità della celebrazione litur- gica. Allora, se l’abitare è il luogo comune che giustifica ogni costruzione, sarà solamente in relazione al suo autentico significato che si riuscirà a connotare in modo appropriato la progettazione e la realizzazione degli edifici.

Secondo heidegger, l’essenza dell’abitare può essere percepita a patto che la si consideri come la risposta al naturale bisogno sia di pace sia di protezione, che l’uomo inconscia- mente avverte. L’abitare, perciò, è necessario a garantire la pace, la libertà; permette di essere preservati, curati, riguardati. Dove il significato autentico dell’aver riguardo «è qualcosa di positivo, e si verifica quando noi fin da principio lasciamo essere qualcosa nella sua essenza [...] la cingiamo di protezione»,11cioè non la vincoliamo alle catene

della salvaguardia limitante. In definitiva l’essenza dell’autentico significato dell’abitare è: «rimanere nella protezione entro ciò che ci è parente (cioè ciò che ci rende liberi) e che ha cura di ogni cosa nella sua essenza. Il tratto fondamentale dell’abitare è questo aver cura».12Ma di chi bisognerebbe aver cura? Attraverso l’abitare si ha cura dell’uomo,

non in quanto singolo essere umano, ma quale espressione di un unitario insieme di relazioni con tutto ciò che caratterizza il proprio contesto ambientale, culturale e spiri- tuale. Rendere tali relazioni libere di manifestarsi nella propria essenza è la corretta manifestazione dell’abitare che si prende cura dell’uomo.

Bisogna, però, chiarire un aspetto che fino a ora si è dato per sottointeso: l’uomo può essere capace di abitare solamente se soggiorna, alberga presso le cose costruite,13

Destra: Catacombe di San Callisto - Cappella dei Papi, Roma, circa 250 Sinistra: Santa Costanza, Roma, circa 350

poiché è unicamente attraverso di esse che egli sa dare riparo e aver cura del proprio essere, ovvero dei propri legami. heidegger le chiama con il nome di luogo e sottolinea che se non ci fossero delle cose costruite a occupare lo spazio, non esisterebbe nessun luogo.14In quest’ottica, ogni luogo deve essere considerato come il solo strumento attra-

verso il quale si può pervenire a un autentico abitare, ovvero a un autentico aver cura. La consapevolezza di queste ultime nozioni ci riporta alla citazione di Giuseppe Varaldo, il quale ha con molta nettezza interpretato il problema della chiesa-edificio sulla base del concetto di luogo; per chiarezza, all’interno della stessa citazione, bisogna evidenziare la proposta di una seconda analogia che adotta come analogo il termine casa; essa, essendo un luogo che accorda un posto all’abitare, può essere semplificata e perciò sottintesa all’interno dell’interpretazione iniziale. Pensare alla chiesa-edificio come a un luogo e inoltre rivederla come risposta a un bisogno che esplicita il più gene- rale concetto dell’abitare dell’uomo, chiarisce in modo inequivocabile il fondamento ontologico del tema che si sta trattando, che corrisponde al prendersi cura, nel senso heideggeriano dell’aver cura, della particolare esperienza della vita umana che si svolge all’interno dello spazio della chiesa-edificio. Dove per prendersi cura, si deve pensare il lasciar essere qualcosa nella sua essenza.

Volendo ritornare alla citazione che ha introdotto il nostro ragionamento, l’oggetto dell’aver cura, relativo al tema in questione, si caratterizza in una duplice accezione: il culto, ossia il servizio che ogni cristiano riserva a Dio e che già Cristo rese al Padre, e il popolo di Dio, cioè la particolare condizione che assumono gli uomini che credono nella rivelazione. Se queste sono le connotazioni in cui si manifesta l’abitare dell’uomo di cui ci stiamo occupando, allora il luogo destinato a ospitarle deve, attraverso la propria conformazione, poter garantire la loro autentica espressione, il rispetto della loro essenza; in definitiva l’aver cura del significato sia del culto cristiano sia del popolo di Dio. Il problema che si pone a questo punto del nostro studio è perciò capire quale sia la vera essenza dei termini che si sono appena presi in considerazione.