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d’Avignon, New york The Museum of Modern Art, 1907

Sopra: bOCCIONI,

La città che sale, New york

The Museum of Modern Art, 1910-11

Sotto: DUCHAMP,

Nudo che scende le scale n.2,

Philadelfia

Philadelfia Museum of Art, 1912

Come diretta conseguenza all’espansione del soggettivismo, si venne a manifestare un generale desiderio di innovazione dei linguaggi dell’arte; gli artisti, infatti, accollandosi il compito di estrapolare dalla frammentarietà e dall’aleatorietà della società moderna ciò che ne determinava l’eterno e l’immutabile, si trovarono di fronte alla necessità di inven- tare nuove forme comunicative capaci di rappresentare, a partire dalle condizioni dettate dalla rivoluzione in atto, l’essenza della nuova epoca.

La velocità dei cambiamenti in atto era tale da indurre i produttori di cultura a creare in modo repentino delle innovazioni linguistiche in cui spesso si condensarono i carat- teri dell’artifizio e della costruzione autoreferenziale non rappresentative della società contemporanea.

La tattica del colpo a sorpresa, del gesto formale capace di interrompere la continuità prevedibile, ebbe inoltre la responsabilità di favorire la nascita del mercato dell’arte e del consenso della moda: il grado di originalità di ogni nuova operazione estetica divenne il parametro estetico sulla base del quale il consumatore indottrinato formulava le proprie scelte.

«La mercificazione e la commercializzazione di un mercato di prodotti culturali nel XIX secolo obbligavano i produttori culturali a entrare in un gioco di concorrenza sul mercato che era destinato a stimolare processi di distruzione creativa all’interno dello stesso campo estetico [...] Ogni artista cercava di cambiare le basi del giudizio estetico, sia pure soltanto per vendere i propri prodotti. Ciò dipendeva anche dalla formazione di una distinta classe di consumatori culturali [...] La lotta per produrre un’opera d’arte, una creazione definitiva che potesse trovare un posto unico sul mercato, doveva essere uno sforzo individuale compiuto in circostanze competitive».18

Considerare questi elementi in relazione alle tematiche connesse al problema dell’edi- ficio adibito al culto rivela che, alla base del modello culturale del Movimento Moderno, non vi era la volontà di perseguire una ricerca formale capace, attraverso la sua fissità e univocità, di simbolizzare l’assoluto che è annunciato dalle religioni. Il simbolo, infatti, riesce a essere comunicativo e universale solamente se ha origine da una ben definita condizione culturale, la quale ha poi il compito di doverlo accogliere e lasciarlo sedi- mentare all’interno del proprio sapere per un lungo periodo di tempo. Il modernismo, per via della immaterialità dei suoi prodotti e della mutabilità del mercato dell’arte, rifiuta nettamente questo principio e implicitamente si diversifica rispetto alle granitiche peculiarità semantiche e sintattiche delle modalità formative del sacro; anche in questo caso si tratta di una ben definita scelta di campo che comporta nell’architettura moderna un volontario allontanamento dal tema progettuale della chiesa-edificio.

Se queste sono le indicazioni che possiamo dedurre dalle riflessioni condotte sulla concreta attività dell’architettura modernista operante, di tenore assai simile è l’aspetto che viene ad assumere il processo storiografico relativo alla stessa. E’ necessario sotto- lineare, infatti, come la scarsa attenzione della storiografia moderna nei confronti dell’architettura sacra e delle sue problematiche sia sintomatica dei criteri selettivi degli storici nell’escludere dai loro manuali le esperienze estranee all’ideale funzionalista, o comunque incompatibili con i presupposti ideologici del Razionalismo. Si pensi, ad esempio, alla trattazione agiografica dei pionieri del movimento moderno, alle interpre- tazioni di parte legate ai miti del macchinismo e della forma pura, alle impostazioni assiomatiche di quanti, seguendo Nikolaus Pevsner e Sigfried Giedion, hanno conside- rato l’architettura una «disciplina dominata dalla presenza, supposta oggettiva e reale, di valori che era compito del critico riconoscere, piuttosto che come campo di processi e di meccanismi di attribuzione di valori che era compito dello storico analizzare».19

Salvo la cappella di Ronchamp di Le Corbusier e pochi altri capolavori entrati a far parte della storia, le migliori realizzazioni degli architetti che si sono avventurati nella faticosa ricerca di nuovi spazi liturgici sono state deliberatamente ignorate o censurate col termine generico di formalismo per le loro soluzioni anticonvenzionali.

Dati i presupposti, la più ovvia e plausibile reazione della Chiesa di Roma all’ideologia incarnata nelle diverse anime della cultura modernista è stata la negazione di ogni forma di dialogo. Non poteva essere altrimenti. Quello che però stupisce è stato il risvolto

V. KANDINSKIj,

Sguardo al passato, berna

Kunstmuseum, 1924

E. L. KIRCHNER,

Fräzi con una sedia intagliata, Madrid

pratico a questa reazione poiché l’arte cattolica, per via del diretto interessamento delle alte sfere ecclesiastiche, si è progressivamente declinata verso forme linguistiche espli- citamente riferibili all’architettura romana del Cinquecento e del Seicento.

Quest’atteggiamento appare ancor più incomprensibile se si pensa che nel breve periodo compreso all’incirca tra il 1845 e il 1860 venne a costituirsi tra la disciplina architettonica e la religione cattolica una stretta sinergia di intenti in relazione alle problematiche connesse al restauro delle grandi cattedrali medievali francesi. Due sono le personalità che si sono confrontate su questo tema: l’architetto francese Eugène- Emmanuel Viollet-le-Duc,20incaricato da Prosper Mérimée21di occuparsi del recupero

dell’enorme patrimonio artistico conservato nelle grandi cattedrali devastate durante il periodo della rivoluzione del 1789 e il Movimento Liturgico con il suo forte desiderio di rinascita e rinnovamento in seno al cattolicesimo.

Entrambe hanno creduto nei presupposti culturali e nelle peculiarità linguistiche che contraddistinguono l’architettura medievale francese e in particolare quella gotica la quale, oltre a elevarsi a rango superiore per via dell’ardimento delle strutture, per la leggerezza delle parti rese trasparenti da vetrate, per la sua razionalità e originalità, veniva interpretata come la manifestazione esplicita di una società in cui la morale era dominata da una chiara componente di ispirazione cristiana e il senso di comunità assu- meva i connotati di popolo di Dio.

A. PERRET,