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Arbitraria universalità: un uomo imperfetto

L’UOMO VITRUVIANO E LA NEUE SACHLICHKEIT

III.2 Arbitraria universalità: un uomo imperfetto

Verso la fine del XVII secolo, il presbitero René Ouvrard, stimato compositore di musica sacra, aveva rivestito il ruolo di magister capellae presso la Sainte- Chapelle di Parigi [20].Sembra che proprio Francois Blondel, con il quale in-

tratteneva rapporti di amicizia, in occasione della sua investitura come diret- tore dell’Accademia francese di Architettura, lo avesse incoraggiato a elaborare una teoria delle proporzioni che mettesse in relazione architettura e musica[21].

[17] Claude Perrault, Ibid.

[18] Analogia con i rapporti matematici in musica suggerita da Geoffrey Scott, Ibid., pp. 166 [19] Gilbert Simondon, Imagination et invention, 1965, cit, in. Giovanni Corazzino e Andrea Bardin, Simondon: mito e oggetto tecnico, in Giovanni Leghissa, Enrico Manera (a cura di) Filo- sofie del mito del Novecento, Carocci, Roma 2015, pp. 204

[20] Magister capellae, in francese Maître de chapelle in tedesco Kappelmeister era compositore e direttore di musica sacra presso gli istituti monastici.

[21] René Ouvrard, Architecture Harmonique, Paris 1667, ed Eng. Harmonic Architecture, in Harry Francis Mallgrave (a cura di), Architettura Theory. Volume I. An Anthology from Vitruvius

Blondel e Ouvrard condividevano una fede neoplatonica nel fatto che musica ed architettura fossero accomunate da un analogo sistema proporzionale esat- to. Nell’opera “Architecture Harmonique”, Ouvrard paragonava la teoria degli intervalli in musica alle proporzioni che determinavano la bellezza dell’archi- tettura, definendo la propria posizione in questi termini: «Non c’è alcun pre- cetto più universale nelle arti di quello che definisce proporzione, simmetria e idoneità per le differenti parti del medesimo corpo, e questo è particolarmen- te vero in architettura». Accusava poi così gli architetti a lui contemporanei: «Anche se gli architetti dicono di imitare le proporzioni naturali che sono state così esattamente osservate nella figura del corpo umano, sembra che essi met- tano in pratica queste regole solamente in modo arbitrario»[22]. Ouvrard non

faceva altro che ribadire nuovamente i precetti vitruviani, ma li esasperava a tal punto da arrivare a negare qualsiasi possibile arbitrio nella composizione dell’architettura; la regola era oggettiva e la differenza tra una buona architet- tura ed una cattiva risiedeva in un’adesione al canone più o meno rigorosa. Nel pensiero di Ouvrard e Blondel, il canone, estensione metonimica del ter- mine greco che indicava il regolo degli artigiani, indicava la norma alla quale si dovevano attenere gli artisti di qualsiasi disciplina e conteneva tanto l’idea di misura quanto quella di modello. Era inoltre espressione di una fondamentale idea di imitazione, come viene inteso, ad esempio, in ambito musicale. Canone, proporzione, regola, verità, imitazione, oggettività costituivano le ra- dici su cui si fondava l’idea di architettura proposta nella figura dell’Uomo vitruviano, ma l’estremo dogmatismo che stavano assumendo le posizioni in suo favore avrebbero causato reazioni altrettanto radicali: una su tutte quella già citata di Claude Perrault. Se è vero che in musica esistono rapporti pro- porzionali esatti che determinano la relazione tra le note (1:2 l’ottava, 2:3 la quinta, ecc.), questi stessi rapporti, per quanto necessari per evitare stonature, non bastano a determinare da soli l’invenzione della melodia, il cui processo risiede nell’arbitrio della composizione. Con un sguardo analitico distante di secoli, Alberto Perrez-Gomez, commentando l’opera di Perrault, pronunciava una frase particolarmente emblematica per quanto apparentemente ambigua. Diceva a proposito delle pretese di oggettività di Blondel: «La scienza e la filo-

to 1870, Blackwell Publishing, Malden, MA 2006 [22] Ibid., , pp. 72 (traduzione dell’autore)

sofia occidentali preferivano la verità piuttosto che la realtà»[23]; la verità è qui

intesa come costruzione culturale, mentre la realtà rappresenta la complessità dei fenomeni naturali. La verità sarebbe una riduzione a posteriori del molte- plice rispetto ad una regola: un codice di interpretazione che l’uomo sostitui- sce all’esperienza dei fatti, al fine di comprenderli ed ordinarli. Come una ma- schera o, secondo un’atra metafora, una lente, in grado di creare degli insiemi e attribuire significati. L’Uomo vitruviano era in questo senso una verità: una categoria, la cui esistenza era creduta piuttosto che dimostrata.

Diceva poi Perrez-Gomez che Perrault aveva sostanzialmente svelato i modi della costruzione del mito degli ordini e allo stesso modo dei concetti propor- zionali legati alla figura dell’Uomo vitruviano. Una mitopoiesi elaborata nel corso dei secoli che ha conferito all’antico e alla regola vitruviana un carattere di autorità insindacabile. Una regola costruita, però, a posteriori e applicata anche retrospettivamente per spiegare l’origine delle forme. Se è vero che una simile convenzione interpretativa era stata necessaria per regolare l’opera de- gli architetti, diceva Perrault, il moderno metodo scientifico avrebbe dovuto restituire legittimità al libero arbitrio dell’autore.

Ma lo studio dell’Uomo vitruviano non può certo essere ridotto alla dimostra- zione scientifica della sua verità o falsità; come un mito fonda, e trova autorità nel proprio essere fondamento. Come dice in proposito Raffaele Pettazzoni: «Il mito è vero, e non può essere non vero, perché è la tavola di fondazione della vita tribale, cioè di tutto un mondo che non può esistere senza quel mito. Reciprocamente il mito non può esistere senza quel mondo, di cui organica- mente fa parte come “spiegazione”»[24].

Non si tratta, secondo Pettazzoni, di considerare mito e ragione come opposti. Non si spiegherebbe ad esempio la fede rinascimentale nel canone dell’Uomo vitruviano e, parallelamente, la nascita dell’architettura come disciplina au- tonoma, autoriale e moderna. Il pensiero di Pettazzoni sul mito fornisce uno strumento per comprendere l’assolutezza mitica dell’idea di Uomo vitruviano, e allo stesso tempo la legittimità di una sua riduzione, insieme logica e arbitra- ria: «Il pensiero umano è sempre mitico e logico insieme».

Ancora al principio del XIX secolo, l’architetto teosofo Claude Fayette Bragdon, nel definire la sua “Bellissima Necessità” cercava di unire il particolare arbitra-

[23] Alberto Perrez-Gomez, Introduzione a Claude Perrault, Ibid.

rio e l’universale oggettivo: «Il corpo dell’uomo è l’archetipo dell’architettura. Nondimeno bisogna stare attenti a non esagerare sull’importanza della pro- porzione geometrica. L’architetto che cerca il segreto definitivo dell’armonia architettonica nella matematica piuttosto che nell’occhio addestrato segue una strada sbagliata verso il successo […] È l’occhio addestrato, non una formula aritmetica, a determinare cosa sia o meno una bella proporzione»[25]. Il termi-

ne ‘addestrato’ utilizzato da Bragdon porta con sé la storia di un’intera disci- plina in continua ricerca di un fondamento.