• Non ci sono risultati.

IL COLOSSEO E LA COLONNA DI PLASTICA

V.2 La scatola vestita

«Vi sono in realtà due stili di arte dell’architettura: l’uno era universalmente praticato prima del XVI secolo, l’altro fu inventato dopo. Al primo apparten- gono i veri stili dell’architettura, al secondo gli stili di copia e di imitazione». James Ferguson, History of the Modern Styles of Architecture, 1862[7]

Nel 1857 ancora a Londra veniva bandito il concorso per la realizzazione del nuovo palazzo per il ministero degli esteri e delle colonie. Erano trascorsi poco più di cinque anni dall’Esposizione Universale del Crystal Palace a Hyde Park; l’impressionante struttura in ferro e vetro di Joseph Paxton aveva sconvolto gli architetti di tutto il mondo, ma non aveva fatto vacillare la convinzione che per realizzare le opere pubbliche e di rappresentanza il linguaggio dell’archi- tettura dovesse ancora riferirsi agli stili tradizionali. Per il concorso vennero

[6] Si fa riferimento alle parole, già citate al capitolo V, che Francesco di Giorgio usa per defini- re il gesto di Callimaco nel creare il capitello corinzio. Si veda cap. V, nota [7]

[7] James Fergusson, History of the Modern Styles of Architecture, London 1862, cit. in Geoffrey Scott, The architecture of humanism: A Study in the History of Taste, 1914, ed. It. L’architettura dell’umanesimo, Laterza, Bari 1969, pp. 151

presentati più di duecento progetti, e in breve tempo fu sancito un verdetto: il progetto di gusto rinascimentale di Henry Coe e Henry Hofland si classificò primo, Robert Banks e Charles Barry arrivarono secondi con un progetto stilisticamente simile, mentre George Gilbert Scott ottenne il terzo posto con un disegno marcatamente gotico[8].Tuttavia Scott, che all’epoca aveva già ot-

tenuto numerose commissioni dal governo britannico, ed era stato maestro dello stesso Coe, riuscì, con ricorsi e pressioni politiche, a far annullare l’esito del concorso e ottenere l’incarico.

L’allora primo ministro Lord Palmerston, però, aveva espresso la propria pre- dilezione per l’architettura palladiana, e manifestato l’intenzione di fare tutto il possibile per convincere Scott a modificare il proprio progetto. In realtà fu- rono i celebri ed influenti architetti ‘classicisti’ Robert Smirke, Chales Barry e Charles Cockerell, appoggiati da parecchi membri del parlamento, a convin- cere Palmerston. La vicenda che ne seguì è ricordata come ‘la battaglia degli

[8] David B. Brownlee, That ‘Regular Mongrel Affair’: G. G. Scott’s Design for the Government Offices, “Architectural History”, Vol. 28 (1985), pp. 159-182+184-197, SAHGB Publications Li- mited, Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1568531

stili’[9].Da una parte il gotico, sostenuto soprattutto da Augustus Pugin, che

in quegli anni era impegnato con la realizzazione del palazzo di Westminster, dall’altra il classico (nella particolare declinazione rinascimentale e palladia- na), che aveva come maggiori e convinti difensori Decimus Burton e lo stesso Cockerell. Ai due stili erano attribuiti significati ed ideologie contrapposte; il classico era lo stile perfetto, faceva riferimento ai valori dell’umanesimo e ad una classe governativa illuminata; esprimeva idee di ordine, di gerarchia e di immutabilità. Il gotico invece era progressista, pragmatico e non vincolato a strette regole compositive, quindi ‘libero’ e ‘artigianale’; era inoltre più adatto ad esprimere il sentimento nazionale, ad essere compreso dal popolo, e le sue origini erano autenticamente cristiane[10].Per sostenere il primato di uno o

dell’altro stile, venivano poi sollevate questioni di carattere statico e strutturale, unitamente ad altre di tipo funzionale, ma su questi punti le argomentazioni si facevano più deboli. Il campo su cui si giocava la battaglia era invece quello del significato, dell’architettura come elemento retorico: gli elementi dell’ar- chitettura come parole di un linguaggio e l’intera composizione come discorso. Scott aveva ottenuto la commissione, ma sapeva che non avrebbe potuto vin- cere la ‘battaglia degli stili’, né tantomeno le resistenze di Lord Palmerston. Aveva così cercato di mediare con un progetto che definiva ‘semi-bizantino’, nel quale, pur mantenendo alcune libertà compositive, abbandonava il partito decorativo gotico. Ne aveva elaborate due versioni, ma Palmerston le conside- rava eccessivamente eclettiche ed inadatte; Scott ricorda curiosamente che il primo ministro, chiedendo una soluzione palladiana, voleva «qualcosa di più simile all’architettura moderna»[11].Palmerston, nel frattempo, aveva commis-

sionato a Henry Garling il disegno di un progetto puramente classicista, ma si vide costretto a non ritirare l’incarico dato a Scott. Nel tentativo di raggiungere un compromesso disse alla delegazione dei revivalisti gotici: «Propongo una soluzione: chiedere a Scott di progettare qualche sezione ortogonale in uno

[9] Ad esempio definita così in Peter Collins, Changing ideals in modern architecture, 1750-1950, London 1965, ed. It. I mutevoli ideali dell’architettura moderna, Il Saggiatore, Milano 1973, pp. 152, che fa a propria volta riferimento alla storia raccontata in Kenneth Clark, The Gothic Revi- val: An Essay in the History of Taste, Oxford 1928

[10] Bernard Porter, Architecture and Empire: the case of the ‘Battle of the Styles’, 1855-61, “British Scholar”, Vol. II, Issue 2, 181-96, March 2010

stile diverso, che sia meno dispendiosa, più luminosa e più allegra, oltre che più idonea allo scopo dell’edificio»[12]. Nonostante la grande fama e l’appoggio

di molti suoi contemporanei, Scott capì quindi che se avesse voluto realizzare il progetto si sarebbe dovuto piegare alla volontà di Palmerston; disegnò così a propria volta un progetto palladiano, ironicamente simile al primo vincitore di Coe e Hofland, e completò l’opera nel 1868 con l’aiuto (per gli apparati de- corativi) di Digby Wyatt. Gli anglosassoni definivano questo particolare tipo di revival rinascimentale ‘Italianate architecture’.

Questo episodio sancì in qualche modo una generale sconfitta per tutti colo- ro che si dichiaravano fedeli ad un solo stile e ne sostenevano la superiorità; veniva sostanzialmente sdoganata la possibilità per ogni autore di utilizzare stili differenti a seconda del proprio desiderio e del tipo di commissione. La qualità architettonica veniva dunque semplicemente subordinata ad una buo- na capacità di copiare e ricomporre un modello, qualsiasi esso fosse. Del resto ancora prima lo stesso Decimus Burton, portato ad esempio come sostenitore dei classicisti, si era cimentato con alcuni progetti gotici, ma anche il suo ma- estro John Nash aveva manifestato un’attitudine particolarmente eclettica, con l’ulteriore integrazione di forme orientali[13], mentre in Germania il grande

maestro Karl Frederich Schinkel, aveva mostrato da tempo di saper praticare con disinvoltura tanto lo stile gotico, quanto il classico.

Pur riassumendo una vicenda in realtà ben più complessa, ulteriormente sin- tetizzata in poche righe, si può sostenere che i diversi progetti di Scott per il ministero degli esteri presentavano una modalità progettuale molto simile a quella mostrata da Burton per il suo Colosseo; lo stile costituiva un rivestimento, un linguaggio applicato alla struttura a cui si potesse attribuire un significato. Gli autori moderni, che al principio del Novecento si scagliarono contro ‘l’ar- chitettura degli stili’, si accanirono soprattutto contro questo metodo di pro- getto. Consideravano assurdo in primo luogo che la qualità dell’architettura venisse valutata unicamente in relazione con la storia della disciplina, e so- prattutto che venisse accettato e praticato un evidente scollamento tra strut- tura e decorazione: non potevano infatti accettare che quel sottile confine che separa l’architettura dall’edilizia risiedesse proprio nella decorazione.

[12] In Peter Collins, Ibid., pp. 153

[13] Si fa riferimento particolare al celebre Royal Pavilion di Brighton, completato su progetto di John Nash nel 1823