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LA CAPANNA PRIMITIVA E LA MACCHINA A VAPORE

I.1 La Dinamo e la Vergine

L’eredità di cui il giovane Henry Adams doveva farsi carico era un peso difficil- mente sopportabile. Il suo bisnonno, John Adams, era stato il secondo presi- dente degli Stati Uniti, il primo ad abitare la Casa Bianca[1], mentre suo nonno,

John Quincy Adams aveva ricoperto la medesima carica come sesto presi- dente. Suo padre, Charles Francis Adams, aveva servito il governo americano, sotto la guida di Abraham Lincoln durante la guerra civile, come ambasciatore nel Regno Unito. In quegli anni Henry, quarto di sette fratelli, aveva seguito il padre a Londra come segretario personale, e lavorato come corrispondente anonimo per il New York Times. Tornato negli Stati Uniti, aveva insegnato storia medievale ad Harvard, abbandonando poi l’accademia per dedicarsi alla scrittura e al giornalismo.

Nel 1893, in occasione dell’Esposizione Universale Colombiana di Chicago,

[1] La Casa Bianca fu ultimata nel 1800 durante il mandato di John Adams su progetto, di chiara ispirazione palladiana, dell’architetto irlandese James Horban. Dopo Adams fu abitata dal terzo presidente Thomas Jefferson che vedeva nelle forme palladiane la migliore manifestazione archi- tettonica degli ideali democratici americani.

«Solo l’osservatore superficiale può negare che tra il mondo della tecnica e l’arcaico universo simbolico della mitologia giochino delle corrispondenze».

Harris J. Ryan, giudice per le opere elettriche dell’esposizione, lo aveva iniziato come membro onorario della confraternita Phi Kappa Psi. Qualche anno dopo Adams avrebbe espresso nel saggio La Dinamo e la Vergine quanto osservato in quell’occasione[2].

La White City di Chicago (così veniva soprannominato il sito dell’esposizione), il cui progetto era stato diretto da Daniel Burnham, si presentava in un pom- poso stile neoclassico esteso su una superficie sterminata di duecento ottanta ettari e in soli sei mesi aveva accolto più di ventisette milioni di visitatori. Come tutte le esposizioni, a partire dal Crystal Palace di Londra nel 1851, quella di Chicago aveva il fine di mostrare ai visitatori, oltre ai prodotti co- loniali, i rapidi progressi della tecnica moderna: macchine industriali per la tessitura, la produzione di energia elettrica, il trasporto, ecc. In quell’occasione l’ingegnere George Washington Gale Ferris Jr. realizzò, come icona dell’espo- sizione, la prima ruota panoramica.

Adams si domandava quali fossero le ‘forze’ che spingevano un’intera socie- tà ad impiegare una quantità di energie così mastodontica: edificare palazzi, tracciare strade, scavare canali (e poi demolire l’intera opera al termine dell’e- sposizione) per muovere verso la stessa meta migliaia di persone, unite nella meraviglia dalla contemplazione del mondo moderno.

Nel Machinery Building erano collocate le gigantesche dinamo Westinghouse che fornivano energia elettrica all’intera esposizione. Agli occhi dei visitatori la

White City illuminata a giorno, era uno dei più sconvolgenti momenti di stupore.

Henry Adams vedeva proprio nella dinamo l’emblema privilegiato della mo- dernità: il simbolo che meglio di tutti rappresentava la ‘forza’ generatrice della società moderna e il motivo della sua coesione. Parlando di se stesso in ter- za persona dice: «Per Adams la dinamo diventò simbolo di infinito. Mentre esplorava le grandiose gallerie delle macchine, iniziò a percepire le dinamo di quaranta piedi come una forza morale, come i primi Cristiani nei confronti della Croce. Il mondo stesso, nella propria antica, volontaria, annuale o gior- naliera rivoluzione, sembrava meno impressionante di questa enorme ruota, che girava a velocità vertiginosa, quasi mormorando - bisbigliando un’appena percepibile raccomandazione a stare ad un passo di distanza per rispettare l’e-

[2] Nel 1907 Henry Adams aveva distribuito ad una ristretta cerchia di amici una raccolta di propri scritti intitolati The Education of Henry Adams, poi pubblicati in versione integrale nel 1918 dalla Massachusetts Historical Society, poco dopo la sua morte.

nergia - mentre non avrebbe svegliato un neonato che le si fosse trovato vicino. Prima della fine ci si sarebbe trovati a rivolgerle una preghiera»[3].

Per evidenziare gli sconvolgimenti che stavano interessando il suo presente, Adams si chiedeva quale metodo narrativo utilizzare. Non credeva in una sto- ria raccontata come successione cronologica di uomini illustri, sistemi politici o idee dominanti; non pensava che un metodo rigorosamente scientifico e filologico avrebbe reso giustizia alla complessità della storia dell’uomo. Adams pensava così la storia come una sequenza di ‘forze’.

La dinamo era per Adams il simbolo della ‘forza’ della modernità, come lo era stata l’icona della Vergine Maria nell’Europa medievale.

Quando, tra il XII e il XIII secolo, dice Adams, fu edificata a Chartres la grande cattedrale di Notre-Dame, nulla nell’arco di chilometri poteva anche lontanamente rivaleggiare con la sua immensa struttura o con la ricchezza delle sue decorazioni. Nel 1194 un grande incendio aveva distrutto la precedente cattedrale, e il Velo della Vergine custodito al suo interno (l’abito che la Madonna avrebbe

[3] Henry Adams, The Dynamo and the Virgin, in The Education of Henry Adams 1918, Ibid., (traduzione dell’autore)

indossato al momento dell’annunciazione) si credeva perduto. Quando fu poi ritrovato si pensò fosse necessario edificare un tempio più grande. Così per più di un secolo le migliori maestranze impiegarono tutte le proprie forze per innalzare altissime volte costolonate, realizzare decine di vetrate allegoriche ed adornare l’interno e l’esterno con centinaia di statue a bassorilievi[4]. Le forze

produttive, politiche e spirituali di un’intera epoca si univano inginocchiando- si davanti all’icona della Vergine.

Adams voleva mostrare che le ragioni fondamentali che legano gli uomini nel- la loro vita in società funzionano secondo meccanismi analoghi. Sia nell’epoca “religiosa” che in quella “meccanica”[5]si possono individuare dei simboli pri-

vilegiati che funzionano come poli attrattivi, costitutivi e legittimanti: da una parte, così, la Vergine, e dall’altra la Dinamo, ma anche molti altri per ogni relativo ordine culturale. Non si tratta ovviamente di equipararne i contenuti ma di affermare una similitudine dal punto di vista del potere culturale[6].

Adams credeva fondamentalmente nello studio di costanti universali; cercava i fondamenti archetipici dello stare in comunità, del condividere un codice sociale, di praticare dei riti collettivi. Paul Ricoeur, poco più di cinquant’anni dopo, avrebbe definito ‘miti’ quella categoria di simboli, la cui valenza ‘reli- giosa’ consiste nel collocare l’uomo nella propria società e in una più ampia rete di significati[7].

Studiare la modernità (in questo caso la dinamo, ma in generale tutta la tec-

nica) da un punto di vista simbolico non è quindi un tentativo mistificante o

blasfemo, quanto uno spostamento del punto di osservazione dal quale privi- legiare le costanti antropologiche piuttosto che le differenze contenutistiche.

[4] Le maestranze che costruirono la cattedrale erano costituite da artigiani specializzati chia- mati compagnons, riuniti in confraternite. Tre confraternite furono impegnate dell’opera: i Bam- bini di Padre Soubise, i Bambini del Maestro Jacques, e i Bambini di Salomone legati all’Ordine del Tempio.

[5] “Religiosa” e “Meccanica” sono definizioni di Adams, con cui sintetizza l’epoca a cui appar- tiene la cattedrale di Chartres e quella delle grandi Esposizioni Universali.

[6] Si veda a proposito: Harvey Cox, The Virgin and the dynamo revisited: An Essay on the Symbolism of Technology, in “Soundings: An Interdisciplinary Journal”, Vol. 54, No. 2 (Summer 1971), pp. 125-146, Penn State University Press

[7] Si fa riferimento all’opera (cit. in Harvey Cox, The Virgin and the dynamo revisited: An Essay on the Symbolism of Technology, Ibid.): Paul Ricoeur, La symbolique du mal, 1960, ed Eng.The Symbolism of Evil, Harper and Row, New York 1967

Costanti che hanno le caratteristiche dell’archetipo: una verità primigenia, ed altrettanto inconoscibile, ma fondativa proprio perché esistente ‘in origine’. L’archetipo che è, con le stesse parole con cui Sallustio definiva il mito: «ciò che mai fu e sempre è»[8].

Adams cercava le costanti immutabili dell’ordine culturale umano e le trovava nell’idea di condividere una credenza che fosse in grado di stabilire regole comportamentali tanto di natura etica quanto estetica. Lo stare in comunità come un insieme di pratiche rituali. Questo era quanto faceva anche l’uomo moderno, visitando una Galerie des Machines con la stessa rispettosa devozio- ne con cui secoli prima entrava in una cattedrale. Se l’archetipo era costitui- to dall’idea dell’esistenza di una forza superiore, sovraordinata e regolatrice, Adams ne svelava le relative manifestazioni.

Il parallelo proposto da Adams ci è utile come esempio metodologico. Per studiare l’architettura, e la sua teoria come forma mitologica, proveremo ad applicare il paradigma di Adams a quelle specifiche narrazioni che legittimano l’architettura facendo riferimento ad un modello primigenio. Tutti quei casi in cui si è sostenuto che l’architettura debba essere imitazione del proprio archetipo. Recidere un albero e conficcarlo nel terreno è un gesto che per molti, come si vedrà in seguito, ha rappresentato il passaggio dall’ordine naturale a quello culturale. Disporre una teoria di pali secondo un determinato ordine sarebbe stato poi il primo gesto architettonico.

Molti, elaborando la teoria vitruviana della capanna primitiva, hanno cercato di ricostruire la forma della prima architettura, e, come ogni mito, tale forma si è manifestata in innumerevoli e differenti versioni.

Come evidenziato da Adams, l’affermazione della tecnica industriale fu un evento talmente dirompente da poter essere paragonato ad una nuova forma archetipica. La macchina come emblema della modernità, così come la capan- na primitiva era stata emblema privilegiato della classicità.

L’origine della tecnica è ciò che lega l’idea della capanna primitiva a quella della macchina a vapore, e l’imitazione di quella tecnica ha costituito il fonda- mento di molte teorie dell’architettura.