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CALLIMACO E IL TRANSATLANTICO

IV.6 Mitologia dell’eroe

Roger Caillois nota che la figura mitologica dell’eroe presenta spesso caratte- ristiche ricorrenti[36].Aderisce ad un tópos narrativo chiaro che lo rende rico-

noscibile, e costituisce un modello per elaborare o comprendere personaggi simili. Il comportamento dell’eroe si può riassumere secondo uno schema piuttosto preciso.

L’individuo è in preda a conflitti psicologici, di cui spesso è inconsapevole, che dipendono dalla costrizione che la struttura sociale fa pesare sui suoi desideri elementari. L’individuo non è in grado di risolvere tali conflitti, e per farlo dovrebbe commettere un atto che lui stesso e la sua società condannerebbero; è paralizzato di fronte al tabù e affida all’eroe l’esecuzione di quell’atto. L’indi- viduo delega quindi l’eroe: colui che viola le proibizioni. L’eroe resta macchiato dalla violazione del tabù, ma alla luce speciale del mito, appare incondiziona- tamente giustificato. Úbris e Némesis si manifestano nella sua vicenda; l’eroe dimostra superbia e tracotanza e per questo merita una punizione, ma è anche l’unico in grado di sopportarla, e proprio in questa sopportazione alimenta la sua forza mitologica. Anche l’individuo però ha bisogno di partecipare in qual- che modo al gesto dell’eroe. Per questo motivo viene introdotto il rito: un ecces- so consentito, regolamentato e calendarizzato, mediante il quale l’individuo ri- sulta drammatizzato e a propria volta, per un attimo, diventa lui stesso eroe[37].

Ammettendo per un attimo che si possa colmare la distanza (disciplinare e storica) tra le figure descritte da Caillois e gli architetti che si possono dire pionieri, è possibile stabilire interessanti corrispondenze di fondo. Anche i pionieri delle ‘rivoluzioni’ architettoniche sono stati coloro che hanno viola-

to le proibizioni, generalmente spostando il baricentro della disciplina verso

qualcosa di sconosciuto e nuovo, spesso consapevoli di violare dei tabù. So- prattutto nell’ambito del Moderno l’idea di novità come proibizione violata è stata alla base della definizione stessa di architettura, e coloro che più di altri si sono spinti in questo senso sono risultati i maestri. In due affermazioni molto simili, anche se altrettanto distanti, si può leggere questo punto di vista. George Godwin, architetto ed editore dell’influente rivista “The Builder”,

[36] Roger Caillois, Le mythe e l’homme, 1938, Il mito e l’uomo, Bollati Boringheri, Torino 1998, pp. 16-17

descriveva così l’opera di John Soane: «Soane sostenne il principio di novità come elemento predominante e compose i suoi dettagli con mezzi molto sem- plici: di solito capovolgendo il consueto»[38]. Diversi decenni dopo lo storico

John Summerson si esprimeva così a proposito dell’opera di Le Corbusier: «Per lui una soluzione a un problema non può essere quella normale, anche se è incantevole; per lui un edificio è uno spietato smembramento di ogni piano costruttivo e una costruzione in cui deve avvenire sempre e infallibilmente l’inaspettato». L’idea per cui l’arte dovesse sorprendere era stata espressa anche da Guillaume Apollinaire, che pensava che l’artista dovesse assumere un ruolo molto simile all’eroe: quello del profeta. «È per l’importante compito assegnato alla sorpresa che il nuovo spirito si distingue da tutti i movimenti artistici e letterari che l’hanno preceduto»[39].Apollinaire, che ebbe molta influenza su

Le Corbusier, credeva che la ricerca della sorpresa fosse la cifra unica delle avanguardie, ma come visto, si tratta di una convinzione che si può facilmente ritrovare in diversi periodi storici.

Novità come cifra artistica, ma anche come limite. Quando si professa il culto

della novità tutto ciò che si proclama nuovo viene annullato da ciò che im- mediatamente dopo riesce ad essere ‘più nuovo’; se tutto poi dovesse davvero essere nuovo mancherebbe il termine di paragone (nuovo ‘rispetto a cosa’) con cui valutarne la portata. Se tutto dovesse essere nuovo, nulla sarebbe nuovo, quasi al pari del preciso opposto della novità: la copia esatta e manierista. Se mancasse il termine di paragone verrebbe a mancare il concetto stesso di no- vità, come a dire che sia quando si copia un modello, sia quando lo si nega, niente può dirsi autenticamente nuovo.

Peter Collins, nella sua brillante ricerca sui “Mutevoli ideali dell’architettura moderna”, suggeriva un’analogia particolare, e stimolante, per interrogarsi su questi temi. «In gastronomia non esiste un prestigio legato alla novità in sé. Nessuno chiederebbe ad uno chef di garantirgli sempre qualcosa di ‘contem- poraneo’»[40].Non si può certo dire, come spesso si è cercato di fare, che sia la

novità da sola a conferire lo status di opera d’arte e di architettura in quanto tali. Si torna quindi alla domanda fondamentale a cui tutte le mitologie par- ticolari hanno cercato di dare risposta: ‘che cos’è qualcosa (nel nostro caso,

[38] Cit. in, Peter Collins, Ibid., pp. 20 [39] Ibid., pp. 361

l’architettura)?’

Lo storico James Ferguson, verso la metà del XIX secolo, sempre procedendo da un’analogia gastronomica, si interrogava proprio su questo tema: come ri- conoscere cioè l’architettura come oggetto culturale, oltre la stringente catego- ria di necessità. «La differenza tra edilizia e architettura è come quella tra un pollo e una côtelette à l’impériale»[41]. Forse si può dire che sia proprio questa

sottile ma complessa distanza, inspiegabile con la ragione, ma comprensibile nell’immediatezza delle immagini mitologiche, a distinguere, anche in questo caso, un cesto da un capitello o un transatlantico da un edificio. Raccontata nel mito, dalla materia emerge l’architettura; senza il mito non c’è architettura. È proprio il mito ciò che mostra gli oggetti sotto una luce nuova: li trasfigura nell’arte, ne stabilisce una connessione con la dimensione spirituale e definisce la differenza tra sacro e profano. Questo, dice Roland Barthes, accade in ogni epoca e si manifesta sempre nei suoi emblemi. Scrive a proposito della ‘Nuo- va Citroën’ con toni che ricordano molto quelli di Le Corbusier, ma in que- sto caso dichiarando che si tratti di mitologia: «Credo che oggi l’automobile sia l’equivalente abbastanza esatto delle antiche cattedrali gotiche: voglio dire una grande creazione d’epoca, concepita appassionatamente da artisti ignoti, consumata nella sua immagine, se non nel suo uso, da tutto un popolo che si appropria con essa di un oggetto perfettamente magico»[42].

[41] James Fergusson, Conversazione sui Principi della Progettazione Architettonica, tenuta il 9 dicembre 1862 ai cadetti della Scuola del genio militare di Chatham, cit. in Peter Collins, Ibid., pp. 216 [42] Roland Barthes, La nouvelle Citroën, in Mythologies, Paris 1957, ed. It. La nuova Citroën, in Miti d’oggi, Lerici, Milano 1962, pp. 141