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Il sacrificio della locomotiva

IL TEMPIO DELL’ARIETE E DELLA LOCOMOTIVA

II.4 Il sacrificio della locomotiva

Nel 1849 il periodico “Revue generale de l’architecture et des travaux publics” diretto da Cesar Daly pubblicava un’emblematica illustrazione dell’architetto e scultore Victor Ruprich-Robert [34]. Si trattava di una rappresentazione dello

stato di transizione in cui si trovava l’architettura in quel delicato momen- to storico. A sinistra prendevano posto il tempio di Apollo Sosiano presso il teatro Marcello, il Pantheon e parti in rovina delle cattedrali di Reims e di Chartres; sopra di essi un ammonimento: «vietato copiare o imitare». Sopra, una grande iscrizione di condanna, rivolta a tutti quegli architetti che ripro- ducevano i modelli stilistici del passato: «Invece di fare l’arte nazionale per i viventi, impongono ai viventi l’arte nazionale dei morti».

A destra, campeggiava l’immagine allegorica della “Nuova Arte”; Atena e tre muse erano raffigurate alla guida di una locomotiva che, come evidenzia- to in un’iscrizione, rappresentava “il progresso”. La locomotiva poggiava su

[32] Ludwig Mies van der Rohe, manoscritto per una conferenza, senza titolo, in Ludwig Mies van der Rohe. Gli scritti e le parole Ibid., pp. 38

[33] Otto Wagner, Moderne Architektur, 1896, ed. Eng. (tradotto dalla terza edizione, 1902) Mo- dern Architecture, The Getty Center for the History of Art and the Humanities, Santa Monica CA, 1988, pp. 83, (traduzione dell’autore)

un’ulteriore epigrafe: «rispetto per il passato, libertà per il presente, fiducia nel futuro». Tre erano poi gli attributi che avrebbero dovuto ispirare l’opera dell’artista, riportati in questo caso sulle tre ruote della locomotiva: «il Bello, il Vero, l’Utile». A lato dell’illustrazione si leggeva poi la chiara posizione di Cesar Daly: «L’arte è uno specchio. Riflette le cose e gli uomini contempo- ranei». Daly, come molti suoi contemporanei, si stava domandando in cosa consistesse questa condizione di contemporaneità. L’avvento dell’industria aveva completamente scardinato i modelli sociali così come le forme artistiche tradizionali, ma in quale direzione si doveva dirigere la nuova architettura? Locomotiva e Atena indicavano la via, tanto materiale quanto effimera, come a suggerire che la componente meccanica, razionale e scientifica dovesse co- stituire un paradigma operativo, ma allo stesso tempo fosse ancora necessario trovare l’arte in un archetipico e mitologico desiderio di bellezza.

Quello di Cesar Daly è un discorso molto semplice e in fondo estremamen- te vicino a quello che sarà il pensiero di Mies van der Rohe. Si potrebbe ri- assumere così: le mutate condizioni di vita dovute all’evoluzione tecnologica impongono il ripensamento dell’architettura e di tutte le arti perché possano esprimere chiaramente ‘lo spirito del proprio tempo’.

«L’arte del costruire è la volontà dell’epoca tradotta in spazio»[35], diceva ap-

punto Mies van der Rohe, definendo l’architetto come colui che semplicemen- te ‘traduce in forma’ non il proprio desiderio individuale ma le aspirazioni e il sentimento di un’intera epoca. Le parole di Mies intendevano mostrare che l’ ‘Arte di costruire’ (Baukunst) sarebbe stata migliore rispetto all’ ‘Architettu- ra’ (Architektur) perché libera dagli stilemi accademici e dai preconcetti della consuetudine, quindi necessariamente spontanea ed autentica: vera.

Le conseguenze della medesima Baukunst di cui aveva parlato Muthesius (contrapposta alla Stilarchitektur [36]) vengono ulteriormente radicalizzate in

[35] Ludwig Mies van der Rohe, Bürohaus, in “G”, n.1, 1923, ed It. Edificio per uffici, in Vittorio Pizzigoni (a cura di), Ibid. pp. 5 L’originale tedesco riporta «Baukunst ist raumgefasster Zeitwil- le». La complessità dei problemi di traduzione di questa breve frase è dovuta alla presenza di tre parole composte. Nel nostro caso si è fatto fede alla traduzione riportata sul testo italiano di riferimento. Altre possibili traduzioni potrebbero suonare diversamente.

[36] Hermann Muthesius condanna la Stilarchitektur, contrapposta alla moderna Baukunst, in quanto architettura unicamente imitativa degli stili del passato (tanto il classico quanto il gotico o qualunque altra variazione). Muthesius associa dispregiativamente questo approccio alla classe borghese. In questo modo rifiuta il paradigma didattico dell’Ercole des Beaux-Arts. Considera-

Mies, ma il processo narrativo di legittimazione rimane il medesimo, e poggia le basi su un concetto particolarmente antico. Alla fine l’idea di Baukunst cor- risponde in buona misura all’albertiana “Res Aedificatoria” così come all’antica

téchne: un ‘fare architettura’ come espressione di un sapere collettivo, attraver-

so il quale si esprime il sentimento di un’epoca.

Tuttavia, nonostante queste premesse ideologiche, le opere di Mies sono con ogni evidenza fortemente individuali, come del resto quelle di Alberti; è neces- sario però che i loro autori le inseriscano in un “programma di verità” che possa legittimare le loro scelte, e che questo “programma di verità” si riferisca all’idea di téchne, che è poi (dal punto di vista antropologico) manifestazione di una sorta di rituale collettivo. Sono modi in cui l’architettura si sottrae al dominio dell’opinione, e la responsabilità dell’autore viene trasferita all’intera comunità. Ma se la téchne era per gli antichi l’unico modo possibile per produrre archi- tettura, quando Mies esprime la necessità di realizzare opere che fossero “lin- guaggio di un’intera epoca” (attribuendone però a se stesso l’invenzione) sta in realtà costruendo il proprio mito. Da un lato, dice Mies, esiste un chiaro (e

vero) “spirito del tempo”, dall’altro lui solo lo conosce realmente ed è in grado

di tradurlo in espressione formale. Chi si avvicina alla sua opera lo deve fare come una professione di fede, come un iniziato si avvicina al sacerdote perché gli sveli la verità in cui è immerso, ma che non riesce ancora ad osservare.

Zeitgeist e Zeitwille, spirito del tempo e volontà dell’epoca, contengono l’idea

di un sistema di forze sovraordinato e indipendente, al quale tutte le opere dell’uomo si devono conformare; al mutare di questi elementi corrisponde sempre un equivalente cambiamento in ambito artistico, e gli artisti che pro- clamano di agire in accordo con queste forze obbediscono a una necessità; spes- so si invocano questi concetti per motivare periodi di radicali cambiamenti. Heinrich Wölfflin parlava, ad esempio, di «mutamento dello spirito del tem- po» per spiegare la transizione dal Rinascimento all’esuberanza del Barocco[37].

Ma Geoffrey Scott, pochi anni dopo, gli rispondeva che, nonostante la «mito- logia ottocentesca» fosse favorevole a questa frase non era possibile pensare che lo spirito del tempo fosse indipendente dalle attività in cui si manifesta. Secondo Scott lo Zeitgeist non costituiva tanto una causa sovraordinata all’ar- chitettura o a tutte le opere dell’uomo, ma era definibile come il prodotto della

zioni contenute in: Hermann Muthesius, Stilarchitektur und Baukunst, 1902, Ibid. [37] Heinrich Wölfflin, Renaissance und Barock, 1888

loro somma; la somma di politica, arte, architettura, filosofia, religione, ecc. In questi termini non si poteva considerare l’architettura come figlia dello

Zeitgeist, bensì come sua parte operativa.

Diceva infatti Scott: «Quando, dunque, noi interpretiamo un mutamento nel campo dell’architettura come un mutamento dello “spirito dei tempi”, non fac- ciamo una dimostrazione, ma una tautologia»[38].

Per tornare quindi all’illustrazione di Ruprich-Robert, la locomotiva rappre- sentava l’emblema rituale attorno al quale doveva prendere forma la nuova architettura, non nell’imitazione delle forme, ma nell’estrapolazione del suo contenuto mitico e veritativo. La locomotiva diveniva idolo e le sue rappresen- tazioni simulacri, il suo funzionamento, invece, paradigma per la costruzio- ne. Così come la locomotiva non conosceva decorazioni inessenziali e la sua struttura, non rivestita da alcuna maschera, denunciava il proprio funziona- mento, allo stesso modo si doveva costruire un grattacielo: il ‘vero’ scheletro doveva emergere all’esterno della facciata per manifestare la propria potenza. Non era necessario che il grattacielo fosse realmente costruito così, ma che al- meno metaforicamente assumesse quel significato, che ‘mettesse in scena’ quel processo, che si dichiarasse nelle forme rispondente al medesimo ‘programma di verità’. Come ha detto Robin Evans,: «Mies non era interessato alla verità della costruzione. Era interessato ad esprimere la verità della costruzione»[39].

Tutto si doveva far risalire alla tecnologia moderna: era vero tutto ciò che ri- spondeva alla sua stessa immagine, e ogni apparenza conforme era più vera perché espressione chiara ed inequivocabile di un credo. Mies stesso era con- sapevole di questa forza e la piegò sempre al servizio della propria ideologia: «La tecnologia è radicata nel passato. Essa domina il presente e si protende nel futuro. Essa è una reale tendenza storica - una delle grandi tendenze che danno forma e rappresentano la loro epoca. Può essere paragonata solo alla scoperta dell’uomo come individuo in epoca classica, alla volontà di potenza dei romani e al movimento religioso nel medioevo»[40].

[38] Geoffrey Scott risponde a Heinrich Wölfflin in G. Scott, The architecture of humanism: A Study in the History of Taste, 1914, pp. 35

[39] Robin Evans, Mies van der Rohe’s Paradoxical Symmetries, in Robin Evans, Translations from drawing to building and other essays, Architectural association, London 1997, pp. 240 (tra- duzione dell’autore)