CALLIMACO E IL TRANSATLANTICO
IV.1 La vergine di Corinto
Nel 1775, al principio della guerra di indipendenza americana, dopo le sangui- nose battaglie di Lexington e Concord, i rappresentanti delle Tredici colonie si riunirono a Philadelphia nel Secondo congresso continentale. Il congresso in- tendeva stabilire le basi per un governo autonomo federale e una delle fonda- mentali misure concordate fu quella di stampare carta moneta indipendente: la Continental currency. La banconota da 1 dollaro riportava il disegno di un cesto di vimini avvolto da foglie di acanto e sormontato da una lastra di pietra, che faceva curiosamente riferimento al racconto dell’origine dell’ordine corin- zio riportato da Vitruvio nel IV libro del suo “De Architectura”. Da sempre emblema di una giovane e verginale bellezza femminile, il riferimento alla co- lonna corinzia suggeriva allegoricamente che il nuovo Stato americano sarebbe sorto con forza, bellezza e dignità. Sopra il cesto un’epigrafe: Depressa resurgit [1].
Le poche righe in cui Vitruvio racconta la nascita del capitello corinzio posso- no essere riassunte brevemente[2]. Nella città di Corinto, al confine tra l’Attica
e il Peloponneso, era stata seppellita una giovane vergine; un cesto di vimini che conteneva i beni della defunta, chiuso da una lastra di pietra squadrata, indicava la sua tomba. Il cesto era stato poi posato accidentalmente sopra un germoglio di acanto, e con il tempo era stato quasi completamente avvolto dalle sue foglie. Callimaco, rinomato artista ateniese, si trovava casualmente a passeggiare vicino alla tomba e, rimanendo particolarmente colpito dalla
[1] Harpers New Monthly Magazine, March 1863 [2] Vitruvio, De Architectura, Libro IV, 1, 9-10
singolarità di quell’oggetto, aveva deciso di copiarlo. Vitruvio non specifica qui le modalità del processo di imitazione, ma suggerisce semplicemente che, avendo quel cesto una forma adeguata ed un aspetto piacevole, fosse risultato
naturale per Callimaco trasformarlo in un elemento di decorazione architetto-
nica. Non veniva esattamente stabilito un nuovo ordine, ma più semplicemen- te, un nuovo modo di coronare la colonna, utilizzabile con gli altri elementi già esistenti dell’ordine ionico; tuttavia, essendo il capitello corinzio più alto ne risultava una composizione generale più slanciata.
Vitruvio dice poi che Callimaco era conosciuto dagli Ateniesi come artista particolarmente pignolo e minuzioso, che si curava quasi eccessivamente di raffinare i dettagli, e per questo veniva chiamato katatexítechnos [3]. Vitruvio
aveva constatato lo scarso utilizzo dei capitelli corinzi nella Grecia antica (a Roma godettero di ben più ampio successo) e probabilmente con questo rac- conto intendeva relativizzarne il valore rispetto agli altri due fondamentali[4].
Il racconto (mitologico nel senso tradizionale del termine per quanto Callima- co sembri essere storicamente esistito[5]) è però colmo di riferimenti simbolici
e sottili metafore che ne suggeriscono una profonda tradizione, e indicano parallelamente una teoria dell’invenzione artistica. Nel gesto di Callimaco si concentra la tensione fondamentale tra imitazione ed invenzione che, in co- stante rapporto dialettico, ha caratterizzato per secoli le teorie dell’arte: in- venzione nell’antica accezione di imbattersi in, trovare (invenio) e capacità di trasfigurare; imitazione prima di tutto come conoscenza. Ma l’oggetto che Cal- limaco scolpisce in pietra è definito da altrettante tensioni archetipiche che ne suggeriscono un contenuto sacro: emblema dello scontro tra natura e artefat- to, tra intenzionalità e casualità, tra vita e morte, affida al proprio artefice la re- sponsabilità della traduzione e della sintesi[6].Vitruvio racconta fondamental-
[3] Katatexítechnos. Termine di difficile traduzione. Può portare, come no, un’accezione nega- tiva: colui che ha una arte/tecnica (téchne) raffinata, ma anche colui che per eccessiva minuzia la danneggia.
[4] Vitruvio utilizza il termine latino genus, pl. genera per definire gli ordini architettonici. Il termine suggerisce un’accezione leggermente differente rispetto all’italiano “ordine”, e sembra implicare tanto un’origine, quanto una specie, quanto ancora i generi maschile o femminile. Genus sost. neutro, trad: nascita, stirpe, genere, sesso, popolo, modo, stile, categoria, razza [5] Il personaggio storico Callimaco viene ad esempio citato in: Pausania, Descrizione della Gre- cia IX, 2, 5-7. Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, XXXIV, 92
mente la metamorfosi di un objet trouvé in elemento canonico dell’ornamento in architettura; Callimaco è in grado di unire le parti eterogenee dell’insieme disordinato che incontra (il cesto, la pianta e la pietra) e, con l’artificio dell’ar- tista, produrre «un tutto nuovo»[7].
Queste sono le parole utilizzate da Francesco di Giorgio, che coglie le pos- sibilità teoriche offerte dal racconto vitruviano e le elabora per sostenere la propria posizione; Callimaco offre il prototipo dell’atto creativo dell’architetto che, come il poeta, prende spunto dalla natura per realizzare un artificio legit- timamente ornamentato: «considerando Calimaco - come avviene che li scul- tori o pittori ampliando una cosa naturale, come a loro et a li poeti sempre è lici- to, formano una artificiale più ornata - considero tutto quello cesto insieme con
Anthropology and aesthetics” n. 34., Autumn 1998, The Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, Harvard University, pp. 30
[7] Francesco di Giorgio Martini, Trattati di architettura ingegneria e arte militare, cit. in Alina A. Payne, Ibid., pp. 30
le reflesse e ritorte frondi possere essere similitudine d’uno ornato capitello»[8].
Ma il personaggio di Callimaco non godette di particolare fama tra i contem- poranei di Francesco di Giorgio, che fu l’unico a restituirne anche un disegno; gli architetti umanisti ricercavano nelle parole di Vitruvio e nei rilievi delle antichità romane un canone piuttosto che un significato per gli ordini. Erano più interessati a definire un compendio pratico piuttosto che a speculare sulla teoria o sull’origine delle forme.
Claude Perrault e Roland Freart de Chambray nel XVII secolo, invece, ripor- tarono l’attenzione sul racconto vitruviano; il primo restituiva un’immagine dettagliata delle forme del cesto mentre il secondo rappresentava, raffinando il disegno di Francesco di Giorgio, il momento dell’atto creativo di Callimaco[9].
Freart de Chambray mostrava la creazione dell’opera d’arte come ritrovamento ed astrazione; imitazione analogica di un oggetto emblematico, che a propria volta diventa modello per successive e innumerevoli riproduzioni identiche. Ognuno dei termini utilizzati per descrivere il gesto di Callimaco esprime un concetto ed un metodo con cui si definiscono l’arte e l’architettura. Callimaco
imita un vaso, cioè ‘fa alla maniera di’ o ‘fa secondo il medesimo principio’, e inventa una nuova forma, cioè ‘si imbatte in’ o ‘elabora per primo un prototi-
po’; allo stesso tempo crea, cioè ‘fa sintesi tra’ o ‘fa esistere qualcosa che prima non esisteva’, e copia, cioè ‘riproduce le forme o il principio di’. Buona parte delle teorie dell’architettura del resto potrebbero essere sintetizzate come dif- ferenti e necessari tentativi di definire la corretta accezione di queste parole. Imitazione, creazione, invenzione e copia sono i mezzi attraverso cui la cultura commenta se stessa e le proprie opere.
In ogni caso è difficile pensare che gli interpreti e i traduttori di Vitruvio (e forse Vitruvio stesso) credessero che l’ordine corinzio fosse nato veramente da quel preciso gesto, in quella precisa circostanza, e che da quel momento in poi fosse stato riprodotto per secoli. Quel breve episodio, però, compendiava la necessità di dare risposta ad alcune domande fondamentali sulla natura stessa dell’architettura. Come si inventa l’architettura? Come la si compone e quali elementi si devono scegliere perché risulti bella? È lecito imitare la natura e
[8] Ibid.
[9] Claude Perrault, Les dix livres d’architecture de Vitruve, corrigez et traduits nouvellement en françois, avec des notes & des figures, Cap. IV, Parigi 1673, Roland Freart de Chambray. Parallèle de l’architecture antique avec la moderne, Cap. XXVI Paris 1950
secondo quali metodi? È accettabile poi imitare anche gli oggetti ‘culturali’, e se sì, quali? Imitare significa riprodurre le forme o comprenderne i principi? È chiaro che queste pagine di Vitruvio non si possano leggere in modo lette- rale, né si può credere nella loro storicità; tuttavia, dal momento che sollevano alcune fondamentali questioni disciplinari, non si possono neanche derubri- care come semplice favola. Non si possono, in fondo, né credere, né non-cre- dere. Allo stesso tempo non si può pensare che forniscano l’esempio di un me- todo, né darne un’ esatta ed invariabile interpretazione. Il racconto di Vitruvio, con la semplicità di ciò che è particolare, mostra la complessità dell’universale. Come i paradigmi mitologici, si trova oltre le stringenti categorie culturali di dimostrazione o interpretazione; è creduto anche se non vero, ed è vero anche quando non creduto. O ancora meglio: è creduto a prescindere dal fatto che sia vero, ed è vero a prescindere dal fatto che sia creduto.