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LA CAPANNA PRIMITIVA E LA MACCHINA A VAPORE

I.3 La capanna relativa

Se è vero che la nascita dell’architettura è stata spesso raccontata nella figura della capanna primitiva, gli esempi riportati finora non sono però esaustivi della complessità di questa vicenda. Non sempre infatti la capanna primitiva

fine del XVIII secolo, fazioni di architetti schierati a favore o contro gli stili classico e gotico e relative derivazioni.

[22] Juan Caramuel y Lobkowitz, Architectura civil recta y obliqua, Vigevano 1678

Jacques Francois Blondel, Cours d’architecture ou Traite de la decoration, distribution & construc- tion des batiments, Paris 1771-1777

William Chambers, Treatise of civil architecture, London 1768

[23] John Soane, Drawing of a primitive hut, undated, for Royal Academy lecture 1. London, Sir John Soane’s Museum

John Soane, la capanna primitiva, 1800 ca

è stata proposta nelle forme di un’antecedente dell’architettura dalle forme classiche; la costante mitologica anche in questo caso si è manifestata in forme differenti, per sostenere altrettanti e relativi valori.

È emblematica a questo proposito la versione raccontata da Viollet-le-Duc. In uno scritto divulgativo dal titolo “Histoire de l’habitation humaine”, viene raccontato il curioso viaggio nel tempo dei due personaggi, allegorici a partire dai loro nomi, Doxi ed Epergos[24].

Doxi, come il termine greco doxa da cui prende il nome, rappresenta un ca- rattere conservatore, che fonda le proprie idee sulla ‘opinione comune’ che diventa ‘dottrina’ (o viceversa) e si oppone all’evoluzione della tecnica.

Epergos, che forse prende il nome dal mitico costruttore del cavallo di Troia Epeios, ha invece le caratteristiche dell’artefice che sposta volontariamente e in prima persona il baricentro della conoscenza.

La prima vicenda che Viollet-le-Duc racconta è proprio quella della capanna primitiva. Doxi ed Epergos osservano un gruppo di uomini primitivi (il primo nucleo del popolo di Arya) trascorrere la notte sotto le fronde di un albero; non potendosi riparare dalla pioggia, dal vento e dai predatori, conducono la vita in uno stato animalesco. Epergos, nonostante l’opinione contraria di Doxi, si sente in dovere di aiutarli. Così Epergos insegna ai primitivi come costruire una rudimentale capanna dalla pianta circolare, legata all’estremità in un uni- co punto: una specie di grande tenda di fronde di forma conica. «Perché - lo rimprovera contrariato Doxi - vuoi opporti allo stato delle cose? Insegneresti anche agli uccelli come farsi il nido o ai castori come costruirsi il riparo in un modo diverso rispetto a quello a cui sono abituati? Perché vuoi alterare il lavo- ro del Creatore?»[25]. Epergos è l’artefice, colui che, da solo, inventa e insegna la

tecnica: è l’architetto come eroe civilizzatore.

Nel corso del racconto i due protagonisti si imbattono nelle architetture tra-

[24] Eugene Emmanuel Viollet-le-Duc, Histoire de l’habitation humaine, depuis les temps préhi- storiques jusqu’à nos jours, 1875, ed Eng. Habitations of Man in All Ages, 1876, ed It. Storia dell’a- bitazione umana dai tempi preistorici ai giorni nostri, Milano, 1877

[25] Ibid., Capitolo I, “Are they men?” Viollet-le-Duc parla del popolo di Arya. Secondo l’autore si tratta del primo popolo civilizzato ad abitare la terra, che con progressive migrazioni, avrebbe colonizzato il resto del globo.

Con questo nome, riferendosi a De Gobineau, Viollet individua l’antico popolo degli arii o ariani, penetrato nel Subcontinente indiano nel II millennio a.C. e impostosi su un ampio territorio, comprendente la valle dell’Indo e le pianure del Kashmir.

dizionali di diversi popoli interrogandosi su quale sia la migliore: dall’India al Sud America, dall’Europa all’Indonesia.

Alla fine del viaggio Viollet-le-Duc svela la propria visione di architettura ar- chetipica; quella che il primo popolo civilizzato degli Arya avrebbe elaborato a partire dalla capanna di Epergos. Nel corso di un’evoluzione del tutto naturale gli Arya sarebbero giunti a costruire una sorta di chalet svizzero, emblema di architettura primigenia perfetta che, secondo Viollet-le-Duc, poteva ritrovarsi tanto nell’Europa continentale, quanto alle pendici dell’Himalaia da cui pro- prio gli Arya provenivano[26]. Viollet-le-Duc, per bocca di Epergos, si faceva

promotore di una sorta di proto regionalismo da cui emerge un approccio relativista rispetto alla questione della ‘prima vera architettura’ (sostenendo in pratica che ogni popolo ne avesse una propria peculiare); tuttavia, in modo sottile ma deciso, insisteva nel conferire maggiore dignità e universalità alla propria preferita nella figura dello chalet.

In questo modo Viollet-le-Duc revocava il primato dell’architettura classica, proponendo un modello di capanna primigenia dalle forme del tutto differen- ti: l’architettura classica era dunque solamente ‘una delle tante possibili’. Una volta messo in discussione il primato temporale e geografico delle forme del’architettura classica, la questione della capanna primitiva continuava dun- que a ricorrere insistentemente in altre innumerevoli e complesse versioni. Se nella visione di Viollet-le-Duc i primitivi appaiono scimmieschi, sgradevoli e in costante faticosa ricerca di un artificio per proteggersi, nella celebre nar- razione dell’Abate Laugier, i primitivi rappresentano perfettamente l’idea del “buon selvaggio” promossa da Rousseau: un’origine ideale in cui l’uomo allo stato naturale si trova in perfetto equilibrio[27].

Anche la naturalezza che Laugier attribuisce ai primitivi è, come sempre, strumentale ad esprimere un’idea di corretta architettura. Come molti autori prima di lui, Laugier attribuisce alla capanna primitiva le caratteristiche di spontaneità e necessità, traendone però come conseguenza una conclusione inedita. Se la capanna è naturale allora ogni suo elemento non può che essere

[26] Ibid., Capitolo XXVIII, “Conclusion”. Così si pronuncia Epergos (tratto dall’edizione in- glese): «Perhaps you will be surprised if I tell you that the chalets of the Swiss mountains are exactly like the dwellings that are to be seen on the slopes of the Himalayas, and in the valleys of Cashmere».

essenziale; ogni sua componente deve avere una precisa ragione di esistere. Nella capanna di Laugier non trovano spazio decorazioni superflue o espres- sioni simboliche arbitrarie; quella che immagina, così, è una perfetta sintesi tra natura e ragione. Questa particolare immagine dell’origine gli serve per screditare gli eccessi decorativi del Barocco, mentre auspica un ritorno all’es- senziale austerità del Classico, in particolare greco.

Gottfried Semper, invece, quasi esattamente un secolo dopo, metteva nuo- vamente in dubbio il primato della classicità. E ancora una volta, per farlo, proponeva un modello alternativo di capanna primitiva. Secondo lui non era in alcun modo verosimile che le forme della prima capanna fossero state così simili proprio al tempio greco; ai suoi occhi una analogia così marcata (come ad esempio quella di John Soane) era di per sé indice di faziosità. Il suo inte- resse, alla luce delle conquiste coloniali e della nascita degli studi antropolo- gici, si volgeva alla capanna caraibica; più come paradigma che come ideale formale, e anche in questo caso per sottolineare in qualche modo la relatività del problema[28].

James Hall era invece un acceso sostenitore dell’architettura gotica, a cui attri- buiva caratteri di indubbia razionalità strutturale e di sublime dignità estetica. Fedele all’attitudine narrativa fin qui evidenziata in tutti gli autori, Hall cam- biava semplicemente le forme del prototipo ideale, diventando così l’inventore della capanna gotica. Non solo ne descrisse l’origine ma, per dimostrarne la veridicità, si cimentò nel realizzarne in prima persona un modello. Diceva di aver osservato dei contadini che accatastavano nel proprio villaggio gli esili pali con cui sostenevano le piante di vite. Ai suoi occhi era subito apparso evi- dente che la somma di quei pali sarebbe naturalmente diventata architettura, grazie alla tecnica sapiente dell’artefice[29].

Tra le molte ipotesi formulate sull’origine dell’architettura, ognuna con il proprio particolare desiderio di universalità, l’unica componente veramente universale risulta essere l’idea in sé della capanna, la necessità di immaginare l’origine in una specifica forma: un prototipo, l’emblema di ciò che dovrebbe essere. Le forme prototipiche della capanna sono relative e arbitrarie ma ne- cessaria e universale è l’affermazione della sua esistenza.

Nel dialogo che conclude lo scritto di Viollet-le-Duc, un Capitano di naviga-

[28] Gottfried Semper, Die vier Elemente der Baukunst, Hamburg 1851

zione si rivolge così ad Epergos: «Lo stesso fenomeno ricorre sempre; il mon- do non è così vario come pensi; nell’ordine morale e materiale delle cose, per quanto riguarda l’umanità, tre principii su quattro ricompaiono ovunque, e sempre indipendentemente dal tempo, dal luogo o dalle circostanze»[30].

Non vogliamo confutare le mitologie dell’origine sottoponendole alla critica del metodo scientifico, perché anche il più perfetto metodo scientifico non sarebbe in grado di spiegare le ‘forze’ (per riprendere il termine di Adams) che hanno animato la nascita di interi sistemi culturali. Ciò che in realtà si vuole mostrare è che l’architettura ha sempre bisogno di una struttura mitologica, dal momento che al metodo ed al linguaggio scientifici sfuggono inevitabil- mente le sfumature immateriali che sono parte integrante del suo essere. È proprio questo ‘parlar figurato’, e non tanto le sue forme particolari, ad essere necessario ed universale, tanto nella narrazione della capanna primitiva quan- to in quella della macchina.

[30] Eugene Emmanuel Viollet-le-Duc, Histoire de l’habitation humaine, depuis les temps préhi- storiques jusqu’à nos jours, Ibid.